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Autore: teabox    03/03/2012    4 recensioni
Se qualcuno glielo avesse chiesto, Molly Hooper avrebbe risposto che si considerava una persona normale. Nella media. Assolutamente non stravagante. Senza nulla, nella sua vita, che potesse definirsi eccentrico.
Poi si ricordava di Sherlock Holmes e delle situazioni assurde in cui finiva per colpa sua.
E cambiava idea.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: nuovamente mille grazie per esservi fermati a leggere e per i commenti!
Segue colossale punto di domanda per quanto riguarda Sherlock/Molly, che ho provato a spiegare (all'incirca, suppergiù) da entrambi i punti di vista. Quindi, ancora una volta, grazie per la pazienza.

*

*

*

3 di 4
Un problema di baci

Molly si schiarì la voce. Erano arrivati all’angolo di Baker Street senza che lei e Sherlock si fossero scambiati una parola. «Ho dimenticato l’ombrello nell’ingresso», disse alla fine. Una sciocchezza qualsiasi pur di riempire quel silenzio snervante.
Sherlock non rispose.
«Forse dovresti tornare indietro.»
Sherlock non rispose di nuovo.
«Ti stai bagnando, finirai per ammalarti.»
Lui finalmente si fermò a guardarla. «Vuoi dire com’eri ammalata tu oggi?»
Molly arrossì e spostò lo sguardo di lato. «Scusa.»
«Non m’interessano le scuse, Molly Hooper», replicò Sherlock forse anche più freddamente di quanto avesse voluto. «Voglio un perché.»
«Non c'è davvero niente da spiegare.»
«Dimmi», ripeté lui lentamente, con un tono di voce che non ammetteva mezze risposte o bugie, «perché ti sei nascosta.»
Molly, a disagio, spostò il peso del corpo da un piede all’altro. Quindi commise un errore molto grosso. Guardò Sherlock. «Irene. Adler. Sai. La donna. Quella del cellulare. Tra le altre cose.»
Per un attimo Sherlock sembrò confuso, ma il momento svanì subito. «So benissimo chi è Irene Adler, Molly», replicò irritato. «Quindi è passata anche da te.»
«Anche?»
«Ha fatto visita all’appartamento ieri notte.»
«Perché?», si trovò a domandare lei con una nota di gelosia nella voce.
«Niente d’importante», replicò Sherlock distrattamente, seguendo i percorsi complicati dei suoi ragionamenti. «Ti ha fatto qualcosa?»
Molly scosse la testa. «No. Abbiamo solo...parlato. Sai. Niente di più. Vuole che me ne stia al mio posto.»
Sherlock alzò un sopracciglio. «Il che equivarrebbe ad evitarmi?»
«No. Non lo so. Forse?» Molly alzò le mani, quasi si stesse arrendendo. «Non l’ho fatto per lei. Intendo, nascondermi oggi. Non l’ho fatto per lei. Mi dispiace. Era per me.»
Sherlock non capì. «Cosa vorresti dire?»
Molly sospirò. «Lo sai.»
«Cosa?»
«Sherlock», disse lei infine con un tono di voce quasi sconfitto. «E’ difficile. A volte. Lo sai, per me. Stare vicino a te.»
E se Molly aveva pensato che pronunciare quelle parole fosse stato imbarazzante, sostenere lo sguardo di Sherlock le aprì un nuovo mondo di imbarazzo.
«Perché?», le domandò lui dopo un istante di silenzio.
Molly lo guardò stupita. «Sai perché.»
«Dillo. Dimmelo. E spiegami perché.»
«Vuoi davvero che ti spieghi perché sono innamorata di te?», domandò confusa. Poi arrossendo si portò le mani alla bocca. «Oh cielo.»
«Perché?», domandò Sherlock con un tono di voce infastidito. «Cosa ho fatto per...»
Lei scosse la testa. «Non è qualcosa che hai fatto. O...o detto. E’...», mosse le mani in un gesto vago e confuso. «Sei tu. Sei tu.»
Sherlock allontanò lo sguardo, lasciando che il silenzio si allungasse fra di loro. La pioggia continuava a cadere.
«Ho bisogno di un favore.», disse all’improvviso Molly. «Ho bisogno che tu mi dica una cosa.»
Sherlock riportò lo sguardo su di lei, aspettando.
Molly sembrò esitare, intrecciando le dita delle mani nervosamente. «Ho bisogno», riprese a parlare lentamente, «che tu mi dica che non mi ami.»
Lui la guardò sorpreso.
«Per favore», aggiunse Molly alzando gli occhi su di lui. «Dimmelo.» Sherlock fece passare un attimo. Poi, quando si decise a parlare, fu senza emozione sul viso o nella voce. «Non ti amo, Molly Hooper.»

Se fosse stato possibile, se quello fosse stato un mondo diverso, tutto si sarebbe fermato in quel momento. I rumori, la pioggia, le persone, le macchine.
Invece fu solo Molly a trattenere il respiro, assorbire il dolore che - per quanto si fosse preparata - la colpì e la lasciò per un istante cieca e muta. Gli occhi si riempirono di lacrime, nonostante tutto.
«Grazie», riuscì a mormorare. Riuscì anche a sorridere, in qualche modo. «Ora vado.»
Un passo, si disse, era tutto quello che doveva fare. Un passo e tutti gli altri sarebbero arrivati da sé. Non ci riuscì. Pensò che le sue gambe, che tutto il suo corpo la stesse tradendo. Le servì un momento per capire che era la mano di Sherlock chiusa sul suo gomito a trattenerla.
«Aspetta», aveva detto.

