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Autore: yolima90    13/03/2012    1 recensioni
L'autobiografia di Annita, una ragazza spagnola di barcellona che prova scrivere la sua autobiografia anche se non è così vecchia...i passi importanti e non della sua semplice vita.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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A te..
 
 
 
Questa è un autobiografia o un semplice racconto? Qual'è la differenza? La cosa più importante ,questa è la MIA autobiografia? Non ho ancora deciso.
Forse ci sono pezzi della mia vita o forse no..diciamo che potrebbe essere l’autobiografia di qualunque..di me, di te..di voi.
Buona lettura.
 
 
 
 
Non è facile scrivere un’autobiografia . Non lo è mai stato. Dall’altro canto è troppo presto per scriverla , secondo  me. Sono giovane..mi piace dire che sono troppo giovane per scriverla ma il sonno non arriva e quindi ho deciso di buttare quello che mi passava per la testa tra una sigaretta e un sogno che scappa dalla mia testa prima che il cervello chiuda la falla che ha .
Ho provato più volte a buttare qualche pezzo della mia vita ma con scarsi risultati, di solito mi addormentavo o mi perdevo in qualche telefilm americano in lingua originale. Si, avete capito bene..in lingua originale perché ormai non ci sono più i doppiatori di una volta e non c’è il più in certi casi tutto il lavoro che c’era in passato. Attori famosi o quasi famosi che hanno una voce orrida in spagnolo  e quando inizi a passionarti di una seria è inevitabile che vai su internet a cercare notizie e altro e allora solo allora aimè t’imbatti nei video non doppiati e rimani a bocca aperta perché quell’attore che inizi ad amare ha una voce dannatamente favolosa che al solo pensiero di quella che gli è stata affidata ti viene i brividi e allora inizi a guardarla in lingua originale.
Bene, dite voi, no! Perché sei talmente innamorata di lui che non impari neanche una parola d’inglese, sei follemente persa nella sua voce e nei suoi occhi che se lui di colpo dicesse “ sono un fascista” tu continueresti ad amarlo perché è Lui.
Ma ritorniamo a noi, a me, alla mia autobiografia. Sono le quattro di notte e io dovrei essere a dormire, ma vedete mi è venuta fame e intorno a me non vedo neanche un pezzo di pane con la marmellata. Cavolo!
Ho sempre avuto una fame pazza da quando ho i ricordi d’infanzia.
Ho sempre amato il cibo da  quello che ricordo, forse non tutto i cibo ma non ho mai detto di no a un buon piatto casalingo.
È qui che inizia la mia autobiografia..l’autobiogradia di…
Sono nata nel lontano 18 Agosto del, no non posso dirvi l’anno mi vergogno..perchè poi iniziate a dire che sono ormai vecchia come me lo disse due giorni fa mio padre a tavola
“ Sei vecchia ormai”
è stato uno shock ve lo giuro.
Non me l’aveva mai detto, ma andiamo avanti.
Allora sono nata in estate , sono uscita che strillavo e calciavo ovunque, iniziavo già a dire la mia, le infermiere mi lavarono e mi misero in braccio a mio padre che approfittando della stanchezza di mia madre mi portò fuori dai parenti che strillarono di gioia quando mi videro. Dopo una dinastia dominata da uomini finalmente in casa Lecks era nata una femmina. Mio padre aveva cinque fratelli , tre più grandi di lui e due piccoli , mia nonna mi dissero che scoppiò a piangere e mio nonno a ridere mentre l’abbracciava.
Dopo una settimana mi portarono a casa con la mamma, vivevamo a Barcellona , nelle Rambla il centro della città piena di turisti. Quel giorno c’era vento per fortuna sennò con quei  trenta gradi sarei morta di sicuro, ero molto fragile da piccola mi dissero nei racconti prima di addormentarmi.
A casa c’erano i miei due fratelli più grandi ad aspettarmi : Javier e Pierre , uno di dieci e l’altro di  dodici.
Mi misero in una culla dalle coperte rosa e dal cuscino rosso come le mele appena raccolte, inutile dire che passai giorni infernali, sopra di me c’erano migliaia di occhi curiosi che fissavano mentre io strillavo perché volevo assolutamente la mamma e la pappa. Invece quei occhi rimanevano lì a guardarmi curiosi fregandosene dei miei urli da cantante lirica e altro buttando fuori parole sdolcinate e farmi coccole dolorose sul mio povero stomaco sensibile, solo dopo scoprirono che soffrivo terribilmente il solletico, bastava che qualcuno mi facesse un’accarezza lungo i fianchi che io partivo e saltavo fino a raggiungere il tetto.
