Ferite
infette
Lavi e Yu non litigavano spesso. In genere era Yu
a litigare con lui, per quei motivi sciocchi e del tutto superflui
che lo rendevano una persona meravigliosamente scontrosa e polemica;
ma Lavi, beh, Lavi non si arrabbiava mai.
Lavi era quel genere di
persona convinta sempre di non meritarsi alcunché. Non si meritava
una vita facile, di questo ne era certo, non si meritava un rapporto
senza complicazioni; e meno di tutto si meritava l'amore, raro e
bellissimo, di Yu Kanda. Perciò, se Yu Kanda ogni tanto
decideva di arrabbiarsi con lui senza ragione, e insultarlo, e
picchiarlo, non c'era davvero motivo di offendersi.
E poi, c'erano
quelle volte. Le volte in cui la ragione esisteva eccome, e Yu non lo
insultava e non lo picchiava, ma aveva quegli occhi -dio, quegli
occhi!-, dei pozzi neri di domande e perchè. Lui temeva sempre
che a quei perchè non trovasse risposta, e cercava in ogni
modo di farsi perdonare, e di convincerlo, con lo sguardo più
che con le parole, che davvero, ne valeva la pena. E per fortuna ci
riusciva sempre.
Lavi e Yu, perciò, non litigavano
spesso, e questo perchè Lavi era ben disposto ad accollarsi le
ferite di entrambi, leccarle per bene e fare in modo che queste non
li dividessero mai. Ma c'erano quei momenti, momenti rari, in cui le
sue ferite erano troppo profonde, troppo aperte, troppo esposte. E
Yu, del tutto impreparato a prendersene cura -in quel suo bieco
quanto innocente egoismo-, le ferite gliele infettava.
Più
che liti, i loro erano silenzi distesi. Non imbarazzati, non
rabbiosi: ma freddi, un po' troppo, e distanti.
Quei silenzi non
lasciavano mai spazio a sorrisi rassicuranti, o a sciocche battute
che dissipassero il disagio; si infilavano subdolamente nelle stanze
della loro casa, nelle loro bocche, nei loro occhi, nel loro letto.
Lavi non riusciva a scrollare le spalle e passarci sopra, e Yu era
davvero troppo orgoglioso per chiedere scusa, anche se tremava
all'idea che non giungesse quel suo perdono tiepido e dal sapore
zuccheroso.
Poi, dopo qualche giorno, uno dei due finiva col
parlare. Dire una cosa banale, o, se era coraggioso, una cosa molto
dolce, anche se mai esageratamente intima.
Bastava il contatto
con le loro voci, di solito, per abbattere i muri. E quella notte
tornavano a fare l'amore; senza spogliarsi, solo slacciandosi e
abbassandosi i pantaloni quel tanto che bastava, giusto per prudenza,
per non esporsi troppo. Forse avevano bevuto, forse era bello
sporcare il pavimento del salotto senza pensare al come e al perchè,
come quando si erano trasferiti in quella casa e avevano trascorso 48
ore nudi, a terra, in mezzo agli scatoloni.
Il mattino dopo c'era
sempre un po' di imbarazzo, quando si ritrovavano abbracciati dallo
stesso lato del materasso. Ma Lavi, l'imbarazzo, lo scioglieva sempre
con un sorriso un po' nostalgico, un bacio a fior di labbra, magari
una carezza; e decideva che valeva la pena litigare con Yu solo per
quella rughetta d'apprensione che gli si apriva in mezzo agli occhi e
che, in un qualche strano modo, lo supplicava di fare la pace.