E Molly aspettò.
Aspettò quando lo vide avvicinarsi. Aspettò quando la fissò per pochi lunghi istanti. Aspettò quando cercò qualcosa - non sapeva cosa - nel suo viso. E quando, poi, le sfiorò le labbra, smise di aspettare.
Si chiese perché, ma da qualche parte conosceva già la risposta. Era in quello stesso bacio, che sapeva di chiusure e capitoli finiti. Era un “grazie” e un “mai più”. Un “so che mi ami” e “mi dispiace”.
Era in quel suo stupido, stupido cuore, che aveva donato ad un uomo che non sapeva cosa farne. E che forse non avrebbe mai saputo cosa farne.
E quando lui la lasciò finalmente libera di andare, Molly seppe che era anche in quel gesto e in quello spazio fra loro due.
Non disse nulla. Cercò un sorriso e ne trovò solo uno, piccolo e un po’ triste.
Si allontanò allora sotto la pioggia, senza guardarsi indietro. Cos’altro poteva fare, a quel punto. Andava bene così. Davvero. Andava bene così.

*

Quando Sherlock tornò all’appartamento, John alzò gli occhi dal giornale e lo guardò incuriosito. «Allora?»
Lui ignorò la domanda, sparendo nella camera da letto per togliersi i vestiti bagnati e cambiarsi.
«Avanti, cos’è successo?», lo raggiunse la voce divertita di John.
Sherlock tornò nel salotto e si lasciò cadere sulla poltrona. «Niente. Ho solo detto a Molly quello che voleva sentirsi dire.»
John gli lanciò un’occhiata curiosa. «E ne è stata contenta?»
Le dita di Sherlock presero a tamburellare sul bracciolo della poltrona. «Direi di no.»
«E come mai?», domandò John disorientato.
Sherlock considerò la domanda. «Perché mi ha creduto.»
«Ma...non è esattamente questo il punto?»
Sherlock allungò il braccio e prese il violino e l’archetto. Suonò un paio di note esitanti. «Non so quale sia il punto, John. Non con Molly Hooper.»
«Ah», rispose lui sorridendo, prima di tornare a dedicarsi al giornale con l’aria di capiva fin troppo bene.
Sherlock pretese di non averlo notato ed evitò di chiedere a John cosa avesse voluto intendere con quel “ah”. Aggiustò invece la posizione del violino sul collo e si preparò a suonare. Un attimo prima di cominciare, ripensò al bacio che aveva dato a Molly.
Non era sicuro del perché l’avesse fatto. Forse aveva voluto ringraziarla. Forse, egoisticamente, non aveva voluto farsi mettere da parte. O forse era stato qualcos’altro.
Qualcos’altro che forse aveva a che fare con quello strano gioco dei sentimenti di cui Sherlock non sembrava afferrare le regole.
Forse un giorno le avrebbe capite.
Non quella sera, però.
Si dedicò alla musica, allora.

*

Irene Adler era quel tipo di donna che otteneva quello che voleva. Sempre e comunque.
Certo, c’erano state eccezioni, ma quel genere di circostanze non erano mai affiorate fino all’ingresso in scena di Sherlock Holmes.
Ma era stata comunque con una certa sorpresa che Irene aveva constatato che non era poi così male avere quella eccezione nella sua vita.
Poi le cose si erano complicate. In parte per colpa del dottor Watson e soprattutto, ora, per colpa della ridicola Molly Hooper.
E Irene Adler, davvero, era allibita.
Comprendeva il fascino dell’innocenza e della timidezza. Comprendeva anche quanto bene facesse al proprio ego avere qualcuno che ti venera e ti adora. Ma la sua comprensione finiva lì.
Molly Hooper era, in altre parole, l’equivalente di una borsa di tela comprata sulla spiaggia. La prendi perché è carina e colorata, e perché sei al mare e va bene per quella situazione. Ma quando torni a casa e vedi la tua Gucci o la tua Prada, è quella la borsa che vuoi. E Sherlock doveva pur saperlo.
Irene osservò il suo riflesso nello specchio. Le suole rosse delle Louboutin l’unico tocco di colore nel suo abbigliamento altrimenti completamente nero.
Sherlock doveva pur saperlo, si ripeté.
Che lei era quello di cui lui aveva bisogno, l’unica alternativa applicabile allo stato attuale delle cose. E, per carità, non che avesse alcun problema a condividere Sherlock con il caro dottor Watson, se questo era quello che Sherlock voleva. O anche voleva.
Era proprio il pensiero di Molly Hooper, della piccola insignificante timida ridicola Molly Hooper, ad infastidirla. Una borsa di tela. Un topolino. Un pedone che la regina avrebbe mangiato, prima o poi.
Presto, si disse. Molto presto.

*

John, ogni tanto, si fermava ad osservare Molly e Sherlock con una certa curiosità.
Anche se, per il beneficio di tutti, certe cose non erano state più discusse, menzionate o nemmeno accennate.
Quindi, John finiva sempre con il scuotere la testa e tornare al suo lavoro. Era impossibile, si diceva tra sé e sé, che fosse davvero successo qualcosa tra quei due. Certo, Sherlock amava ripetergli che vedeva ma non osservava, eppure - e John ne era ormai convinto - non c’era niente da osservare in quel caso. Sherlock e Molly non si comportavano in maniera diversa dal solito, non c’era nulla di nuovo nelle loro dinamiche. Assolutamente nulla. Era tutto normale. Più che normale.
Ne era completamente sicuro, e perfettamente irremovibile nelle sue convinzioni.

Poi, Irene Adler tornò in scena.

  
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