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Autore: Subutai Khan    20/02/2012    6 recensioni
Toc toc? C'è nessuno? A me è stato chiesto di intrufolarmi qui, ma ho paura... è buio... fa freddo... e io sono solo un vecchiante con l'Alzheimer alle dita dei piedi. Posso? Non mi caccerete a calci, vero?
Beh, se mi è concesso restare vorrei regalarvi questo scorcio di vita del praticante di taekwondo più cretino, volgare, ignorante del cosmo.
Genere: Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Devil Jin, Hwoarang, Jin Kazama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Il tuo inglese è davvero pessimo, Kazama. Sembri Burzum mentre cerca di recitare I Promessi Sposi di Shakespeare”.
Jin non si scompose più di tanto, almeno esteriormente. Internamente si spiaccicò una mano sulla fronte e se la fece scivolare lenta lenta lungo la faccia. Ma con che razza di demente aveva a che fare?
Non distolse lo sguardo dalla sua birra mentre sentiva il suo dirimpettaio farsi beffe di lui per la sua pronuncia zoppicante.
Capirai, non so parlare bene in inglese. Almeno so chi è davvero l'autore de I Promessi Sposi, forse. Ma non è di sicuro Shakespeare.
“Allora, sei rimasto senza parole per il mio brillante commento sulla tua incapacità di esprimerti?” proseguì l'altro, indefesso.
Un sospiro. Scemo era e scemo è rimasto, nulla da dire.
“No” gli rispose in tono annoiato mentre si volgeva verso di lui, la seggiola del bancone che scricchiolava in modo un po' inquietante “stavo solo pensando che sei riuscito a sparare la peggiore stupidata dell'anno. E non conoscerò Bunzung, o come si chiama, ma non cado così tanto in basso. Io”.
Hwoarang diede una leggera manata sul tavolo, prima avvisaglia dell'umore che scalava. Prese un sorso del suo amaro, riuscendo nella mirabolante impresa di sbrodolarselo un po' sulle guance. Era l'apertura che Jin aspettava con ansia: fu il suo turno di scoppiare a ridere come una iena.
La seconda manata risultò un po' più rumorosa e lasciò una lieve crepa nel legno del ripiano. Kazama lo stava provocando, ne era sicuro. E la gente che lo provocava di solito finiva male. Anche se lui, spesso e volentieri, era stata l'eccezione alla regola.
“Ricordami perché siamo finiti a bere assieme, io e te” gli disse, cercando di trattenere l'impulso di dargli un diretto sul mento che gli stava salendo da qualche parte dentro di lui. Forse dalla zona inguinale, senza voler essere volgari.
“Ah boh” fece l'altro, divertito “non chiederlo a me. Sei stato tu a insistere per voler andare a ubriacarci da qualche parte. Hai parlato di quiete prima della tempesta. No aspetta, le parole esatte sono state prima di gonfiare quella tua faccia da cazzo come una zampogna voglio che tu abbia almeno un bel ricordo di me”.
“Sei sicuro che le parole esatte siano state quelle? Io ricordavo un ti massacro e ti lascio per terra a soffocarti nel tuo stesso vomito”.
“Ami volare alto, ragazzo. Ma sai che le ali di Icaro si sciolgono se ti avvicini troppo al sole?”.
“Chi è 'sto tipo qui? L'unica persona con un nome simile che conosco è un fessacchiotto che frequentava il dojo del maestro Baek qualche anno fa. È fuggito con la coda fra le gambe dopo che gli ho fatto vedere chi comandava. Ah, i bei tempi andati in cui potevo pestare la gente senza conseguenze. Mi sento come se fossero passati secoli, e non è del tutto sbagliato”.
Jin rise ancora. Non scherno, solo ilarità per l'assurda smargiasseria di cui il suo rivale/amico/conoscente non poteva proprio fare a meno.
'Sto coreano vestito come il nipote del protagonista di Easy Rider, rozzo, ignorante come una scarpa, con la parolaccia facile quanto il pompino è facile a una prostituta di Las Vegas... beh, è decisamente un elemento interessante da frequentare. Quando non cerca di cambiarmi i connotati a calci, ecco. Ma in realtà, pure in quei momenti, posso essere in compagnie peggiori. Mio padre Kazuya, per esempio.
