Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |       
Autore: Sacchan    02/03/2012    3 recensioni
"Chiedete in giro di Sebastian Moran e se siete fortunati scoprirete che mi hanno cacciato dall'esercito -nessun congedo per merito o per motivi medici, no signore, proprio cacciato- e se siete bravi, e ovviamente avete in tasca un bel po 'di soldi, vi diranno che sono il miglior cecchino in circolazione." La storia di Sebastian Moran, la sua convivenza con la mente criminale più pericolosa d'Inghilterra, il suo ruolo nel gioco tra Moriarty e Holmes. Tutto rigorosamente narrato dal diretto interessato.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Jim Moriarty
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

His John Watson
the story of Sebastian Moran

Chiedete in giro di Sebastian Moran e se siete fortunati scoprirete che mi hanno cacciato dall'esercito -nessun congedo per merito o per motivi medici, no signore, proprio cacciato- e se siete bravi, e ovviamente avete in tasca un bel po 'di soldi, vi diranno che sono il miglior cecchino in circolazione. E non lo dico per vantarmi, ma perché è un dato di fatto. Altrimenti per quale altra ragione mi avrebbero cacciato dall'esercito, se non perché mi divertivo un po' troppo a fare fuori i bersagli che mi venivano assegnati? Insomma, se non mi fossi divertivo nel farlo, perché avrei dovuto seguire gli ordini come una scimmietta ammaestrata? Per me era logico, per i miei capi era sintomo di un qualche squilibrio mentale, uno di quelli da cella di isolamento a vita natural durante.
Prima ti danno la pistola, il fucile, ti insegnano a calcolare la distanza, il tempo, le condizioni atmosferiche e poi, appena prendi confidenza, ti portano via i giocattolini.
Oh, qualcuno me lo sono tenuto, parliamoci chiaro. Chiamiamola liquidazione.
Dovevo pur trovare un modo per andare avanti no? Non si può andare a pensione verso i 30 anni, quindi mi sono arrangiato.
E così mi sono ritrovato a gironzolare per l'Inghilterra a fare fuori gente che altra gente riteneva scomoda. A me non importano le motivazioni, non prendetemi per un moralista: i soldi sono soldi.
Quindi mettetevelo bene in testa: non mi vedrete mai dubitare, mai esitare, mai chiedere perché; mi vedrete solo sparare, prendere i soldi e andarmene. Anzi, non mi vedrete, altrimenti la mia reputazione sarebbe infondata.
Prendetela come premessa, e accontentatevi: per la storia che vi sto per raccontare questo vi basta e vi avanza. Non vi interessa di come ho iniziato, di chi sono i miei clienti, di come ho vissuto, di chi ho ucciso, di chi ho graziato.
Tutto questo non ha senso. Lo ha avuto un tempo, forse, ma ora...ora è tutto inutile.
Dopo aver conosciuto James Moriarty, qualsiasi cosa successa prima perde qualsiasi valore.

 

