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Autore: Fluxx    14/02/2012    2 recensioni
Il mostro che era diventato.
Le brutte esperienze cambiano le persone, soprattutto quando ci si trova ad un passo dalla morte.
C'è chi capisce il valore della vita e comincia a viverla a pieno: ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni istante.
C'è chi cambia dal profondo. Da dentro. Chi diventa un mostro assetato di vendetta. Chi non guarda più in faccia a nessuno, sapendo che nessuno avrà l'accortezza di farlo con te.
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Sergei Dragunov
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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How it all started



***

 Era tutto silenzioso e semi buio. L'unico rumore che si sentiva era quello della bufera di neve che infuriava fuori dalla capanna di legno. Fosse stata fatta bene, per lo meno, si sarebbe risparmiato quel fastidioso tremore con cui si svegliò.
Era percorso da brividi di freddo, i muscoli erano completamente indolenziti e le braccia non le sentiva nemmeno più per la posizione così scomoda che da chissà quanto tempo teneva: aveva le braccia legate in alto da una corda, fissata ad una trave del soffitto. Toccava il pavimento appena con le punte degli anfibi neri. Indossava un paio di pantaloni da neve, scuri. Erano stretti da alcune cinghie lungo entrambe le gambe per facilitarlo nei movimenti e per ridurne il volume in modo da non essere troppo ingombranti. Quelle che erano fondine di pistole e fodere di coltelli ora erano vuote.
Dio, gli facevano male i polsi... Gli ci volle un po' di tempo per riprendere coscienza ed aprire piano gli occhi, scoprendo quelle iridi così chiare, cristalline. Aveva degli occhi di un azzurro talmente tenue e trasparente che sembravano di vetro. Li roteò piano, guardandosi intorno: la capanna di legno era molto precaria, tanto che si chiedeva come facesse a stare ancora in piedi sentendo la violenta tempesta. C'erano parecchi buchi nei muri dai quali entrava ogni singola corrente d'aria. Riusciva a scorgere dalle varie fessure che fuori era tutto bianco. Notò di avere solamente i pantaloni addosso senza la parte superiore della tuta. Questo spiegava tutto quel freddo che stava provando. Insieme al rumore della bufera, ora, sentiva anche il suo respiro farsi più pesante ed affannoso, interrotto dai vari brividi.
Schiuse le labbra e vide uscire dalla sua bocca una densa nuvola di vapore. Sicuramente se fosse rimasto lì ancora un po' sarebbe morto assiderato.
Aveva i capelli corvini, di media lunghezza, chiusi in una mezza coda ormai disordinata, tanto che alcuni ciuffetti gli ricadevano sul viso. Alzò piano il capo, sentendo persino il collo dolergli, notando che, purtroppo per lui, la corda era assicurata troppo bene a quella trave per sperare che si sciogliesse o che il legno si rompesse, era troppo spesso.
Quella che sembrava la più semplice delle missioni si era trasformata in un inferno dove probabilmente avrebbe marcito per sempre. La rabbia, la tensione e la paura stavano per sopraffarlo, tanto che stette quasi per urlare, per chiamare aiuto, ma udì dei passi nella neve e delle voci. Serrò la mascella, cercando di trattenere il respiro affannoso e di sottacere quegli spasmi involontari dovuti al freddo pungente. Inspirò a fondo ed espirò, alcune volte, fin quando la porta di legno di quella baracca venne aperta facendo entrare dell'aria talmente gelida che non appena raggiunse il suo corpo gli sembrò come se mille piccoli aghi gli si infilzassero addosso.
V'erano due uomini alla porta, i quali si avvicinarono a lui. Parlavano una lingua a lui sconosciuta.
“E-ehi.. Chi.. Siete??” Chiese, notando poi uno dei due che tagliava la corda che lo teneva assicurato alla trave. Era talmente stanco e provato da quel freddo che la sua voce uscì in un sussurro. Non appena la corda fu tagliata sentì che le ginocchia cedettero sotto il suo peso, non riuscendo a sostenerlo, così cadde rovinosamente in ginocchio, appoggiando gli avambracci a terra. Aveva ancora i polsi legati.