Poi è chiaro, ci sono dei momenti in cui la sua testa, arancione come un thermos vuoto, assomiglia pericolosamente al nocciolo della centrale nucleare di Chernobyl nel 1986. In quei casi solo pochi temerari, fra cui mi annovero senza la minima modestia, possono ardire ad avvicinarsi a lui senza venire sbriciolati dalla sua ira.
“Ti sei incantato, Kazama? Il gatto ti ha mangiato lingua, palle e orecchie tutte assieme?”.
“Senti un po', Hwoarang” disse in tono funereo, come se stesse pronunciando una condanna a morte “posso farti una domanda? Seria, se non sei troppo impegnato a fare il pagliaccio”.
La terza manata fece direttamente un buco.
“Non ti starai prendendo un po' troppe libertà con me, caro il mio Albert Galileo?”.
“Kami. Sei più stupido di un tombino. Comunque, quello che sto per chiederti è davvero importante. Riesci, per due minuti, a stare zitto e a far parlare me?”.
Incredibilmente l'Idiota Pel di Carota si mise una mano davanti alla bocca, come a far capire che il messaggio era stato ricevuto forte e chiaro. Anzi, per rafforzare ulteriormente il concetto affondò la faccia nel boccale di birra. Quello di Jin, per non smentirsi del tutto. Il derubato scosse la testa, anche se con un lieve sorriso.
“Allora Hwoarang, voglio farti una semplicissima domanda. Prima di rispondermi, però, ti chiedo di farmi finire. La domanda è la seguente: quanto conta per te l'onore? Io credo che, se non ti fossi attaccato con ostinazione a quell'incontro che abbiamo avuto anni fa, noi avremmo potuto essere ottimi amici. Persino migliori di quanto lo siamo adesso, e so che la notizia sconvolgerà il tuo cervellino da gallinella. Niente vendette ammuffite, niente frasi da bulli di strada, niente di niente. Solo due ragazzi che si stanno simpatici. Tutto qui. Ti chiedo di rifletterci sopra con calma. Conoscendoti ti ci vorranno due o tre anni per formulare una risposta, ma ti assicuro che non ho fretta”. Finito il monologo si alzò, quieto, e si diresse verso la cassa per pagare le consumazioni di entrambi. O meglio, questo è ciò che avrebbe voluto fare. Il problema è che si sentì afferrato per un braccio.
Uff. Impulsivo, stranamente. Ti ho detto che puoi pensarci.
Si voltò per vederlo mentre le sue labbra assumevano la forma di un cannone pronto a esplodere. Arrabbiato?
“Mi prendi per il culo, Kazama? No, dillo se mi prendi per il culo. Mi sentirei meno preso per il culo. Non puoi piombare così dal nulla e spararmi un pistolotto sulla bellezza dell'amicizia incontaminata. Hai sniffato del Compound-K, stamattina? Io ti devo una scarica di legnate sul grugno e niente potrà farmi cambiare idea in proposito. Poi, una volta ridotta la tua mandibola come merita, possiamo anche replicare questo dolce siparietto dei soci che escono a prendersi una birra assieme. Non a braccetto, per favore. Ma fintanto che il conto non sarà saldato non ti chiamerò mai amico. Al massimo uomo che conosco vagamente e a cui voglio spaccare la faccia. Questa è la mia parola, questo è il mio orgoglio. La faccenda si chiude qui”.
Che diavolo speravo di ottenere, eh? Il testone è più duro di una lastra di adamantite, anche se questa è la scoperta dell'acqua bollente. Però un po' ci contavo, a dire il vero. Vabbe', vorrà dire che prima o poi gli dovrò far ingoiare la sua tracotanza, possibilmente assieme ai denti.
Jin si incamminò verso l'uscita della bettola. Stava per lasciar perdere quando un formicolio bizzarro alla base del collo gli fece venire una strana voglia di percuoterlo con violenza. Bel modo di dimostrare che le tue ultime parole erano sincere, vero? Tornò indietro, verso di lui, e lo prese per il bavero della giacca in pelle con entrambe le mani.
“Vuoi botte, Hwoarang? Vuoi davvero vedere chi è il più forte fra noi due? Nessun problema. Finisci il tuo cazzo di amaro, visto che ti sei già scolato la mia birra a tradimento, e andiamo nel parcheggio per la nostra zuffa. Piace il suggerimento?”.