I. A STUDY IN PINK

Se avete letto il blog dell'adorabile Dottor John Hamish Watson -cosa che presumo abbiate fatto, altrimenti perché diavolo stareste leggendo questo post?- avrete famigliarità con il nome Moriarty, o magari avete seguito il processo perché vi era coinvolto l'eroe di Reichenbach, Sherlock Holmes. Ma solo nel primo caso riuscirete a seguire la storia, nel secondo caso...allora aveva ragione Jim: se pensate che Richard Brook fosse reale, siete tutti degli idioti.
Tentare di descrivere Moriarty è un' impresa titanica, ma giusto per non farvi brancolare nel buio immaginate un'ombra, quella che vi teneva svegli da bambini, quell'ombra che vi sembra di vedere ogni tanto camminando per la città, quell'ombra che appena pensate di aver visto è già scomparsa.
Si, più o meno è così, niente caratteristiche inquietanti e da mostro. Un'ombra senza corpo fa abbastanza paura e rende l'idea.
Ma non è nemmeno assolutamente così.
Forse andare in ordine è la cosa più semplice.
La prima volta che incontrai James Moriarty, ero da poco tornato da uno dei miei soliti lavori di routine e, beh, non pensavo mi sarei potuto divertire così tanto dopo aver già fatto fuori qualcuno.
Ero ritornato dal nord del paese con uno stupido aereo che non voleva saperne di fare il suo lavoro e volare in maniera decente - io odio gli spostamenti, sono la parte più noiosa del mio lavoro, è solo una perdita di tempo e di denaro- e l'unica cosa che volevo fare era tornare a casa e decidere come spendere un po' della paga, una cosa tranquilla, perfino noiosa.
Perfino prendere il taxi era una cosa così comune che non avrei mai immaginato avrebbe reso memorabile la serata.
Al diavolo, quel taxi ha reso memorabili gli ultimi mesi della mia vita.
Ora vi starete chiedendo: sei un cecchino, ti pagano bene, come minimo devi avere una signora macchina, uno di quei modelli costosi, che fanno girare la testa alle ragazze per vedere chi è che se la può permettere.
Ovvio che ce l'ho. E proprio perché è una macchina di classe non la lascio all'aeroporto. Ci tengo alle mie cose.
Quindi il piano era questo: prendere il taxi fino alla macchina e poi proseguire normalmente.
Piano che andò a farsi fottere quando quel tassista, un vecchio con la faccia da topo, imboccò tutta un'altra strada e fermò il taxi nel bel mezzo del più fottuto nulla.
"Siamo arrivati." Disse da copione, solo che non eravamo nemmeno lontanamente vicini alla destinazione.
"Non lo siamo, vecchio." gli risposi a malo modo. Non conosco tutte le strade di Londra, ma non potete fregarmi sui tetti. Riconosco la zona da che tipo di tetto ha. E per esperienza personale, se capite che intendo.
"Oh, si invece." il vecchio si girò, mi guardò con i suoi occhietti scuri e piccoli, semi nascosti dal cappello, e tirò fuori una pistola. Dio, sarei scoppiato a ridergli in faccia se non fossi così educato. "Scendi."
"Non credo proprio." incrociai le braccia e mi sistemai meglio sul sedile, comodo comodo. In realtà ero già con la mano destra piazzata sulla mia adorata Browning HP  "Dovrei farlo perché mi minacci con una pistola?"
"Non era ovvio?" scese e venne ad aprirmi lo sportello, che cavaliere! "Scendi.” ripeté con un gesto annoiato della pistola. Io non avrei mai maneggiato la pistola con tanta non curanza. E' la regola base: mai perdere la mira. Mai.
"Vecchio." Girai la testa verso di lui, poi guardai la pistola. "Se vuoi minacciare le persone, fallo con una pistola che sia vera."
"Oh, ma questa lo è." Sorrise come se il suo bluff non fosse appena stato scoperto.
"No, non lo è." quindi tirai fuori la mia pistola dalla giacca e gliela puntai contro. "Ma questa sì, fidati."
Scesi dal taxi tenendolo a tiro, gustandomi la sua faccia ebete. Non c'è nulla di meglio che vedere la faccia di qualcuno quando gli punti contro una pistola: perdono qualsiasi maschera, qualsiasi bugia cessa e rimane solo la vera facciata: un piccolo, povero, miserabile, pezzo di carne la cui vita è appesa ad un filo.
"Il gatto ti ha mangiato la lingua?" finalmente mi concessi una risata, senza perdere la mira. "Dimmi, avevi intenzione di farmi fuori, derubarmi o cosa?"
Lui balbettò qualcosa, ma devo ammettere che si ricompose immediatamente. Piuttosto notevole.
"Niente di tutto ciò." Sorrise, il vecchio. "Volevo fare una sorta di gioco."
"Con una pistola finta?" risposi al sorriso, cosa che di solito spaventa maggiormente chi è sotto tiro -forse perché mi fa sembrare davvero squilibrato- "Ne conosco uno con una pistola vera, si chiama roulette russa, vuoi provare?"
"No." il modo in cui riuscì a mantenere la calma, ammetto, era quasi destabilizzante. "Qualcosa di simile, in ogni caso." portò una mano alla tasca del giubbotto e io tesi di più il braccio, ricordandogli che ero io a decidere cosa poteva fare.
"Non ti ho detto che puoi muovere le mani."
"Volevo solo prendere queste." innocentemente mi mostrò due boccettine con dentro una manciata di pillole.
"Che c'è, sei malato?" e lo era, come ho scoperto dopo da fonte autorevole.
"Si tratta di un gioco di probabilità che faccio con i miei clienti." Mi spiegò come se stesse valutando se farlo oppure no, poi lanciò una occhiata alla pistola e decise che non ne valeva la pena. "Ma con te, credo non sia il gioco adatto."
"No, non lo è." mi agitò praticamente le fiale davanti al naso per farmi cedere. Fortuna che non sono un tipo troppo curioso, non con la pistola in mano almeno. Davvero, oggi giorno la gente tenta di venderti di tutto sperando che ti interessi.
"Peccato." disse,  semplicemente, con il tono di chi cerca di intrappolarti con l'indifferenza.
"Non un'altra parola." Lo fermai subito. "Mi hai stufato. Ora tu mi porti dove ti ho chiesto, ci scordiamo questa storia, e cerchi di fare fuori qualcun altro."
Capiamoci, non sono un tipo da sprecare pallottole su un povero tassista sfigato. Ogni pallottola è soldo contante che mi entra in tasca, quindi perché dovrei usarle se non necessario?
Ovviamente mi portò alla mia macchina, e ovviamente non gli pagai nemmeno la corsa. Anche se avrei dovuto calcolando che, diavolo, mi ero proprio divertito. Una scossa di adrenalina inaspettata fa sempre piacere. Spezzare un po' la monotonia non è male, anzi, è quasi rigenerante.
Ma la monotonia non è più una parola adatta alla mia vita -o forse tornerà ad esserlo molto presto, ma non voglio pensarci-, non lo è da quando, il giorno dopo l'incontro con il tassista, ho ricevuto un sms.
Di solito i miei clienti mi chiamano per offrirmi un lavoro, ma ricevere istruzioni anche solo via sms non è insolito, quindi non mi sono sorpreso che squillasse dal nulla, né mi sono sorpreso quando non ho riconosciuto il mittente. Di solito ogni nuovo lavoro inizia così. Quindi immaginatevi con quale calma e con quale assoluta naturalezza ho preso il cellulare e ho letto quel messaggio.
Solo che, non era un messaggio come i solito. Quando l'ho lessi non potevo sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova vita.
Non che dicesse molto, ma anche quello era assolutamente nella norma. Recitava.

