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Autore: Angemon_SS    18/02/2012    1 recensioni
Il mio primo giorno di scuola superiore fu alquanto movimentato. Mi accusarono di omicidio, mi ruppero il naso e feci una visitina al pronto soccorso. Ci furono anche rimpatriate con vecchie facce come quella di merda di Shaorang e la mia vecchia amica Tomoyo. Potevo lasciar perdere le accuse di omicidio ma quando la polizia cercò di arrestarmi dovetti correre verso il luogo dove accadde tutto. Se non sbaglio il colpevole torna sempre sul luogo del delitto, ed oltre l'avventura da Road Movie non dimenticherò mai che ho rischiato di morire e di cancellare un'intera città dalle cartine mondiali. La storia spero vi piaccia però va letta solo da chi è in grado di credere davvero alle carte di Clow Reed e all'esistenza dell'esoterismo del sud Europa. Vostra Sakura
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Irina era il nuovo avversario, mi aveva pietrificato, ero colpevole di egoismo; avevo già provato tutto questo quando ‘Adel mi aveva raccontato il motivo per il quale partecipava al torneo, ma con Irina era diverso, lei aveva un vero motivo per il quale combattere, voleva porre rimedio a tutto il male causato da un disastro evitabile, ero io il cattivo della situazione.

Mi lasciò del tempo per decidere se arrendermi o affrontarla e feci una passeggiata per gli scavi con Li e Kerochan. Fare un passeggiata per modo di dire, sebbene non stessi correndo avevo il fiatone e sopraggiunse un forte mal di testa ad incorniciare il tutto.

“Oggi è domenica!” Li lo disse mentre osservava l’interno di una delle case romane. “Fra non molto questo posto sarà invaso da turisti, non è il caso di combattere qui.” Aveva ragione, Irina mi aveva detto di tornare all’anfiteatro entro mezz’ora, lo scontro sarebbe sicuramente cominciato all’interno. “Forse è il caso di arrendersi, abbiamo scoperto il motivo delle accuse di omicidio, penso sia il caso di stringere un patto con Irina.”

Rimasi in silenzio.

“Sakura, mi stai ascoltano?”

Non risposi, continuavo a ripensare al motivo per il quale combattevo. E’ vero, ho partecipato al torneo per caso, potevo arrendermi e uscirne subito ma le motivazioni di ‘Adel mi trattenevano. Era sicurissimo di sconfiggere il suo nemico e di arrivare in finale, inoltre aveva fiducia in me. Non potevo tradirla.

“Sakura, hai sentito quello che ti ho detto?”

“Si!” Finalmente lo degnai di una risposta. “E penso che tu abbia ragione.”

“In che senso?”

Mi sedetti sui gradoni di una casa decorata di rosso. Frugai nel mio zaino e presi in mano i biglietti del treno e i soldi di Tomoyo.

“Sakura!” Kerochan aveva intuito le mie intenzioni ed abbassò la testa.

Presi uno dei biglietti e lo strappai in decine di pezzettini minuscoli, poi toccò al vento sparpagliarli. Li rimase scioccato per quel mio gesto ma non fiatò. Contai i soldi che mi erano rimasti e un quarto di essi lo infilai di nuovo nello zaino, il resto lo porsi a Li.

“Che significa?” Quella sua domanda era più che giusta.

“E’ vero, abbiamo scoperto il motivo della morte del signor Suzuki, abbiamo raggiunto il nostro scopo, per te non c’è più niente da fare in Italia. Il torneo vuole me, continuerò da sola.”

Li non parlò, incrociò le braccia e rimase ad osservarmi mentre gli porgevo i soldi; non li prese, continuava a fissarmi come un ebete, avrei tanto voluto sapere che diamine gli stesse passando per la testa.

“Sakura, non pensi di essere stata un po’ troppo avventata? Perché non ci ripensi, Li ti è stato di grande aiuto fin’ora.” Kerochan cercò di farmi ragionare posandosi sulla mia spalla.

“Lo so, ma come ho detto prima, abbiamo scoperto perché è stato ucciso il signor Suzuki. Il torneo Haab vuole solo me, per lui è inutile starmi vicino, rischia di restare coinvolto negli scontri, a Roma gli è andata bene ma potrebbe non essere così fortunato una seconda volta.”

Passarono altri secondi di silenzio e Li continuava a fissarmi in silenzio. Penso che ci stesse ragionando alla velocità di un criceto zombie. Si sedette anche lui sui gradini, a poco più di un metro da dov’ero io, osservò i pezzetti di carta del biglietto che venivano portati via dal vento.

“Scommetto che ora mi dirai che continuerai a stare al mio fianco.”

“Si!” Infine mi parlò.

“Vattene, non ti voglio tra i piedi!” Quella mia affermazione lo scosse davvero tanto. Spalancò gli occhi, sconvolto nel sentire quelle parole uscire dalla mia bocca; rimase ad osservarmi per parecchi secondi finché non si grattò il sopracciglio trattenendo una risata.

“Quindi, lasciami ricapitolare la situazione, prima mi trascini con la forza in Italia, utilizzi il mio denaro, non fai altro che trattarmi da schifo, ed ora che hai i soldi di Tomoyo, pretendi la mia partenza immediata.”

“E’ per la tua incolumità.”

“TU SEI PAZZA!” Gridò più forte di quanto non avesse fatto Irina, fu una reazione che mi spaventò a morte. “Chi diavolo sei tu, che hanno fatto alla Sakura che conoscevo? Ho sopportato tutto le cattiverie dette in questi giorni, ho pagato il volo, i pasti, ti ho curato quando sei stata ferita, ti ho portato in giro per Roma ed ora mi dici di tornare a casa, come se niente di tutto ciò fosse mai successo!”

“…” Non ebbi il coraggio di dire nulla.

