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Autore: De33y    10/02/2012    1 recensioni
Fu sufficiente un colore a risvegliare i suoi ricordi, fu sufficiente un colore per farla stare male, ma scavando in quel colore scoprì di non essere più sola. Missing moment ispirato al primo film della saga; pochi minuti dopo gli eventi di Liberty Island, Rogue si risveglia sul jet e si sforza di ricostruire cosa le sia successo.
Questa storia ha partecipato al concorso Marvelicious indotto da Aetheflead
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rogue si svegliò sul velivolo degli X-men, registrando appena che si trovava in movimento. Aprì gli occhi e vide le pareti metalliche nere incombere su di lei, un senso di smarrimento la avvolse e la paura prese possesso dei suoi pensieri. Fantasticò su quale posto orribile fosse quello. Il metallo freddo su cui poggiava le ricordò che le sue mani erano nude, era così strano non sentire i guanti che le coprivano. Dei suoni alla sua sinistra la riportarono alla realtà e la indussero a voltarsi, esitò un momento domandandosi se svelarsi vigile fosse la cosa giusta da fare, ma alla fine cedette all’istinto; non avrebbe mai trovato delle risposte se non avesse corso il rischio. Seguì con lo sguardo l’andamento delle pareti affusolate, fino a raggiungere il lato opposto dell’ambiente, in quel punto stavano due figure vestite di nero: uno di loro era un uomo, aveva i capelli castani corti e un visore gli copriva gli occhi, la mente di Rogue in automatico, associò a quell’individuo il nome Scott; l’altra era una donna dai lunghi capelli rossi che le dava le spalle, Jean.

Guardando più attentamente Rogue si accorse che contro la parete si nascondeva una terza persona, anch’essa vestita di nero, i cui contorni immobili si perdevano nelle ombre del velivolo. Il corpo di Jean copriva la faccia e il tronco del misterioso individuo, rendendole impossibile capire chi fosse.

I suoi muscoli pigri lasciarono cadere la testa di lato e i suoi occhi si ritrovarono a fissare il pavimento. Il suo sguardo fu immediatamente investito dall’inebriante contrasto del rosso sul metallo nero, dove, ai piedi della donna, giaceva un mucchietto di bende intrise di una sostanza vermiglia: sangue. Anche nel caos della sua testa, non fu difficile per Rogue mettere insieme i pezzi e realizzare che Ciclope stava tenendo ferma la persona misteriosa, mentre Jean la medicava.

Era una scena semplice eppure la giovane mutante non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che nascondesse molto più di quanto volesse far credere. Era come una canzone con una nota stonata, nulla più, ma c’era. Si sforzò di capire cosa avesse quella scena che non andava, ma non ci riusciva. Alla fine, quando aveva desistito dall’idea di scoprirlo, il dubbio sgorgò spontaneo, che motivo c’era di tenere fermo con tanta cura un individuo già di per sé immobile. La mascella serrata di Scott e le braccia in leggera tensione, sotto la tuta nera, da sole spiegavano che il ferito era qualcuno di molto pericoloso.

La sicurezza che aveva provato nel vedere i volti familiari vacillò di nuovo, confortata solo dall’assurdità di quella situazione, era su qualche mezzo di trasporto sconosciuto, senza sapere come ci fosse arrivata, né tanto meno quando e vicino a lei c’era qualcuno di particolarmente pericoloso, ma la cui identità rimaneva per puro caso un segreto… l’unica spiegazione logica che emergeva da quel quadro, era che lei stesse sognando. Chiuse gli occhi e provò a ricordare l’ultima cosa che aveva fatto prima di svegliarsi in quella cupa realtà; era sicura che non ne sarebbe emerso nulla o si sarebbe ricordata di essere andata a dormire, confermando in entrambe i casi che quello era nient’altro un sogno, un piccolo scherzo del suo inconscio. Creare un pensiero coerente le sembrò un‘impresa impossibile, c’era il vuoto, ma nel vuoto c’era il caos e nel caos la spiacevole sensazione che ci fosse qualcosa di brutto in mezzo a quella storia, qualcosa che preferiva non ricordare. Era come se i suoi ricordi le stessero tenendo un piede sul petto e fossero pronti a schiacciarla se avesse provato in qualche modo ad appellarli, ma non si arrese. Piano piano le prime immagini iniziarono ad affiorare: la scuola, era tornata a ridere la dentro… era notte, era nella sua stanza, c’erano dei rumori…il buio… stava scappando, era successo qualcosa, qualcosa di brutto…era sul treno, voleva andare il più lontano possibile… all’improvviso si aggiunse una voce a quella scena, poi un volto, un amico. La aveva convinta a tornare indietro…Nelle immagini seguì un altro uomo, canuto, lei era ancora sul treno, credeva, ma lui la stava portando via con la forza. Paura, tanta paura, troppa paura, non era sicura di riuscire a sopportarla. Ebbe dei flash che correvano veloci nella sua testa, delle immagini che si rincorrevano ad un ritmo tale che le era impossibile metterle a fuoco, poi tutto sembrò fermarsi all’improvviso. Era all’interno di una strana macchina, era avvolta dalle tenebre, ancora una volta quella paura indicibile, questa volta era tale da mozzarle il respiro e inumidirle gli occhi con le lacrime calde. Non sapeva cosa la terrorizzasse, ma era estremamente reale.

