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Autore: Gemini_no_Aki    19/02/2012    4 recensioni
Wesker si passò una mano sul volto sollevando leggermente gli occhiali prima di prenderli e lasciarli posati sulla scrivania. L’orologio segnava le 10 del mattino, la giornata era pressoché calda.
TIC TAC.
La mano scattò ad afferrare la pistola con uno spasmo, la puntò alla sorgente di quell’insopportabile rumore che sembrava sfondargli i timpani. Un monotono, lento e insopportabile tic tac.
BANG.

[Character Death nel finale 1]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Albert Wesker, William Birkin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wesker si passò una mano sul volto sollevando leggermente gli occhiali prima di prenderli e lasciarli posati sulla scrivania. L’orologio segnava le 10 del mattino, la giornata era pressoché calda.
TIC TAC.
La mano scattò ad afferrare la pistola con uno spasmo, la puntò alla sorgente di quell’insopportabile rumore che sembrava sfondargli i timpani. Un monotono, lento e insopportabile tic tac.
BANG.
Il rumore svanì e lui lasciò che la pistola cadesse sulla scrivania. Si sentiva così stranamente debole, tanto che immaginava che si sarebbe potuto addormentare da un momento all’altro. Certamente non avrebbe fatto una bella impressione vista la reputazione che lo precedeva.
Per lo meno aveva detto che non voleva essere disturbato, solitamente nessuno osava contraddire il suo volere, a meno che non si chiamasse William Birkin. Per chiedergli qualcosa, qualunque cosa, quel ragazzo sarebbe stato capace addirittura di bussare alla porta del bagno. Col tempo ci aveva fatto l’abitudine, e, per la verità, William era l’unica persona che gradiva avere intorno, nonostante fosse quasi strano a volte. Molte volte. Ok, quasi sempre.
Con un sospiro si alzò e guardò fuori dalla finestra abbandonando, stranamente, gli occhiali sulla scrivania. Lui che sarebbe stato capace di andare a letto con quelli addosso.
Le foglie degli alberi sotto la finestra si muovevano leggermente, accompagnate da una lieve brezza calda. Ogni cosa era tranquilla, quasi ancora assonnata in quel giorno di primavera. In risveglio dal letargo ma non ancora sveglia. Ancora avvolta in pensanti strati di coperte calde per ripararsi dal gelo invernale. La vita oltre quelle mura era esattamente così, avvolta nel silenzio del dormiveglia.
Nonostante quello il caldo era quasi insopportabile, forse per la porta chiusa, forse per l’aria che entrava dalla finestra senza portare refrigerio.
Ritornò a sedersi nel momento in cui la porta dell’ufficio si apriva. Si limitò a dargli le spalle allungando la mano a prendere gli occhiali. Nessuna voce squillante o allegra.
“Avevo detto che non volevo essere disturbato.” Disse senza voltarsi a guardare chi fosse entrato. Avvertì un fruscio leggero che si avvicinava.
“Cos’è successo nel laboratorio?” Wesker sospirò quando una mano si posò sulla sua spalla. A lui non si poteva nascondere nulla.
“Niente William.” Una bugia così chiara visto il tono con cui l’aveva detto. Senza dire un’altra parola Birkin fece ruotare la poltroncina da ufficio verso di se allungando la mano per togliergli gli occhiali. Wesker non si oppose, lo lasciò fare. A lui era concesso tutto, finchè erano soli.
“Sei rimasto ferito? Oppure scottato con qualcosa?” William lo guardò con serietà e lui scosse la testa con un piccolo sorriso, l’ombra di un sorriso.
“Non è esploso il laboratorio William... È esploso il contenuto di un becher.” Precisò con semplicità.
“Sei venuto per sapere questo? Perché se è così puoi tornare al lavoro.”
“Volevo assicurarmi che tu stessi bene.” Ribatté guardandolo ancora, esplorando ogni centimetro del suo corpo che riusciva a vedere.
“Non ho pezzi di becher piantati in giro e non sono ustionato. Non ho assolutamente niente.” Gli disse ancora. Birkin si voltò annuendo.
“Cos’è successo all’orologio?” Domandò notando l’oggetto appeso al muro con un buco precisamente nel mezzo.
“Faceva rumore.” Si giustificò semplicemente mentre William usciva scuotendo la testa. Lo guardò uscire e guardò la porta chiudersi. Un leggero sorriso tornò sul suo volto e nuovamente si tolse gli occhiali neri sfregandosi gli occhi. In fondo gli aveva detto la verità. Non era ferito ne scottato. Allora perché gli sembrava di sentirsi in colpa?
Un colpo di tosse arrivò improvviso, cogliendo alla sprovvista quasi, seguito da altri, secchi e continui che quasi lo fecero accasciare sulla scrivania nel tentativo di prendere il bicchiere posto in un angolo che aveva preparato prima. Ne bevve un sorso cercando di riprendere fiato e maledicendosi mentalmente.
