Titolo: ~
I wanna fall in love with you [So…
how
do we begin?]
Autore: Iria
Fandom:
Bleach
Personaggi/Claim/Coppia:
Renji Abarai/Rukia
Kuchiki
Generi:
Introspettivo,
Malinconico, Slice of Life.
Avvertimenti:
Missing Moments, What
if..?
Rating: Giallo
Set: Delta
Note: Questa
è la
mia prima Renji x Rukia, e devo dire di esserne abbastanza contenta! ^^
Personalmente, mi piace molto questa coppia –anche se riconosco che
papà Tite
Kubo non la renderà mai concreta 8D-, e sono felice di aver messo giù
una
raccolta che la riguarda!
Spero di aver reso i personaggi quanto più fedelmente possibile, e che
la
lettura possa essere di vostro gradimento!
Aspetto, ovviamente, le vostre opinioni in merito! ^^
Grazie a chi leggerà e a chi mi lascerà
un piccolo segno del proprio passaggio!
Un bacio!
*Partecipa all’iniziativa 1frase su
LJ*
*Titolo ispirato alla canzone “I Do” dei meravigliosi Placebo <3*
~ I wanna fall
in love with you [So… how do we begin?]
01
– Terra.
Renji,
riverso al suolo, ingoiò il sangue e la
terra sporca che gli impastavano la bocca; e forse fu solo
un’illusione, ma
nell’immenso cielo nero che lo sovrastava una stella pulsò, brillando
con
maggiore intensità quasi invitandolo ad allungare quelle sue zampe
livide e
tremanti:
“Rukia...”
02
–
Orgoglio.
La
sfumatura di un dignitoso orgoglio tingeva il
volto di Rukia con delicatezza; e spesso Renji -segretamente
affascinato- aveva desiderato che quella stessa
compostezza si posasse anche sui brandelli della sua anima.
03
–
Spirito.
Lo
spirito
di Zabimaru lo scherniva con amarezza, poiché Renji sarebbe stato
disposto a strapparsi
l’anima a morsi, a lasciarla marcire
pur di sollevarsi, pur di riscattarsi ed ancora sacrificare se stesso
per una
stella che rischiava di spegnersi innanzi ai suoi occhi sigillati dal
sangue
secco.
04
–
Storia.
Fissando
quei profondi occhi blu
-e temeva, temeva sul serio di affogare in tale immensità-, Renji
avrebbe
davvero desiderato un lieto fine
non
solo ai propri tentennamenti, ma soprattutto all’amaro dubbio che gli
inaspriva
le labbra: essere in
grado di amare Rukia nella
totalità del calore
col quale avrebbe voluto davvero
stringerla
a sé.
05
–
Tempo.
Quarant’anni
forse non erano stati ancora
sufficienti per raccogliere quel coraggio con cui avrebbe voluto
sussurrarle
tutta la disperata -celata, sepolta,
tormentata
e divorata- emozione che gli stringeva dolorosamente il cuore.
06
–
Guerra.
In guerra, in
combattimento, la presenza della morte rappresentava una costante
e per un po’ l’adrenalina e l’incertezza concedevano una tregua alle
più futili
tempeste
che lo agitavano,
imponendogli la lucidità e la freddezza del guerriero; quindi, provava
davvero
–senza riuscirci per niente- ad
allontanare il pensiero che il corpo caldo – e sanguinante- stretto fra le sue
braccia fosse quello in fin di vita
di Rukia.
07
–
Tradimento.
Quando
Renji vide Rukia con quei nobili, quando seppe che avrebbe continuato
ad
avanzare per la sua strada senza di lui, una vocina malvagia gli gridò
all’orecchio
“Tradimento!”, però il cuore
continuò
a suggerirgli di lasciar scorrere gli avvenimenti, di non impedire alla
felicità di lastricare il percorso dell’amata amica: quello sì che
sarebbe
stato un gesto degno del più vile e
disgustoso tra i traditori.
08
– Sentore.
Distrutto
l’ultimo Hollow, Rukia si voltò di scatto e non si sorprese quando
vide gli occhi di Renji ricambiare il suo sguardo: la velata
preoccupazione che
aveva avvertito solleticarle la nuca, in effetti, le era parsa assai
familiare;
allora sorrise al compagno come per rassicurarlo del fatto che andasse
tutto
bene…
“Non
devi essere in pena per me.”
09
–
Giovinezza.
