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Autore: Blackrose_96    21/02/2012    2 recensioni
Due sorelle. Un'amica. Un ragazzo dagli occhi verdi. Tutto ai tempi in cui non bastavano più le katana e le lance per difendersi. Un ciliegio unirà due mondi tanto diversi e lontani e questi daranno vita a una storia. La storia del mondo. La guerra. L'amore.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chizuru Yukimura, Hajime Saitou, Kyou Shiranui, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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 Capitolo 1

Pericoli

 

 In estate a Kyoto il clima era davvero insopportabile: caldo e afoso; di certo non adatto a tre ragazze provenienti da un paese freddo come la Danimarca.

Per fortuna il sole stava per tramontare, dipingendo tutto il cielo di fili d’oro, facendo assomigliare le nuvole ai capelli di Kate. Quest’ultima, insieme ad Akane e Yukari, stava camminando verso il tempio di Nishi Hogan-ji, che già si vedeva in lontananza, per poterlo visitare.

-Ve l’avevo detto, ragazze, che dovevamo spicciarci prima! A quest’ora il tempio sarà chiuso al pubblico! – esclamò Kate, delusa – e pensare che questa fu la sede dei famosi Shinsengumi!

-Ma se sono ancora le 16.00! – esclamò Akane guardandosi l’orologio che aveva allacciato al polso, rosso ciliegia come il suo vestito.

-E da quando in qua alle 16.00 tramonta il sole? – insinuò Yukari, accompagnata dal dolce suono della sua risata argentina.

Le guance di Akane divennero paonazze, proprio come le ultime ciliegie sugli alberi verdi e folti che tempestavano i parchi di Kyoto, e poi disse con nonchalance:

-Bhe, questa giornata è volata così in fretta che neanche il mio orologio se ne è accorto!

-Un po’ come la tua sveglia allora! – la punzecchiò Yukari, tirando una cinghia della borsa-zainetto che la sorella portava in spalla.

In effetti Akane aveva proprio ragione: i primi due giorni a Kyoto erano volati in un soffio. Un improvviso stato di catalessi le aveva colpite – causa: fuso orario – e le aveva tenute impegnate per tutta la giornata precedente, chiuse nell’appartamento che avevano affittato per quelle settimane, vicino alla stazione. Mentre il secondo giorno di vacanza stava per finire dopo un lungo tour per i templi più importanti di tutta Kyoto, che doveva concludersi, in teoria, con la visita al celeberrimo tempio di Nishi Hogan-ji.

Percorsero una strada a due corsie divisa da delle siepi. Dopo un incrocio ad angolo retto, attraversarono la strada e si trovarono davanti alla magnifica entrata del tempio. Era pazzesco come una struttura così antica si potesse amalgamare con le strade asfaltate e i palazzi moderni. Dopo aver attraversato lo strabiliante portone di legno e il larghissimo cortile sabbioso, raggiunsero la possente costruzione principale e nessuna delle tre ragazze riuscì a trattenere un’esclamazione piena stupore. Il tempio appariva come un enorme edificio in legno scuro, formato principalmente da tre strutture collegate fra loro; il tetto a pagoda grigio-blu, in contrasto con il colore principale del tempio, si estendeva oltre la base rettangolare della costruzione, fino a coprire anche la breve scalinata che conduceva all’entrata. Oltre all’edificio principale ce n’erano altri tre, che però non reggevano il confronto con la maestosità del tempio in sé.

Kate salì i dieci scalini di pietra per fermarsi davanti agli shoji bianchi, che fungevano da porte e circondava il tempio in tutta la sua lunghezza; come si aspettava, era già chiuso al pubblico.

-Oh mio Dio! – esclamò Yukari alle sue spalle.

Anche se in quella giornata avevano visto un bel po’ di templi, quello era davvero il più bello e suggestivo di tutti, forse anche per l’oro che il sole rifletteva sul tetto, che lo faceva sembrare davvero qualcosa di ultraterreno.

-Lo sai Yukari, questo è stato il quartier generale della Shinsengumi fino al 1868 – disse Kate senza rivolgerle neanche uno sguardo, intenta a vedere oltre lo shoji della stanza principale, completamente al buio.

-Doveva essere fantastico stare in un posto così grande – affermò Akane, a bocca aperta.