Ho un lavoro per voi che vi piacerà.
JM.

E diavolo se aveva ragione.


 

Un paio di messaggi dopo e decidemmo dove incontrarci. Quel giorno non potevo ancora saperlo, ma ci incontrammo nel suo appartamento -quello che qualche settimana dopo divenne il nostro appartamento per tacito accordo-, non in qualche posto scenografico come lo avrei visto fare nei mesi successivi. Beh, era un affare importante per lui, quindi valeva la pena rimanere al sicuro nelle mura di casa sua.
Jim ha un gusto quasi morboso per la moda, ma in quanto ad arredamento è un tipo molto semplice, soprattutto tenendo conto delle sue finanze. Semplicità che viene compensata dalla quantità di mobilio: solo il soggiorno ha due divani e due poltrone, una intera parete a libreria, uno scrittoio, un'altra parete con la sua collezione di dischi e il tavolo per il giradischi, un altro tavolo con un paio di telefoni (ogni tanto ne ho fatto sparire qualcuno, giusto per avere un minimo di tranquillità. Quando si mettevano a squillare tutti insieme, tipo centralino, il mio istinto omicida veniva messo a dura, durissima prova.), un'altro tavolo con sopra la tv e la radio. Io ve l'ho descritta in ordine, secondo il senso logico che dovrebbe avere, ma a vederla come stanza è decisamente confusionaria, troppo grande e senza coerenza di tutti quei minimi spazi. Contento Jim, comunque, contenti tutti, funziona così. Anche perché chi non è contento viene fatto fuori, spesso da me.
Non so bene chi mi ero aspettato di incontrare, per me le iniziali JM non avevano alcun significato, ma di sicuro non mi aspettavo di incontrare un tipo come Jim. Al primo sguardo mi sembrò troppo ordinario per essere una persona interessata ad assoldarmi.
Devo specificare che mi ero clamorosamente sbagliato?
Fu lui in prima persona ad aprirmi la porta, mi squadrò e assunse un'espressione divertita.
"Sebastian Moran." disse semplicemente, come se mi conoscesse da una vita. Oh, ovviamente era così, ma ci arriveremo. "Dimmi, Mr. Crab ti ha fatto uccidere Mr. Herondale per poterne sposare la vedova o per riprendersi la compagnia?"
"Come..." di solito certe informazioni non diventano di dominio pubblico, quindi riuscì a prendermi in contropiede.
"Come faccio a saperlo?" roteò gli occhi mentre entravamo nel sopracitato soggiorno. "Dovresti preoccuparti se non lo sapessi."
"Sono informazioni confidenziali." ribattei io sulla difensiva.
"No, nessuna informazione è confidenziale." si lasciò cadere su una delle due poltrone, sbuffando come un ragazzino. "Siamo nell'epoca del Grande Fratello! Non esistono segreti o informazioni confidenziali."
Non per lui, almeno.
"Quindi, per la vedova o per la compagnia?" mi chiese di nuovo.
"Dovreste sapere anche questo, no?"
Non mi rispose, si limitò a sorridermi, facendomi capire che sapeva quello e anche tutti i retroscena della storia. Magari sapeva anche che avevo dovuto inseguire il bersaglio per due giorni interi, facendomi fare fesso da un uomo di mezza età troppo paranoico per darmi una buona occasione per colpire.
"Sono lavori noiosi, vero?" non era realmente una domanda. Ecco, una delle prime cose che ho imparato di Jim, che imparai già da quel primo incontro: le sue domande sono solo affermazioni. "Tutti uguali, metodici, tutti con lo stesso risultato." storse il naso. "Il classico esempio di lavoro alienante."
"Io mi diverto." replicai onestamente.
"Oh, è ovvio." Continuò a sorridere. "Altrimenti l'esercito britannico avrebbe continuato ad utilizzare i tuoi servigi, invece di cacciarti. Scelta radicale che di solito tendono ad evitare. Devi proprio averli sfidati molto apertamente per non lasciargli possibilità di prendere altre scappatoie."
Nemmeno quella era una notizia di dominio pubblico, non apertamente almeno, qualche cliente lo era venuto a sapere, per una pura questione di affari, ma erano passati abbastanza anni perché i miei clienti mi assoldassero per i colpi portati a segno, senza preoccuparsi del come e del perché sapevo usare un fucile di precisione.
"Evidentemente." cercai di capire quanto sapesse di me e quanto stesse tirando ad indovinare, ma non ci riuscii, non che mi importasse realmente. "Sapete parecchie cose sul mio conto, io so solo le vostre iniziali."
"E comunque sono bastate per portarti qui." sottolineò lui, poi mi indicò la poltrona davanti alla sua. "Siediti, Sebastian" nonostante la voce sottile e fintamente cortese, l'ordine fu ben chiaro.
"Non sono state le iniziali, ma il lavoro." precisai io sedendomi. Non potevo sapere che quello scenario sarebbe diventato famigliare, la consuetudine per noi due, ma è la riprova che le abitudini si prendo da subito, istintivamente.