Da ragazzi,
Rukia era solita pettinargli i capelli per poi legarglieli in
un’ordinata
treccia, e più volte aveva fatto notare al compagno quanto quella
pettinatura
ad ananas che tanto si ostinava a portare fosse assurdamente ridicola; ed anche se allora
di quella
dolce giovinezza i due shinigami serbavano solo preziosi ricordi, le
battute di
Rukia sui suoi capelli non si erano mai
esaurite del tutto e mentre li accarezzava spesso sorrideva tra sé,
amandone
silenziosamente la lunghezza ed il loro vivo colore...
“Uhm,
non ti andrebbe di tagliarli..?”
10
–
Orme.
Renji era un
bravo segugio: silenzioso, paziente ed in grado di riconoscere
qualsiasi traccia; quindi, quando riusciva a raggiungere le orme di
Rukia alla
gioia subito si sostituiva un’infinita tristezza ed una continua
agonia: sapeva
di doverla lasciare andare, di doversi tenere lontano… sempre.
11
–
Preda.
Abarai da
bambino aveva spesso provato la terribile sensazione d’esser solo un
animale in fuga, una preda facile da stanare nella sua assoluta
debolezza; e
per lungo tempo aveva infatti vissuto in strada come un cane bastardo,
inizialmente da solo, poi radunando attorno a sé un branco, fin quando -quasi dal
nulla-
non apparve Rukia che dimostrò come in loro non ci fosse nulla di
bestiale, ma solo la ferma voglia di sopravvivere e di imporsi in un
mondo che li
aveva presi a calci.
12
–
Stirpe.
Quando Rukia
fu adottata dai Kuchiki, Renji sapeva che sarebbe entrata a far
parte di una stirpe di shinigami inarrivabile, però non rinunciò mai
alla
speranza di essere degno, un giorno, di poterla riavvicinare e
sussurrarle,
compiaciuto, il suo successo:
“Ehi, nobile Rukia! Sono diventato
vice-capitano! Posso starle vicino, ora..?”
13
–
Passi.
Rukia sapeva
di potersi dire al sicuro anche solo udendo i passi di Renji
sostare fuori dalla sua porta: lenti e cadenzati, accompagnavano il
sonno della
shinigami, che ogni notte nel segreto del proprio cuore sperava di
sentirli
oltrepassare quella sottile ed inutile soglia.
14
– Rito.
Da bambini,
Renji e Rukia avevano un piccolo rito che eseguivano poco prima di
dividersi per procurarsi da mangiare: si scambiavano un oggetto –Abarai
dava
alla giovane il laccio con cui legava i capelli, Rukia un fazzoletto
preziosamente ricamato che aveva con sé da sempre e del quale non
ricordava
l’origine- per essere sicuri che l’altro ritornasse
a prendere quanto aveva affidato al compagno.
15
–
Vittoria.
Renji sapeva
quanto una vittoria sudata potesse essere soddisfacente -soprattutto se
conquistata contro se stessi-
e da questo punto di vista, forse, poteva definirsi anche un po’
masochista,
però avere la possibilità di stringere a sé Rukia senza alcun timore o
stupidi
dubbi era un premio per il quale sarebbe stato disposto a battersi in
eterno.
16
–
Languore.
Disteso
all’ombra del portico della sede della Sesta Compagnia, Renji quasi non
avvertì la presenza di Rukia, tanto si era immerso nella sua pigra
sonnolenza;
e solo quando le fresche labbra della shinigami si posarono sulle sue,
comprese
che avrebbe dovuto sonnecchiare più spesso solo per poter essere
risvegliato a
quella maniera altre infinite volte ancora.
17
–
Mortale.
La morte non
poteva di certo definirsi un gioco, questo Renji lo sapeva sin
troppo bene; quindi, mentre vomitava sangue e si reggeva l’addome per
non
lasciar scivolare via le frattaglie
dalla ferita, fu assolutamente certo di essersi sbagliato nell’aver
tenuto da parte fino all’ultimo respiro la carta ormai lorda
di sangue dei suoi
sentimenti per Rukia.
18
–
Favorito.
Il momento
della giornata che Renji più preferiva era alla sera quando la
brezza fresca scuoteva le fronde degli alberi, le stelle scaldavano il
cielo e
la luna, silenziosa complice, osservava il bacio fugace e temerario che, scosso
dall’adrenalina, lo shinigami rubava alla
giovane Kuchiki.
19
–
Giardino.
Renji alle
volte si soffermava ad osservare Rukia da lontano, mentre nel
giardino retrostante al dojo della Tredicesima Compagnia si allenava
intensamente per perfezionare le danze di Sode no Shirayuki; e allora,
spesso,
si ritrovava a pensare che la neve ed il ghiaccio fossero lo sfondo
adatto a
ritrarre l’espressione truce e concentrata della compagna.