Passarono i giorni e io mi facevo sempre  più grande e vorace di latte del seno della mamma , mangiavo tre volte al giorno e non facevo dormire i miei. Dovettero organizzare turni rigidi , guai a saltarli o io avrei fatto un casino se non ricevo a quell’ora esatta il latte. Si ero una palla enorme. I miei due fratelli maggiori non avevano fatto lavorare così tanto i miei genitori prima d’ora, mancava il mio arrivo per farli muovere quei due.
Senza accorgermi arrivò il primo amore : papà.
Ebbene si m’innamorai di mio padre, perché? Non lo so. Penso che tutte le bambine s’innamorano del loro padre quando sono piccole così i maschietti con le mamme.
So solo che cercavo sempre papà, e la cosa che m’infastidiva di più era che non giocava sempre con me, c’era sempre la mamma che lo portava via da me con una risata, mi provocava fitte di gelosia pazzesca..avevo un’anno.
Amavo follemente mio padre, aveva grandi occhi celesti come i miei (così avevo sentito dire)  e aveva un bellissimo sorriso che mi faceva ridere. Ridevo ore con lui. Con la mamma di meno.
La cosa che mi dava più fastidio era il passaggio dal pannolino al cesso, per essere più eleganti il water. Lo odiavo! Era così comodo il pannolino,non dovevi correre in bagno quando ti scappava, invece ora dovevo strillare “ mi scappa!!” e aspettare qualcuno che mi prendesse e mi portasse in bagno e aspettasse lì con me finchè non avevo finito.
Ma c’erano anche le cose belle nella mia infanzia come per esempio : i miei primi passi e la mia prima parola.
Era un lunedì piovoso quando senza l’aiuto di papà e di mamma o uno dei miei due fratelli imparai a muovermi sui miei due piedini morbidosi. E ricordo ( ricordo perché hanno registrato il momento tanto atteso) la gioia di tutta la famiglia e anche di Ticky, il nostro bastardino di casa. Un cane dal muso nero e dal pelo bianco molto buffo che mi faceva da guardia quando gli adulti non c’erano.
Ma ritorniamo ai primi passi che sono una parte molto importante per l’umanità, ero in camera di Javier quando di colpo iniziai a camminare e ricordo che rimasi un attimo sola abbastanza per fare altri passi prima che Javier ritornò con tutta la famiglia. Una cosa gigantesca mi fissava minacciosa in mano a papà, era la telecamera di mamma. Regalata dal nonno per il loro matrimonio. Mio padre iniziò a saltarmi intorno come un folletto e strillava di gioia “ cammina!cammina! oh mio Dio!!!” diceva tutto gioioso mentre mi riprendeva.
La mamma invece si mise a piangere,è una donna fragile..credetemi. I miei fratelli invece rimasero a fissarmi sorridenti anche loro sapendo che era il mio momento e non il loro visto che era da un bel po’ che si tenevano sulle due zampe senza l’aiuto di nessuno. Peccato, si a me piaceva camminare era divertente ma anche gattonare lo era, mi sembrava di essere così simile al nostro cane, lui camminava a quattro mica a due come gli altri. Mi sentivo speciale come lui. Ma aimè..il mio destino era camminare a due zampe e così sia.
Arrivò il tempo dell’asilo nido poi quello delle materne . Non mi piaceva molto andare all’asilo, facevo di quei pianti quando uno dei miei genitori mi salutavano, ricordo che mi attaccavo alla loro gamba e non gli lasciavo più andare, diventavo un polpo fottutamente coraggioso, guai chi osava staccarmi dalle loro gambe, dovevano vedersela con i miei denti giovani e pronti al sacrificio di mordere pelle vecchia e puzzolente dei maestri vecchi. Nessuno mi avrebbe più staccato da papà e mamma.
Ma chissà perché riuscivano sempre a staccarmi e lasciare liberi i miei che scappavano senza voltarsi al lavoro mentre io piangevo disperata come se mi avessero appena tolto la cosa più bella di questo mondo. Il polpo fotuttamente coraggioso veniva continuamente sconfitto..che tristezza.
Se io ero infinitamente triste, gli altri bambini non davano segno di esserlo. Erano felici e giocavano allegramente dividendosi i giocattoli. Me ne stavo in un’angolo a disegnare alberi e prati aggiungendo qualche volta cani e cavalli..ma raramente..quei prati e alberi erano soli come me in quei momenti di assoluto abbandono. I maestri non mi avrebbero mai avuta dissi tra di me mentre disegnavo un ‘altro millesimo albero.