“Perché mi tratti così di merda? E’ perché sono andato con un’altra ragazza? Lo so che ho tradito la tua fiducia ma non poteva funzionare tra noi stando lontani duemilasettecento chilometri. Mi sono scusato, ti ho accompagnato, ti ho supportato e sopportato: non hai cambiato minimamente atteggiamento nei miei confronti, continui imperterrita a trattarmi come una spugna sporca. Prima mi rivuoi nella tua vita ed ora mi cacci. Mi sono riavvicinato a te perché me l’ha chiesto Tomoyo.”

Ebbi un sussulto al cuore.

“Mi sono sempre sentito in colpa per ciò che ho fatto e per la vergogna non ho mai avuto il coraggio di contattarti. Sai quanto mi è costato incontrati? Sai quante volte Tomoyo mi ha chiamato per chiedermi di vederti? L’ho fatto per cortesia, per poterti stare vicino come amico. Mi sono anche illuso di poter riprovare qualcosa di bello nei tuoi confronti e sto sanguinando dentro nel vomitarti addosso tutte queste parole. Si può sapere che cazzo vuoi?”

“Che tu faccia ritorno a Hong Kong!” Ero irremovibile. Nonostante tutto non si può nascondere che gli volevo bene, ma avevo un compito che poteva essere portato a termine solo da me, se lui dentro di se sanguinava, io invece, morivo nel lasciarlo andare via. Non volevo assolutamente che rimanesse coinvolto come a Roma, non me lo sarei mai perdonato.

“Devi aver battuto la testa molto forte ultimamente.”

Lo colpii con uno schiaffo. Feci una cosa che non avevo mai fatto e sentii la mano in sangue. Avevo affondato le mani nel suo viso con tutta la forza di cui disponevo e lo feci rotolare giù dalle scale. Non si aspettava una cosa del genere altrimenti non avrebbe mai perso l’equilibrio. Si rialzò con il viso viola di rabbia e si ritrovò la lama dello scettro, trasformato tramite la carta della spada, puntato alla gola.

“Ho detto che non ti voglio tra i piedi.” Non lo guardai in viso e tenni la testa bassa. Riuscii a proferire quella frase senza singhiozzare.

“Sei un’idiota.” Avrebbe potuto disarmarmi in qualsiasi momento ma indietreggiò di alcuni passi e raccolse le sue cose. “Ok, non mi vuoi tra i piedi ed io me ne vado. Sei davvero una stupida, come ho fatto a pensare di volerti baciare nonostante tutti i tuoi insulti e le altre cose terribili che mi hai detto. Osi anche minacciarmi con le carte di Clow. Tu…tu sei una sconosciuta, non vedo nessuna Sakura Kinomoto qui!”

Raccolse tutto e se ne andò dandomi le spalle. Non si voltò e sparì dietro l’angolo di una delle varie case antiche, ascoltai i suoi passi sulla ghiaia allontanarsi sempre di più fino a diventare impercettibili poi, ricordo perfettamente, gettai lontano lo scettro e piansi come non avevo mai fatto in vita mia; mi sentivo di nuovo male, dolore fisico come quando ero venuta a conoscenza del tradimento. Avevo voglia di picchiare il terreno, di rompere qualcosa, sapevo che avevo fatto la cosa giusta mandandolo via, eppure mi fece davvero male vederlo andare via.

Kerochan non disse nulla, sapeva che avevo fatto la cosa più giusta nei confronti di Li, le cose erano cambiate rispetto alla partenza da Tomoeda. Restai disorientata per molti minuti finché Kero non mi tirò l’orecchio facendomi ricordare che da chi fossi attesa. Una volta calmata, e asciugato le lacrime, potei percepire le vibrazioni dell’aria in direzione dell’anfiteatro.

Raccolsi lo scettro e mi diressi a passo spedito verso l’arena. Buttavo l’occhio su ogni casa antica sperando che sopravvivesse alla battaglia, in caso contrario se fossi riuscita a portare a termina la promessa fatta ad ‘Adel, avrei potuto ricostruirle così come le vedevo, ed anche più resistenti. Quando feci il mio ingresso nell’anfiteatro, Irina mi stava attendendo nello stesso punto nel quale l’avevo lasciata, sembrava non si fosse mossa di un solo centimetro.

Kerochan si trasformò nella sua forma completa e rilasciò un lungo ruggito, quasi sospirato, in segno di sfida. Gli diedi un buffetto sulla testa ed avanzammo verso il centro della costruzione. Mi fermai a circa dieci metri dal mio avversario che sorrise nel vedermi tornare.

“Pensavo fossi scappata!” Ridacchiò. “Sarebbe stata una reazione comprensibile.”

Non dissi nulla e strinsi forte lo scettro, questo non sfuggì al mio avversario: “Immagino che tu abbia scelto di affrontarmi.” Dopo che io annuì, si grattò la fronte e le sopraciglia nervosamente. “Sembravi una ragazzina molto intelligente, devo ricredermi.”

“Ho anche io delle faccende da portare a termine.” Quasi gridai nel dirlo. Poi non so che mi prese e decisi di attaccare per prima. Sfilai da tasca la carta del salto in modo da poter essere più agile e schivare gli attacchi, saltai verso l’alto e presi una seconda carta, quella dell’acqua, dopo che l’evocai feci in modo che si scagliasse contro il mio nemico. Speravo che bastasse quella mossa ma Irina non si mosse e restò ad osservare la mia invocazione che avanzava pericolosamente.

“Sei davvero insensibile.” Parlò restando composta come una principessa. “Come puoi attaccare una donna incinta?”

Sgranai gli occhi e quasi mi scapparono dalle orbite. Richiamai la carta e atterrai sulla terra battuta dell’arena. Mi parve di udire un bambino piangere ma in quel momento c’eravamo solo noi. Mi ero fiondata come una tigre sul nemico ma non potevo continuare la lotta, non me la sentivo di lottare contro una donna incinta, sarebbe stato come combattere contro il bambino stesso.

 “Terzo mese di gravidanza, l’ho scoperto poco prima di partire per Tel Aviv, ho affrontato il mio primo avversario sapendo che sarebbe stato rischioso per il mio futuro figlio, ma allo stesso tempo faccio tutto questo proprio per lui.”