20
– Eros.
Renji aveva
avuto paura nello sfiorare il corpo nudo di Rukia col proprio e,
anzi, per un attimo ritenne che le sue sembianze fossero parse assai
grottesche
e mostruose se affiancate a quelle della compagna; però, quando la
shinigami si
tese verso di lui con l’unico desiderio di
avvertirlo su di sé, comprese che forse
avrebbe dovuto semplicemente
immergersi in Rukia e nei suoi baci, dimenticando
di esistere all’infuori della giovane, e quindi essere con lei, in lei, per
lei.
21
–
Canto.
Quando Renji
udì per la prima volta la voce di Rukia intonare un lieve canto,
si immobilizzò, impressionato dai toni intensi prodotti dalla shinigami
e
sorrise tra sé: un giorno le avrebbe chiesto di cantargli qualcosa,
giusto per
vedere i suoi occhi spalancarsi dalla sorpresa e, quindi, farsi
apostrofare con
un qualche “S-stolto!” intriso di
imbarazzo.
22
– Tocco.
Con un gesto
misurato e leggero, la mano di Renji si posò sulla guancia fredda
di Rukia; e la shinigami, spaventata al pensiero che quel tocco potesse
sfumare, trattenne il compagno a sé:
“Vai via sempre
troppo in fretta...
smettila di avere paura.”
23
–
Silenzi.
Sia
Renji che Rukia -vegliando segretamente l’uno
sul riposo
dell’altra- avevano sopportato
i dolorosi
silenzi che avvolgevano un corpo sfiancato dalle ferite; ed ogni
singola volta
poterono percepire nell’aria l’odore della morte che si dissipava,
certo, ma
posando le proprie pesanti ceneri sui loro fragili animi.
24 – Movenze.
Gli ululati di
Zabimaru scandivano il ritmo primordiale sul quale Sode no
Shirayuki danzava, e le movenze dei due shinigami in lotta si unirono
in un
unico fendente di spada: oh, sì, la
brutalità della forza assaporò la freddezza di un’eterea beltà,
componendo la
magnifica sinfonia di una fatale vittoria.
25
–
Calore.
Rukia non
l’avrebbe mai ammesso, ma nel momento in cui Renji la stringeva a sé
per farle calore col suo corpo anche quando non ne aveva bisogno, il
cuore le
straripava di gioia; ed ogni volta pregava che, nonostante le sue
rumorose ed
assolutamente finte proteste ad un gesto tanto protettivo, Abarai –grazie alla sua tanto
nota testardaggine-
non desistesse dal tenerla stretta contro il proprio petto: il respiro del
compagno la cullava,
regalandole i sogni più sereni.
26
–
Apparizione.
Renji si
guardò intorno, cercando di mascherare l’angoscia che non lo abbandonò
fin quando non vide Rukia apparire, seppur avanzando appena, fra il
polverone
della battaglia; allora lo shinigami sospirò, riacquistando la sua
migliore
espressione scanzonata:
“Spero tu non
abbia in serbo per me altri
simili scherzi..!”
27
–
Inebriare.
Osando, assaggiò le labbra
di Rukia,
inebriandosi della sensazione di tenerle premute contro le proprie,
cercando di
non dimenticare mai la loro morbidezza; poi, prese il volto della
shinigami tra
le mani e, facendo aderire le loro fronti, si disse disposto a donarle
ogni suo
singolo respiro:
“Ti prego… ti prego… odiami pure, ma non
ignorarmi. Non… non ce
la farei a sopportarlo.”
28
– Dita.
Renji adorava
osservare le dita di Rukia descrivere il profilo dei suoi
tatuaggi, amava quella carezza appena accennata sulla pelle; ma,
soprattutto, sarebbe
vissuto per la sola possibilità che ogni volta aveva di afferrare la
mano della
compagna e quindi di baciarla con la timorosa delicatezza di chi
desiderava
solo che quel momento durasse quanto più a lungo possibile.
29
–
Nostalgia.
Alle volte,
Renji ripensava ai tempi dell’accademia e senza alcuna nostalgia la
sua mente tornava inevitabilmente a rievocare la solitudine, la
sensazione
d’abbandono, il
volto di Rukia che spariva
nell’oscurità,
che per un lungo periodo gli spezzarono l’anima.
30
–
Legame.
