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Autore: elena baresi    12/02/2012    0 recensioni
Storia di una morte che è prima di tutto una rinascita
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap 1 Ero sola

 

Nero il groviglio di grasse nubi all’orizzonte poggiava basso sul verde fangoso della terra, mentre turbinando il vento grattava fra i rami secchi del vecchio salice. Il gelo era arrivato tanto dentro ormai che con un ultimo vorace morso congelò  definitivamente il mio cuore.

 

In una marcia poco solenne, ma inevitabile sfilò lì dinanzi la mia infanzia, le braccia robuste di mia madre e quelle  calde di mia nonna, i banchi di scuola, le feste, le amicizie, gli amori, l’università, i miei cani...Tutto lì, davanti agli occhi, in una processione fulminea e gelida senza drammaticità né rimpianti. Non ce ne fu il tempo. 

Avvenne così il congedo dalla vita che era stata mia fino a quel momento, in un addio privo di amarezze.

 

Quando riaprii gli occhi - perché riaprii gli occhi - un velluto di luce calda e dorata mi accarezzava il viso, era una sensazione di calma, languida ed inesorabile. Non mi mossi, rimasi a lungo lì, in quello stato di sospensione senza nulla dire, vedere o sentire. Solo la presenza di quella luce, nessuna esigenza di alcunché. Luce dorata e calma.

 

Mano a mano che gli occhi si abituavano a quel bagliore distinguevano nell’aria un pulviscolo leggero che in un sali e scendi morbido, tracciava linee sottili che si sarebbero dissolte di lì a poco.

Non avevo provato nulla fino a quell’istante, ma ora un’intima soddisfazione, un’umanità mai conosciuta prima, mi squarciava dentro, aprendo varchi esuberanti fra timidezze antiche, facendosi largo a gran voce come una volgare donna da marciapiede che nulla chiede e solo pretende.

E di questo, di questa prepotenza che mi chiamava, che mi richiamava alla vita ne ero felice, avida, euforica, intimamente orgogliosa.

Non sapevo se fossi stesa, il luogo in cui mi trovavo aleggiava sospeso da qualche parte senza render conto alla legge di gravitazione. Con la schiena mi diedi una spinta in avanti, cercando di spalancare gli occhi alla ricerca di un oggetto  famigliare in mezzo al pulviscolo.

Ma, ah..., non ci riuscii, un fardello sembrò trascinarmi nella posizione iniziale. Di nuovo una spinta di reni e via, di nuovo quel peso avvinghiato alle spalle trascinarmi all’indietro.

Stordita, sedetti chissà dove, lasciando scivolare le gambe lungo quel che pareva una parete scoscesa e non uniforme, nulla a cui appoggiarmi dietro, solo un faticoso peso che mi schiacciava, tanto da stendermi.

Irrigidii le spalle in una posizione innaturale, mentre un vento tiepido e leggero si infilò fra i capelli, sulla pelle, sulle spalle apportando un lieve sollievo. Inalai a fondo quella brezza che portava con sé il tepore del conforto. Feci lievi movimenti morbidi col collo nel tentativo di scrollare via il peso alle spalle e rimasi così per lungo tempo nel fascio di luce con le gambe  a penzoloni, le braccia lungo i fianchi, i palmi appoggiati a quella superficie, il volto col naso all’insù, verso la luce.

E il tempo passò lento e forte. 

 

La verità è che temevo la verità. Optai per l’immobilità, dunque, per non sentirla, per non doverci fare i conti, per non ammetterla, per non riconoscerla e riconoscermi... E allora devo  ri-raccontare, ma senza bugie ora, per crescere e riprendo da lì, da dove gli occhi si aprono e l’io diventa coscienza.

 

Quando riaprii gli occhi fu luce calma, languida e dorata ed una zavorra insostenibile lungo le spalle. Avevo due ali, trasparenti, luminose, enormi, leggere e potenti. Nuda. Il seno fiorente, il pene elegante. Qualcuno mi avrebbe apostrofata  mostro, io per prima .

 

Jack stava tagliando la legna, quando mi avvicinai si voltò e pur vedendomi in tutta l’ambigua nudità non si scompose, mi indicò il capanno dove avrei trovato gli abiti per quei giorni.

Lui era come me. Sembrava aspettarmi.

Ed anch’io, pur non avendolo mai incontrato prima, vedevo in lui un’aria familiare, lo riconoscevo.

Eravamo anime affini, anche a lui era toccata la mia stessa sorte.

Non dicemmo nulla, iniziai a spaccare la legna lì accanto in gesti automatici, sempre più potenti e rabbiosi. Quanto grande era la mia forza e la rabbia che provavo per la mia nuova condizione, per non sapere chi o cosa fossi e dove fossi diretta.

Jack raccolse lento i ceppi attorno e con un cenno mi invitò ad entrare.

Sciacquammo le mani alla fontanella di acqua gelida e sbattemmo i piedi infangati prima di entrare in casa. Dentro tutto era in legno: pareti pavimento soffitto mobili. Mi sedetti al tavolo, nonna Jane aveva già posato due tazze fumanti accompagnate da due grosse ciambelle ai mirtilli. Mi salirono le lacrime agli occhi mentre sorseggiavo e mangiavo.

Deglutii il boccone trattenendo il sapore dei mirtilli sul palato e con voce ferma mi rivolsi a lui: “Dimmi Jack...cosa siamo noi? esattamente?

Posò la tazza, allungò la mano sulla testa di un cane ispido color crema che stava ai suoi piedi e senza guardarmi iniziò “Qualcuno ci chiamerebbe angeli altri troverebbero più appropriato demoni. Qualcuno giurerebbe di vedere in noi la luce, altri le tenebre...Stupidaggini, favole... Non siamo né l’una né l’altra cosa. Noi siamo...Solo siamo...Esistiamo...Immortali. Non abbiamo date di scadenza, capisci Linda!? Niente scadenza! - aggiunse in un ghigno malinconico -  destinati a prendere sempre posizione in quel che accade qui...sospinti da un disegno più grande...”

Le sue parole riverberavano sulla superficie del liquido nero e slavato dentro la tazza che tenevo tra le mani. Mi ci specchiai cercando la congiunzione fra l’immagine riflessa e quelle parole. 

”Immortali” ripetei facendo oscillare il caffè maldestramente e versandone un po’ sul tavolo. Poi in un sospiro quasi a farmi forza e sentendomi più piccola che mai, come a non voler cogliere pienamente le parole che mi erano appena state rivolte, tentai nuovamente di farmi raccontare una verità diversa dalla realtà che non volevo accettare “e ...siamo i buoni... o i cattivi, Jack?”

“Linda...noi semplicemente siamo. Qualcuno vedrà in te solo crudeltà, qualcun altro parlerà, invece,  di te come di una salvatrice, un’eroina, ma  noi non centriamo nulla con queste idee, con queste favole. Il bene e il male non esistono Linda...e prima te ne renderai conto e meglio sarà per te”

Lo guardai sconfortata. Non provavo rimpianti o nostalgie per la mia vita precedente, solo confusione e sgomento per questa nuova che con passo sicuro incedeva decisa verso la porta dietro cui, come avevo fatto per tutta la mia esistenza precedente, tentavo di nascondermi. Bussava con colpi secchi e violenti mentre singhiozzante, aggrappata alla chiave capii che era impossibile sfuggirle.

Da dietro la schiena ricurva nonna Jane mi passò una mano calda sulle spalle, sentii conforto, ma quella solitudine dentro  di me urlava disperata: ero sola!

  
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