Ma le mie giornate stavano per cambiare, solo che io non lo sapevo, continuavo andare alle materne e continuavo a strillare fino a un giorno. Ero impegnata a tenere il broncio per tutto il giorno,papà se ne era appena andato quando di colpo senza averlo chiamato mi si avvicinò un bambino da grandi occhi curiosi color nocciola, all’inizio io non lo vidi perché avevo gli occhi accecati  dalle laccrime di dolore , solo quando lui fu davanti a me lo notai.
Era biondo, capelli color ora e un viso a forma di cuore, in mano teneva un peluche a forma di foca minuscola e nell’altra mano teneva una macchinina tutta rovinata color verde, lo guardai infastidita sempre tenendo il broncio anche se la facci iniziava a farmi male, ma non volevo rendere felici i maestri con me avrebbero avuto vita dura. Questo era più che sicuro. Loro mi allontanavano dai miei genitori? Bene io non avrei donato amore a loro .
Se lo potevano scordare un mio sorriso.
E mentre pensavo a tutto ciò il bambino biondo continuava a guardarmi e stare fermo lì davanti con quei benedetti occhi  curiosi, allora non sapevo che quello che avevo davanti sarebbe diventato una persona troppo importante  in futuro, più importante dei miei genitori , allora avrei davvero conosciuto il dolore di una persona quando un’altra l’abbandona sul serio, ma allora ero piccola..avevo solo quattro anni che ne sapevo del dolore e della vita? Le mie esperienze arrivavano giusto a  “ Dov’è Kitty?” un cartone che davano sul canale per bambini.
<< Ciao >> disse lui sedendosi accanto a me e iniziando a far andare su e giù la macchinina mettendo sulle mie ginocchia troppo pulite per essere le mie (amavo giocare con la terra) la piccola fochina grigia che mi fissava divertita prima che io la spinsi lui e lui con pazienza me la rimise sopra.
Quel bimbo stette insieme a me tutto il giorno, io cercavo di allontanarlo e lui invece rimaneva lì a tenermi compagnia come se non gli importasse del mio brusco carattere da super musona e incavolata con il mondo intero perché ero dentro a quell’orrido posto pieno di bambini antipatici etc..
No lui stette sempre con me dalla mattina al momento che si ritornava a casa, e non solo quel giorno , ma anche i giorni successivi e così via.
Inizia a conoscerlo, si chiama David e amava le macchine, suo padre vendeva macchine e sua mamma le faceva da segretaria, era figlio unico e avevano un pesce di nome Pinco Pallino e un gatto di nome Tullo. Nome strani pensai quando me lo disse tutto sorridente , David sorrideva spesso al contrario di me che ero sempre seria .
Lui fu la prima persona che m’insegno a sorridere quando non ero a casa, fu la prima persona che scacciò la mia tristezza e mi diede in cambio tutta la sua felicità e la sua pazzia di sognatore folle che era.  
David era più avanti di noi altri, aveva un’anno in più. Cinque anni, sapeva leggere ma non scrivere, era una cosa che lo rendeva orgoglioso ,se con gli altri si vantava di questa cosa a me non lo faceva pesare, non menziognava come faceva con gli altri bambini della sua bravura nella lettura. Avevo imparato a leggere nell’ufficio di papà grazie al nonno che con pazienza aveva insegnato al dolce nipotino leggere la sua patente di guida.  Amavo la compagnia di quel bambino dai capelli biondi e dal sorriso facile. Imparai per bene a ridere come faceva lui,passavammo il tempo insieme anche dopo scuola sempre sotto gli occhi vigili dei fratelli o dei genitori, o anche del cane o gatto . Chi c’era quel momento ecco.
Lo vedevo sempre,a scuola..fuori, dopo pranzo, dopo cena nei giorni estivi quando il sole andava tardi a nanna..anche lui faceva le ore piccole non solo noi.
E senza farci molto caso David crebbe e lasciò le materne per passare all’elementari. E io ritornai sola. Almeno per la mattina e metà pomeriggio finchè papà uscito dal lavoro non veniva a prendermi e mi riportava a casa, allora..solo allora rivedevo il mio amico che senza fretta era diventato il mio migliore amico.
Un giorno non lo sopportavo e l’altro giorno invece non vivevo senza la sua amicizia. Stavo male quando perdevo un giorno che potevo passarlo con lui, la pioggia ben presto e il gelo diventarono insieme alla febbre i miei accerrimi nemici. Il caldo, l’estate,la primavera e anche l’autunno (non quasi sempre) invece diventarono i miei migliori amici per la pelle ma non quanto lui.Non quanto David.
Un giorno mi ammalai e mamma si raccomandò alla nonna di lasciarmi al caldo in casa sotto le coperte, non potevo muovermi dal letto solo per andare in bagno, avevo cinque anni quando mi venne la varicella.