Ad un certo
punto, Renji credette che gli anni avessero eroso il sottile legame
che aveva cucito la sua anima a quella di Rukia e, nonostante fosse
pronto ad
accettarlo, ne fu enormemente spaventato; quindi, quando vide la
shinigami raccogliere
quel sottile filo rosso e riavvolgerlo, avvicinandoglisi con un lieve
sorriso,
seppe di avere ottenuto un’altra preziosa opportunità.
31
– Erba.
L’odore
dell’erba bagnata gli stuzzicava le narici e, mischiato ad un profumo
molto più dolce e delicato di muschio -Rukia
era vicina, si stava sedendo al suo fianco-, lo catturò
totalmente in una
serena e rara rilassatezza.
32
–
Sembianze.
La morte aveva
mille sembianze e sfaccettature, ed i due shinigami conoscevano
sin troppo bene questo particolare, eppure non si erano ancora
soffermati a
considerare quale aspetto avrebbe potuto assumere la loro disgregazione: preferivano
continuare a concentrarsi sulle
esistenze che conducevano e Renji, in particolare, ad elaborare una
qualche
strategia per incrociare e mai più sciogliere il suo sentiero con
quello di
Rukia.
33
–
Nettare.
Sfiorò le
labbra di Renji ancora salate, screpolate e sporche di sangue, augurandosi che
potesse riaprire gli occhi
presto: per quanto dolce –aveva
pur sempre baciato
Abarai-
il disgustoso nettare appena
assaggiato
aveva un sapore decisamente troppo simile a quello della morte, per
poter
appartenere al compagno…
34
–
Rossore.
Spesso un
tenero rossore ravvivava le guance di Rukia quando Renji,
avvolgendola tra le proprie braccia, la sollevava verso di sé; allora
la
ragazza, per niente contenta di una tanto palese prova di dolce
imbarazzo,
nascondeva il volto fra i capelli del compagno, sorprendendosi di
quanto quelle
purpuree crini fossero fredde a contatto con le sue gote bollenti.
35
–
Possesso.
Alle volte,
Renji sapeva di apparire decisamente troppo debole; era consapevole
di non essere in grado di stringere a sé ciò che possedeva e lo
lasciava
scivolare via, privandosene: aveva commesso questo errore con Rukia una
volta,
e –povero
idiota-
sarebbe stato
disposto ad allontanarsi ancora, se solo la shinigami -come a sancirne il
possesso-
non lo avesse preso per mano.
36
–
Crepuscolo.
Quando calava
il crepuscolo, Rukia avvertiva un freddo pungente strisciarle
sotto pelle, ed una spiacevole realtà aggrapparsi crudelmente alle sue
membra,
senza che le fosse concesso una via di fuga: non aver saputo intuire
neanche
per quel giorno il motivo della tristezza sempre più profonda che
leggeva negli
occhi di Renji.
37 – Fautore.
Il loro comune
passato era stato prima fautore e poi distruttore della loro
amicizia: già, per un po’ di tempo entrambi avevano potuto definirsi
deliquenti
di strada costretti a rubare per sopravvivere, poi Rukia, divenendo una
nobile,
avava lasciato Renji ad ululare da solo contro il cielo…
“Vorrei avere il
coraggio di
rincorrerti.”
38
–
Sfrontatezza.
Quando Renji e
Rukia, immersi totalmente nel loro imbarazzo, si ritrovarono
innanzi a Byakuya per ufficializzare il loro rapporto, si resero ben
presto
conto che la somma della loro notevole
sfrontatezza non sarebbe stata mai
abbastanza per poter affrontare lo sguardo freddo ed immobile
dell’imperscrutabile
capitano della Sesta Compagnia.
39
– Fato.
Renji sapeva
bene che il fato, il destino, fosse decisamente uno stronzo, però quando gli
sorrideva
sapeva farlo in maniera benevola; e quella volta, mentre Rukia era
seduta al
suo fianco a fissare assorta le nuvole sfumare nel cielo, pensò proprio
che
quel dannato bastardo stesse ammiccando nella sua direzione…
“Fare un primo
passo non costa niente!”
40
–
Labbra.
Le labbra di
Renji si avvicinarono tremanti di decisione a quelle di Rukia, ma
prima che potesse sfiorarle, Abarai chinò lo sguardo e, limitandosi a
carezzare
con due dita quelle belle linee sottili,
sfuggì allo sguardo smarrito che la shinigami intontita dalla
sorpresa
gli rivolse incredula.
41
–
Pensiero.
