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Autore: CharlieBb    21/01/2012    6 recensioni
È questo, allora. È questo che lo fa stare così male, è questo che gli ha spezzato la voce e lo ha lasciato boccheggiante, perché non esiste più solo John, o solo Sherlock, perché adesso siete diventati chissà come e perché John e Sherlock, Sherlock e John, due esseri divisi ma allo stesso tempo indivisibili.
Holmes e Watson. [SPOILER STAGIONE 2]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Under everything, just another human being.
Autore: me medesima stessa, in preda allo sconforto più profondo.
Beta: Idra_31 la mia bff ♥
Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson.
Rating: PG. Non è slash, diciamo più pre-slash.
Disclaimer: Non mi appartengono, ma neanche se mi sforzassi di crederci. © Steven Moffat e Mark Gatiss, &BBC .
Note: Tristezza a palate dopo Reichenbach. SPOILER se non avete ancora guardato la seconda serie (e shame on you, se davvero non l'avete fatto!).
Il titolo è preso da Just Breathe, dei Pearl Jam.
Sommario: È questo, allora. È questo che lo fa stare così male, è questo che gli ha spezzato la voce e lo ha lasciato boccheggiante, perché non esiste più solo John, o solo Sherlock, perché adesso siete diventati chissà come e perché John e Sherlock, Sherlock e John, due esseri divisi ma allo stesso tempo indivisibili.
Holmes e Watson.


*


Le tue dita digitano veloci  sul cellulare. Componi l’unico numero che hai imparato a memoria e deciso di non eliminare dal tuo cervello affollato di informazioni importanti; attendi uno, due squilli che sembrano durare una vita intera prima che la voce all’altro capo risponda.
Pronunci il suo nome con una sfumatura nuova mai usata prima. Tenti il tuo tono più freddo e distaccato ma la senti, oh se la senti, quella cosa strana che tutti chiamano “emozione” avvolgere quell’unica e semplice parola. Quella che pronunci sempre, in ogni istante della giornata; quella che in qualche modo hai sempre dato per scontata e solo adesso ti accorgi che scontata non lo è, né lo è mai stata.
La sua voce è preoccupata, il suo cervello è riuscito a elaborare e finalmente ha più o meno capito cosa sta succedendo. Più o meno. Sei convinto, piuttosto, che il suo cervello si rifiuti di capire sul serio perché questo vorrebbe dire sofferenza imminente per lui.
Gli chiedi di tornare indietro, lui tenta una protesta ma la tua voce è autorevole e svela un’urgenza, un’ansia che non hai mai provato prima.
Finalmente si decide a darti retta; torna indietro e si ferma al suono delle tue parole. È quello il punto giusto.
Guarda in alto, quando gli riveli finalmente la tua posizione.

«Non… non… non posso scendere, quindi dovremo fare così.»

«Che succede?», ti chiede allarmato. Sta boccheggiando.

«Ti devo delle scuse.» Senti qualcosa di strano nella gola e il telefono ti porta il suo sospiro. «È tutto vero.»

A questo punto sai di avere la conversazione in pugno.
Sai che lui ti domanderà “Cosa?”, tu risponderai dicendo che hai inventato Moriarty per i tuoi scopi.
Di fatti, tutto va come avevi previsto. La tua voce sembra quasi volerlo accarezzare, confortare in qualche modo perché sai che ciò che stai per fargli non gli farà bene.
Ti volti a guardare il corpo alle tue spalle, il sangue sparso sul pavimento di quel tetto troppo alto, gli occhi aperti nell’espressione di una muta epifania.

Lo senti sussurrare il tuo nome come non ha mai fatto prima.
Nonostante la distanza che vi separa, che forse vi ha sempre separati, lo senti sussultare al suono delle tue parole spezzate. Si rifiuta di crederti, come avevi immaginato. Si rifiuta di credere che tu sia solo un impostore, un falso, un’identità studiata e creata per un ignobile scopo finale.
Deve dirlo a tutti gli altri. Deve dirlo, che li hai ingannati. Deve, ma sai che non lo farà.
La sua fiducia in te è troppo forte per poter essere spezzata da una bugia come quella; forse non smetterebbe di credere in te neanche se avesse davanti agli occhi le prove concrete della tua colpevolezza. È stato così fin dall’inizio. John ha fatto ciò che nessun altro essere umano si sarebbe mai sognato di fare dopo averti conosciuto: si è fidato di te. Ha messo la sua vita nelle tue mani e ha deciso di seguirti, nonostante potesse essere pericoloso. Nonostante avrebbe potuto non tornare mai.

Costruisci una bugia sopra l’altra, per lui. Su quel tetto, sotto quel cielo grigio che sembra evocare la sua sofferenza continui a costruire un muro di bugie, lo innalzi con una lentezza esasperante e l’impresa richiede più forza di quanto avessi in realtà previsto.
Non è semplice, mentirgli. Non come avevi prospettato.
Stringi le labbra, come se potesse in qualche modo aiutarti a costruire la prossima bugia.

«Era un trucco. Un semplice trucco di magia.»