Non ebbi il coraggio di attaccare una seconda volta, in compenso fu lei a muoversi. Pronunciò qualcosa di incomprensibile e dopo aver aperto la mano ricevetti una forte botta e fui scaraventata lontano Non riuscii a respirare per parecchi secondi, percepivo dolore ovunque, era come se fossi stata investita da un’automobile. Non riuscivo a muovermi ed un forte sibilo quasi mi mandò le orecchie in frantumi. Quando finalmente riuscii e respirare correttamente sputai sangue su sangue ma continuavo a restare a terra, in mezzo alla polvere.

Accanto a me c’era Kerochan riverso nella mia stessa situazione. Si riprese più velocemente di me e riuscì e rimettersi in piedi. Mi aggrappai a lui per rialzarmi ma una forte tosse mi impediva di restare eretta correttamente. Irina nel frattempo ridacchiava, quanto mi desse fastidio quella risata non potete capirlo; mi aspettavo un attacco simile a quello di Roma con muri d’acqua, al massimo fuoco e fulmini, e invece mi ritrovai a terra senza aver visto nulla di tutto ciò.

“Credo che abbia sviluppato degli incantesimi per spostare grandi masse d’aria.” Kerochan ringhiò mettendosi tra me e Irina, io continuai a restargli aggrappata cercando di riprendere fiato. Quando le orecchie smisero di fischiare e lo stomaco di premere per vomitare, recuperai lo scettro, ero ancora barcollante ed avevo un male cane sul fianco. Ancora prima che me ne rendessi conto mi ritrovai in aria con un braccio tra le zanne di Kerochan, una parte dell’anfiteatro esplose  lanciando frammenti ovunque. Per ogni coccio che cadeva a terra immaginavo una lacrima di papà ma grazie ai riflessi di Kerochan avevo ancora il corpo tutto intero.

“La lotta è tra me e te, il tuo animaletto domestico non dovrebbe intromettersi.” Irina ringhiò quasi come Kerochan. Evidentemente aveva previsto che con quell’ultimo attacco mi avrebbe sconfitta, il mio animaletto le aveva sconciato i giochi.

Kerochan mi posò tra le macerie e dopo avergli grattato l’orecchio lo lascia per dirigermi verso il mio avversario. Feci alcuni passi che mi risultarono incredibilmente difficili all’inizio, poi il dolore lentamente diminuì tanto quanto bastava per restare dritta correttamente. Ero in prossimità di Irina e strinsi lo scettro impolverato.

“Cavoli, allora è vero ciò che si dice sulla forza di volontà di voi giapponesi.”

“Esatto.” Tossii violentemente. “Come pensi che ti possa attaccare sapendo della tua attesa?”

“In amore e in guerra tutto è permesso, credo che questo detto non ti sia nuovo e poi, in uno scontro c’è sempre qualcuno con un punto debole più marcato rispetto a quello del nemico, così come c’è chi ha un punto di forza in più.”

Non dissi nulla e notai che Irina muoveva di nuovo le mani. Riuscii ad utilizzare la carta dello scudo ed evitai di essere compita una seconda volta.

“Interessanti queste tue carte.” Di nuovo la risata fastidiosa. “Ma se non sbaglio devi avere un rapidità incredibile per scegliere la carta giusta a seconda della situazione.”

Irina mosse la braccia ma invece di puntarle contro di me, mirò verso il terreno ed ancora prima che potessi capire, un boato assordante mi fece sprofondare in una voragine formatasi sotto di me. Mi aggrappai come meglio potevo e grazie alla carta del salto ancora attiva riuscii, se pur con molta difficoltà, a trovare un buon appiglio e saltare fuori. Di nuovo in superficie notai che Irina si era avvicinata così tanto alla crepa da riuscire a colpirmi una seconda volta. Evocai la carta dello spostamento e questa mi portò all’istante nel punto opposto dell’anfiteatro.

Infilai la mano in tasca e percepii la presenza della carta del fulmine ma non la evocai.

“Ero vicina e non mi aspettavo che uscissi dalla voragine. Perché non mi hai colpito?”

“Non posso fare del male ad un innocente!” Se non ci fosse stato il bambino di mezzo quasi sicuramente non avrei esitato.

“Stupida!” Irina mosse le mani molto più veloce di prima. Attesi l’onda d’urto frontale cercando di proteggere il viso con le mani. Contro ogni previsione venni colpita alla schiena da alcuni detriti dell’anfiteatro. Con il solito spostamento d’aria abbatté un’altra parte dell’anfiteatro indirizzandolo verso di me; fui sepolta da sabbia, pietre, polvere, insetti. Ricevetti un colpo alla testa e non ricordo per quanti istanti restai senza conoscenza, riaprendo gli occhi c’erano attorno a me solo dei minuscoli raggi di sole che penetravano tra le pietre, il resto era tutto buio. Penso sia inutile descrivere il dolore che provai nel venir sepolta viva.

Contro ogni previsione alcune grosse pietre si erano incastrate fra loro in modo da non schiacciarmi e, sebbene in uno spazio angusto, potevo muovere braccia e gambe tanto quanto bastava per capire di non avere nessun osso rotto; tossii per l’enorme polverone che lentamente si posava sulla mia testa mentre sentivo la risata snervante di Irina che passeggiava sulle macerie.

Chissà che avrebbe pensato mio padre nel sapere che l’anfiteatro di Pompei era stato abbattuto in due punti, penso lo stesso che avrebbero pensato tutti i visitatori che ci avevano messo piede, gli archeologi, gli abitanti di Pompei stessa, sarebbe stato come ricevere l’amputazione di un arto. Stavo contribuendo alla distruzione di quel luogo,  dopo l’accusa di omicidio, la fuga da casa, la totale mancanza di mie notizie, stavo dando un quarto dispiacere a mio padre: la distruzione di una parte della sua vita, della sua passione, del suo futuro di archeologo. Non potevo fare una cosa simile, dovevo mettere fine allo scempio e, decisa più che mai, trovai la carta del vento e la evocai affinché mi liberasse dalle macerie con un forte tornado.