Riaprì gli occhi, dimentica dell’ultima immagine che avevano colto e che ancora stavano fissando attraverso le palpebre chiuse. Appena il riflesso scarlatto la investì, Rogue non riuscì più a distogliere lo sguardo dalle bende intrise di sangue. I ricordi schiacciarono sopra di lei, il petto sembrava volesse soffocarla e lo stomaco si strinse in una morsa e Rogue comprese che di quello stesso sangue erano intrise le memorie inaccessibili. Inorridita e determinata a sapere, fece uno sforzo immenso per chiudere gli occhi e richiamare alla mente la macchina. C’era l’uomo canuto, con lei, la costringeva a prendere il suo potere. Lei era legata alla macchina, non poteva rifiutarsi, non poteva scappare con quante forze ci provasse.

Ad un tratto, la colpì la consapevolezza che quella macchina avrebbe ucciso migliaia di persone. Tornò alla realtà. La testa le girò e pensò che stesse per svenire, ma una misteriosa energia scorse dentro di lei, sostenendola. Un’energia che le era estranea e familiare allo stesso tempo e che, tuttavia, non le apparteneva. Un energia che sapeva di aver rubato con il suo potere.

Era forse quella del mutante che l’aveva rapita, Magneto? Ora ricordava anche il suo nome. Era riluttante all’idea, avrebbe preferito star male, che stare bene con qualcosa preso da quell’individuo. Cercò di diradare la nebbia avvolta attorno a ciò che seguiva, provando a svelare il mistero di come fosse ancora viva..

Trasse un respiro profondo. Era di nuovo attaccata alla macchina, il ghigno compiaciuto di Magneto che la fissava e l’arma che si alimentava dal suo corpo, continuava a lottare per liberarsi, ma stava perdendo le speranze.

Dal nulla apparve Logan e la sua comparsa sembrò spazzar via la sua disperazione, lui era lì per aiutarla. I suoi artigli luccicarono nel flebile chiarore lunare, mentre si preparavano a tagliare una volta per tutte le catene. Rogue attendeva con ansia il clangore metallico che significava libertà, ma non arrivò. Al suo posto, un urlo di rabbia e di dolore, Magneto aveva riacquistato in parte i suoi poteri e li stava usando per fermare Logan. La macchina stava girando, sempre più velocemente, e trascinava la sua vita in quel vortice. Aveva paura. Aveva il terrore di strappare alla terra migliaia di vite innocenti. Si divincolava in qualsiasi modo potesse, ferendosi le mani e le braccia. Le lacrime che scivolavano libere lungo le guance e l’urlo di Logan, che lottava contro Magneto per il controllo del proprio corpo, che risuonava nelle sue orecchie.

Il ricordo, che all’inizio non voleva presentarsi alla fine era diventato così vivido. Le palpebre scattarono aperte, il respiro corto. Le mani dolenti corsero al volto, i suoi occhi le accolsero, avidi di sapere quali cicatrici avesse lasciato quella lotta. Lo stupore fece fermare le mani perfettamente sane a mezz’aria, non recavano alcun segno della lotta, non una ferita, non una cicatrice, neanche un’ombra, come se non fosse mai successo, come se avesse sognato tutto. Il pensiero rimbalzò nella sua mente ancora una volta, si sentiva leggera all’idea che era tutto frutto della sua immaginazione. No, lo sapeva era reale. La battaglia era avvenuta e qualcuno, dall’altra parte del mezzo, ne stava pagando le conseguenze.

Era talmente incantata dalle sue mani che si accorse solo in un secondo momento dello sguardo di Ciclope, attratto forse dal suo ansimare o forse dal movimento repentino. Chiuse gli occhi, non si sentiva ancora pronta per affrontare qualcuno.

La meraviglia ancora presente nella sua testa, la invitò a fantasticare, conosceva un solo potere che era in grado di guarire le ferite in quel modo: Wolverine…Logan!

Quell’energia che aveva provato e che per un attimo aveva addirittura ripudiato, ora le sembrava così familiare, era assurdo che non ne avesse riconosciuto prima il proprietario. Ma se lei aveva il suo potere, cosa era successo a lui? Un brivido di terrore le salì lungo la spina dorsale fino a pugnalarle il cuore. Sentì il bisogno di aprire di nuovo gli occhi e di osservare quel mucchietto di bende. Il rosso era abbagliante, le feriva gli occhi, le feriva l’animo eppure non riusciva ad allontanarsene, ora che era consapevole che era tutta colpa sua e del suo maledetto potere. Se lui avesse avuto il proprio potere, non sarebbe stato ferito a quel modo. Invece, lui era là, sanguinante, e lei non aveva neanche l’ombra di una ferita.

Il senso di colpa iniziò a prenderla a calci.