La verità è che era stata una semplicissima disattenzione. Sapeva che quel composto chimico col calore rischiava si esplodere, e pur sapendolo aveva dimenticato di indossare le dovute protezioni.
Ovviamente era una cosa da nulla, almeno così la riteneva lui.
Circa un’ora dopo, difficile a dirsi vista la fine fatta dall’orologio, Wesker si alzò, dopo aver letto una mail su uno degli ultimi esperimenti, e si avvicinò alla finestra aprendola del tutto nel tentativo di rinfrescarsi senza essere costretto a vuotarsi le ultime gocce d’acqua addosso.
Eppure invece che diminuire il caldo pareva aumentare e un velo sfocato e scuro gli calò sulla vista, inesorabile.
William aprì la porta con uno scatto, come faceva di solito. In una mano teneva una cartelletta scura  in cui aveva appuntato i risultati degli ultimi esperimenti del G-virus, secondo lui erano di ottimo livello, un miglioramento continuo.
Il sorriso che aveva aprendo la porta si congelò sul suo viso trasformandosi in orrore. La cartelletta cadde a terra con un rumore lievemente metallico mentre i primi fogli si sparpagliavano intorno.
“ALBERT!!!” Per un attimo lo scienziato rimase pietrificato sul posto.
Wesker era a terra, in preda alle convulsioni, aveva la schiuma alla bocca e il suo corpo si dibatteva con violenza.
Dopo un primo attimo di smarrimento William corse verso di lui cercando nel contempo di sfilarsi il camice, con un calcio allontanò la sedia e si infilò nello spazio tra il corpo e la scrivania, chinandosi cercò di far scivolare il camice, ridotto ad una specie di palla, sotto la testa dell’amico, almeno avrebbe smesso di darle colpi sul pavimento rischiando di peggiorare. Peggiorare più di quanto non fosse già, se mai fosse stato possibile.
Rimase inginocchiato accanto a lui, quasi incastrato sotto la scrivania, per una manciata scarsa di minuti, probabilmente anche meno. Un tempo comunque incalcolabile, tanto che gli sembrò delle ore. Eterne ore, interminabili, durante le quali non poteva fare nulla.
Lentamente gli spasmi scemarono  lasciando qualche leggero tremito involontario. Si sporse verso di lui girandolo delicatamente su un fianco per poi cercare di pulirgli la bocca, per quel che poteva.
Le domande si sovrapponevano una sopra l’altra nella mente dello scienziato, la più frequente però era anche la più logica. Cos’era accaduto? Aveva bisogno di saperlo, visto lo spavento che aveva provato. Sapeva però che per il momento era meglio non chiedere troppo, Albert parlava poco normalmente, tendeva a nascondere tutto, in questo momento forzarlo a spiegare sarebbe stato pressoché inutile. Probabilmente non avrebbe nemmeno ricordato di essere caduto.
Con un sospiro, quasi triste, William passò la mano sui capelli dell’altro senza distogliere lo sguardo, forse più per paura. Quando si accorse di un leggero movimento degli occhi riuscì a tirare un sospiro di sollievo, iniziava già a pensare di dover chiamare qualcuno. In quel caso si che sarebbero fioccate domande di ogni tipo. Compreso il cosa ci facesse lui in quella stanza quando Wesker aveva detto chiaramente che non voleva essere disturbato.
Lo sollevò gentilmente posandogli la testa su un braccio e controllando che non avesse ferite.
“Te la caverai con un bernoccolo. Te lo meriti... A nascondere quello che combini.” Disse a bassa voce, come se non volesse disturbarlo.
Quasi in risposta Albert aprì gli occhi fissandolo dapprima confuso poi stranito, cercando anche di mettersi seduto e, probabilmente lontano da quel... Rifugio sicuro, come mentalmente l’aveva definito in quel momento, senza nemmeno rendersene conto. William scosse la testa e si limitò a stringere la presa.
“Non ti chiedo niente... Ma per il momento non ti muovi.” Disse piano con un tono serio che non ammetteva repliche; stranamente al primo colpo Wesker si arrese all’evidenza e rimase fermo dov’era.
“Solo perché non riesco a muovermi.” Precisò senza guardarlo, William lo immaginava. Anche in un momento simile doveva avere l’ultima parola. Si limitò a un leggero sorriso mantenendo la parola data. Niente domande.
Albert non lo guardava, fissava un punto davanti a se senza vederlo realmente, forse preso da qualche pensiero strano, profondo, o magari al contrario inutile. Dal canto suo William lo teneva sotto controllo, temeva un’altra crisi, e temeva le conseguenze di quella appena terminata.