L'altro ghignò, contento della prospettiva. Con una manata si fece mollare e indicò il proprio bicchiere, lasciato lì in disparte. Ottenuto il permesso di bere ingollò il liquido giallognolo in una sola sorsata, piantando poi uno squassante rutto che fece girare più di un avventore nella sua direzione.
“Finito. Possiamo avviarci”.
“Perfetto”.
Si alzò anche lui dallo sgabello, sempre bersaglio degli sguardi di mezza clientela. La cosa lo infastidiva parecchio, quindi si voltò ringhiando verso un gruppetto di brutti ceffi, disinteressandosi del fatto che potessero essere o meno inclusi nei voyeur che non sapevano farsi i cazzi propri. Bastò questo a far distogliere la loro attenzione. Furono seguiti a ruota da tutti gli altri, che tornarono a parlare dei loro film porno preferiti o a dedicarsi alla scorretta partita di poker in svolgimento al loro tavolo.
Si strinse un po' nel chiodo, sollevato. Fissò Jin, facendogli silenziosamente cenno di far strada. Avevano da fare. Dal canto suo quello si voltò e procedette verso la loro destinazione comune.
Che si dia inizio ai fuochi artificiali.

In seguito, dopo la fine del quinto torneo.
Hwoarang schizzava veloce sulla sua fida moto, dribblando macchine che sembravano tricicli a giudicare dalla loro lentezza.
Il suo umore oscillava fra furioso e furioso oltre ogni limite: non aveva saputo vincere l'Iron Fist. Ci teneva fino a un certo punto, è vero, perché il suo obiettivo era sempre stato un altro. Ma non è che saltasse di gioia quando qualcuno riusciva a buttarlo fuori, anzi.
Premette ancora sull'acceleratore. Se un poliziotto lo avesse beccato con l'autovelox ne sarebbe uscita una multa paragonabile al PIL annuale dell'intero Benelux.
“Che merda” sussurrò. In effetti non lo sussurrò, lo disse a voce sostenuta, ma il casino provocato dal motore del suo bolide avrebbe coperto quasi tutto il resto.
Fece un paio di chilometri così: macinando strada e nervoso.
Solo per un colpo di fortuna si accorse del pericolo. Devil Jin, appostato in mezzo alla corsia buia, lo attendeva nella più classica delle pose da “io sono figo e tu no, gnè gnè”. Si illuminò di immenso in modo autonomo, come fosse un gigantesco lampione.
Cazzocazzocazzocazzo e stracazzo. Che faccio? Cerco di investirlo? No, inutile. Quello è capace di incendiarmela a distanza.
I suoi timori si concretizzarono quando lo vide alzare un braccio nella sua direzione.
E fu qui che Hwoarang fece la più grossa sventatezza della sua vita da scavezzacollo: zompò a piedi uniti sul sellino, senza mollare il manubrio, e si preparò mentalmente a saltargli addosso.
Eccolo. Arriva. Arriva. Arriva.
E arrivò.
Un'onda di energia invisibile scaturì dalle sue dita, dirigendosi a mò di missile verso di lui. Non appena l'Idiota Pel di Carota sentì un tremolio nella stabilità del proprio mezzo lasciò anche lo sterzo e si diede la spinta.
Piroettò per l'aere, sfoderando un perfetto ee dan ap chagi o, per i profani, calcio frontale con salto.
Sarebbe stato uno spettacolo degno di un palcoscenico ben più prestigioso, data la difficoltà e la pericolosità del gesto.
Ci fu solo un leggero, insignificante intoppo: il suo avversario bloccò il tutto con una sola mano, senza neanche far finta di affaticarsi. Poi lo schiantò al suolo. A giudicare dal rumore gli aveva appena rotto una o due costole.
Gli mise un piede sulla testa. Il coreano cercò di proteggersi, ma la posizione svantaggiosa e la netta predominanza fisica del nemico erano troppo per lui.
Qua è la volta che 'sto stronzo mi accoppa sul serio. Vediamo se...
“Hola, testa di cazzo. Lasci che sia il tuo altro-ego a fare il lavoro sporco, eh? Il solito codardo”.
