Fumetti/Cartoni americani > Ben 10
Segui la storia  |       
Autore: The Theory    15/03/2012    5 recensioni
Questa è la mia primissima FanFiction sul pairing Ben/Gwen! Spero sia di vostro gradimento in quanto la mia esperienza relativa a questo cartone è poca...
La vita di Ben subì un poderoso cambiamento quattro anni prima, quando l'Omnitrix si spense. I sentimenti di Ben sono da allora un altalena confusa tra la voglia di recuperare la sua passata natura aliena e l' abbandonare l'impresa. Una corsa contro il tempo, una pericolosa storia d'amore ed un racconto dal sapore dolce di ciliegia, rivisto in chiave allo stesso modo comica e triste, che spero faccia sorridere sul primo grande amore e le follie che per esso si fanno.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao ragazzi! Come va? Rieccomi come promesso il 15 del mese :D spero solo il capitolo vi piaccia >.< Gwen è distrutta sebbene voglia risollevarsi, e Ben è talmente tonto da rendersi conto sol’ora d’aver sbagliato su tutta la linea. In quanto corto, vi prego d’assolvermi >.< se riuscirò o ne posterò una versione estesa a breve o posterò o molto prima prossimo capitolo. Scusatemi, è tutta colpa della scuola >.< Un bacio.
 

Gwen rimase sola carponi sul pianerottolo di casa, con lo sguardo annegato nel vuoto. Quel violento chiudersi di porta l’avea fatto rimbombare il suono dell’abbandono in tutto il corpo. Raccogliendo il capo tra le mani ed intrecciando selvaggiamente le dita ai capelli sentì di voler urlare. Forse bestemmiare. Mai era giunta a tanto. Non faceva che rivedere Ben chiuderle la porta in faccia. La rabbia salì. “Ora basta”. Questo quanto uscito dalla bocca del ragazzo.
Gwen strinse i denti. Doveva reagire per esalare tutta la devastazione che l’imbottiva.
Notato il vaso in acciaio che era stato protagonista di uno dei loro litigi e che aveva riposto alla propria postazione facendo ordine dopo la sfuriata del padre, gl’occhi di Gwen ebbero un lampo.
Alzatasi traballando lievemente lo prese per l’apertura soprastante.
– “Ora basta” dovrei dirlo io!
Scagliatolo a terra con tutta la propria forza rimase in piedi senza parole. Ansimante per lo sforzo e la collera.
Non era destino che quel povero ornamento se ne stesse in beatitudine somma laddove progettato. Tanto quanto il dolore di Gwen si placasse.
 
Ben camminava a lunghe falcate ad un ritmo quasi frenetico, rabbioso. Non era nemmeno trascorso il primo giorno di convivenza che già andava infuriandosi. Non riusciva che a riavvolgere febbrilmente gli ultimi avvenimenti ricominciando con gran astio ogni volta daccapo. Avrebbe avuto desiderio impellente di gridare e l’avrebbe fatto con gran trasporto se solo non si fosse sentito tanto frenato dall’atmosfera di pudore sociale che lo circondava. Avrebbe voluto sbraitare intensamente, puntare i piedi ed imprecare al cielo additando Colui in preda alla furia; avrebbe preso a calci ogni cestino, inveito contro qualsiasi passante, maledetto ogni intralcio. Si sentì addosso un fastidio doloroso: era uscito per sfogarsi, scappare da quella situazione malaugurata ed ora, povero sventurato, non realizzava fosse che impossibile. Ben si morse collericamente il labbro inferiore raggrumando tutta la propria rabbia in sé. Lo irritava inoltre il fatto d’essersi lasciato guidare dall’istinto – come sempre e senza risparmiarsi, del resto – ed aver finto il falso abuso nei confronti della cugina. Si interpellò svariate volte sul perché, sulla motivazione incredibile per la quale avesse sentito tanto necessario farlo. Eppure, ammise, Gwen doveva essere posta dinanzi la realtà, la concretezza: intuito quanto realmente la poverina temeva, Ben l’aveva condotta sulla soglia della realizzazione dell’incriminato. Pur vero essendo, solo a scopo “formativo”. Come avrebbero potuto sopportare l’intero periodo natalizio, altrimenti? Tra bisticci, zuffe ed incomprensioni? Trinità. Il ragazzo calciò una lattina che si trovò ai piedi, la quale, rotolando, finì poco lontano.
Una mano la raccolse gettandola nel cestino pubblico in acciaio di lì poco distante: – Ben?
Tennyson alzò lo sguardo, stupito per un istante e richiamato alla realtà.
– Sienna.
La ragazza sorrise mestamente e gli si avvicinò.
– Che combini fuori al freddo? – domandò dunque rivolgendo all’amico uno sguardo di quella che Ben lesse come compassione.
– Non…
Calò il silenzio. A Ben morirono le parole in gola ancor prima di nascere. Non sapeva nemmeno più il motivo per cui stesse vagando sì a tentoni per le vie principali della città. Inutile interrogarsi, riconobbe, non sarebbe stato in grado di buscare tra le migliaia alcuna qualificabile giustificazione. Aveva semplicemente agito d’impulso per lasciar passare un po’ d’aria al cervello e rilassare i nervi contrattisi di maniera disumana. Era stato forse un semplice escamotage per pensare a mente fredda. Ecco tutto.
– Ti va se ci sediamo? – domandò Sienna indicando con l’indice latteo una panchina poco distante.
– Preferirei camminare fino al parco…
– Certo – sorrise la giovane dai capelli corvini – non c’è alcun problema.
E dunque i due s’avviarono, l’uno a capo chino l’altra pregando ardentemente in cuor suo per un buon sviluppo.
 