«No. Va bene, adesso smettila.»
La sua voce trema mentre pronuncia quelle parole e scuote la testa. Il pensiero che tu stia dicendo la verità non lo sfiora neanche, e lo sai.
Lo vedi muoversi, avanzare verso l’ingresso di quell’ospedale che si è prestato a tuo palcoscenico, e con voce autoritaria gli intimi di fermarsi.

«Non ti muovere.»

Mentre lo dici senti che qualcosa è cambiato, qualcosa di impercettibile forse, qualcosa che ti è difficile identificare e catalogare con chiarezza. È nascosto nei tuoi occhi che adesso bruciano, è un cambiamento sottile racchiuso nella lacrima che impertinente ti riga il viso contro la tua stessa volontà.

Tende la mano verso di te, quasi volesse sfiorarti per dissuaderti da quella che secondo lui è pazzia, un atto sconsiderato e inutile.

«Okay.»

E non puoi fare a meno di tendere la tua mano attraverso il nulla, al suono di quell’unica parola che gli esce dalle labbra come un sospiro.
Hai la sensazione che se solo provassi a chiudere gli occhi la sentiresti, la sua mano. Le sue dita fredde per la dura aria londinese, le nocche leggermente screpolate; sentiresti la sua pelle gelida che emanerebbe calore a contatto con la tua per la più semplice delle reazioni chimiche. Sarebbe facile da spiegare.
Quello che non ti è facile spiegare è perché le vostre mani tese nel vuoto, distanti eppure così vicine, ti provochino come un brivido lungo la schiena, la sensazione di un pugno allo stomaco che non capisci, non puoi analizzare perché semplicemente non è razionale. Non c’è niente di logico in tutto questo, e ti da sui nervi non riuscire a capire.
Non c’è niente di logico nel sentirsi come se ti fosse passato addosso un camion quando gli chiedi di tenere gli occhi fissi su di te, quando lo supplichi di farlo. Forse perché non hai mai supplicato nessuno in vita tua, nessuno tranne lui.

« Questa telefonata…  è il mio biglietto. È questo che si fa, no? Si lascia un biglietto?»

Scuote la testa e per un solo istante allontana il cellulare dall’orecchio.
Puoi quasi sentire il singhiozzo che gli blocca la gola, quello che lui non ha voluto farti ascoltare. Puoi sentire il suo cuore accelerare il battito e diventare un tamburo frenetico nel suo petto, è tutta una questione di chimica.

«Quando si lascerebbe un biglietto?», ti chiede, ma conosce già la risposta. È solo colpa del suo cervello che si rifiuta di processare correttamente le informazioni in suo possesso, che in qualche modo ha deciso di negare la verità che gli indizi gli forniscono.
Dovrebbe ragionare più logicamente, alle volte.

«Addio, John.»

«No. Non…»

Se la protesta continua, non puoi più sentirla.
Con una lentezza esasperante che non ti appartiene allontani il cellulare dall’orecchio e abbassi il braccio per gettarlo con poca grazia sul pavimento.
Le lacrime. Le lacrime che ti scorrono sul viso, non le capisci. Non sono razionali, non hanno nessuna logica spiegazione, nessun ragionevole motivo per stare lì sulle tue guance come per beffarsi di te.

Lo stai facendo per lui. Tutto quello, ogni più piccolo dettaglio, hai deciso di farlo per lui perché non sopporteresti neanche il pensiero che possa accadergli qualcosa di male.
Non hai amici. Ne hai solamente uno.
Era giusto così. Era giusto che ci fosse solo lui, a guardarti dalla strada. Lui e nessun altro.
Gli altri avrebbero cercato di dissuaderti ma si sarebbero arresi presto, lui no. Lui non si arrenderà mai alle tue bugie, non si arrenderà mai al pensiero che tu possa esserti tolto la vita volontariamente perché, nonostante tutto, lui è l’unico che ti conosca veramente.
È per questo che gli hai lasciato degli indizi, nascosti tra parole e bugie, e sai che un giorno riuscirà a notarli. A mente fredda ragionerà sull’accaduto, rimetterà insieme i pezzi e finalmente capirà.

Perché fa così male, allora? Perché ti senti così?
Stai per procurargli sofferenza gratuita e indesiderata. No, non è gratuita, è necessaria.

Il tuo piede fluttua nel niente oltre il cornicione.

Non riesci a spostare gli occhi da lui; ci provi e ci riprovi, a guardare altrove, ma non puoi. È come se in qualche modo assurdo e incomprensibile i suoi occhi ti stessero chiamando, attirando, supplicando, implorando di non farlo, di non lasciarlo.
Non vuole che tu vada via solo perché non vuole che tu lasci lui. Sentirà la tua mancanza ogni giorno, forse persino ogni istante della sua vita; non ci sarai più per riempirgli le giornate, per farti insultare qualche volta a causa di quelle che lui chiama “lacune” e tu definisci “informazioni inutili che il tuo cervello non sente il bisogno di conservare”. Non ti ascolterà suonare il violino. Non ti preparerà la cena o forzerà a mangiare quando la fame ti avrà abbandonato, durante uno dei vostri casi.
Vostri. Tuoi.
I tuoi casi. I vostri.
È questo, allora. È questo che lo fa stare così male, è questo che gli ha spezzato la voce e lo ha lasciato boccheggiante, perché non esiste più solo John, o solo Sherlock, perché adesso siete diventati chissà come e perché John e Sherlock, Sherlock e John, due esseri divisi ma allo stesso tempo indivisibili.
Holmes e Watson.