“Fa caldo oggi.” Disse d’un tratto Albert senza smuovere lo sguardo dal muro, chissà cosa vi aveva trovato di interessante, poi.
“Non così tanto. È piacevole rispetto al freddo degli altri giorni.”
“No.” Si intestardì. “Fa caldo. E qui dentro sembra di soffocare.” Bastò quello, detto con voce roca, a insospettire ulteriormente Birkin. Gli aprì la camicia e lo guardò. Sembrava quasi indifeso in quel momento, non l’aveva mai visto così, e probabilmente quella era anche l’ultima volta.
“Non si soffoca, c’è tutta l’aria che vuoi Al.” Mormorò con un tono dolce, doveva tenerlo tranquillo, rilassato. Almeno finchè non capiva qualcosa in quella pessima situazione in cui si era infilato. Situazione che magari era solo dovuta ad un’allergia primaverile.
Sembro una madre iperprotettiva così. Si disse cercando di concentrarsi esclusivamente su Wesker. Aveva ragione a dire che soffocava in quel momento, l’aveva notato già da quando aveva ripreso i sensi, faticava a respirare. Ma aveva attribuito tutto alla crisi passata. L’aveva ritenuta una cosa normale.
Stava per dire qualcosa che Albert lo precedette mettendo la mano sul braccio che teneva posato sul suo petto. Anche quel gesto, la presa attorno alla camicia, era così debole. La mente di William sarebbe andata in corto circuito nel solo tentativo di registrare ogni singolo sintomo sospetto per capire cosa avesse.
“Mi dispiace Will.” Per poco il più giovane non lasciò la presa facendolo cadere a terra. Lo fissò sgranando gli occhi, chiaramente stupito.
“Scusa?”
Wesker voltò lo sguardo verso di lui.
Un’altra informazione venne registrata dal cervello di Birkin. Debolezza...? Gli occhi erano velati e spenti, quasi stanchi. Un campanello d’allarme inizio a suonare dentro di lui, la situazione gli stava sfuggendo di mano, anche se non sembrava. Eppure sembrò non sentirlo.
“Mi dispiace...” Ripeté ancora soffocando un colpo di tosse. William gli accarezzò gentilmente il torace, come a rassicurarlo.
“So che odi mostrarti debole, Al. Ma sei umano, capitano questi momenti. E poi... Non lo saprà nessuno.” L’amico scosse la testa e si scusò ancora appoggiandosi a lui e prendendo un respiro.
“William... Tu sai benissimo cos’è successo stamattina... Non sei uno sprovveduto, lo so.” Birkin sospirò.
“Gli incidenti capitano... Nessuno si è fatto male.” A volte però sapeva essere molto, molto stupido e Albert se ne accorse perché scoppiò in una leggera risata.
“Mi... Dispiace, dico davvero Will... Ero.. Forse troppo distratto. A quanto pare è vero. Gli uomini sbagliano...” E non sempre hanno il tempo di rimediare. Pensò.
Lasciò cadere a terra la mano che stringeva, cercava di stringere la sua camicia e lo guardò ancora un attimo prima di chiudere gli occhi, esausto.
William non sapeva da che parte prendere quelle parole, era tutto troppo strano. Detto da Albert poi. Era addirittura irreale. Così come era irreale il fatto che si fosse addormentato tra le sue braccia in quel momento.
Chiuse gli occhi ma sentì le guance rigarsi da due calde lacrime che non aveva fatto in tempo a trattenere. Sollevò meglio il corpo e se lo sistemò contro di se senza smettere un attimo di stringerlo. Aveva cercato di convincersi che fosse stato un incidente senza conseguenze, aveva cercato di ignorare la consapevolezza della verità che si era fatta strada dentro di lui.
Ma non poteva ignorare quello. Non più.
La brezza calda sembrò congelarsi, come se l’inverno fosse tornato prepotente in quella stanza. Il gelo lo avvolse, lo circondò e cacciò l’ultimo residuo di calore da quell’uomo che amava. E a cui non l’aveva mai saputo dire chiaramente.



Angolo Autrice:  Ok, ora che mi sto completamente odiando per averla finita così... credo che passerò ad un secondo finale per farmi perdonare dai personaggi. William sta minacciando di usare me per i prossimi esperimenti... e quella siringa non mi ispira tanta fiducia.
Quindi si capisce.. anche se ho scritto "addormentato"... Wesker non sta dormendo... .-.
Quindi molto probabilmente si. Ci sarà un finale alternativo. In ogni caso la metto come completa, si può sempre modificare! *-*
Quanto alla storia, beh... ammetto che non si capisce niente di quello che è successo... scusate... T^T  Io per prima non ho idea di che cosa abbia combinato Albert .__. so che non aveva le dovute protezioni e si è praticamente avvelenato. Va beh.. (Va beh un corno!!!!)
Ci risentiremo nel 2° finale... se non mi prendono prima..
Ah, nel caso trovaste qualche errore... chiedo perdono...

Bye Bye~
Aki

   
 
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