Potete immaginare la faccia del mio avversario nel vedere quei grossi massi volare via sospinti dal vento, corsi fuori dalla macerie dolorante come non mai ed evocai una seconda carta, l’arciere. Si materializzò al mio fianco e caricò puntando la freccia contro il mio nemico pietrificato dalla paura. Quando la freccia venne scoccata sentii un forte tremolio nella mano, come se mi si fosse addormentata. Capii e feci in modo che la freccia si dissolvesse prima di incontrare il corpo di Irina.

Sulla mano con il simbolo del torneo Haab era cambia il numero, si materializzò il tre romano, III, per la paura il mio avversario si era arreso ed avevo vinto l’incontro. Ringraziai le carte e misi da parte lo scettro.

“Stai bene?” Mi avvicinai ad Irina, riversa a terra e tremolante. Non volevo che il bambino soffrisse di quel suo spavento, che si verificasse un aborto spontaneo. Dato che il mio ex avversario non mi rispose usai la carta del sonno per calmarla fino a farle prendere sonno, con meno stress il bambino non avrebbe avuto problemi.

Venni raggiunta da Kerochan e gli salii in groppa ancora prima che potesse toccare terra; mi portò finalmente via dall’anfiteatro semidistrutto, proprio mentre accorrevano i curiosi e le sirene si facevano sempre più vicine. Mi sdraiai sulla sua groppa, esausta e con il cuore a mille, osservai per le strade le ambulanze e altre auto con i lampeggianti arrivare da ogni strada. Chissà come avrebbe reagito mio padre alla notizia del crollo, non volevo pensarci.

Senza accorgermene arrivammo nel retro della stazione, proprio dove ci aveva lasciato ‘Adel quella mattina; mi diedi una ripulita al vestito ed entrai dirigendomi a passo spedito verso la toilette, potei ripulire dalla polvere la faccia e le braccia, era meglio non dare nell’occhio; approfittando del bagno deserto si diede una rinfrescata anche Kerochan.

“Come stai?” Mi chiese mentre si asciugava con della carta igienica.

“Bene!” Era vero, stavo relativamente bene se pur esausta e un po’ scossa.

“Sicura? Ti è crollato addosso un muro!”

“Lo so, ma sto bene, ho avuto molta fortuna.”

“Hai avuto troppa fortuna in questi ultimi giorni, devi stare più attenta.”

“Smettila di portare iella.”

Mi sciacquai faccia e braccia più e più volte, ripulii anche la maglietta e i jeans in modo più accurato. Ne approfittai anche per darmi una sistemata ai capelli, dopotutto ero nel paese della moda! Finalmente fui presentabile.

Dopo aver recuperato la valigia mi diressi al binario dal quale sarebbe dovuto partire il treno. Non conoscendo l’italiano confrontai ciò che c’era scritto sul biglietto con quello rappresentato negli schermi della stazione; c’erano solo tre binari ma non nascondo che non fu facile scoprire il bario giusto, se non si conosce la lingua è difficile muoversi senza intoppi.

Aspettai per più di mezz’ora, in lontananza si udivano le sirene fare avanti e indietro, nella stazione le persone parlavano tra loro molto animatamente, presumo che si fosse già sparsa la voce di ciò che era accaduto agli scavi. Nascosi il viso tra le mani.

Finalmente arrivò il treno, accanto ai binari non c’erano ne’ cancelli ne’ controllo dei bagagli, quindi si poteva salire non appena fossero scesi i precedenti passeggeri. Biglietto in mano, cercai il mio posto e, dopo un po’ di smarrimento, lo trovai occupato da un ragazzo che baciava una ragazza seduta in quello accanto. Arrossii sia per il modo con il quale si baciavano, sia perché occupavano i posti che erano destinati a me e Li, anzi, semplicemente a me.

Mi guardai un attimo intorno cercando il controllore, o qualcuno in divisa, e notai che anche gli altri passeggeri prendevano posto senza controllare la numerazione dei posti. Intuii allora che fosse cosa normale, paese che vai, usanze e maleducazioni che trovi; mi adeguai sedendo qualche posto più avanti.

Il convoglio partì mezzo vuoto con un lungo stridulo metallico, probabilmente proveniente dalle ruote. Mi misi comoda, il viaggio non doveva durare più di un’ora; il vagone non brillava o profumava di pulito e gli altri passeggeri non facevano di certo a gara per fare silenzio: fu un continuo squillare di cellulari, risate sguaiate, grida, pianti del solito bambino e discorsi proferiti a voce alta. Quasi mi scoppiò la testa!

Dal finestrino osservai la corsa del treno e in alcuni tratti riuscii ad intravedere anche il mare in lontananza. Davvero strano prendere il treno in uno stato diverso dal proprio, attorno a me udivo una lingua totalmente sconosciuta anche se qualche parola la conoscevo anche io, tipo ciao o buongiorno, penso che qualcuno avesse anche pronunciato le parole pizza e Berlusconi, davvero divertente!

“Quanto manca?” Kerochan sbucò impaziente dallo zaino e mi parlò sottovoce.

“Più o meno dieci minuti”

In quel momento passò un signore in divisa e preparai il biglietto da mostragli, fui ignorata e proseguì verso il vagone successivo. Ero basita!

Dopo quell’episodio mi venne un gran sonno, la battaglia mi aveva stancato, non lo nascondo, ma i sedili non erano così comodi come potevano sembrare. Altri passeggeri stavano scomposti e stravaccati come se fosse il divano di casa, al contrario, io conservai una certa postura finche non riuscii più a tenere gli occhi aperti. Non sbadigliai e ricordo solo di essere rovinata sul sedile accanto, mi accorsi di essere sdraiata ma non avevo la forza di rimettermi composta, cominciò a girarmi la testa e allungai le mani alla ricerca di Kerochan. Quando vidi tutto in bianco e nero mi spaventai per davvero, rotolai per terra con un rumore simile a quello di un sacco di spazzatura. Attirai l’attenzione perché mi sentii addosso mani sconosciute, non vidi chi fosse e lentamente tutto cominciò a diventare sempre più bianco.