"Dritto al nocciolo del problema." commentò lui atono. "Dritto per la tua strada, con un bel paio di paraocchi nel caso qualcosa possa distrarti."
"Solitamente è quello che mi viene richiesto, alla gente non piace quando inizi a chiedere perché devi fare fuori qualcuno. Anche se finiscono sempre col dirtelo."
"Non offenderti, ora." tutta quella gentilezza che mostrava era studiata al millimetro, un abito cucito su misura come il Westwood blu notte che aveva addosso. Non è il momento di parlare dell'ossessione di Jim per la moda, ma ci tengo a dire da subito che era una grandissima parte della sua personalità: l'ho visto pensare per ore a cosa indossare. L'abito fa il monaco, e Jim ne era consapevole. "Non è nemmeno colpa tua, se ti può far stare meglio: anche se cacciato, rimani un soldatino."
Cosa che non potei negare apertamente."Il lavoro." ripetei semplicemente.
"E va bene." sbuffò, come se la cosa lo infastidisse -e probabilmente era esattamente così-. "Tu non hai idea di chi io sia, vero Sebastian?"
"Nessuna." Confermò. Oh, non che ora ce l'abbia, sia chiaro.
"Questo perché non fai domande e vai dritto al nocciolo del problema." commentò deluso. "Se tu avessi ascoltato, invece di limitarti a fare il tuo lavoro, potremmo saltare questa noiosissima parte."
"Ascoltato cosa?"
"I sussurri, Sebastian." si strinse nelle spalle. "Non ti sei accorto che gli ultimi..." contò brevemente storcendo il naso. "..sei lavori avevano un denominatore comune?"
No, non me ne ero accorto, e lui me lo lesse in faccia.
"Perché nessuno presta mai attenzione ai dettagli." si lamentò passandosi una mano sul volto. "Non è difficile, sono lì in bella vista e tutti li ignorano! In ogni caso, tornando a noi. Ti ho messo alla prova."
"Cos'è, siamo tornati alle elementari?" era una eventualità ridicola, non dopo tutti gli anni di onorato servizio, intendiamoci.
"No, era una prova per passare al livello successivo." tornò a sorridere, ma i sorrisi di Jim sono sempre così inquietanti che non mi aiutò minimamente. Non so come spiegarvi la sensazione: quell'uomo sembrava sapere tutto di me, sembrava tenere tra le mani il segreto stesso della mia esistenza. E ancora oggi lo penso, a dirla tutta, e delle volte penso che in qualche modo se sono quello che sono è per che lui ha voluto così, che io fossi solo parte di un piano che aveva iniziato a programmare anni e anni e anni addietro. Ma magari sono solo paranoico. "E l'hai passata brillantemente, per onor del vero. Non che mi aspettassi diversamente, non da te. Sei abbastanza famoso per esserti guadagnato un briciolo della mia fiducia, ma dovevo essere sicuro. Sapere se eri l'uomo per questo lavoro, o uno dei tanti. Non potevo certo farmelo dire dagli altri, gli altri sono tutti dei plateali idioti, non vedo perché dovrei fidarmi di loro; quindi dovevo metterti alla prova. Sei uccisioni da manuale, ma non mi bastavano."
"Una settima?"
"No, non dire fesserie. Ovvio che ucciderai ancora ma non sarà per prova, no. Avevo bisogno di conoscerti. Vedere con i miei occhi."
"Cercando cosa?"
"L'assoluta mancanza di rimorso e di coscienza." parole così pregne di significato per lui erano solo parole, le disse come se fosse assolutamente naturale non provare rimorso ad uccidere persone.
Non gli chiesi che risposta aveva avuto: eravamo ancora lì a parlare, dopotutto. E poi non voglio prendere in giro nessuno: non sono il tipo di assassino che dopo l'uccisione dice una preghiera per la sua vittima. Non prego più neanche per la mia anima. Quella è roba da grandi romanzi, non accade nella realtà.
"James Moriarty." si presentò finalmente e, so che sembra ridicolo dirlo, ma quel nome mi mise i brividi. Era un nome che non prometteva assolutamente nulla di buono, un nome altisonante, importante. Un nome di una persona adatta a grandi cose. "Ma puoi chiamarmi Jim."
"Non ne vedo il motivo." replicai stringendomi nelle spalle. "Qual è questo lavoro tanto importante?"
"Vedi Sebastian, mi considero un benefattore del crimine. Alcuni individui non sanno neanche da dove iniziare, altri non vogliono rimanere troppo immischiati, quindi ci penso io. Far sparire mogli, uccidere fidanzati, creare nuove identità, far saltare in aria un ristorante per incassare l'assicurazione, rubare informazioni dei servizi segreti, ricattare il primo ministro: nulla è un problema. Non c'è problema che non riesca a risolvere e per questo i suddetti individui si rivolgono a me, io li accontento e tutti siamo felici." fu quello che più meno mi disse con assoluta calma. "Ma io sono solo la mente, io trovo la soluzione, ma questo non basta, oh no. Qualcuno deve anche mettere in atto i miei piani per arrivare allo scopo. Non mi piace sporcarmi le mani, Sebastian, è così poco...elegante." storse il naso e scosse la testa.