-Questo edificio era adibito a quartier generale della “polizia di Kyoto”, ovvero la Shinsengumi, ma non solo. Infatti i samurai ci vivevano; vi svolgevano tutte le loro mansioni e si allontanavano solo per le varie ronde, mattutine, pomeridiane e notturne; a volte però anche per fare un salto nel quartiere di Shimbara, per potersi svagare un po’. Però questo “divertimento notturno” era accessibile principalmente ai capitani, poichè, ricevendo un salario più alto, potevano permettersi di andare più spesso a divertirsi rispetto ai loro sottoposti.

-A quanto pare oggi non potremmo visitare il tempio, forse è meglio tornare domani, così vedremo anche il giardino zen – cambiò discorso Yukari, appoggiandosi a uno dei quattro pilastri principali che reggevano la struttura lignea dell’edificio.

-Mi sembra giusto, anche perché il sole sta per tramontare e ci vuole almeno un’ora con la metro per tornare a casa – disse Kate dirigendo lo sguardo verso il sole, ormai quasi totalmente tramontato.

-Scusate signorine, dovrei chiudere il tempio adesso, ormai il sole è tramontato ed è pericoloso tenerlo aperto.

Una nuova voce si unì a quelle delle tre amiche, che sobbalzarono sentendo quella frase e si girarono verso il cortile: un sacerdote buddista incartapecorito con una lunga barba bianca e un aspetto docile e minuto, come la sua voce, stava in piedi davanti alla breve scalinata con un mazzo di chiavi tintinnanti in mano.

-Oh sì, ci scusi tanto; siamo state davvero maleducate ad entrare senza il permesso di nessuno, la prego di scusarci – disse Akane, calando la testa in un inchino, seguita dalle sue compagne.

-Non vi preoccupate signorine, ormai in questo tempio ci sono più turisti che monaci. Sembra che abbiate l’aria stanca, se volete riposarvi un po’ prima di tornare a cosa, a due isolati da qui c’è un piccolo parco con al centro un grande ciliegio, non potete sbagliarvi – disse il vecchio cordialmente.

In effetti era vero, di turisti se ne vedevano in abbondanza da quelle parti, mentre non si vedeva quasi nessun monaco.

-Arigatou gozaimashita! – esclamarono le tre in coro, avviandosi all’uscita.

Appena misero piede fuori il portone di legno con la tettoia a pagoda si richiuse pesantemente con un tonfo alle loro spalle.

~

-Ehi Kate, persa nei tuoi pensieri?

Kate annuì senza far caso a chi stesse parlando. C’era qualcosa in quel vecchio che le puzzava di bruciato: da dove era spuntato senza fare il minimo rumore? Perché aveva tutte quelle chiavi? Perché avrebbe dovuto aiutare soltanto loro, nonostante tutti i turisti presenti? Non sapeva perché, ma aveva uno strano presentimento.

-Probabilmente starà pensando a quale malattia ci potrebbe colpire se fossimo in mezzo alla foresta amazzonica con uno sciame di mosche carnivore attorno – disse Akane, prendendo in giro la passione per la medicina dell’amica.

-Ma dai, poverina! In fondo, se le piace così tanto studiare, cosa c’è di male? – chiese Yukari, a braccetto con la sorella.

-C’è di male che, nonostante il fatto che siamo in vacanza in un posto così sicuro, lei continua a scarrozzarsi dietro almeno due libri di medicina e una valigetta per il primo soccorso versione deluxe, comprata all’aeroporto per un occhio della testa – disse Akane, indispettita, indicando con la mano bianca e affusolata lo zaino azzurro sulle spalle di Kate, straripante.

-Di sicuro meglio di te, che hai preso il diploma per miracolo! E pensare che hai anche delle ottime capacità! – esclamò Kate, voltandosi e freddandola con uno sguardo.

Fecero un giro per le stradine secondarie, dove non c’erano altro che negozietti di souvenir, prima di tornare alla stazione della metro. Poi Yukari esordì:

-Ragazze, non so voi, ma io sono stremata! Potremmo fermarci nel posto che c’ha consigliato quel vecchio bonzo?

-In fondo ancora non è completamente buio e poi è praticamente sulla strada. Ho bisogno di riposarmi un po’ – esclamò con un gesto teatrale Akane.

-Sentite ragazze … secondo me sarebbe meglio non fermarci … non so, ho qualche sospetto su quel monaco – disse Kate sottovoce.

-Oh, e quando mai non ne hai! Sei il sospetto fatta donna! – rispose Akane, irritata.