I due uomini lo alzarono di peso, uno per un braccio e uno per l'altro.
“D-dove mi portate??!” Domandò ancora.
Odpeljite ga v glavo, bom videl.“ Fu tutto quello che ricevette in risposta.
“C-cosa?“ Non capì, cercò di dimenarsi ma fu tutto inutile: lo strattonarono in malo modo, colpendolo poi con il calcio di una pistola contro la tempia.
Mugolò. Sentì dolore e poco dopo un rivolo di sangue scendergli lungo la guancia. Non appena lo portarono fuori, al freddo, cominciò a tremare più forte.
“Lasciatemi!!!” Cominciò a sbraitare e a dimenarsi. Tutto ciò non presagiva nulla di buono. Sentiva il cuore pulsare forte, l'adrenalina cominciare a salire per via dell'agitazione e dell'ansia, ciò lo aiutò un po' contro il freddo. I brividi si attenuarono appena, nonostante faceva un freddo boia.
Samo, utihni! Ustreli ga!” Disse uno dei due uomini all'altro, il quale riprese la pistola e la puntò contro lui. Fu tutta una questione di gran fortuna: qualcuno lì sopra doveva proprio volergli bene. Riuscì a scattare appena in avanti, piegandosi. Quando partì il colpo dalla canna della pistola lo sfiorò di striscio, ferendolo superficialmente, ma mancandolo alla grande. Il proiettile si conficcò nel cranio dell'altro uomo che lasciò la presa al suo braccio e scivolò a terra mentre una pozza di sangue si riversava nella neve.
Lo stupore si impadronì di quel soldato, per ciò che aveva appena combinato, proprio in quel momento lui se ne approfittò per toglierselo di dosso e – seppur con poche forze – riuscì a tirare un calcio alla sua mano, facendo schizzare via la pistola.
L'uomo mugolò, poi si scagliò contro di lui con tutto il peso, facendolo crollare a terra.
Il suo cervello si annebbiò per un istante: sentire il gelo della neve sotto la sua schiena nuda gli fece venir voglia di urlare, non era affatto una cosa piacevole. Non appena quella sensazione andò ad alleviarsi appena, notò che l'uomo sopra di lui aveva tirato fuori un brutto coltellaccio che brancolava in aria, minacciando di colpirlo. Se lo ritrovò a pochi centimetri dal viso quando bloccò tempestivamente le mani del suo aggressore. Vedere quella lama così liscia ed affilata, così vicina al suo viso, quasi lo fece sudare nonostante tutto quel freddo.
Te bom ubil, kreten!” Gli gridò addosso quello, spingendo con entrambe le mani il pugnale contro il suo viso.
Non riuscì a resistere ancora per molto – era già tanto che le braccia eseguissero i suoi ordini – poco dopo infatti ebbe un cedimento: sentì la lama aprirgli la carne in un profondo taglio che partiva da poco sopra il labbro superiore fin quasi giù al mento. Nella scarica di dolore che quella ferita gli provocò e nella fretta di allontanare la lama dal suo viso, si inferse un altro taglio, sul naso.
Gridò. Gridò per attenuare il dolore. Gridò per sfogare la rabbia. Gridò per farsi forza ed invertire le posizioni. Una volta che si ritrovò sopra la guardia gli spinse un ginocchio contro lo stomaco mentre con le mani cercava di disarmarlo in qualche modo. Finalmente, quando vi riuscì, lanciò lontano il coltello. In un impeto di rabbia si accanì contro quel soldato, lasciandosi sopraffare dall'istinto e portandogli entrambe le mani al collo, stringendo con tutta la forza di cui disponeva in quell'istante – e non era poca, per via della rabbia – fin quando l'uomo, dopo vari tentativi di toglierselo di dosso e dimenarsi, non cominciò a diventare paonazzo e lento nei movimenti finché le braccia non gli ricaddero mollemente sulla neve.
Aveva il respiro lievemente accelerato, osservava la faccia del soldato piena di sangue... Del suo stesso sangue che colava giù dalle ferite, gocciolando sul viso dell'uomo privo di vita sotto di lui.
Il suo sguardo spaziò sulla neve bianca, candida e pura, divenuta ormai rossa come il peccato, il sangue, la colpa, il crimine.