Percepivo che il treno continuò imperterrito la sua corsa mentre attorno a me decine di voci sconosciute e intraducibili; alcuni mi schiaffeggiarono credendo che fossi svenuta, altri mi alzarono le gambe, qualcuno provò anche ad aprirmi gli occhi e verificare il battito del cuore.

Chiusi gli occhi alcuni istanti e vidi alcune persone armeggiare con tubicini trasparenti, palloncini, ed altri oggetti sconosciuti. Erano vestite d’arancione molto chiaro e con dei guanti azzurri mi toccavano ovunque, mi parlavano, facevano dei gesti, quando mi posizionarono una mascherina trasparente in faccia chiusi di nuovo gli occhi perché la luce cominciò a darmi fastidio.

Li riaprii alcuni istanti dopo e notai un tetto molto basso con alcune luci accese, si muoveva tutto ed avevo intorno ancora quelle persone vestite di arancione, udii delle sirene assordanti e venni sballottata da una parte all’atra. Di nuovo buio.

Riaprii gli occhi una terza volta e attorno a me si trovavano persone con vestiti molto colorati con in mano strumentazioni a prima vista molto affilate. Provarono a parlarmi e mi accorsi che non ero più in treno. Mi venne improvvisamente sonno, una seconda volta.

Riuscii a spalancare gli occhi dopo pochi istanti. Un micidiale mal di testa mi assalì come una tigre e dolori di ogni genere mi impedirono di muovere qualsiasi arto. Pensai di sognare o di delirare perché accanto al letto riconobbi i visi di mio padre e Tomoyo. Avevano gli occhi gonfi di lacrime e cercarono di parlarmi, non li capii perché le orecchie fischiavano. Era un bel sogno l’ammetto! Decisi di svegliarmi quando si presentò anche il viso di Li, era il più preoccupato e stringeva forte tra le braccia Tomoyo che cominciò a singhiozzare.

 

“Bentornata!” Riconobbi la voce di Irina.

Mossi lo sguardo verso la mia destra e la trovai seduta su di una sedia, mi guardò sorridente per alcuni istanti e continuò a scarabocchiare su di un pezzo di carta, se non ricordo male stava disegnando una farfalla. Provai a pronunciare qualche parola ma avevo la gola secca e la bocca che sembrava impastata di colla. Prontamente mi venne offerto un bicchiere con dell’acqua e la mandai giù come fossi una naufraga.

“Va meglio?”

“Grazie.” Fu un ringraziamento molto titubante. Ero sicura che avesse cattive intenzioni. “Se mi vuoi uccidere perché mi hai dato l’acqua?”

“Ucciderti?” Ridacchio con la solita fastidiosa espressione. Pensai solo in quel momento che capivo quello che stesse dicendo, intuii che mi avesse fatto un incantesimo, chissà quanti altri me ne aveva fatto mentre ero incosciente. “Non sono un’assassina.”

Ok, mi aveva totalmente disorientato, completò il disegno con una firma molto bella e lo avvicinò all’unico braccio che avevo fuori dalle coperte. Lo posò poco sopra il polso, come se volesse imprimerlo sulla pelle.

“Ti starebbe molto bene come tatuaggio, forse però preferisci un fiore di ciliegio!” Prese in mano un altro foglio, disegnato sicuramente poco prima, con un bellissimo fiore e lo posò dove c’era prima quello della farfalla. “In effetti ti donerebbe moltissimo.”

“Prima mi vuoi uccidere ed ora mi proponi un tatuaggio?”

“Ah, il fatto che uccido sempre i miei nemici? Beh…se la sorte ti è avversa, nel poker devi fingere di avere una buona mano per vincere, io ci ho provato anche nel torneo Haab, contro il primo nemico a Tel Aviv, mi è andata bene ma, quando ho visto la potenza che sei in grado di scatenare grazie alle carte…mi sono spaventata”

“Quindi non mi avresti ucciso?”

“No.”

“Ed ora vuoi vendicarti?”

“No.”

“Dove sono?”

“In ospedale, ad Agropoli.”

“Figo!” Cercai di muovermi ma ero incredibilmente esausta. “Alla fine sono arrivata a destinazione.”

Irina continuò ad aggiungere dettagli al fiore di ciliegio. Mi guardai intorno, non ero in una stanza normale, forse in qualche reparto particolare, tipo terapia intensiva o rianimazione, il letto accanto al mio era vuoto e fuori il sole stava tramontando proprio in quel momento. Il mal di testa cominciò a martellare sempre di più e Irina se ne accorse, mosse la mano verso di me e il dolore sparì all’istante.

            “Sei stata tu? Grazie.”

            “Figurati.”

            “Perché sei qui?”

            “Mi piacerebbe farti un tatuaggio!”

            Risi davvero di gusto!

            “Perché ridi? Sono una professionista e lo faccio come lavoro, guarda.” Alzò la maglietta mostrandomi il tatuaggio raffigurante due macchine dell’autoscontro in primo piano, e in lontananza una ruota panoramica tra alcuni alberi scheletrici. “Bello vero? L’ho disegnato io ma è stato un mio collega ad imprimerlo sulla pelle. Rappresenta la mia città.”

            “Perché vuoi farmi un tatuaggio?”

            “Sei un persona speciale. Mi hai salvato la vita, non hai infierito mentre altri avrebbero ucciso senza pensarci su due volte. Quello del tatuaggio è l’unico modo che conosco per ringraziarti.”

            Non dissi nulla, ero quasi commossa, sembrava tanto ostile ed invece era una persona sensibile. Mi aiutò a mettermi seduta, avevo dei punti nella pancia e in testa.

“Ti ho accelerato la guarigione, entro domani mattina sarai guarita del tutto, basta solo che ti metti a dormire.”

“Che cosa mi è successo?”

“Ho ascoltato quello che dicevano i tuoi parenti fuori dalla porta, poco fa.”

“I miei parenti?”