-Dai Kate, tanto abbiamo pure qualcosa da mangiare negli zainetti, potremmo ristorarci un po’ nel parco e poi avviarci verso la stazione – affermò intelligentemente Yukari.

Mmmh … forse le sorelle avevano ragione, Kate era troppo sospettosa. Forse quel vecchio voleva solo aiutarle, però …

Kate decise di non pensarci. Fece cenno a Yukari e Akane che anche per lei andava bene; così svoltarono all’incrocio e alla loro sinistra videro il piccolo parco, abbastanza semplice, ma allo stesso tempo davvero lussureggiante. Le ragazze attraversarono l’elegante porta in legno, probabilmente sempre aperta, e seguirono il breve sentiero, costeggiato da aiuole davvero ben curate, che conduceva fino al centro del parco, dove cresceva il ciliegio più grande e bello di tutti.

-Certo che questo giardino è davvero splendido! Non è che il monaco ha l’hobby del giardinaggio? – chiese Akane, sedendosi sotto l’albero al centro del parco, dopo essersi portata alla bocca una ciliegia matura.

-Ah ah ah! Può essere, in fondo è risaputo che i monaci hanno il pollice verde; dicono che li aiuta a meditare – disse Yukari distendendosi completamente sull’erba accanto alla sorella.

Kate lanciò un’occhiata verso le due ragazze sull’erba: Akane, alta e formosa con capelli ricci color cannella e occhi castano-rossastri, e Yukari, piccolina e snella con capelli lisci e lunghi fino alla vita dello stesso colore della sorella e occhi color verde bottiglia; in poche parole, quelle due erano incantevoli, anche se così diverse fra loro. Kate si sentiva quasi in dovere di difenderle, sapeva benissimo che non erano in grado di badare a loro stesse; erano come il fuoco e la benzina, un duo esplosivo, e lei aveva il ruolo di estintore salva-tutti. Era suo dovere tenere fuori dai guai quelle due. Mission Impossible.

Kate allora sospirò e si sedette vicino a quei due terremoti, incrociando le gambe; prese dal suo eastpack azzurro un libro enorme e una matita e poi cominciò febbrilmente a sottolineare.

-Ti prego, non mi dire che stai studiando anche adesso! – urlò Akane, scattando in piedi, le mani sui fianchi.

-Kate, capisco che sei stata ammessa alla migliore facoltà di medicina di tutta la Danimarca e vuoi dare il meglio di te stessa, ma così stai un po’ esagerando! – le disse Yukari, guardando oltre le spalle dell’amica l’immenso volume scritto a caratteri lillipuziani.

-Dovresti prendere a esempio Kate, sorellina! Ricorda che alla fine di Agosto dovrai tornare dalla zia e cominciare il nuovo anno scolastico; mentre io ho un anno intero per riposarmi – disse Akane, serafica, rigettandosi sull’erba.

-Pensa piuttosto al tuo voto di diploma – le disse Kate, trafiggendola con uno sguardo.

Akane arrossì fino alla punte dei capelli, ripensando allo stentato settanta dell’esame di maturità; poi disse, come se niente fosse:

-Cambiando discorso, come hai fatto a convincere i tuoi a mandarti per due mesi e mezzo in giro per il mondo?!

Akane ricevette una forte gomitata da Yukari. Era stata impulsiva come sempre e aveva parlato a vanvera; aveva voglia di mordersi la lingua.

Kate sospirò, tormentandosi con gli incisivi il labbro inferiore, e poi disse:

-Loro sono così: avermi buttato in un collegio danese quando avevo appena sette anni, con la scusa di “proteggermi” dai loro loschi affari, probabilmente li ha fatti sentire talmente in colpa da fargli accettare qualsiasi compromesso.

Akane abbassò lo sguardo sui fili d’erba come se avessero qualcosa di assurdamente interessante. Lei avrebbe dovuto comprenderla meglio di chiunque altra; conosceva la storia di Kate e si sentiva in colpa per averle fatto ritornare alla mente quei due disgraziati che l’avevano messa al mondo. Kate era nata a Mosca il 31 Dicembre 1992, figlia di due dei più famosi esponenti della mafia russa. All’età di soli sette anni i suoi genitori la chiusero in un collegio danese per “proteggerla”; da quel momento Kate divenne taciturna e sospettosa. Aveva incontrato Akane all’età di tredici anni ed erano andate alle superiori insieme; l’anno dopo aveva fatto amicizia anche con la piccola Yukari. I suoi genitori le inviavano del denaro ogni mese, che lei utilizzava solo per pagare la retta del collegio. Era sempre stata molto indipendente e geniale in tutto.