***



La mano ricoperta dal guanto nero percorreva lentamente le cicatrici sul volto di Dragunov: i suoi occhi di ghiaccio, cristallini, osservavano il cielo tinto di rosso mentre il sole scendeva oltre l'orizzonte.
Erano passati sei anni da quella spiacevole avventura. Si era giurato a sé stesso che
mai più si sarebbe piegato al dolore e al terrore. Si era giurato che mai più avrebbe provato paura. La paura era una cosa per deboli e lui non era debole. Non più.
Indossava una divisa nera, i pantaloni erano infilati dentro gli stivali alti fino al ginocchio mentre la giacca, recante due aquile dorate, era stretta in vita da una cintura rossa con due cinghie che scendevano giù. Teneva i capelli chiusi in una mezza coda e le vecchie ferite erano diventate cicatrici oramai. Cicatrici che lo avevano fatto
crescere.
Si scansò dalla vetrata dell'ufficio proprio quando bussarono alla porta che qualche istante dopo si aprì: ne entrò un uomo in divisa. “Dragunov, la desidera il Colonnello.”
L'uomo nemmeno si attese una risposta: era risaputo che Dragunov non parlava mai, se non per lo stretto necessario ed in casi rarissimi, dunque uscì e si richiuse la porta alle spalle.
Sergei sospirò. Cosa volevano ora da lui?
Lasciò tutto com'era ed uscì. Percorse i lunghi corridoi e salì al piano di sopra, dove si trovava l'ufficio del Colonnello, bussò.
“Avanti.” Si sentì una voce bassa e calda dall'interno.
Lui aprì la porta ritrovandosi per l'ennesima volta in quella stanza. Di solito ciò accadeva quando c'era qualche missione delicata da portare a termine. Si chiuse la porta alle spalle e subito il forte odore di sigaro gli entro nelle narici, provocandogli un lieve fastidio. Si guardò intorno, notando che quell'ufficio non cambiava mai di una virgola: v'erano scaffali pieni di libri e al centro la massiccia scrivania in legno pregiato. Dietro di essa, come al solito, c'era Berkòv, seduto con il capo chino su alcune scartoffie. Era un uomo alto e ben piazzato. Il viso era segnato dal tempo. Aveva i capelli biondi, corti, mentre gli occhi erano di un verde profondo, puntati a leggere quei fogli.
Sergei si avvicinò piano alle due sedie di fronte al tavolo.
“Dragunov.” Gli fece un cenno il Colonnello di mettersi seduto. Così fece lui. “Sono contento che tu sia venuto subito, ho un incarico da darti.” Sapeva già di non doversi aspettare una risposta, così alzò il capo dai fogli per incrociare lo sguardo del soldato e continuò. “Ricorderai Ivan Skavnik, vero?” Domandò.
Il pazzo fomentatore sloveno. Come dimenticarselo? Era lui a capo dell'operazione, sei anni fa. Dragunov scivolò appena sulla poltroncina, incrociò le braccia al petto. Che ironia, la sorte.. Proprio mentre ripensava a tutto ciò che gli era successo, si presentava questa fortuita coincidenza.
“Bene, ho saputo che sua figlia è in città. Ho chiamato te per questo incarico perché so che su di te posso fare affidamento: devi farla fuori.”
Una ragazza? Continuò a guardarlo con sguardo impassibile. Sapeva che molti dei suoi 'colleghi' non si sarebbero nemmeno azzardati a sfiorarla una donna, seppur per ordini.
“Cosa ha fatto di così grave?” Chiese Dragunov, concedendo al Colonnello l'onore di sentire la sua voce, che si schiarì poco dopo.
“Veramente nulla. Dopo che è morto Skavnik è rimasta solo lei della sua famiglia... Ma sai, è la figlia di un soldato, non so come suo padre l'abbia fatta crescere. Se dovesse cominciare a covar l'idea della vendetta, lo sai, non voglio altri problemi con gli sloveni, ne abbiamo avuti fin troppi.. Comunque, lei ha una cosa di cui abbiamo bisogno.”
L'uomo dai capelli neri alzò le sopracciglia, fu abbastanza per far capire al Colonnello di continuare.
“So che Skavnik aveva dei piani contro di noi e dei file che potrebbero risultarci utili: devi recuperare quel disco.”
“Conti pure su di me.” Mormorò il soldato con tono basso.
A quelle informazioni se ne susseguirono altre di minor rilevanza, come dove alloggiava la ragazza, che luoghi frequentava, gli orari delle sue
lezioni: era un'insegnante, laureata da poco.
Dragunov uscì dall'ufficio del Colonnello una buona mezz'ora dopo: aveva appreso tutto ciò che poteva essere importante ed infine aveva accettato l'incarico.
La ricordava quella ragazzetta dagli occhi spaventati, che non sapeva cosa stesse accadendo. Si ricordava di come lo guardava piena di pena, vedendolo sofferente... Ma non proferì nemmeno una parola per porre fine a quelle crudeltà.
Tornò nel suo ufficio con questi pensieri: finalmente si sarebbe preso la sua vendetta.. La sua seconda vendetta, persino sulla figlia, su una ragazza che probabilmente non si rendeva nemmeno conto di tutto ciò che gli stavano facendo.
Prese il lungo cappotto nero e pesante dall'attaccapanni e se lo infilò, dopodiché raggiunse la scrivania prendendo il cappello e lasciò l'ufficio.
Percorse i lunghi corridoi fino ad uscire dal complesso: una volta fuori sentì una ventata di freddo sferzargli il volto. Si mise il capello in testa ed inspirò l'aria gelata a pieni polmoni, espirando poi lentamente e vedendo una nuvoletta bianca di vapore uscire fuori. Il paesaggio era tutto bianco, coperto dalla neve, il freddo era pungente. Capitava spesso che gli desse fastidio ma era una caratteristica della
sua Russia.
Si infilò le mani coperte dai guanti neri nelle tasche e scese i pochi scalini che lo dividevano dal marciapiede, dirigendosi verso casa.