Sta per perdere il suo coinquilino, e il suo migliore amico.
E tu stai per perdere l’unica persona che abbia davvero contato qualcosa nella tua vita, l’unica che sia riuscita a contare più di tutto il resto.

Guardi di sotto un istante. È parecchio alto.

Inspiri profondamente ed eccoti, giù dal tetto in un volo infinito.
Come per uno strano scherzo del destino vedi, con l’occhio della mente, ogni momento che hai trascorso con John.
Il primo incontro al Bart’s, la visita all’appartamento di Baker Street; il primo caso insieme, i suoi commenti, il tuo autocompiacimento. Riesci quasi a vedere il modo in cui il vostro rapporto si è consolidato, istante dopo istante, risata dopo risata. Non sono mancati gli insulti, le tue solite giornate “no”, il suo andar via e lasciarti ai tuoi pensieri; questo anno e mezzo trascorso con lui è stato pieno, pieno di quelle che il mondo chiama “emozioni” e che tu non sei riuscito a riconoscere neanche quando le stavi provando sulla pelle.

Adesso, mentre cadi, il mondo intero sembra rallentare per poter permettere a te di capire ciò che prima non riuscivi a vedere, di analizzare ciò su cui non avevi riflettuto. Tutto rallenta per mostrarti quanto in realtà John significhi per te e quanto male farà ad entrambi questa necessaria separazione.

E poi, l’impatto.


*

«Ero così solo… e ti devo davvero tanto.»

Si allontana di qualche passo. Vorrebbe andarsene, forse per non vedere più quella lapide scura e lucida che si prende gioco del suo dolore. Ci ripensa, si volta a guardarla, scura e terribile nel cimitero curato.

«Ma, ti prego, c’è ancora una cosa. Un’ultima cosa, un ultimo miracolo, Sherlock. Per me. Non essere… morto. Potresti farlo? Per me? Smettila. Ferma tutto questo!»

La sua voce si spezza, gli manca il respiro.
Vedi i suoi occhi lucidi e il tuo cuore reagisce stringendosi in una morsa senza neanche avvertirti, avrebbe dovuto farlo. Avresti dovuto essere preparato a quella contrazione.
A quel dolore; al tuo, per averlo lasciato. Al suo, per aver creduto che tu lo abbia lasciato.
Se solo avessi fatto attenzione ai segnali non ti saresti trovato impreparato, se avessi fatto attenzione ai segnali probabilmente ti saresti perso tutto questo perché avresti preso la decisione più saggia e ti saresti allontanato da lui molto prima.
Ti saresti risparmiato la sofferenza di doverlo abbandonare quando in realtà lui è l’unico di cui tu abbia mai avuto -e mai avrai- bisogno.

Si asciuga le lacrime dagli occhi, riserva alla lapide un cenno secco della testa e va via, diretto verso una vita che vivrà a metà.

Se avessi prestato attenzione all’inizio non ti saresti ritrovato a morire per lui. La cosa buffa è che hai deciso di farlo di tua spontanea volontà, e lo rifaresti senza ripensamenti se solo fosse necessario.
Moriresti per l’unica persona che abbia davvero importanza, e che è riuscita in qualche modo a te sconosciuto a cambiarti (ancora ti domandi come ci sia riuscito, forse non troverai mai una risposta).
Lui ti ha accettato per quello che sei, fin dall’inizio. Ha accettato i malumori, gli spari contro il muro e le teste nel frigorifero; i tuoi silenzi prolungati, il tuo non riuscire a provare quello che i normali esseri umani provano, ti ha preso per quello che sei e non è mai andato via. Ti ha dato tutto ciò che aveva da offrire senza mai chiedere nulla in cambio.

Una goccia ti scivola sul viso e subito pensi che stia ricominciando a piovere.
Ti guardi intorno e per un solo istante ti ritrovi tra le calde e confortanti pareti del 221b di Baker Street, seduto impeccabilmente sulla tua poltrona con tra le mani una tazza di tè. Per un istante rivedi John seduto di fronte a te, un sorrisetto beffardo dipinto sul volto, le mani giunte sul grembo. Sa di aver ragione e aspetta solo di sentirtelo dire, non tanto per provare un tuo fallimento quanto più per provare un suo piccolo successo.

«D’accordo, John. Avevi ragione.» Sospiri, e sorridi. «Forse sono solo un essere umano. Solo un altro essere umano.»

Dopo un’ultima occhiata al cimitero deserto ti stringi nel cappotto e ti incammini verso la tua prossima avventura, che sarai costretto ad affrontare da solo.
È una bella giornata. Su Londra splende il sole.



*Fin*


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