Fashion Detective, the only one in the world.
John
“Three Backstage Pass” Watson è un modello costretto ad
abbandonare il proprio lavoro dopo una dolorosa caduta da un paio di
Armadillos firmate McQueen.
Per superare lo shock post-traumatico
cerca di scrivere un blog sulla propria vita da comune mortale, ma
fallisce, piombando nella depressione più profonda e ritrovandosi a
indossare maglioni di lana tremendamente indie e bluse a quadri degne
del peggiore degli Hipsters.
Tutta la sua vita sembra
sfilacciarsi tragicamente, come un abito ultra cheap Made in
China.
Ma
poi incontra lui, Sherlock Holmes.
Professione? Fashion Detective:
the only one in the world.
~Uno
studio in Raso
Lo
ricordava come se fosse accaduto ieri, John. L'accecante baluginio
dei flash fotografici, il bianco alone dell'occhio di bue puntato su
di lui e su di lui soltanto, i quaranta metri di passerella da
percorrere con la grazia di un fenicottero del Borneo Sudequatoriale,
Anna Wintour e Franca Sozzani in front row ad ammirare il suo défilé.
Stralci d'immagini vivide quanto dolorose colpivano la sua mente
ogni volta che chiudeva gli occhi nell'inutile tentativo di prendere
sonno, tingendo i suoi incubi di greige
e tortora, taupe
e belje,
particulière,
tangerine
e tanti altri colori in quel momento tristemente passati di moda.
Poi ancora ricordi, come scene sconnesse di un film indipendente:
un giovane modello con ai piedi un magnifico paio di Armadillos in
vera pelle di Drago di Komodo, un penetrante crampo al polpaccio,
l'incespicare del suo passo sicuro e leggiadro e... la caduta.
A
quel punto dell'incubo John si risvegliava sudato, sconvolto e
sofferente.
No, checché ne dicesse la sua terapeuta, non sarebbe
mai riuscito a superare l'umiliante fine della sua splendente
carriera.
Lui, John “Three Backstage Pass” Watson, aveva
un'unica ragione di vita: la
moda.
“Non
hai scritto ancora nulla?”
La psicoterapeuta lo fissava con
insistenza, beatamente inconsapevole di indossare una blusa che
sarebbe stata fuori moda perfino nel duemiladieci, aspettando da lui
una risposta.
“No” rispose John, per nulla incline al
dialogo.
La donna aggrottò la fronte e scarabocchiò qualcosa
sulla sua agenda – chiaramente non una Moleskine.
“Hai deciso
il nome? Hai dato un titolo al tuo blog, almeno?” lo incalzò,
sperando di ottenere più che risposte monosillabiche.
John
distolse lo sguardo, nel tentativo di celare la profonda sofferenza
che lo attanagliava. Era successo proprio quella mattina, dopo
l'ennesimo incubo a base di tomaie e tacchi a spillo: aveva trovato
un nome perfetto per il suo blog, o almeno così credeva. Aveva
acceso il proprio MacBook e aperto WordPress, finalmente deciso a
creare quel maledetto diario; sotto alla dicitura titolo aveva
digitato quello che riteneva essere una delle catchphrase migliori
dell'universo e aveva atteso, atteso e atteso nuovamente migliaia
millesimi di secondo per ottenere l'approvazione.
Poi, la
disperazione: il dominio “The Fashion Kitten” era già in uso.
Aveva pianto per ore prima di superare lo shock.
“N-no, non ho
ancora un nome per il blog” riuscì a balbettare, nonostante la
voce, sopraffatta dal dolore, gli morisse in gola dopo ogni parola.
“The... The Fashion Kitten era già occupato” aggiunse
successivamente, sentendo gli occhi diventare lucidi.
La
donna-dall'orribile-blusa annuì comprensiva.
“Sei stato
coraggioso ad ammetterlo. So quanto può essere dolorosa questa
esperienza, ma sono qui per aiutarti a superarla. Insieme ce la
possiamo fare, John, credimi” lo consolò.
Dopo un attimo di
silenzio l'uomo si alzò di scatto, assai più rapidamente di quanto
i suoi skinny jeans sembrassero permettere.
“No, questo...
questo è più di quanto una persona alla moda possa sopportare!”
mormorò ferito. “Era già in uso. Già in uso.” ripeté,
abbassando le palpebre per contenere tutto il dolore che lo
attraversava, poi con gesti decisi si drappeggiò la sciarpa vintage
attorno al collo e lasciò lo studio.