“Si! Erano qui fino a poco prima che ti riprendessi; comunque, i miei colpi sono stati troppo forti, fortunatamente non ti sei rotta niente ma hai avuto una emorragia interna e ti hanno anche dovuto asportare la milza. Di conseguenza potresti essere più esposta alle influenze, forse dovrai assumere della cardioaspirina per qualche periodo e sentirti improvvisamente stanca: ci farai l’abitudine. Sei svenuta in treno a causa dell’emorragia ma fortunatamente eri vicina ad Agropoli, sei stata caricata in ambulanza e ti hanno operato d’urgenza. Ci hai messo quasi tre giorni per riprenderti.”

“A dir la verità ho ancora sonno!”

“Ti conviene continuare a dormire, qui fuori ci sono dei poliziotti e sono pronti ad arrestarti non appena ti sarai ristabilita.”

Non mi sorpresi, in tre giorni avevano avuto tutto il tempo di controllare i miei documenti e di capire chi fossi; Irina piegò i fogli e li ripose nella borsetta che aveva con se, osservandola bene era truccata in modo leggero, era una ragazza bellissima dai cappelli lunghi e biondi, occhi chiarissimi ed un neo sul naso piccolo, quasi irrilevante. Un rigonfiamento appena accennato del ventre lasciava intuire che quando aveva affermato di essere incinta, era verità.

Uscì dalla stanza con un meraviglioso sorriso stampato sul viso. Quando la porta si aprì notai che alcuni poliziotti vagavano nel corridoio, chiusi subito gli occhi per far finta si dormire e finii per assopirmi sul serio.

“E’ davvero bella mentre dorme, vero?” Nel dormiveglia riconobbi la voce. Era di una persona alla quale volevo davvero bene, ma era impossibile che fosse li in quel momento. Si sarebbe dovuta trovare dall’altra parte del planisfero. Riaprii gli occhi e notai subito l’enorme massa di capelli neri e i grandi occhi lucidi per l’emozione.

“Tomoyo?” Non credevo ai miei occhi, era lì davanti a me, con le lacrime agli occhi e le mani giunte. Ci osservammo per molti secondi, nessuna delle due batté ciglio o proferì alcunché; mi tornarono alla mente le belle giornate passate insieme e quanto mi fosse mancata in quell’avventura, di come l’avevo tratta male e dell’ultima volta che avevamo parlato al telefono. Non era sola, accanto a lei c’era Li, se ne stava quasi in disparte e dalla sua espressione sembrava che non sapesse se sorridere o uscire dalla stanza. “Ti ci vuole molto per abbracciarmi o devo prenderti per la camicia?”

Non fui molto femminile con quell’ultima frase ma Tomoyo quasi saltò sul letto per potermi mettere le braccia attorno al collo. Mi riempì di baci ed uno o due mi furono dati sulle mie labbra, non ci badai, ero troppo felice di averla vicino. Il mio cuore impazziva per la felicità e quasi mi mancò il fiato quando vidi mio padre apparire sulla porta; non mi sarei mai aspettata di aprire gli occhi e di trovarmeli davanti. Venni a conoscenza del fatto che papà era stato trascinato in Italia da Tomoyo in uno dei suoi colpi di testa: aveva sentito alla televisione che ero stata trovata ferita in un treno, appena appresa la notizia si era imbarcata sul primo volo per Roma trascinandosi dietro mio padre, ovviamente ansioso di riabbracciarmi.

Anche lui si unì agli abbracci ma quando entrò nella stanza era in compagnia di due carabinieri, si misero al due alti della porta ed osservarono ogni nostro movimento per tutto il tempo che ricevetti quella visita. Ero molto debole e l’unica cosa che feci fu quella di lasciare che mi abbracciassero e baciassero finché i medici non decisero che dovevo riposare, ancora.

“Ti avevo detto di andartene.” Li fu l’ultimo, rimase per tutto il tempo ad un metro dal letto, osservando gli abbracci ed ascoltando i discorsi. Non fiatò nemmeno un volta.

“Se non me ne fossi andato forse ora non avresti tutti quei punti.” Le sue parole sembravano nascondere dei singhiozzi. Mentre parlava mi diede le spalle e di tanto in tanto faceva qualche passo verso la porta. “Non posso perdonare a me stesso una cosa così grave. E’ la seconda volta che ci dividiamo e per la seconda volta finisci in fin di vita.”

Aveva ragione: a Napoli mi era successa una cosa simile ma grazie agli incantesimi di ‘Adel mi ero salvata, quella seconda volta, però, era diverso dato che si trattava delle conseguenze della lotta contro Irina.

“Voi maschi siete così stupidi.”

“Non dovevo lasciarti sola.” Dopo quella frase restammo in silenzio per altri interminabili secondi poi fece qualche passo verso la porta. Ero immobile e riuscivo a muovere liberamente solo le dita delle mani, mi sembrava di essere un enorme blocco di cemento. Mossi la testa a fatica verso comodino accanto al letto: “Mi porgeresti un bicchiere d’acqua?”

Finalmente si voltò e si diresse a passo spedito verso il comodino. Versò dell’acqua in un bicchiere di plastica e, con attenzione, mi aiutò a bere; non avevo sete, a idratarmi ci pensava il tubicino trasparente che penetrava sotto il mio braccio, avevo semplicemente la gola molto secca.

“Dove stanno papà e Tomoyo?”

“Abbiamo trovato un bed and breakfast vicino alla spiaggia - è davvero molto bella, ti piacerà di sicuro - provvisoriamente staremo lì e vedremo come si evolveranno gli eventi; ah, cosa più importante, Kerochan è con Tomoyo, starà con lei finché non ti riprendi.”

“Mi spiace di averti trattato male in tutti questi giorni, mi spiace di aver detto di odiarti, mi spiace di averti fatto pagare tutto, mi spiace di averti tenuto il muso, di averti mandato via e soprattutto di avertelo permesso, mi spiace di tutto.” Quelle parole uscirono dalla mia bocca senza controllo.