"E qui entro in scena io." quella era la parte semplice da capire. "Ma se fosse un lavoro come un'altro non mi avreste messo alla prova."
"Non è un lavoro come un'altro." i suoi occhi brillarono per un breve istante. "Quando tutto è così semplice, ci si annoia, e io sono annoiato a morte. Sai dirmi cosa fa una persona quando si annoia, Sebastian?"
"Si cerca un hobby?"
"Trova qualcuno con cui giocare." rispose senza neanche ascoltare la mia risposta. "Sto per iniziare un gioco Sebastian, un gioco che richiede abilità e pazienza, un gioco in cui nessun elemento può essere lasciato al caso, un gioco in cui anche chi tiene il fucile è  basilare."
"Solitamente, è così." gli feci notare. Non chiedetemi descrivermi le mie sensazioni, perché sarebbe impossibile. Avevo davanti un folle, era l'unica cosa di cui ero sicuro, un folle pericoloso perché tutto ciò che diceva aveva senso, eppure ero curioso. Una falena attratta dalla luce. Sappiamo come finisce, però, la falena si brucia.
"No, no, non essere stupido." sbuffò, "E' il piano che fa la differenza. Senza trappola l'esca non ha senso."
"Quindi quale sarebbe il mio lavoro?"
"Ho aspettato una vita intera di trovare qualcuno degno di giocare con me, potrei dire che è il momento più importante della mia esistenza. Nulla deve essere lasciato al caso, devo avere al mio fianco qualcuno di cui possa fidarmi."
"Delle cui abilità possiate fidarvi." lo corressi. Era il solito discorso che mi ero sentito dire un milione di volte.
"Ho bisogno di qualcuno che si sporchi le mani per me e che segua i miei ordini, Sebastian, però essere il migliore sulla piazza non è ciò che ti ha garantito il posto."
"E cosa allora?"
"Essere il meno stupido."
Il meno stupido. Avevo perfino scordato che me l'aveva detto sin dal nostro primo incontro. Essere il meno stupido era già un grosso traguardo agli occhi di Jim, perché solitamente il resto del mondo è costituito da idioti lobotomizzati. Io invece ero il meno stupido. Mi sarei dovuto sentire lusingato, probabilmente, ma non l'ho mai fatto, non gli ho mai dato il giusto peso, vivendolo sempre e solo come un insulto. No, non un insulto, come un non-apprezzamento.
"Mi sembra un lavoro piuttosto facile." commentai sorvolando sullo stupido. "E a giudicare dalla casa direi che potete anche pagare bene, si può fare."
"Pardon?" sbatté le palpebre sorpreso. "Si può fare?" ripeté le mie parole e poi aggiunse "Ho mai lasciato intendere che la questione fosse negoziabile?"
"Solitamente..."
Non feci in tempo a finire quella prima parola che Jim aveva ripreso a parlare. "Togliti quella parola dalla testa, Sebastian Moran. Non è il solito lavoro, io non sono il solito cliente, tu non sei il solito cecchino. Quello che sta per iniziare non è solito, è insolito. E' unico. E farai bene a ricordartelo."
Credo che fu in quel momento che iniziai a provare la sottile paura che mi sarei sempre portato dentro stando a fianco di Jim: non l'ho mai mostrata, ma sapevo che c'era. Quel tono duro, tagliente, anche se inquietantemente calmo, una perenne minaccia...il tono di un serpente pronto a mordere inaspettatamente. Avere paura di Jim non era un segno di debolezza, era essere consapevoli di essere al fianco dell'uomo più pericoloso d'Inghilterra.
"Inteso." borbottai.
"Il messaggio diceva: ho un lavoro per voi che vi piacerà, non voglio offrirvi un lavoro che potrebbe piacervi. Affermazione, nessuna traccia di condizionale."
Mi limitai ad annuire e lui sembrò soddisfatto di quella ramanzina. Ammetto che l'avrei voluto comunque prendere a pugni, paura o no. Durante quel primo incontro fu arrogante, superiore, troppo sicuro di sé, troppo bravo nel sminuirmi; e onestamente odio essere sminuito, ma dall'altro canto, un lavoro non si rifiuta mai.
"Bene, ci siamo intesi, meraviglioso. Ora puoi andare." con entrambe le mani fece segno di allontanarmi, neanche fossi una mosca fastidiosa. "Naturalmente, non prenderai altri lavori, almeno che non sia io a dirtelo."
"Perché avevo l'idea che l'avreste detto?" chiesi ironico alzandomi dalla poltrona. "So la strada, non disturbatevi." e mi allontanai. All'eccentricità ci si abitua, a forza di vivere di lavori santuari,
"Ah, Sebastian." mi chiamò prima che potessi sparire oltre la porta. "Deludimi e ti faccio cavare gli occhi dalle orbite dal tuo sostituto."
Non so ancora se mi fece più paura l'eventualità che mi fossero cavati gli occhi o che qualcun'altro prendesse il mio posto.