Era buio ormai quando arrivò a casa. Si ritrovava davanti la porta dell'appartamento e sentiva i vicini chiacchierare e schiamazzare, insieme ad una musica molto alta.
Sospirò, infastidito. Tirò fuori le chiavi dalla tasca e le infilò nella serratura della porta, aprendola. Entrò e se la richiuse alle spalle, accese la luce ed appoggiò le chiavi su un tavolino all'entrata , dopodiché si tolse i guanti, insieme al cappotto: aveva bisogno di una bella doccia calda e rilassante. Si tolse la giacca della divisa, lasciandola sul divano mentre si dirigeva verso il bagno. Accese la luce e aprì l'acqua della doccia, regolandola e lasciandola scaldare. Si ritrovò davanti lo specchio ad osservare il suo riflesso mentre si allentava e sfilava la cravatta, poi con le dita si sbottonò velocemente i bottoni della camicia, togliendosela. Rimase a torso nudo. Sospirò piano, osservandosi, scorrendo con lo sguardo su quelle cicatrici...
Si voltò, finendo di spogliarsi e finalmente entrando nella doccia. Non appena l'acqua bollente cominciò a scivolare sul suo corpo, irrigidì i muscoli. Gli ci volle un po' ad abituarsi a quell'acqua così calda ma, una volta che vi riuscì, senti una piacevole sensazione di rilassamento sciogliergli anche i muscoli tesi. Chiuse gli occhi, rimanendo sotto il getto: sentiva il gorgoglio dell'acqua scivolargli addosso, sulle orecchie, e poi giù per il corpo. Dopo lunghi istanti in cui rimase in quel totale relax, il tempo per togliersi tutti i pensieri di testa, si diede una lavata veloce. Allungò una mano e raggiunse il rubinetto della doccia, chiudendolo. Si asciugò velocemente, lasciando persino i capelli umidi, si infilò un paio di pantaloni grigi di una tuta e via, uscì dal bagno.
Raggiunse la camera e non appena entrò gli sembrò come se quel letto lo attirasse come una calamita. Era stanco morto, seppur era ancora presto, forse le otto appena passate. Si avvicinò al letto a due piazze, abbandonandosi piacevolmente su di esso. Si lasciò sfuggire un profondo sospiro, beato. Non aveva fame, o meglio, il sonno si faceva sentire più della fame in quel momento. Decise di rimanere un po' lì, così, se poi ne avrebbe avuta voglia si sarebbe alzato e sarebbe andato a cenare, sennò si sarebbe addormentato senza cena.
Questo era il bello di essere soli, senza famiglia, senza nessuno: poteva fare tutto quel che voleva, quando voleva e come voleva senza doverne dare conto a nessuno.
E con questi pensieri, insieme alla melodia di una canzone che non riusciva a togliersi dalla testa, gli si chiusero gli occhi e cadde tra le braccia di Morfeo, in un tiepido torpore.


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Bonsoir à tout le monde!
Eheh, buonasera a tutti! (Traduzione, ma no?)
Ed eccoci qui. Volevo scrivere una one-shot su Dragunov ma che poi per le idee sembra essersi trasformata in una long.
Sono ispirata e non sono ispirata. Le idee ci sono ma è difficile metterle insieme, forse perché non ho mai scritto su di lui ed è parecchio difficile come personaggio.
Difatti, questo è il primo capitolo, ho abbastanza in mente di ciò che succederà dopo però dovrò vedere come riuscirò a buttarlo giù.
SPERO vivamente che esca fuori una bella ff e di riuscire a portarla a termine come si deve e qualcuno di voi sia incuriosito u.u
Ditemi un po' voi, insomma, come vi sembra, cosa ve ne pare! :P
Spero che noi sia totalmente pessima per lo meno, ehehhe!
Un ringraziamento anticipato a tutti quelli che decideranno di seguirmi in questa nuova impresa in cui mi son cimentata!
Al prossimo capitolo!
Tchuss!!!

   
 
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