“Sei un stupida!” Mi porse un altro bicchiere d’acqua e lo mandai giù, finalmente avevo la gola di nuovo a posto. “Pensi davvero che mi sarei lasciato trascinare in tutta questa storia se non avessi voluto darti il mio aiuto? Spiace anche a me di averti detto quelle cose a Pompei.”

“Ehi!” Uno dei carabinieri mise la mano sulla spalla di Li e con lo sguardo gli fece capire che era ora di andare via. Venni lasciata da sola, la serranda quasi del tutto abbassata, la porta chiusa e due poliziotti che sorvegliavano il corridoio, quasi fossi una serial Killer, non avendo niente di meglio da fare, misi la testa sul cuscino e mi riaddormentai.

 

La mattina seguente mi svegliarono delle infermiere e cambiarono la bottiglia del flebo che serviva a idratarmi, misurarono anche la mia temperatura con uno strumento che inserirono in un orecchio. Provarono a dirmi qualcosa in Inglese ed io non potei che rispondere “ok, ok.” In segno di cortesia: ancora oggi non ho la minima idea di che diavolo mi avessero chiesto.

Restai sveglia e in solitudine per più di un’ora finché non si riaprì la porta ed apparve il sorriso di Irina. Non mi aspettavo di rivederla, per giunta, aveva in mano il mio ciondolo e le carte di Clow.

“Come stai?” Si scostò i capelli dal viso e mi porse le carte. Fui sorpresa di riuscire a prenderle con tanta facilità, la sera prima muovevo appena le dita delle mani. “Sembra che il mio incantesimo abbia funzionato…lasciami fare un controllo.” Posò la sua mano sulle ferite e percepii dei brividi di freddo che mi attraversarono ogni singolo nervo.

“Ok, sei perfettamente guarita.” Strappò via la fasciatura che avevo sulla fronte e mi scoprii dalle lenzuola. “Forza! Vestiti e andiamo via di qui.” Non lo avevo notato prima, ma aveva con se anche il mio zaino ed all’interno c’era un cambio, doveva aver frugato nella mia valigia, ma come?

“Aspetta una attimo.” Mi sedetti sul bordo del letto. “Come fai ad avere tutte queste cose? Credevo che fossero rimaste sul treno.”

“Credevi male: i carabinieri hanno recuperato tutto, ed io ho fatto altrettanto dalla loro caserma. Ora, scopriti la pancia, devo levarti i punti.”

Feci come chiesto e dopo essermi tolta la medicazione vidi i punti che spuntavano dalla pelle, quasi non si vedeva la leggera cicatrice. Irina avvicinò la mano e i nodi si sciolsero da soli, delicatamente li tirò via uno ad uno finché non rimasero solo i forellini, si sarebbero richiusi in poco tempo, infine applicò di nuovo il cerotto, non mi fece male ed anzi, sentii del solletico. Fece lo stesso con la testa, non ricordo di essermi fatta male anche in quel punto durane lo scontro, forse era successo quando caddi in treno.

Finalmente potei rimettermi i vestiti e dopo una veloce sistemata ai capelli, giusto per non dare nell’occhio, la seguii fuori dalla stanza. Passammo accanto ai carabinieri immobili come guardie svizzere, capii che Irina li aveva immobilizzati con un incantesimo; la seguii poi, lungo il corridoio fino alle scale che ci portarono al piano terra e finalmente uscimmo all’aria aperta; ci trovavamo in periferia e attorno non c’erano case, solo un grande parcheggio oltre la strada. Ci sedemmo alla fermata dell’autobus dall’altra parte della strada.

Ancora non mi rendevo conto di cos’era successo, ci volle molto tempo, era già tutto finito quando assimilai a cosa ero andata incontro in quell’avventura. Appena uscita dall’ospedale mi scivolarono addosso i tre giorni passati a dormire, l’asportazione della milza e l’emorragia interna, non li considerai cose importati, quasi non me ne accorsi ma avevo rischiato la vita già due volte in quel giro per l’Italia. Mi sedetti sulla panchina con Irina, a dir la verità presi posto nella parte opposta, non mi andava di sedere accanto alla persona che mi aveva quasi ucciso, stranamente però non ero così tanto arrabbiata come dovevo.

Finalmente arrivò l’autobus, Irina si lasciò andare ad un altro atto di gentilezza e mi diede un biglietto, la cosa cominciava a puzzare. Quando scendemmo in centro camminammo fino ad arrivare in una piazza coperta da molti alberi, con un monumento al centro ed alcune panchine di gesso bianco sparse ai lati delle aiuole.

E’ incredibile come il paesaggio urbano, in Italia, cambi così tanto di città in città. In Giappone le zone residenziali sono al novanta percento tutte identiche, lunghe strade disposte a scacchiera dove si affacciano le case una accanto all’altra, il resto della città è molto simile se non fosse per piazze o incroci particolari; qui in Italia invece, mi pareva tutto originale e diverso di via in via, davvero!

Proseguimmo per qualche centinaio di metri e ci spostammo lungo una via pedonale sulla quale avevano la vetrina decine di negozi e locali. Era più o meno metà mattinata, panchine e tavolini dei bar erano colmi di persone, i negozi tenevano le porte aperte ai clienti ed un caldo soffocante mi schiacciava verso la pavimentazione rosa, non credo di averlo puntualizzato prima ma, la mia partenza il Italia avvenne la prima settimana di Giugno.

“Tutto a posto?” Mi chiese Irina.

“Più o meno…il caldo mi uccide!”

“Vuoi che ci fermiamo a riposare?”

“Abbiamo, per caso, una destinazione?”

Sorrise e prese posto nella veranda di un bar, solo all’arrivo della cameriera mi accorsi che stavo morendo di fame. Cavoli, mi trovavo in Italia: ordinai cappuccino, croissant al cioccolato ed un’aranciata fresca, avevo già l’acquolina in bocca e la bustina di zucchero tra le mani.

“Vorrei che esaudissi il mio desiderio!”

“Sapevo che c’era qualcosa dietro la tua gentilezza!” Quelle parole di Irina spiegarono tutte le sue attenzioni nei miei confronti, era un ragionamento da freddo computer ma, avendo anch’io un desiderio forte come il suo, penso avrei fatto altrettanto.