-Scusa Kate, sono proprio una cretina – ammise Akane, sollevando sommessamente lo sguardo sull’amica.

-No, non ti preoccupare. Sono stata io a risponderti male; comunque, se proprio lo vuoi sapere, è bastata una telefonata alla segretaria di mio padre per fargli sganciare sul mio conto 150.000 corone, senza nessuna raccomandazione o parere.

Le due ragazze sgranarono gli occhi a dismisura: 150.000 corone? Ma era tantissimo! Non che la loro zia si trovasse in cattive condizioni economiche, ma di certo non avrebbe mai affidato 150.000 corone ad una adolescente.

-Allora che facciamo? Mangiamo prima che si faccia notte? – disse Kate, sorridendo verso le due amiche, mentre posava il suo libro nello zaino.

Le tre ragazze misero qualche fazzoletto a terra e vi posarono il cibo, cominciando a mangiare, fra scherzi e risate, mentre i lampioni gettavano una luce bianca e soffusa sull’erba smeraldina.

Sembrava quasi che tutti i problemi si fossero dissolti, come per magia. Stare appoggiate tutte e tre al legno scuro e profumato del ciliegio, ascoltando il canto delle cicale, accarezzate dalla lieve e umida brezza estiva, era qualcosa di meraviglioso. E così, con il profumo dolce delle ciliegie mature nelle narici e solo un manto di stelle a coprirle, si lasciarono trasportare fra le braccia di Morfeo.

~

Si trovava in un prato verde. Doveva correre. Non sapeva dove, né perché, ma doveva scappare da lì. A un tratto le apparve davanti l’uomo con gli occhi verde petrolio con accanto Akane e Kate, che tentavano di chiamarla; ma il suono delle loro voci non riusciva ad arrivare alle sue orecchie. A un certo punto tutto si fece nero e le tre figure di fronte a lei scomparvero. Urla strazianti. Uno sparo. Dei colpi di spada. Il luccichio di una lama sopra la sua testa, pronta a colpirla.

Yukari si svegliò di colpo, con i vestiti inzuppati di sudore. Il cuore le batteva a mille, togliendole il respiro. Appena si rilassò, accorgendosi che quello era solo un sogno, Yukari osservò il paesaggio circostante: i lampioni dovevano essersi spenti, perché riusciva a vedere solo il profilo degli alberi del giardino. Allora si mise in piedi e fece qualche passo dove verso sentiero. Nulla, se non erba. Yukari alzò lo sguardo di fronte a sé e cercò di guardare oltre il buio: nessuna strada, nessun edificio, nessun lampione. Solo e soltanto foresta.

La ragazza allora corse dalle sue amiche, svegliandole con poca delicatezza.

-Sveglia! Sveglia! – urlò Yukari con il panico nella voce.

Kate fu la prima a svegliarsi e disse a Yukari con un mugugno:

-Yuka, cosa c’è? Ci siamo addormentate. Forse è meglio che chiami un taxi per riportarci a casa, ormai è notte fonda ed è pericoloso prendere la metro a quest’ora.

Yukari trovò conforto negli occhi celeste chiaro di Kate, ma non riuscì a trattenere lo sgomento quando le disse:

-Kate, qui non prenderà mai il cellulare, guardati intorno!

Yukari vide l’amica sobbalzare e poi ruotare lo sguardo in tutte le direzioni, per analizzare ogni minimo dettaglio visibile: tutte le costruzioni erano scomparse, comprese le strade, e poco lontano dal ciliegio scorreva un ruscelletto, che si perdeva nel bosco circostante. Anche Akane si era finalmente svegliata e si stava guardando intorno, spaventata.

A un certo punto si sentirono degli strilli acutissimi e inquietanti poco lontano dal ciliegio. Le ragazze rabbrividirono e si guardarono fra loro, terrorizzate. Poi echeggiò uno sparo. Un altro urlo e poi clangore metallico. Come nel sogno di Yukari. Allora lei cominciò a correre verso il luogo da cui provenivano i rumori.

-Yukari, ma che cazzo fai?! Se hai davvero tanta fretta di morire ci penso io! – le urlò da dietro Akane, che non aveva abbastanza buon senso per tacere come Kate.

