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Autore: Vichannie    02/03/2012    1 recensioni
Matt Tuck alle prese con i suoi vecchi schelettri. Deciderà di "mettere da parte" il triste passato per andare avanti e vivere il suo presente e futuro con Charlie e il futuro figlio (l'ho ambientato nel 1996 e poi nel 2010, quando Evann non era ancora nato).
E' la mia prima fanfiction in assoluto, non uccidetemi xD avevo un'idea molto diversa per questa storia, ma alla fine la mia "voglia" di scrivere cose drammatiche ha preso il sopravvento ed è nato questo racconto...
Grazie a chi legge e recensisce, ma anche a chi semplicemente spreca tempo a leggere i miei viaggi mentali :)
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Ci stava riuscendo! Ancora non poteva crederci.
  Allungò una mano cercando qualche appiglio in quella marea di fans impazziti e urlanti, per riuscire a non farsi riportare verso le porte d’entrata.
  Il locale aveva un soffitto alto e a volta, le pareti erano principalmente color panna, ma c’erano disegni di fiori stilizzati di tutti i colori che rallegravano alcune pareti, partendo dal pavimento e risalendo il muro fin dove gli era stato concesso dall’artista. C’erano due grandi vetrate, sulle quali sbatteva una leggera pioggia invernale.
  Dabria non se n’era neanche accorta, come probabilmente nessuno in quel pub. D'altronde erano tutti troppo occupati a risalire la corrente come salmoni, per arrivare al loro obiettivo.
  Trovò quella che sembrava essere una spalla, e ci si appigliò con tutte le sue forze. Tu guarda, era pure una spalla amica.
  Il biondino si girò con sguardo truce, pronto ad aggredirla verbalmente, ma subito si rilassò vedendo l’amica. Le prese la mano, e la attirò a sé molto facilmente, vista anche la differenza sostanziale di corporatura.
  -- Dabria! Credevo di averti smarrita nella folla per sempre! -- le urlò, cercando di sovrastare gli starnazzi attorno a loro. Più si avvicinavano alla bancata, più la tensione saliva - anche quella dei corpi che li circondavano del tutto. La tirò un po’ più a sé e le diede un veloce bacio sulla guancia, riuscendo per poco a non farsi superare.
  Era il loro turno.
  Si avvicinarono insieme timorosi e ancora mano nella mano, troppo emozionati dalla figura imponente del loro idolo per accorgersi del resto.
  -- Ditemi, ragazzi. Volete un autografo o una foto? -- gli chiese lui, vedendo che non intendevano spiccicare parola. Aveva un marcato accento americano.
  I ragazzi, come risvegliati da una trance dalla voce tanto amata, sbatterono contemporaneamente le palpebre.
  -- S-si, vorremmo un autografo, e se possibile anche una foto. -- rispose lei, con aria speranzosa e avvicinandogli un pezzo di carta. Il ragazzo, invece, tirò fuori dalla tracolla una t-shirt bianca, lasciandole la mano.
  -- Okay, volete dirmi i vostri nomi? -- prese una penna e fece un sorriso alquanto di circostanza.
  -- Io mi chiamo Dabria. Lui è Matt.
  -- Allora… A Dabria, spero di vederti presto tra la folla di un nostro concerto. James Hetfield. Fatto! -- risorrise e le diede in dietro il pezzo di carta.
  Non sarebbe potuta essere più felice. Aveva avuto un autografo con dedica da Hetfield, il cantante del suo gruppo preferito, i Metallica. Era al Full Land Pub, a Bridgend. Non si era dovuta spostare, se non di qualche via, da casa sua. E in più era lì con il suo Matt.
  Era il suo turno, ora. Peccato che fosse imbambolato davanti all’altro biondo.
  L’amica gli prese la mano, cercando i suoi occhi turchesi che subito affogarono nei suoi grigi. Gli sorrise e subito si riprese.
  -- Oh, scusa! E’ l’emozione. -- si scusò lui, stendendo la maglietta su quello che era una serie di tavolini di legno di ciliegio risalente ai primi anni ’70.
  L’altro sembrò rimanere un po’ perplesso. Lo guardò inarcando le sopraciglia.
  -- Ehi, abbiamo un problema, amico!
  Matthew lo guardò senza capire, al che Hetfield fece roteare la penna tra l’indice, il medio e l’anulare della mano destra, come l’asta di una majorette. Ma il ragazzino sembrava proprio non capire, e assumevano secondo dopo secondo un’aria sempre più confusa e buffa.
  Dabria cercò di trattenere una risata alla vista della sua faccia, ma produsse una specie di grugnito che le fece guadagnare un’occhiata storta dal musicista che aveva davanti e dal chitarrista Kirk Hammet, alla sua sinistra.
