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Autore: imsofreakingsorry    09/02/2012    1 recensioni
Tratta liberamente da un libro, che preferirei non venisse citato fino alla fine della storia, in modo da non rovinare la trama a chi non l'avesse letto. La storia è riadattata ai due personaggi e alle vite che io penso possano vivere nel futuro. Solo la storia di base è uguale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dave Karofsky, Kurt Hummel | Coppie: Dave/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Dopo aver cancellato le storie precedenti, spero di poter portare a termine almeno questa. Senza rendermi conto troppo tardi che è una schifezza.




Aeroporto di New York, Settembre 2024 – Dave Karofsky ha 30 anni

Era una domenica pomeriggio di settembre sotto il cielo di New York.
Un uomo scese da un taxi, prese una borsa dal bagagliaio e si chinò sul finestrino per passare al guidatore il suo compenso; poi girò su stesso e si avviò verso l’edificio di vetro e acciaio di fronte a lui.
Quell’uomo era David Karofsky, e gli anni passati erano stati buoni con lui.
Il suo fisico era maturato insieme a lui, lasciandosi indietro la goffaggine dei suoi anni al liceo. Faceva l’avvocato a Cleveland, Ohio.
Si diresse meccanicamente al check-in per prendere il volo per tornarsene a casa.
”Dove sei diretto, straniero?”
Stupito di sentire quella voce così familiare, si girò di scatto.
Due occhi azzurri lo stavano guardando carichi di tenerezza e qualcosa che Dave sperava di aver interpretato nel modo giusto.
”Quand’è stata l’ultima volta che ti ho baciato?”, chiese lui
”Direi un’ora fa”
”Quasi un’eternità”, mormorò lui, stringendolo a sé.
Quel ragazzo era Kurt, l’uomo della sua vita. Lo conosceva ormai da quindici anni e doveva a lui il meglio di sé: era stato lui a spingerlo fuori da quel guscio in cui si nascondeva, lui ad indurlo a frequentare legge, ad aprirsi con gli altri.
Era folle che Kurt fosse venuto a salutarlo con il rischio di arrivare tardi a lavoro.
Il fatto era che la loro era una storia complicata. Lui viveva a Cleveland, Kurt a New York. Complici anche orari di lavoro che non coincidevano mai.
Certo, avrebbero potuto decidere di convivere, ormai, ma nessuno dei due era ancora riuscito a dire di no al proprio lavoro.
Dopo lunghi studi di legge, Dave era riuscito ad aprire la propria società di avvocati a Cleveland. Kurt, invece, era una promettente star di Broadway, cosa che aveva sempre sognato fin da piccolo, e non sarebbe stato certo Dave a portargli via quel lavoro di cui andava tanto fiero.
I due giovani avevano quindi una vita piena dove non c’era spazio per la noia. Ma lo stare separati stava complicando sempre di più il loro rapporto.
“Lascia che ti accompagni a prendere il tuo volo”, disse Kurt.
Dave annuì. Poi, dato che lo conosceva bene, chiese: “Volevi dirmi qualcosa prima di partire?”
”Sì”, rispose lui prendendolo per mano
Ma mentre si avviavano verso l’imbarco non fece altro che parlare di lavoro.
”Kurt…”
”Sì?”
”Dove vuoi andare a parare, esattamente?”
”Vorrei che adottassimo un figlio, Dave”
”Così, su due piedi? Ne vuoi rubare uno all’aeroporto?”
Questa era l’unica cosa che Dave era riuscito a dire: una battuta per mascherare la sorpresa. Kurt però non sembrava aver voglia di ridere.
”Non sto scherzando, Dave, e ti prego di rifletterci seriamente”, riprese lui, lasciando la sua mano e dirigendosi verso l’uscita del terminal.
A Dave non piaque il senso di gelo che di colpo aveva pervaso la sua mano una volta che Kurt l’ebbe lasciata.
“Aspetta, Kurt”, fece lui – nel vano tentativo di trattenerlo.
”Questo è l’ultimo avviso per il signor David Karofsky, passeggero del volo 206 con destinazione…”
Stava per salire a bordo, quando si girò per rivolgere un ultimo saluto a Kurt.
Il sole di settembre inondava la sala partenze, Dave agitò la mano, ma il suo grande amore era già scomparso.
 

~~~~~~


Era ormai ora di scena quando il suo aereo atterrò. Dave stava per uscire dal terminal e prendere un taxi, quando tornò sui suoi passi. Stava morendo di fame. Turbato dalla proposta e dalla reazione di Kurt, non aveva toccato nessuno degli spuntini che le hostess gli aveva proposto e sapeva di che, nel suo appartamento, avrebbe trovato un frigorifero vuoto ad aspettarlo.