 

Jim non si fece sentire per settimane e io mi annoiai a morte. Rifiutai un paio di lavori e sapere che qualcun'altro era a Praga o Bristol al posto mio mi fece imbestialire. La cosa divertente è che continuai a dirmi che avevo tra le mani un lavoro di gran lunga più importante senza sapere esattamente in cosa consistesse. Ovviamente feci delle ricerche sul mio nuovo datore di lavoro, contattando di nuovo i miei ultimi contatti e infrangendo qualsiasi regola base del mio lavoro; scoprii che tutti erano ricorsi a Jim per risolvere delle questioni e che chiamare me -non altri, ma mè(me)- era parte dei consigli che Jim gli aveva dato. Il bastardo mi aveva davvero messo alla prova e io non mi ero accorto assolutamente di nulla. Ma se fosse così facile accorgersi dell'operato di Jim, non sarebbe  la grande mente criminale che è, dopotutto.

Come ho detto, Jim non si fece sentire per settimane, fino al 26 di Gennaio, quando ricevetti un'altro messaggio.

Ti trasferisci qui.

Vieni al mio appartamento.

Ora.

JM

La concezione di "ora" di Jim e la mia differiscono particolarmente, visto che la mia contempla un tempo minimo di spostamento. Avrebbe dovuto scrivere "teletrasportati" così avrebbe evitato di farmi una scenata la sera stessa.

Quel giorno scoprii un'altra delle grandi prerogative di Jim: non farsi mai prendere di sorpresa, ma tenere tutto e tutti sotto controllo. Non ero neanche arrivato davanti alla porta di casa sua che mi arrivò un'altro messaggio:

E' aperto.

JM

E io entrai. Non chiedetemi come faceva a sapere che io ero lì, davanti alla porta come un idiota, e non chiedetemi come fa un genio del crimine a lasciare la porta di casa aperta. Onestamente, io preferisco pensare che l'avesse lasciata aperta apposta per me. No, non iniziate a farvi strane idee, a quel tempo non c'era nessun sintomo di quello che sarebbe successo dopo; penso solo che Jim sia un maestro nel creare le atmosfere più adatte. Mi sentii osservato,(spazio)destabilizzato, e sono sicuro che era ciò che voleva.

L'appartamento era nel totale caos, tutto l'ordine e la precisione che vi avevo trovato erano spariti, finiti chissà dove, anche qualche mobile aveva fatto una brutta fine, rimpiazzato da altri completamente differenti. Come ho detto Jim è un maestro nel creare atmosfere: entrando nell'appartamento mi sentii travolto da un tornado. Quel posto sembrava abitato da una persona diversa da quella che avevo conosciuto.

"Sei in ritardo, Sebastian." la voce provenne chiaramente dal soggiorno e in quella direzione mi incamminai dopo aver chiuso di colpo la porta in segno di protesta.

"Sono arrivato il prima possibile." replicai scocciato. Non sono un viziato, ma i miei clienti mi trattano in modo completamente diverso. Di solito però è perché hanno paura e di sicuro Jim non aveva motivo per avere paura di me. Insomma, un uomo del genere di cosa può avere paura?

"La prossima volta, fai prima," concluse con una occhiataccia.

Come ho detto l'appartamento sembrava abitato da una persona diversa e beh, Jim sembrava diverso. Con addosso una semplice t-shirt e jeans non sembrava minimamente la mente criminale che avevo incontrato. Aveva una aspetto orribile, di sicuro non dormiva da giorni, ma le energie non sembravano mancargli. Era in uno stato febbrile che lo rendeva anche più inquietante.

Fu solo dopo qualche secondo che notai il muro tappezzato di ritagli di giornali e foto. Una intera parete, non un centimetro lasciato scoperto, ricoperta dalla stessa identica faccia. I titoli dei giornali che riuscii a leggere parlavano tutti di casi che la polizia, ma nulla di eclatante, la maggioranza delle foto invece erano chiaramente state scattate di nascosto. Conosco il genere di foto, sono foto del genere che mi vengono passate in fascicoli totalmente anonimi prima di un lavoro.

"Il mio bersaglio?" chiesi quando capì che Jim non voleva saperne di dirmi qualcosa.

"Non se ti piace respirare."

Roteai gli occhi e mi dissi di abituarmi ai suoi modi, il che equivaleva a tenere la bocca chiusa e non rispondere.

"E allora chi è?" domandai comunque continuando ad osservare la parete. Erano quasi tutti casi di omicidio, fatta eccezione per qualche sparizione, e tutti risolti da un certo detective ispettore Lestrade, ma la sua faccia non era quella dell'uomo delle altre foto. Non sarebbero potuti essere più differenti, quindi mi chiesi davvero quale diavolo fosse la connessione.

"Il mio compagno di giochi." mi rispose Jim con un tono che definirei vellutato. Non dovette specificare di quale gioco stessimo parlando, era palese che stavamo semplicemente continuando il discorso di qualche settimana prima. "Sherlock Holmes."

Fu la prima volta che sentii quel nome e da allora, dopo il mio nome, è quello che ho sentito dire più spesso a Jim nell'ultimo anno e mezzo; l'ho sentito così tante volte da esserne quasi nauseato, giuro. Purtroppo non è valida la regola per cui ripetendo moltissime volte di seguito la stessa parola essa perde di significato. Oh no, il nome di Sherlock Holmes semmai ne acquista uno nuovo ogni volta che viene pronunciato.