Yukari non rispose alla minaccia e si addentrò nel folto della foresta. Dopo qualche passo però si fermò di botto: in una macchia erbosa, priva di alberi, c’erano quattro uomini armati e uno, il più inquietante di tutti, le dava le spalle. Distratto dal rumore di passi, però, quest’ultimo si girò. Yukari non riuscì neanche ad urlare quando quegli occhi rossi e luminosi e quel folle ghigno le si posarono addosso. Aveva i capelli totalmente imbiancati nonostante non sembrasse affatto vecchio. Yukari notò con orrore che aveva un braccio tranciato e dallo squarcio uscivano fiumi di sangue scuro, come le risate agghiaccianti che gli morivano in bocca.

-Chi diavolo siete?! – ebbe il coraggio di dire Akane, parandosi davanti alle altre due per fare loro da scudo.

Allora il mostro cominciò a emettere delle risate agghiaccianti e alzò l’unico braccio rimasto, che reggeva una katana, per farlo ricadere sulle teste delle tre.

Akane, Kate e Yukari sarebbero volute scappare, ma le loro gambe non ne volevano sapere di muoversi. Allora chiusero gli occhi. Chiusero gli occhi per un istante infinito, strette l’una all’altra. Poi si sentì rumore di carne lacerata. Odore di ruggine. Un liquido caldo sulla loro pelle. Ma quel sangue non era il loro.

Akane aprì gli occhi per prima e vide il mostro disintegrarsi attorno a una katana, che l’aveva colpito alla schiena. Un soffio di vento portò via con sé la polvere del suo corpo, lasciando cadere gli abiti e l’arma del mostro ai piedi di Akane.

-Puah, feccia! – disse una voce sconosciuta.

Akane portò lo sguardo di fronte a sé: un ragazzo biondo dagli occhi vermigli, accompagnato da altri due che gli stavano accanto, stava pulendo con un lembo dell’abito del mostro la propria arma. Akane non si sentiva affatto al sicuro e tentò di coprire totalmente le sue amiche.

Il ragazzo allora la guardò dritta negli occhi e poi disse, divertito, con la sua voce profonda:

-è inutile che tenti di nasconderle, non sono cieco.

-Non provare ad avvicinarti – sibilò Akane, che si irrigidì ancora di più e non abbandonò minimamente la sua posizione.

-Kazama, dobbiamo andare, non è compito nostro punirle per ciò che hanno visto – disse l’uomo dai capelli rossi alla sua destra.

-Perché no? In fondo potrebbe essere divertente – disse l’altro alla sua sinistra, che teneva un revolver in mano, il metallo lucido sotto la luna.

Il ragazzo biondo, Kazama la fissò ancora negli occhi con uno sguardo annoiato e disse:

-La cosa non mi entusiasma parecchio, ma non possiamo permettere a queste tre spie straniere di girare indisturbate per Kyoto; basta guardare come sono vestite per capire che sono delle gaijin.

L’uomo con i capelli rossi non parlò più e Kazama si rivolse alle tre, dicendo:

-Preparatevi a morire!

Di nuovo. Merda. Kazama alzò la katana sulle loro teste. Akane imprecò in tutte le lingue del mondo. Se solo avesse avuto la sua katana …

I suoi occhi ricaddero sull’erba scura, sporca di sangue, fino a una zona lucida e metallica.

La lama dell'arma nemica si abbassò in un secondo su di loro. Ma non fu sufficiente. La spada del nemico era stata fermata dalla katana del mostro, che Akane aveva preso da terra. Con uno sforzo sovrumano Akane riuscì a spingere via il nemico e si mise in posizione di difesa.

-Se solo provi a sfiorarle con un dito, giuro che ti ammazzo! – gli urlò contro lei, inferocita.

-Tsè! Umani presuntuosi! – sputò Kazama, senza trattenere il proprio disgusto.

Akane tentò di parare un altro fendente ma, nonostante la sua innata abilità, Kazama con un solo colpo riuscì a disarmarla, ferendole il ventre.

-Akane! – urlarono Kate e Yukari, avvicinandosi alla compagna.

Akane si premeva le mani sullo squarcio che Kazama le aveva inferto al fianco destro, cercando di fermare l’emorragia.

-Pensavi davvero di potermi battere? – disse Kazama, puntandole contro la punta della sua katana, sporca del sangue di lei.