Si guardò intorno e avvistò un ristorante in cui si ricordava di essere già stato con il suo migliore amico, Blaine, che a volte lo accompagnava. Entrò e si sedette al banco, ordinando un’insalata con pollo – aveva preso l’abitudine di mangiar sano da Kurt – e un bicchiere di vino bianco. Dopo che il cameriere ebbe preso nota della sua ordinazione, si avviò verso i bagni e compose il numero di Kurt. Nessuna riposta. Sicuramente non gli voleva parlare. Non che ci fosse da stupirsi.
Ma non si era pentito di aver reagito in quel modo. La proposta di Kurt era saltata fuori dal nulla, tanto più che la carriera di entrambi era praticamente solo agli inizi. E non erano nemmeno sposati. La verità era che non si sentiva ancora pronto. Era già stupito di essersi meritato l’amore di Kurt, fino a quel giorno non aveva osato chiedere di più. Non voleva sfidare il destino che già gli aveva donato tanto. Non era questione di mancanza d’amore. Questo sperava che fosse chiaro anche a Kurt. Lo amava tanto. Aveva amore da vendere. Solo aveva una paura matta.
Ma questo era un discorso che Kurt non voleva assolutamente intendere.
Tornato al banco, finì di mangiare ed ordinò un caffè.
Era nervoso e nella tasca della giacca sentiva il peso del pacchetto di sigarette comprato quella mattina. Inutile dire che non resistette alla tentazione di fumarne una. Certo, avrebbe dovuto smettere di fumare, come Kurt e Blaine non mancavano mai di fargli notare. Uno era un salutista, l’altro un medico. Dave era praticamente incastrato. Ma nessuno dei due poteva tenerlo d’occhio 24 ore su 24.
Smetterò presto, ma non stasera, pensò aspirando il fumo. Si sentiva troppo depresso per imporsi un sacrificio del genere.
Il suo sguardo vagava per il ristorante, ma di colpo si fermò a fissare la vetrata che dava verso l’aeroporto.
Scorse un uomo che – vestito solo con un pigiama – sembrava scrutarlo con estrema attenzione.
Strinse gli occhi per guardarlo meglio. L’uomo era sicuramente sulla sessantina, un’aria ancora atletica – sebbene non l’avrebbe mai definito magro –, una barba incolta e leggermente brizzolato. Dave aggrottò la fronte. Cosa ci faceva un uomo scalzo, in pigiama, nel terminal dell’aeroporto?
Non erano sicuramente affari suoi, ma qualcosa lo spinse ad alzarsi e ad uscire. Quell’uomo aveva l’aria smarrita, quasi si fosse ritrovato lì di colpo, per caso.
Chi era quell’individuo? Forse un paziente scappato da qualche istituto?
Quando fu a meno di tre metri di distanza, comprese finalmente quale fosse il motivo per cui quella visione l’avesse così tanto turbato. Quell’uomo somigliava spaventosamente a suo padre Paul, morto cinque anni prima per un cancro al pancreas.
Fece ancora qualche passo verso di lui. Da vicino la somiglianza era ancora più stupefacente: la stessa forma del viso, lo stesso neo che lui aveva ereditato.
E se fosse davvero lui? Ma no, che sciocchezze. Paul era morto. E sepolto. Aveva assistito al funerale. Aveva pure pianto. E Kurt gli aveva tenuto la mano per tutto il tempo.
”Posso aiutarla?”, disse.
L’uomo indietreggiò, il turbamento che aveva provato Dave si rispecchiava anche in lui.
”Dave…”, mormorò finalmente l’altro.
Come faceva a conoscere il suo nome? E quella voce!
Dire che tra Dave e suo padre non fosse mai scorso buon sangue, era un eufemismo; ma ora che il padre era morto, lui rimpiangeva di non essersi aperto prima con lui. Di non essersi fatto capire da quell’uomo che tante volte aveva provato a penetrare il suo guscio, invano. Dave non si era mai sentito così inebetito.
Prima di rendersi conto dell’assurdità di quello che stava per dire, una domanda gli sfuggì dalle labbra:
”Sei tu papà?”
”No, Dave, non sono tuo padre”
Quella risposta non fece altro che turbare Dave ancora di più.
”Ma allora lei chi è?”
L’uomo si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla. Con un’espressione che tante volte aveva visto guardandosi allo specchio, finalmente parlò di nuovo:
”Io sono te, Dave”
Dave si irrigidì, incapace di muovere un passo o formulare una frase di senso compiuto.
”Sono te fra trent’anni”
L’uomo fece per aggiungere qualcosa, ma un fiotto di sangue iniziò a colargli dal naso.
Dave si girò per tirare fuori un fazzoletto dalla tasca, preoccupato, e lo porse all’uomo. Ma nel tempo che impiegò ad alzare di nuovo lo sguardo verso di lui, quell’uomo era già sparito.

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