"Che razza di nome è Sherlock?" commentai staccando una delle foto dalla parete, e stranamente Jim non disse nulla su quella piccola libertà. Per abitudine ne studiai le fattezze: sì aveva qualche caratteristica particolare, l'essere pericolosamente magro, gli zigomi particolarmente pronunciati, ma nulla che mi lasciasse capire perché Jim se ne fosse interessato. "Come mai lui?"

Regola numero uno: se si deve fare una domanda a Jim, che sia pertinenze e calzante.

"Perché è l'unico con cui io possa giocare." mi strappò la foto di mano e la rimise a posto, un gesto che mi sembrò quasi geloso. Non so quale utilità avesse quel collage sulla parete, ma sembrava vitale per Jim in quel momento. "L'unico alla mia altezza, Sebastian, l'unico che sia un degno avversario."

"Un'altra brillante mentre criminale?" ne ero quasi convinto, ma decisi di chiedere comunque. Dare qualcosa per scontato è più o meno un suicidio quando si vive con Jim.

"Non essere ridicolo." rise quasi, e rise della mia stupidità. "Semmai è il contrario. Lui è il buon samaritano, aiuta la polizia quando brancola nel buio. No, no, così lo faccio sembrare troppo buono." si fermò improvvisamente. Divenne quasi una statua mentre la sua mente elaborò il pensiero successivo. "Lo fa perché si annoia, come me, non perché vuole aiutare la polizia. Lo fa perché deve far lavorare il cervello."

"Okay, abbiamo appurato che siete più o meno come il polo nord e il polo sud." tagliai corto io prima che Jim potesse iniziare una lunghissima spiegazione. Non so perché, ma avevo la sensazione che avrebbe potuto parlare di Sherlock per ore. Ma chi voglio prendere in giro? Ne avrebbe potuto parlare per giorni. "Ma se non devo farlo fuori, perché mi ha chiamato?"

"Perché il gioco sta per iniziare, e di conseguenza anche il tuo lavoro." mi spiegò annoiato. Ai suoi occhi devo essere sempre stato nulla più che un bambino che a malapena si regge in piedi, ma almeno non sono mai stato noioso.

"D'accordo..." borbottai vedendolo scomparire oltre la porta della cucina. "Ma di preciso che devo fare?"

"Oh, per ora nulla." mi rispose circa cinque minuti dopo, quando tornò in soggiorno. Non sto scherzando, dovetti aspettare quella risposta per 5 dannatissimi minuti. "Ora dobbiamo solo aspettare che scatti la molla che azionerà le prossime azioni." aveva tra le mani una tazza di the caldo e capii perché avevo aspettato così tanto. Certo, per lui farsi un the tra una frase e l'altra doveva sembrare assolutamente normale. "Gli ho mandato il mio biglietto da visita." e indicò un'altra foto.

Scoppiai a ridere, di cuore, come non mi capitava dalle scuole superiori -non che nell'esercito avessi avuto molto modo di ridere- "Il vecchio tassista?"

"Il povero diavolo sta per morire." mi spiegò Jim. "E cercava un modo di garantire alla famiglia un minimo di sussistenza, quindi è venuto da me. Gli ho fatto un'offerta decisamente vantaggiosa: ad ogni persona uccisa versavo un piccolo contributo a mamma e figlioli."

"Le pillole." non so come, ma mi rivennero subito in mente quelle stupide boccette e il loro contenuto. Mi rivenne in mente il tassista che mi diceva che voleva solo fare un gioco. Quel povero diavolo era solo una marionetta nelle mani dell'uomo di fronte a me che stava bevendo una tazza di the con assoluta calma.

"Sono sbalordito." commentò quasi compiaciuto. Oh, al diavolo! Lo era davvero.

"E il giorno dopo mi è arrivato il vostro messaggio." continuai senza più alcuna voglia di ridere. "Ve l'ha detto lui o mi stavate osservando?"

"Tutte e due le cose." Jim si strinse nelle spalle e andò verso la grande finestra, contemplò Londra che si muoveva al di sotto, ignara di essere teatro di tali atrocità. "Ammetto che il vostro incontro non l'avevo programmato: ha fatto tutto il fato." e nella sua voce potei sentire una sorta di allegria. "Perfino il fato si adegua ad aiutarmi."

"Non state un tantino esagerando?" commentai perplesso.

"Al contrario Sebastian, sono modesto. Potevo tranquillamente dirti che io e il fato siamo un unico concetto."

Mi morsi la lingua, quasi letteralmente, perché istintivamente avrei voluto dirgli che era uno psicopatico megalomane, ma sapevo che non avrei respirato a lungo dopo una affermazione di quel tipo. A quel tempo non ero ancora affascinato da quei discorsi, dal modo in cui lui vedeva se stesso, ma non lo sarei stato a lungo.

"So che ruolo ho io in questo gioco." cambiai argomento velocemente. "Ma a che vi serve il tassista?"

"Come ti ho detto è il mio biglietto da visita. Suicidi seriali...Sherlock non resisterà alla voglia di risolvere il mistero, capirà che il tassista è la chiave e allora..." si bloccò di nuovo, come poco prima. Nel silenzio dell'appartamento potei quasi sentire il suo cervello elaborare le informazioni -no,anzi, sono convinto che stesse già vedendo come si sarebbero svolti gli eventi, e aspettai. "Allora sarà disposto a morire pur di dimostrare che è abbastanza intelligente da capire qual è la pillola innocua. Cosa che, per inciso, farà sicuramente."