  -- Oddio, non posso firmare una maglia con una penna a sfera, amico! -- sbuffò l’uomo.
  Lei, sentendo sempre più pressione e imprecazioni alle spalle nei loro confronti, tirò fuori velocemente il pennarello nero per tessuti dalla borsa dell’altro, passandolo a Hetfield che in cambio le rivolse uno sguardo di gratitudine.
  -- Che cosa vuoi che ti scriva, amico? -- chiese, pentendosene subito. Voleva sbrigarsi con quei due e, visti i precedenti problemi nel relazionarsi a quel Matt, avrebbe potuto evitare e fare la solita e monotona dedica. Ma ormai il danno era fatto.
  -- Il primo lancio di “Welcome home (Sanitarium)”. -- disse invece conciso e deciso. L’uomo ne rimase colpito, ma subito si mise a scrivere.
  Rise. Gli ridiede la maglietta e il pennarello, li salutò divertito ma stanco, e continuò a firmare autografi e scattare foto, mentre quei due strani ragazzi se ne andavano.
  Facendosi largo a spallate, riuscirono a uscire da quella prigione claustrofobica che era il locale quel giorno. Uscirono in quella fredda sera invernale, sentendosi pizzicare le guance e camminando sui marciapiedi umidi e dissestati.
  La ragazza, illuminata da un pensiero, si fermò d’improvviso con un sospiro.
  -- Cavolo! No, abbiamo dimenticato di farci la fotoo! -- disse, portandosi le mani al viso. Seguì un lungo momento di silenzio e, non sentendo risposta dal compagno d’avventura, guardò nella sua direzione.
  Vi trovò una visione divertentissima e al medesimo tempo allarmante: il ragazzo era praticamente accasciato a terra intento a trattenere le risate con le lacrime agli occhi. Non riusciva a respirare, diventando bluastro, e si teneva con una mano lo stomaco, e con l’altra reggeva la t-shirt, rimanendo piegato su se stesso.
  -- Matt, che c’è?
  Lui le sventolo la maglietta davanti alla faccia. Gliela prese e, cercando di stenderla come meglio poteva, lesse la dedica.
Sleep my friend and you will see
that dream is my reality.
They keep me locked up in this cage
can’t they see it’s my brain says rage.
A Matt, svegliati amico!
James Hetfield.
  Sicché anche Dabria si mise a ridere, ma, diversamente da Matthew, a squarciagola, dandogli anche la possibilità di liberarsi senza sentirsi uno stupido - da solo.
  Continuarono a camminare prendendosi a braccetto, ridendo sguaiatamente nelle stradine del centro di quella cittadina del Galles. S’incamminarono verso il parco vicino a casa loro, ripensando e scherzando sulla loro - o forse solo quella di Matt? - figuraccia.
  Si sedettero sulla loro solita panchina di legno affianco alla quercia secolare, infischiandosi dell’umidità del suo legno.
  Seguitarono a chiacchierare tutta la serata, non avendo un coprifuoco preciso da rispettare quella notte, e avendo già cenato al pub prima dell’arrivo dei Metallica.
  Parlavano di rime e canzoni, quando Matt si azzittì all’improvviso fissando l’orologio nero che teneva al polso. Sembrava andato in black-out improvviso, e Dabria seppe che non era diventato una statua solo quando, delicatamente, si risistemò la manica della felpa e riappoggiò il braccio sulla gamba. Nonostante tutto, proseguì a tenere lo sguardo basso, fissando un impreciso punto sulla strada.
  -- Matthew?! -- lo chiamò, chinandosi per guardarlo in faccia. -- Ehi, Matty-Matt! Che ti succ…
  E accadde tutto inaspettatamente, straordinariamente molto velocemente.
  Matt le prese il viso con le mani gelide coperte dai guanti con le dita tagliate da lei, e posò gentilmente le sue labbra carnose e perfette sulle sue rosate, mentre il grigio e il turchese delle loro iridi si fondevano, ricreavano il colore del cielo della passata, uggiosa giornata, e si promettevano fedeltà a dispetto del destino che gli aspettava giusto dietro l’angolo.
  Si sciolsero dal bacio dopo una coppia di secondi. Era stato breve ma dolce come una farfalla che si posa su un fiore appena nato, e profondo come l’oscuro Mare del Nord.
  Avevano entrambi gli occhi lucidi, consapevoli di cosa sarebbe successe a qualche ora dal sorgere del sole di quella nuova giornata di Febbraio. E come a sottolineare le loro lacrime trattenute, iniziò a piovere con strana indulgenza.
  -- Buon San Valentino, Dabria…
 
15 Febbraio 2010
 
  Erano passati quindici anni. Quindici, come il numero di quella giornata. Quindici, come gli anni che aveva lei.