Akane sollevò lo sguardo verso di lui, non sapendo se implorarlo o insultarlo in tutte le lingue che conosceva. Quello sguardo strafottente e quel sorrisino crudele la facevano rabbrividire e infuriare allo stesso tempo; a guardarlo meglio sembrava provenire da un’altra epoca: come gli altri due compagni infatti indossava un kimono tradizionale e maneggiava la spada in un modo fuori dal comune.

-Akane, sei sicura che … - cominciò Kate, conoscendo la “specialità” delle due sorelle.

-Sì, non ti preoccupare, fra poco guarirà.

Kazama la guardò incuriosito e poi fissò il ventre della ragazza, che stava perdendo fiotti di sangue, che ricadevano a goccioloni scuri sull’erba. Ma, dopo qualche minuto, Akane fece scivolare le mani sporche di sangue ai suoi fianchi e raddrizzò il busto: la ferita aveva smesso di sanguinare.

-Qual’è il tuo nome? – le chiese allora Kazama, avvicinando l’arma alla sua gola.

-Perché dovrei dirtelo? – rispose irrispettosamente Akane, senza battere ciglio, ma si pentì subito di ciò che disse.

Al cenno del biondino, in un attimo il tizio con la coda di cavallo e il revolver apparve alle spalle di Kate e con un gesto fulmineo la prese per il collo e le puntò l’arma da fuoco alla tempia.

-Ti conviene rispondere se non vuoi che le cervella della tua amichetta sporchino tutto il prato – disse l’uomo con un ghigno.

Kate alzò lo sguardo verso il suo possibile assassino e lo freddò con uno sguardo glaciale; lui fece lo stesso con degli occhi innaturalmente viola e poi le sussurrò:

-A quanto pare voi ci servirete a qualcosa.

Kate gli rivolse uno sguardo interrogativo e poi si girò verso Akane, messa alle strette da quei due.

-Io sono Kawakami Akane e lei è mia sorella Yukari – disse Akane a denti stretti.

Il ragazzo con la coda lasciò andare Kate quasi con riluttanza e la ragazza ritornò accanto a Yukari.

-Come sospettavo … - incominciò a dire Kazama, quando però fu interrotto da un gruppo di sconosciuti.

-Kazama, te la prendi sempre con le bambine, eh?

Una voce maschile, dolce e melodiosa, proveniente da un sentiero nella foresta, arrivò alle orecchie delle sei persone al centro del prato. Dopo un attimo spuntarono dal folto della foresta tre uomini armati, vestiti tutti allo stesso modo.

Kate fissò la propria attenzione in particolare sull’abbigliamento: quell’haori bianca e azzurra le ricordava qualcosa. Pensa Kate, pensa – si ripeteva fra sé e sé. Il tempio di Nishi Hogan-ji, una foresta, uomini in abito tradizionale, delle armi a dir poco antiquate … no, non potevano essere altro che …

-Figuriamoci se i Miburo non si sarebbero fatti condurre dal proprio fiuto fino a queste tre gaijin – disse Kazama, riponendo la katana nel fodero.

Ma certo! I Miburo! Kate ripensò subito a tutti i suoi libri di storia giapponese, quella divisa era inconfondibile! Quei tre facevano parte della Shinsengumi e “Miburo” era usato in senso dispregiativo, “i ronin di Mibu”.

Nonostante l’euforia della scoperta, Kate non riusciva a capacitarsi di una cosa: come facevano a trovarsi davanti a persone che dovevano essere morte da almeno un secolo?

-Che cosa hai intenzione di fare? – chiese uno dei tre ronin con una coda di cavallo scura e due occhi di uno stranissimo color viola neon, ignorando i compagni del biondino sono-figo-e-ora-ammazzo-tutti.

-Io? Volevo solo risparmiarvi del lavoro, dato che queste tre gaijin hanno visto la vera forma dei mostri da voi creati; comunque adesso so quel che mi serve e per stavolta non ho intenzione di combattere con te, Hijikata.

Allora quella deve essere davvero la Shinsengumi e lui deve essere Hijikata Toshizou, il vice-comandante – pensò Kate. Kazama e i suoi compagni si dileguarono nell’aria, conducendo l’attenzione dei “lupi di Mibu” sulle tre ragazze, tremanti. Erano stati veramente loro a creare quel mostro assetato di sangue? E poi perché farlo? In teoria loro dovevano proteggere Kyoto, non ucciderne gli abitanti con le loro creature. C’era davvero da fidarsi?