"Ancora non ho capito." mi arresi.

"Pensi davvero che Sherlock non cercherà in tutti i modi di farsi dire il nome di chi ha creato un piano così geniale? Il nostro tassista ha solo un compito realmente. Deve dire solo un semplice nome."

"Il vostro." e fu in quel momento che la cosa iniziò ad affascinarmi. Soprattutto perché poi andò esattamente in quel modo.

"Buffo come un semplice nome possa essere un chiarissimo messaggio."

"Ciao Sherlock, ti va di giocare con me?" continuai io per lui.

"Sebastian, sei anche meno stupido di quanto credessi." si volto verso di me con una espressione incredula sul volto, ma tornò subito serio.

"Però non siete stato onesto." gli feci notare. "Non sono l'unico a cui fate sporcare le mani al posto vostro."

"Geloso?" ci mise una puntina di malizia di troppo, ma la ignorai.

"Ferito nell'orgoglio." Replicai neutro.

"Povero cucciolo." continuò deciso ad avere l'ultima parola.

E improvvisamente sembrò del tutto naturale essere lì in quel soggiorno a punzecchiarsi come se fossimo...amici di vecchia data? Solitamente quando mi viene affidato un lavoro non perdo tempo col committente. Ma Jim l'aveva detto: quello non era il solito lavoro e oramai me ne ero fatto una ragione.

"Dov'è la tua roba, Sebastian?" mi chiese improvvisamente, ma con assoluta calma, sorseggiando il the con meticolosità.

"La mia roba?" chiesi confuso.

"Che problema hai con i messaggi che ti mando?" sbottò seccato. Si allontanò dalla finestra, mi sfilò accanto e scomparve di nuovo in cucina, ma almeno continuò a parlarmi. "Eppure sono molto attento nell'usare un linguaggio comprensibile anche alla gente normale!"

Avete presente quando siete consapevole di essere appena stati insultati eppure non ne siete completamente sicuri?

"Non era chiaro che ti saresti trasferito qui, visto che l'ho scritto?" continuò imperterrito. "Sebastian non amo ripetermi, sia chiaro. Un ordine è un ordine, stupido che ti possa sembrare."

"Sissignore." risposti d'istinto. Erano anni che non rispondevo a qualcuno in quel modo e mi venne in mente quello che Jim mi aveva detto: che ero un soldatino. E lo ero ancora, anche se pensavo di essermi liberato di certe costrizioni mentali da tempo. In realtà avevo solo cambiato vessillo. La mia fedeltà era passata dall’esercito a Jim.

"Sei ancora qui, quindi?" Jim tornò dalla cucina, evidentemente sorpreso di vedermi ancora in piedi come uno stoccafisso.

"Presumo di no." affermai tirando i muscoli della faccia in quello che doveva sembrare un sorriso. Non tentai nemmeno di sembrare convincente, tanto Jim non ci sarebbe cascato.

"Non fare quella faccia. Non dirmi che hai voglia di restare in quel covo dove abiti ora. Oltretutto non so come fai ad essere in arretrato con l'affitto."

No, non mi sorpresi minimamente. Avevo superato da un bel pezzo quella fase.

"Quanto tempo ho per i bagagli?"

"Sei già in ritardo."

Trovai quell'appunto così divertente che uscì dall'appartamento ridendo.

L'appartamento dove abitavo era davvero un buco: soggiorno minuscolo, minuscola stanza da letto, bagno proporzionato al tutto, angolo cottura e fine. Non avevo bisogno di molto altro, onestamente: era davvero solo un covo tra uno spostamento e l'altro. E poi dovevo mantenere l'apparenza di un povero disgraziato che campava con un minimo di liquidazione, visto che tutti nel palazzo sapevano che non avevo alcun lavoro. Ecco spiegato perché ero in arretrato con l'affitto. Jim non è l'unico che sa mettere in piedi grosse messe in scene.

Feci i bagagli alla meno peggio, infilando roba su roba nelle valige, senza troppi pensieri: li avrei dovuti disfare la mattina successiva, che senso aveva mettersi lì ad ordinarli? L'uniche cose di cui mi presi cura erano i miei fucili e le restanti armi, come al solito.

Di solito questo è il punto in cui l'eroe della storia, lasciando un luogo famigliare, si sente sperduto e ciò lo porta a farsi forza in qualche modo: io me ne andai senza tante cerimonie. Ero così abituato ad andarmene da lì che chiudermi la porta alle spalle era diventato un gesto abitudinario. A non essere abitudinarie erano le valigie con i miei vestiti, qualche libro, e qualche altro ninnolo che volevo portarmi dietro. Il resto sarebbe potuto anche bruciare e me ne sarebbe importato poco.

Me ne andai in piena notte, come un ladro, così che nessuno mi avrebbe visto e per tutti sarei semplicemente svanito nell'aria (Jim sarebbe stato fiero di me, probabilmente) , chiudendo magistralmente quel capitolo della mia vita.

Fu così che la mattina successiva mi trasferii da Jim.

Fu così che il suo appartamento divenne il nostro appartamento.

E fu così che divenni a tutti gli effetti una pedina del suo gioco.

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Sacchan