Allora i bambini non avevano già il cellulare come ora, ma si campava lo stesso. Si trovava sempre un modo per tenerci in collegamento. Ricordo che erano giorni noiosi , non sapevo cosa fare dalla mattina alla sera, avevo sempre desiderato stare a casa e non andare a scuola ma ora..che ero ammalata volevo prendere le mie gambe e scappare e assaggiare l’aria, sentire il vento che dolcemente soffiava sul mio visino , e sentire le risate dei bambini.
Non so quante volte pregai Dio di farmi guarire e ridarmi la libertà. In cambio avrei fatta la brava con mamma e papà.
Ma la cosa che mi faceva incavolare di più era David. Perché non mi veniva a trovare? Che amico era?
Ecco mi ammalavo e lui che faceva? Spariva! Ah..che amico avevo trovato..già proprio un ottimo amico. Io se fossi stato lui sarei andato a trovarlo, gli amici fanno così..si aiutano nel momento del bisogno,non scappano come vigliacchi. E lui e la sua assenza erano dei vigliacchi belli e buoni, altro che broncio qui..ci stava un bel pugno sul braccio,eccome se ci stava!!!
L’assenza di David venne tappata da Ticky , il cane dal muso nero così lo chiamavamo o zampotte nere perché aveva le zampe nere come la notte, era buffo ..era un buffo cane, passava minuti interi a fissarti e scodinzolare e di colpo abbaiava come se anche lui volesse dire la sua. Girava per casa con la coda dritta a punto di domanda, e aveva quei occhioni grigi che capivano tutto. Era intelligente, aveva imparato a fingere di tremare quando rimaneva fuori così papà ci cascava e lo faceva entrare anche se non faceva così freddo. Era un’attore da oscar il nostro Ticky.
Durante la mia malattia passavo intere giornate a farli le coccole dalla pancia fino alle orecchie, lui si sedeva accanto a me e chiudeva gli occhi ,  potevo farli di tutto che non si incavolava mai, neanche un morso mi ha mai dato. Gli umani dovrebbero imparare di più dagli animali. Sono così buoni e così morbidi al tocco di una mano gentile e anche aimè al tocco di una mano cattiva, sono infitamente fedeli ,loro non ti tradiranno mai.
Ticky mi fece la guardia ogni giorno, se c’era la mia famiglia si allontanava per poco ma poi ritornava ,era sempre felice,ma dove trovava tutta quella felicità? Mamma e papà non erano sempre felici com’era lui, loro spesso litigavano tra di loro o tra Javier e Pierre che stavano crescendo così velocemente.
Un giorno erano alti quanto un comodino e il giorno dopo erano alti quanto un ‘albero giovane e in forze. Una cosa incredibile,mi sembravano dei giganti.
La varicella mi durò due settimane buone,mi dovettero pure farmi una puntura,una cosa che odiavo moltissimo..anche le punture diventarono le mie peggiori nemiche di questo mondo. Se fosse stato per me avrei abolito le punture e no solo per quella volta ma per sempre. Via le punture dal mondo dei bambini e di quello degli adulti!
Due settimane di noia ..due settimane di pianti e di prurito..due settimane d’inferno per tutta la famiglia.
Finalmente la varicella diminuii e sparii . Fece i bagagli e andò a rompere le palle a un altro bambino e io fui felicissima..ero guarita!!Avrei riassaggiato l’odore dell’aria!!! Basta minestre di verdura o pesce, era tempo di pizza e patatine,di cose buone come le merendine e tanto altro!
Dovetti aspettare altre tre giorni prima di uscire ma poi fui libera. Ah che cosa meravlgiosa calpestare il giardino, essere baciati dal sole e lanciare un bastone a Ticky e vederlo correre come un pazzo abbaiando ovunque .  Ero libera.
Non vidi David per un’altra settimana, ero terribilmente offesa da lui,non si era comportato da buon amico. Non era più amico mio, se li scordava i biscotti della nonna, era mia mica sua. Ma si sa..noi donne diciamo di essere forti, lo siamo ma con certi uomini siamo terribilmente fragili. E io lo ero con David, era il mio unico amico.
Un giorno con sua mamma : Susan, ci vennero a trovare ,ci portarono un bellissimo dolce alla crema di limone, all’inizio mi nascondevo da loro,mi vergognavo troppo, la varicella mi aveva lasciato dei piccoli minuscoli segni , che mamma diceva non erano così importanti e non si notavano moltissimo. Ma io mi vergognavo lo stesso.
Pensavo di essere un piccolo mostro.
Mio padre mi prese in braccio e mi portò davanti agli invitati, David mi vide e sorrise e io anche quella volta mi sciolsi e feci pace con quel piccolo farabutto tutto grazie anche a una buona gigante fetta di torta.
   
 
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