'Istinto di sopravvivenza' le aveva detto il professore, la sera di quell’incidente nella stanza di Logan; l’istinto di sopravvivenza non ti porta ad uccidere un amico per salvarti la vita pensava lei.

Rimase immobile, grata che Ciclope la avesse lasciata far finta di dormire, non se la sentiva di affrontare gli altri X-men con quel peso addosso.

Si sforzò di ricordare quando aveva usato il suo potere su di lui, era sicura di averlo fatto. Si osservò di nuovo le mani, non riusciva a rievocare quel momento, la sua coscienza poteva aver già cancellato tutto? Si arrabbiò con se stessa per non riuscire a ricordare, ma, mentre si riempiva di insulti, iniziarono a riecheggiare nella sua testa le parole di Logan, quando prometteva che si sarebbe preso cura di lei.

Sentiva in qualche modo di averlo tradito, non voleva ascoltare più quella voce, la faceva stare peggio, ma il suo cervello si rifiutava di collaborare. Proprio allora, da un angolo remoto della sua mente, si fece largo l’idea che Wolverine potesse averle donato spontaneamente il suo potere per salvarla.

L’idea era completamente assurda, quasi divertente, lei lo aveva quasi ucciso la prima volta, nessuno poteva essere così stupido da provarci di propria volontà.

Quell’idea era proprio ridicola eppure appariva più verosimile di tante altre; in più, il suo cuore voleva crederci. Era bello anche se solo per un momento illudersi che non era stata colpa sua. Illudersi che qualcuno le volesse davvero bene per quello che era: un mostro.

“Siamo quasi arrivati. Come stanno?” La voce di Tempesta arrivava dal lato anteriore di qualsiasi cosa fosse quella su cui si trovava.

Come stanno? Era come se le parole fossero rimaste sospese a mezz’aria, sopra la testa di Rogue. Era ansiosa anche lei di sapere le condizioni di Logan, ormai era certa che fosse lui, ma quella domanda indicava che ci fosse anche un secondo ferito. A chi altro aveva causato danno?

“Rogue sta ancora dormendo.” Rispose brevemente Jean, prima che Scott la correggesse dicendo che si era svegliata per pochi istanti qualche minuto prima.

Io sto bene protestò silenziosamente la giovane, come potrei stare diversamente ho ricevuto..ho rubato la mia salute a qualcun altro.

“Logan è pieno di tagli più o meno profondi, sto cercando di ricucire i più gravi, ma il suo potere non sta facendo niente per guarirli.” Riportò con fare clinico la dottoressa.

“Pensi che…?” Iniziò a domandare tempesta titubante.

Anche per Rogue che non era una telepata era chiaro che stava alludendo al suo ‘furto’ del potere.

“Sì, è la prima spiegazione che mi è venuta in mente.” Rispose Jean, un tono di amarezza nella sua voce.

“Avete dei dubbi? Da quello che ho visto, non c’è neanche bisogno di sentire cosa dicono, per sapere come è andata.” Disse Scott, sicuro di se anche in quella situazione.

Il silenziò calò di nuovo tra le fredde pareti metalliche.

Beh, loro sapevano che lei aveva usato il suo potere su di lui; almeno non c’era bisogno di confessare, ma solo di confermare le loro accuse.

Per quello che contava a questo punto, potevano anche averla abbandonata al suo destino: se loro erano convinti che, per due volte, avesse quasi ucciso un altro mutante -no, non un altro mutante, Logan!- con il suo potere, non l’avrebbero mai accettata nella scuola.

Ma ancora una volta, quell’insulsa, rassicurante idea, che quell’energia fosse frutto di un dono e non di un furto cercò di farsi spazio tra i suoi pensieri.

Dannato istinto di conversazione, pensò Rogue nella sua testa, meritavo di essere lasciata al mio destino.

Rimase immobile sperando che nessuno la andasse a controllare.

Ad un tratto si sentì leggera, non mentalmente, ma fisicamente leggera, come se il suo corpo non avesse alcun peso. Le ci volle un po’ per arrivare alla sorprendente rivelazione che fino a quel momento avevano volato.

Il momento della verità era vicino.

Nello stesso momento una voce calda e rassicurante si intromise nei suoi pensieri.

Va tutto bene Rogue. Tu sai la verità.”

Rogue rimase indecisa sul significato di quella frase, finché il Professor Xavier non proseguì.

Non hai rubato il potere di Logan.”

Quella frase toglieva ogni dubbio, la possibilità che rimaneva era che lui glielo avesse prestato volontariamente. L’incertezza di Rogue si spostò sulle accuse degli altri X-men.

Anche loro hanno capito cosa è successo.”

La ragazza, rimase ferma, incapace anche solo di formulare pensieri.

Va tutto bene. Puoi aprire gli occhi ora, sei a casa.”

Rogue aprì gli occhi, regalando un ultimo sguardo al lato opposto del velivolo, le labbra le si incresparono in un sorriso, al pensiero di ciò che avevano fatto per lei.

Sono a casa.

  
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