***
L'uomo
lacerò l'involucro di cellophane del lavasecco con un gesto deciso.
"Quant'è vecchio?" domandò alla ragazzina,
arricciando il naso in una malcelata smorfia di disgusto.
Molly
si morse nervosamente il labbro.
"P...Primavera-Estate
2011" disse lisciandosi nervosamente la coda di cavallo che
profumava di Sunsilk-lisci-effetto-seta. "Non ho saputo trovare
di meglio."
Sherlock sospirò.
"Va bene. Possiamo
iniziare con la macchina da cucire." Il rumore secco della
macchina da cucire riempiva la sartoria, un rumore che suonava come
TATA TAPATATA TAPATAPATA, ma anche come TAPATAPATÀ TAPATÌ TÀ.
Molly vedeva l'ombra di Sherlock proiettata sul muro, le dita
abili che lavoravano veloci, così simile a come, sin da bambina, si
era sempre immaginata il Fantasma dell'Opera.
“Ma siamo a
Milano” si corresse mentalmente “Forse dovrei pensare a lui come
al Fantasma della Scala”.
Avanzò timidamente verso l'uomo.
Com'era affascinante, Sherlock Holmes!
I riccioli bruni,
frutto di molteplici permanenti eseguite dagli hair stylist di
Coppola, lassù all'ultimo piano della Rinascente, si stagliavano
contro la pelle eburnea del suo volto, resa liscia e luminosa dallo
scrub al miele della sera precedente. La sartina si fece coraggio.
“Non può dirmi di no, questa volta.” pensò.
“Ho mandato
LOVE seguito da IL MIO NOME seguito da IL SUO NOME al Love
Calculator. La nostra percentuale di affinità è più alta del
solito, questa settimana. È un buon segno. Coraggio, Molly Hooper”
Si schiarì delicatamente la voce per richiamare l'attenzione del
detective. L'uomo alzò lo sguardo dal minidress che stava rendendo,
senza tanti complimenti, a brandelli.
“Sì, Molly?” la
ragazza prese un profondo respiro. “Mi chiedevo se dopo, una volta
finito qui in sartoria... Mi chiedevo se ti andasse di prendere un
caffè più tardi.”
“Liscio, al ginseng. Mi mantiene attivo e
mi aiuta a bruciare più in fretta le calorie della lattuga senza
condimento che mi sono concesso per pranzo tre giorni fa. Niente
zucchero, ovviamente. Mi troverai al piano di sopra.” fu la
risposta laconica del detective.
Molly lo seguì con lo sguardo
mentre si dirigeva all'appendiabiti e si riappropriava del suo
cappotto Belstaff e della sua sciarpa vintage Paul Smith.
“La
prossima volta andrà meglio, Molly” sussurrò a se stessa.
***
Aveva
bisogno di una tisana calmante agli estratti naturali di frutta,
pensò mentre percorreva le trafficate vie di Milano. Aveva
decisamente
bisogno di una tisana calmante agli estratti naturali di frutta.
“Ehi, stai un po' attento!” berciò verso l'uomo che l'aveva
appena urtato.
“John?! John Watson, l'astro nascente dell'alta
moda maschile!?” domandò questo, non appena scorse la sua morbida
chioma bionda. “Stamford! Sono Mike Stamford, sfilavamo insieme per
la Élite Models.”
Il volte di John si illuminò.
“Sì,
certo, mi ricordo di te. Ermenegildo Zegna Autunno/Inverno 2005,
vero?” gli chiese, pur conoscendo già la risposta.
“Già”
rispose Mike gioviale. “Ma è comprensibile che tu non mi abbia
riconosciuto subito: sono ingrassato di ben sette etti da allora.
Figuriamoci, ho dovuto allargare tutti i miei vestiti di un
millimetro virgola tre... sto proprio invecchiando!”
John
sorrise. In effetti le guance del vecchio amico avevano un aspetto
meno scavato del solito, gli anni passati e i sette etti di grasso
non erano stati clementi con lui.
“Beh, ti va un
MocaCioccoLatte Dietetico senza caffeina, senza cioccolato e senza
latte? Ho sentito che da Arnold's lo preparano in modo di-vi-no”
propose Mike, ansioso di ingurgitare le quattro agognate calorie del
MocaCioccoLatte Dietetico. John non poté declinare.