Spesso, Renji
aveva un pensiero ricorrente, una specie di ricordo mai vissuto,
un déjà-vu, una sensazione di cui subito dimenticava l’entità, allora
fissava
il vuoto per diversi secondi fino a quando il suo sguardo non
incrociava gli
occhi di Rukia nel cui fondo riconosceva ciò che pochi secondi prima
gli era
sfuggito tanto agilmente: la
consapevolezza di appartenere a qualcuno.
42 – Ritorno.
Combattendo,
semplicemente promettevano a se stessi di uscire vivi dalla nuova
battaglia ad
ogni costo;
e solo al
ritorno nella Soul Society, infine, si concedevano un abbraccio dove
imprimevano
tutte le macabre angosce che avevano divorato le loro anime, scacciando
via il
timore di non ritrovare, una volta a casa,
il rassicurante calore dell’altro.
43
–
Ferita.
Renji sentì la
ferita al torace divorargli i nervi, avvertì il dolore
strisciare lungo le braccia, le gambe, il collo, afferrare il cervello
ed
annebbiargli la vista; però continuò ad avanzare –ed il sangue
scivolava al
suolo lento, inesorabile, impregnandogli lo shihakusho-:
nessuna sofferenza, nessun sentiero di carne
lacerata gli avrebbe impedito di
raggiungere Rukia.
44
–
Confine.
Renji sapeva
che non sarebbe mai stato in grado di superare il confine dei suoi
dubbi e dei suoi tentennamenti, quindi si sorprese non poco quando
furono i
sentimenti a prendere il comando del suo corpo
e a costringerlo a superare il
crudele limite che si era imposto nei confronti di Rukia:
“Non toccarla col
tuo cuore: è troppo
marcio…”
45
–
Furore.
Il cuore gli
bruciava nel petto, gonfio di furore; e Renji ringhiò, mostrando
le zanne non più come un cane randagio e bastonato dal dorso spezzato, ma alla pari di un
lupo affamato che desiderava
carne e sangue, che agognava ad un osso da masticare e spolpare con
gusto -e ritenne che fosse
davvero una fortuna
che Rukia, ferita gravemente, restasse incosciente: lo shinigami si
vergognò,
in quel momento, della sua cieca
bestialità…
“Bankai! Hihio Zabimaru!”
46
–
Volto.
Rukia,
chiudendo gli occhi, avrebbe potuto rievocare ogni singolo
angolo del
volto di Renji alla perfezione: la linea affilata del suo profilo, le
labbra
sottili –meglio
se distrattamente schiuse- il naso
appuntito, le
iridi scarlatte
dall’espressione ferina -alle volte
sconvolta, troppo spesso triste, quasi sempre arrogante-
erano impressi a
fuoco nella sua memoria, però la shinigami mai
avrebbe ammesso quanto per lei fosse fondamentale
avere l’assoluta certezza che quei fragili particolari continuassero ad
essere
nutriti dalla vita, e che non si frantumassero sotto il colpo di una
spada come
nei suoi più oscuri incubi.
47
–
Candore.
Rukia osservò
il corpo immobile di Renji, vide il candore delle bende che gli
avvolgevano il torace tingersi lentamente di carminio e chiuse gli
occhi,
mordendosi un labbro frustrata; poi, con lentezza, disegnò con due dita
il
profilo della bocca schiusa del compagno, rabbrividendo appena nel
constatare
che fosse fredda come sole la bianca morte potesse renderla.
48
– Vino.
Né Rukia, né
Renji avevano mai assaggiato quell’agrodolce bevenda umana –vino, la chiamavano-, e
quando il
liquido denso scaldò le loro gole, Abarai –masticando diverse
imprecazioni- fu costretto
a ripulirsi da quello che la shinigami, disgustata, gli aveva
involontariamente
versato addosso.
49
–
Incisione.
Rukia non
conosceva il significato dei tatuaggi di Renji, ed Abarai mai aveva
accennato a tale particolare indelebile, però quelle nere incisioni in
alcuni
momenti le erano sembrate tanto simili a crudeli corde che avvinghiavano il torace dello
shinigami, sfiorandogli -artigliandogli- il cuore.
50
–
Lanterna.
La debole luce di una
lanterna
illuminava i volti stanchi dei due shinigami e nel silenzio i loro
respiri
profondi scandivano i secondi con quieta lentezza; allora, con
l’ausilio delle
tenebre che parvero dargli coraggio, Renji strinse una mano di Rukia e,
conducendola contro il proprio petto palpitante -ed era ancora
fermamente convinto che l’unico modo che avesse per
esprimersi fosse servirle il suo cuore su un piatto d’argento- sperò solo
che il bacio posatosi poco dopo in quel punto non fosse stato un
effimero
sogno.
*Owari*