  L’ormai rock star dai lunghi capelli nero-blu e gli occhi di ghiaccio era solo quella notte, come ogni anno. Era fidanzato e nel giro di un mese sarebbe diventato padre, aveva deciso che fosse la volta buona per fare una scelta.
  Guardava il cielo stellato, stranamente limpido, dall’enorme vetrata della stanza d’albergo della cittadina dell’Alabama in cui si era ritrovato, cercando di sfuggire ancora al passato. Non riusciva a dimenticare. Non credeva neanche di volerlo fare. Non sarebbe stato giusto nei suoi e nei propri confronti. Avrebbe dovuto trovare un modo per ricordarla senza però intralciare il suo presente e rovinare il suo futuro. Ricordava tutto come se non fosse passato neanche un giorno.
  Era stata una giornata così bella, nonostante fossero coscienti che si sarebbero dovuti separare. Lei doveva partire per il Canada, era la loro ultima serata. Il lato positivo? Be’, non era partita per il Canada. La verità? Lui avrebbe preferito che partisse, piuttosto che avere quella fine. Avrebbe preferito sentirla via lettera, andarla a trovare in quel paese così lontano, che vederla morire sotto i suoi occhi. Avrebbe preferito essere al suo posto.
  Aveva iniziato a piovere leggermente dopo il loro primo bacio, così tanto atteso da entrambi. Malgrado Matt sapesse cosa lei provava per lui, non era abbastanza sicuro ed estroverso per fare il primo passo. Erano sempre stati buoni compagni fin dall’infanzia, erano diventati migliori amici. Come poteva essere sicuro? Avrebbe potuto non volerlo come ragazzo, avrebbe potuto rovinare la loro relazione, avrebbe potuto fare qualcosa di sbagliato. Non si è mai sicuri in situazioni del genere. E d'altronde Matt non era neanche sicuro di cosa lui provasse, e cosa lui volesse.
  Erano così giovani. E per via di un adulto la sua vita si troncò. Gli adulti danno sempre regole ai più giovani, perché non vogliono facciano errori. Errori come uccidere. Se solo quell’uomo non avesse bevuto, per poi mettersi a guidare…
  Ricordava ancora i fanalini dell’utilitaria verde che l’accecavano, sotto la pioggia sempre più insistente. Lo stridio delle gomme sull’asfalto bagnato, in un disperato e vano tentativo di frenare. Il suo urlo. Lo schianto. Il sangue tutt’attorno a lui, a lei.
  L’ubriacone si era salvato. Matt si era salvato. Dabria non si era salvata.
  Ripensò a tutto ciò che era accaduto, sentendo una strana sensazione. Gli girava la testa, vedeva parole fluttuargli nella mente, una sinfonia gli strisciava nelle vene, e il cuore pulsava il tutto, arrivando alla mano, che prese d’istinto un foglio e una penna che neanche sapeva essere presenti sul tavolo bianco che tanto risaltava nella tenebra della stanza.
  Iniziò a scrivere, senza neanche pensare. Il ricordo e il sentimento che fremevano nella sua anima. Sentiva che stava andando sulla strada giusta, avrebbe realizzato il suo desiderio di andare avanti e non dimenticare.
  Dopo dieci minuti, stava già rileggendo e approvando l’intero, cercando di imprimere nella memoria la melodia che tanta tenerezza gli ispirava. Anche se dubitava gli fosse possibile dimenticarla. Piegò il foglio, spronato da quella canzone a cambiare da subito.
  Prese lo zaino nero, e si richiuse la porta alle spalle. Disse addio a quelle notti solitarie, a quelle tediose camere di hotel. Però non avrebbe detto addio a lei, quello era solamente un arrivederci.
 
You’re dead
You’re dead
Your body’s cold
Hope is lost, I can’t let go
Can I die with you
So we can never grow old
Cut the ties
With this note you left behind
As I read the words I hear you telling me why
Too late, too late
I never said goodbye
Too late, too late
Can’t even ask you why
And now I’m wasting away
In my own misery
I hope you’ve finally gone,
To a place where you belong
My sadness shows,
As your name is carved in stone
Can’t erase the words so the reality grows
I wish I died
On that night right by your side
So just kill me now and let the good time roll
Too late, too late
I never said goodbye
Too late, too late
Can’t even ask you why
And now I’m wasting away
In my own misery
I hope you’ve finally gone
To a place where you belong
Will you wait for me?
Will I see you on the other side?
You won’t have to wait too long
Will you come to me?
Will you take me to the other side?
‘Cause here I don’t belong
Too late, too late
I never said goodbye
Too late, too late
Can’t even ask you why
And now I’m wasting away
In my own misery
I hope you’ve finally gone
To a place where you belong
  
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