I tre uomini si avvicinarono e quello con la coda di cavallo disse, in tono ostile:

-Chi siete e che ci fate qui?

-Non le toccate – rispose Akane sottovoce.

-Dovresti rispondere alle domande degli adulti, bambina – cinguettò da dietro il ragazzo con la voce melodiosa.

-E chi siete voi per darmi ordini?

Kate guardò Yukari che scuoteva la testa, una mano sulla fronte. Possibile che quella tonta non avesse ancora capito? Kate la tirò per una bretella rossa del vestito e poi le sussurrò all’orecchio, per non farsi sentire dagli altri:

-Lo sai che stai parlando con il vice-comandante della Shinsengumi?

Akane sgranò gli occhi. In effetti quell’haori le risultava familiare. Ma come minchia erano finite nel passato?

-Ve lo chiederò per l’ultima volta e poi non mi tratterrò dall’uccidervi: chi siete e cosa ci fate qui? – disse Hijikata, furioso, sul punto di sfoderare la sua katana.

Le tre ragazze si guardarono fra loro. Come potevano spiegargli che, dopo aver visitato il loro quartier generale, un monaco, spuntato da chissà dove, le aveva condotte sotto un ciliegio magico che le aveva fatte tornare indietro nel tempo? Akane e Yukari, sconsolate, guardarono Kate, che scosse la testa in segno di diniego. Se neanche Kate aveva idee, allora sì che erano fottute.

-Perché non le uccidiamo subito e basta, Hijikata-san? Hanno visto ciò che non dovevano vedere e, a quanto pare, il gatto ha mangiato loro la lingua – disse il ragazzo dalla voce suadente che aveva parlato per primo, sguainando con grazia la katana.

Kate guardò i tre uomini davanti a sé: doveva dire qualcosa o le avrebbero uccise. Così, presa da una botta di coraggio, urlò con il suo scarso accento:

-Fermi! Possiamo spiegare! Noi ci trovavamo qui per caso, quando abbiamo incontrato quei tizi!

Il ragazzo che aveva proposto di ucciderle posò l’arma e poi disse al suo superiore:

-Visto Hijikata-san? Questo metodo funziona sempre.

Hijikata annuì, infastidito, e poi sentenziò:

-Portiamole al quartier generale; male che vada le giustizieremo lì. Ma cerchiamo di  farle notare a meno gente possibile, basta guardare in che modo sono vestite per capire che tipo di donne sono.

Le ragazze avrebbero voluto ribattere vivamente, ma, prima di poter aprire bocca, i loro polsi vennero legati con delle corde improvvisate rispettivamente da ognuno dei tre samurai: Yukari venne presa dal suadente incantatore, fissato con l’uccidere la gente; Kate a sua volta fu legata dal ragazzo che non aveva ancora parlato; mentre Akane fu legata con poca delicatezza dal vice-comandante con gli occhi al neon. L’unico a parlare, mentre le ragazze venivano portate al quartier generale, era il ragazzo dagli occhi verde foglia che conduceva Yukari.

-Siete state fortunate, in genere giustiziamo sul posto le ragazzine ficcanaso come voi.

Yukari lo guardò meglio, mentre quello le sorrideva sornione: aveva un fisico asciutto, i capelli castano chiaro e due occhi verdi da far paura; non come quelli del tizio misterioso però, questi sembravano … diversi. Nel complesso era un gran bel figo.

Ma a un tratto un altro paio di occhi si posò su di lei. Quegli occhi si distinguevano dagli alberi, nonostante il buio e la foresta. Tutto divenne nero, tranne quegli occhi. Yukari si fermò e si portò i polsi legati alla fronte. Non riusciva a sentire i suoni delle voci amiche: non riusciva neanche a respirare. Sentiva soltanto quello sguardo, che la analizzava da cima a fondo, mentre le faceva provare un dolore oscuro e inaudito. Ma cosa diavolo le stava accadendo? Poi sentì la voce dei suoi genitori, che la pregavano di stare attenta. I suoi genitori … tutto cominciò a dissolversi di fronte a sé; le immagini mute e in bianco e nero, che l’avevano accerchiata, divennero sempre meno nitide. E, accarezzata dall’erba fresca sotto di sé, Yukari si lasciò trasportare nell’oscurità.

   
 
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