“Ho
sentito del tuo piccolo incidente, quello alla settimana della moda
di Parigi. Cosa è successo?” indagò Stamford, una volta che
entrambi ebbero tra le mani l'enorme bicchiere di carta pieno di
liquido bollente e assolutamente sugar free.
“Ho avuto un...
piccolo incidente” disse, calibrando bene ogni parola.
“Capisco.”
“E tu, Mike? Lavori ancora per la Élite
Models?” domandò John, desideroso di distogliere l'attenzione dal
proprio problema.
“Ora faccio il manager. Ci sono un sacco di
giovani aggraziati e affascinanti, proprio come eravamo noi una
volta. Dio, quanto li detesto!”
“Già, maledetti
pseudo-alternativi!” rise John.
“E adesso? Cosa pensi di
fare? Hai intenzione di rimanere in città?”
Il biondo
impallidì.
“Scherzi, vero? Sono un modello in pensione e
Milano è una città talmente costosa! Insomma, lo so che avere una
gelateria Vegan-Fruttariana sotto casa è indispensabile, però temo
di dover rinunciare a queste forme basilari di civiltà e
trasferirmi. Ho sentito dire che nell'hinterland non hanno
caffetterie d'asporto, né boutique d'abiti vintage. Sarà
dura!”
“Oh. My. God. Sembra terribile!” esclamò Mike,
sinceramente terrorizzato. “Amico, devi trovarti un coinquilino, è
vitale!”
“Andiamo, sono un modello in pensione, estremamente
ordinato, silenzioso, bellissimo, educato e alla moda. Chi mi
vorrebbe mai come coinquilino?” rispose John, cercando di farlo
ragionare.
“Sai una cosa? Non sei il primo che me lo dice,
oggi”.
“...Conosci un altro modello in pensione estremamente
ordinato, silenzioso, bellissimo, educato e alla moda in cerca di un
coinquilino?” chiede il biondo, stupito.
“Aspetta e vedrai,
mio caro, aspetta e vedrai!”
***
L'atelier
era deserto, non fosse stato per la figura longilinea ed efebica che
se ne stava davanti allo specchio, intenta ad applicarsi delle ciglia
finte tempestate di zirconi.
Lo sconosciuto non sembrò sorpreso
del loro arrivo. Sembrava che si aspettasse la loro visita, così
come ci si aspetta il prepotente -e oramai quasi stucchevole- ritorno
del nero nelle collezioni invernali.
“Mike, mi presti il tuo
iPad? Il mio è scarico” domandò,
tendendo una mano elegante e dalle unghie perfettamente curate verso
di loro.
“Perché non usi il laptop?” replicò l'amico.
Il
ragazzo sbuffò sonoramente, con aria d'impazienza. “...cielo,
Mike. Sei giurassico.”
“Mi dispiace, temo di averlo
dimenticato al brunch macrobiotico di questa mattina con gli altri
manager.” L'imbarazzo dell'uomo era più che evidente. Imbarazzo
per la dimenticanza, o per qualcosa di ben più difficile da
confessare? “Ma non credo me lo abbiano portato via. Voglio dire, è
un...” Sembrò esitare, soppesando con cautela le proprie parole.
“Un iPad, non un iPad 2. Chi mai lo vorrebbe? Se vuoi te lo vado a
prendere...”
John si sentì raggelare. Mike Stamford, Mike
Stamford che suggeriva di utilizzare un volgarissimo laptop, e che
confessava -cielo! Così spudoratamente!- di non essere in possesso
del gadget hi-tec più cool del momento?! Che ne era stato del
vecchio Mike “Oh-so-damn-cool” Stamford?
Era come se tutte le
sue certezze fossero crollate.
“Può usare il mio.” si offrì,
più per togliere l'amico dall'imbarazzo che per mera
filantropia.
Mike parve apprezzare il gesto.
“Lui è un
vecchio amico, John Watson.” annunciò, dandosi un'aria importante.
Lo sconosciuto sollevò a malapena gli occhi dalle sue
cuticole.
“...Parigi o Milano?” domandò con fare
annoiato.
John sussultò, sperando di aver capito male.
“Come
scusi?”
“Dove è successo? A Parigi o a Milano?” ripeté il
ragazzo, spazientito.