Devil Jin strabuzzò gli occhi. Che fosse la tattica giusta?
“Non hai neanche le palle di affrontarmi come te stesso. Devi ricorrere all'omaccione cattivo con le ali e lo sguardo truce per sperare di avere la meglio su di me. Sei ridicolo”.
La bestia ritrasse il piede e fece un passo all'indietro.
Ok, bene così. Insisti. Affonda.
Si rialzò barcollando, una mano sul fianco offeso dalla caduta.
“Neanche quella volta in cui ti sei scaldato come un termosifone guasto mi hai concesso la sfida che tanto bramo. E adesso ti presenti qui, in questa forma da clown riuscito male? Mi fai schifo, Kazama. Torna in te, se ci riesci, e affrontami da vero uomo”.
Un altro passo a ritroso. Le mani sulla testa. La sensazione di un miliardo di spilli conficcati nella scatola cranica.
Ci stava riuscendo. Forse non sarebbe finito al cimitero per direttissima, senza neanche ritirare i trentamila won dal Via.
“Dove cazzo è finito il tamarro che prendeva per il bavero quelli che chiamava amici, li minacciava di morte e poi si tirava indietro all'ultimo istante accampando scuse a cui neanche Babbo Natale crederebbe? Non si starà cagando in mano all'eventualità di scambiarsi carezze con me, spero. Sarei deluso come non lo sono stato mai in vita mia”.
“Stai zitto, Hwoarang!”. Era la voce... di Jin. Ancora posseduto, ma sembrava stesse riemergendo dal dominio della sua metà demoniaca.
“Coraggio, prendi a calci in culo questo cornuto. Non vedo l'ora di massaggiare la brutta faccia che ti ritrovi con queste mie nocche”. E sfoderò il pugno chiuso per dare più risalto alla frase.
Ci fu un urlo capace di ghiacciare qualsiasi cosa, il sangue una delle tante sulla lista.
E Devil Jin tornò nei meandri oscuri da cui era fuoriuscito, lasciando al suo posto un giovane, intontito Mishima.
“Yeah! Lo sapevo che ce l'avresti fatta! Lo sapevo! Non sei una merda umana, allora”.
“Grazie dello spassionato incoraggiamento, coglione cubico. Mi serviva un po' di esortazione. Sai com'è, il ragazzo non si fa prendere facilmente per le briglie”.
Con quest'ultima uscita Hwoarang si concesse una risata, tagliata breve per il dolore che gli procurava alla gabbia toracica. Jin lo seguì, infettato dalla scemenza del suo quasi-amico-se-solo-lo-volesse-davvero.
Passarono un paio di minuti ad alternarsi nello sghignazzare. Poi Idiota Pel di Carota arrancò verso la ruota anteriore della sua moto, la raccolse e la scagliò addosso all'altro che, per sua fortuna, se ne avvide in tempo e la scansò.
“Ehi! E questo?”.
“Mi hai sfasciato la moto, sacco di sperma. Credi di passarla liscia?”.
Il sorrisetto ganassa di Jin non mancò di esaltarlo: “No, certo che no. Vogliamo dare inizio alle danze? Ti prometto che questa volta, ci cadesse un iceberg in testa, concluderemo. Ho una sola richiesta, su cui non transigo: non dev'essere all'ultimo sangue”.
“Accettata, accettata. Fotte sega di ammazzarti, mi basta ridurti come la mia Traci Lords”.
“Come chi?”.
“La mia moto. Si chiama... va Traci Lords”.
“Hai chiamato la tua due ruote come una pornostar anni '80?”.
“Sì. Problemi?”.
“No no, figurati. Tanto ti sto per spedire all'ospedale. Se ci tieni ti puoi circondare di Linda Lovelace, John Holmes e Rocco Siffredi nella tua stanzetta bianca”.
“Basta chiacchiere. Fatti sotto, stronzone con le lucette”.
E si avventarono uno sull'altro. In cuor suo Hwoarang era felice di riavere il suo vecchio, odiato, amato nemico-ma-solo-quasi-forse-magari.


Dedicata alla cara Manasama, fonte di immense risate su Skype durante la stesura. Sono contento che ti sia piaciuta così tanto.
Bunzung a tutti.
   
 
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