“Avrai un giorno intero per usare i poteri illimitati, mi piacerebbe che pensassi a me per cinque soli minuti, tanto dovrebbe bastare per lanciare l’incantesimo.”

Sorrisi. “Avevo già pensato a questo, avrei fatto in modo di esaudire il tuo desiderio anche se non ci fossimo più viste.”

“Come immaginavo, sei davvero una persona speciale.” Lo disse con voce commossa. “Mi sono battuta in questo torneo, non tanto per la radioattività, dato che ormai il danno è fatto, ma per fare in modo di avere un posto da mostrare a mio figlio. Quando ero piccola, più o meno sei anni, i miei genitori mi portarono a Poltava, la città dove si erano conosciuti e innamorati, ricordo quel viaggio come il più bello della mia vita. Dopo la morte di mio padre, quel ricordo ha acquistato sempre più valore e mi sono sempre ripromessa di portare mio figlio nella città dove sono nata. Purtroppo dovevo fare i conti con la radioattività.”

“Capisco, io ho perso mia madre, praticamente non l’ho mai conosciuta e ricordo il suo viso solo grazie alle fotografie, ogni suo oggetto che ho a casa ha un valore tutto speciale; forse il mio dolore non si avvicina alla intensità del tuo ma, penso di capirti.”

La cameriera ci portò l’ordinazione con un sorriso e Irina pagò senza battere ciglio. Appena ci lascò con le nostre tazze di cappuccino mi assicurai che nessuno mi stesse guardando e misi fine all’esistenza del croissant.

“Va meglio?”

“Si, grazie!”

Mentre mandavo giù l’ultima goccia di aranciata percepii di nuovo la vibrazione nell’aria, quella che mi avvisava che c’era qualcuno dotato di poteri nelle vicinanze, contemporaneamente cominciò a pizzicare anche il segno sulla mano. ‘Adel!

Sembrava che anche Irina si fosse accorta di quella presenza e ci alzammo quasi contemporaneamente. Proseguimmo lungo la vita che stavamo percorrendo fino a poco prima del caffè, anzi, corsi lungo la via. Feci lo slalom tra varie persone e i gruppetti di ragazzini correndo più veloce che potevo finché la strada non cominciò ad essere in salita. Rallentai ma strinsi i denti e proseguii la salita a testa bassa fino a quando il pizzicchio sulla mano non si fece molto forte.

Alla fine la vidi: la porta, l’ingresso! Era l’arco che si vedeva nel video mostratomi dal giudice a Tomoeda, non avevo dubbi. Ansimai fino al muretto e guardai di sotto: non c’era uno strapiombo ma una scogliera che non ti lascia di certo scampo in caso di caduta. Mi guardai attorno più e più volte ma di ‘Adel nessuna traccia; scrutai i visi di ogni singolo passante finché non individuai due occhi neri, come l’ebano, che mi fissavano.

“Sakura, è il tuo prossimo avversario!” Irina mi raggiunse e mi si affinacò-

“E’ impossibile, non si tratta di ‘Adel!” Davanti a me non c’era l’emiro che mi aspettavo di trovare ma una persona di quasi mezza età, non c’erano dubbi sui suoi poteri ma non riuscivo a capire dove potesse essere ‘Adel.

“Ti va di cominciare subito o sei ancora debole dall’ultimo combattimento?” Aprì bocca e proferì in italiano, sembrava uno del luogo e con quella frase si presentò come mio prossimo avversario, quello finale. In significato delle sue parole si materializzò correttamente nella mia testa e potevo percepire la sua grande forza magica.

“Dov’è ‘Adel? Il ragazzo che hai affrontato prima di venire qui?”

“L’ho ucciso.” Lo disse con una calma tale che pregai di aver capito male ma quelle parole furono come lame che mi trapassavano. Ricordo che ad un certo punto mi ritrovai in ginocchio, con le lacrime e il moccio che colavano a terra.

 

 

 

 

P.S. Curiosità

 

Aruòpule è il nome della città di Agropoli in dialetto cilentano. Agropoli è un comune di circa 21 mila abitanti sito nella provincia di Salerno, nella regione Campania. E’ una località turistica e in Estate raggiunge i 40 mila abitanti. Ha una storia antica risalente al VII secolo a.C. quando vicino al fiume Testene, che attraversa la cittadina, la baia veniva utilizzata dai Greci per gli scambi commerciali, inoltre edificarono anche un tempio dedicato ad Artemide.

 

L'Anfiteatro di Pompei fu edificato nell’antica città romana tra l'80 ed il 70 a.C.  ed aveva una capienza di quasi ventimila persone. L'arena è in terra battuta ed è divisa dalla platea da un parapetto altro due metri e prima dell'eruzione del Vesuvio, era affrescato con immagini di lotte tra gladiatori; l’intera struttura era anche attrezzata con un velarium, una copertura che veniva utilizzata per proteggere gli spettatori dal sole e dalla pioggia, simile a quella del Colosseo di Roma. Lo stadio risulta essere uno dei più antichi e meglio conservati al mondo, divenne famoso per aver ospitato la band Pink Floyd nel 1972, in un concerto registrato in assenza di pubblico ed è un passaggio memorabile della storia del rock.

 

 

Dall’autore:

 

Ti rubo solo altri due minuti per ringraziarti per aver letto e sopportato fin qui. Questa è la mia prima storia scritta in prima persona e le difficoltà non sono mancate, sono sorpreso di quante letture e commenti abbia ricevuto nonostante il fandom non sia uno dei più frequentati.

Il prossimo capitolo sarà quello conclusivo. Forza! Un ultimo sforzo!

Spero di non averti fatto perdere del tempo con questa storia e che ti abbia fatto rilassare e distrarre, fa sempre bene. Ancora grazie e ti prego di lasciare un tuo apprezzamento, suggerimento o insulto a fine lettura, in modo da poter correggere l’eventuale distrazione e migliorarmi nella scrittura.

 

   
 
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