Vennero interrotti dall'arrivo di una
giovinetta scialba, con un metro da sarta annodato attorno al
collo.
“Che sia una nuova tendenza?” si domandò John,
frastornato.
“Ah, Molly col mio ginseng, grazie!” esclamò
l'androgino sconosciuto. “Che è successo al rossetto, gioia?”
La
ragazza arrossì violentemente.
“L'ho... L'ho cambiato. Era una
nuance troppo intensa per il mio incarnato.” pigolò con voce
flebile.
L'uomo la squadrò con compassione.
“Davvero?
Secondo me era un gran passo in avanti. Ora il segno della matita per
il contorno delle labbra è troppo netto. Fa così anni novanta,
Molly.”
Il rossore sulle guance della ragazza raggiunse una
insolita tonalità amaranto (“Siamo in autunno” -si disse John
“Che razza di guance si tingono d'amaranto in autunno? Dovrebbero
virare verso il rosso melograno, come minimo, per non essere
considerate di cattivo gusto.”). Con un'ultima occhiata nervosa
all'uomo a cui aveva portato il caffè, la giovane si dileguò.
“Le
dà fastidio il pilates?” La domanda dello sconosciuto colse
nuovamente John alla sprovvista.
“Come, scusi?”
“Quando
rifletto faccio pilates, e, a volte, non assumo carboidrati per
giorni. Le darebbe fastidio? I possibili coinquilini dovrebbero
conoscere i loro difetti.”
Il mondo stava iniziando a girare un
po' troppo velocemente per i gusti di John.
“Hai...hai fatto del
gossip su di me, Mike?” domandò sconvolto all'amico.
Stamford
sfoderò un sorriso divertito. “Nemmeno una parola, John. Non un
tweet. Nulla.”
Il ragazzo si intromise.
“Sono stato io a
dire a Mike questa mattina che mi serviva un coinquilino. Sa, sono un
personaggio difficile da gestire, soprattutto in periodo di saldi. E
ora eccolo qui, di ritorno da un MocaCioccoLatte da Arnold's
assieme a un vecchio compagno di passerella che ha dovuto
prematuramente abbandonare le sfilate, dopo una poco signorile caduta
avvenuta a Parigi. Non è così difficile da capire.”
“Come fa
a sapere di Parigi?” chiese John, che nel frattempo si stava
domandando se stava scontando in quel momento surreale tutti gli
eccessi della propria gioventù vissuta tra i party e i club più
esclusivi della Milano da bere.
L'altro non lo filò di striscio.
“Ho messo gli occhi su un loft in via Montenapoleone che è
l'amore. Dovremmo essere in grado di permettercelo. Ci incontreremo
lì domani sera, giusto prima dell'happy hour.” Si infilò il
cappotto di ottima fattura, e si annodò una sciarpa vintage al
collo.
“Scusatemi ma sono di fretta, ho dimenticato i miei
cartamodelli in sartoria.”
“...tutto qui?” John non sapeva
se sentirsi più sconvolto o più irritato. Non doveva irritarsi.
Quando si irritava contraeva eccessivamente i muscoli del viso, e poi
doveva spendere una fortuna in antirughe.
“Prego?”
“Ci
siamo appena conosciuti e già si parla di condividere un loft...
arredato da chissà chi, poi.” affermò John, con una punta di
panico. Non avrebbe mai abitato in un posto che non fosse stato
progettato da un interior desingner di fama nazionale.
“Problemi,
gioia?”
“Non sappiamo nulla l'uno dell'altro. Non so dove ci
dovremmo incontrare, non conosco il suo nome, né la sua professione,
né chi è il suo estetista o che marca di smalto ha usato per la
french manicure.”
“So che lei è un ex modello in pensione,
azzoppatosi cadendo da delle Armadillos durante la Settimana della
Moda di Parigi. Ha un fratello che si preoccupa per lei, ma non vuole
chiedergli aiuto perché non lo approva, forse a causa della sua
insana passione per gli stivali da cowboy a punta decorati con fiamme
e teschi, o più probabilmente perché di recente ha indossato una
maglia Monella Vagabonda. E so che il suo terapista pensa che la sua
imitazione di Zoolander sia psicosomatica, e credo abbia
perfettamente ragione. Penso che possa bastare, no?
Il mio nome è
Sherlock Holmes, e il mio indirizzo è 221B, Via Montenapoleone.
Kisses.”
Mela&Polly
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