Gwen si guardò allo specchio: era tutto dannatamente sbagliato. Non era più quella Gwendolyn Tennyson d’un tempo. Si indispettì nel dover ammettere d’esser dipesa sì tanto dal cugino negl’ultimi tempi: qualcosa di sinceramente ineccepibile,borbottò. Puntò i piedi dinanzi la specchiera del bagno, ivi era giunta salendo per le scale in preda ad un desio impellente di bagno. Voleva recuperare la propria dignità lavandosi di dosso lo strazio subito e sinora intentato. La dignità della quale aveva sentito svestirsi poco prima per mano di Ben e delle sue lunghe dita a correre labili sulla propria pelle calda per la malattia. Chiuse gli occhi per un istante, ferita. Dannazione. Null’altro le venne in capo. Sentì bollire in corpo uno strano gorgoglio: insoddisfazione, fastidio, rabbia. Ma soprattutto gelosia. Gelosia nei confronti della sé stessa che Ben aveva sottoposto a tale vile, sopraccitato trattamento, che in quell’istante incriminato e tumultuoso era stata indomitamente sostituita dalla personalità sua seconda timorosa, suggestionata e nata dall’angoscia delle parole genitoriali. Gwen azionò la cornetta della vasca da bagno impostando debitamente la temperatura e, aprendo alcuni dei bagnoschiuma poggiati al bordo, lasciò guizzare in acqua una considerevole, cremosa e all’apparenza golosa quantità d’essenze. Slacciò orbene la camicia bottone per bottone, tanto lentamente d’appiccicarsi indosso un senso assurdo di apprensione. Levatala di dosso la lasciò scivolare sommessamente a terra. Rivoltole uno sguardo di commiserazione compunta provvide a proseguire.
Spogliatasi interamente introdusse il primo piede nell’acqua calda, poi il secondo. Avvolta da uno strato schiumoso di calura sadicamente coccolante s’immerse integralmente. Il calore del termostato avvolgeva l’intera stanza, concedendo alla pelle ahimè scoperta una carezza apprezzabilmente degna.
Gwen inspirò piano. Raccolta un’ingente quantità di schiuma tra i palmi prese a dar vita a differenti ed indistinte forme. Silenzio tombale, ad udirsi solo il gocciolare occasionale dell’acqua o l’ondeggiarne mellifluo. Lo specchiarsi danzante della luce della plafoniera sulle bollicine della schiuma fu l’unica cosa ad attrarre la svogliata Tennyson.
 
Sienna e Ben proseguirono nel cammino lestamente ed in silenzio. Nessuno dei due osava parlare. Ben per primo, bloccato dalla propria ira sinora nemmeno scalfita.
– Cos’è successo? – chiese Sienna inspirando.
Il giovane rimase zitto per una manciata di secondi. Poi smise di contenersi sperando nella comprensione dell’amica.
Ammise:– non resisto più.
La ragazza alzò lo sguardo: – in merito a…?
– Sforzati di immaginare – ebbe come (particolarmente arida) risposta.
– Tu e tua cugina mi farete impazzire – sorrise tristemente Sienna.
Ben sbottò: –non capisco come tu possa sopportare quanto io ti dica sebbene tu…ecco…
– Non è difficile, Ben. – venne interrotto.
Il ragazzo assottigliò lo sguardo corrugando lievemente la fronte.
–  Conta l’abitudine.
– L’abitudine?
Sienna silenziò per diversi secondi.
– L’abitudine nel sentirsi dire quanto ferisca. Se capita spesso, con il trascorrere del tempo si riesce a mettere da parte il dolore.
Ben ammutolì. Si sentì improvvisamente un ciarlone. Con quale titolo s’era permesso di domandare qualcosa di simile? In qualità di chi? Ad accompagnare tale realizzazione, l’intuizione amara d’aver ferito la poverina che, sebbene non volesse darlo a vedere, non fu più in grado che di deviarne lo sguardo.
 – Perdona la mia sconsideratezza – si scusò Ben a capo chino.
– Il fatto è che…solo ora mi rendo conto di essere un insensibile.
Nel pronunciare queste parole, Ben si osservò le dita. Le stesse con le quali poco prima credeva di aver fatto una seppur sorta di favore.
 
Gwen avvolse tra i palmi una noce di bagnoschiuma alla ciliegia. In una sorta di trance profondo rimase a fissarne le sfumature; si sentiva maledettamente ridicola, ed in quell’istante quasi impossibilitata a muoversi. Stava divenendo tutto maledettamente pericoloso. Sbagliato, rischioso.
“Se non fossi qui forse starei meglio” si disse velando lo sguardo smeraldino ed insaponandosi con il prodotto semigelido.
Fu allora. Si bloccò. Non di nuovo! –  supplicò –non di nuovo dovesse nascere rimembranza dei fatti! Quale male aveva fatto per meritare tale, indocile persecuzione? Tentando di oscurare ogni qualsivoglia pensiero o sentore raccolse il capo tra le braccia. Senza sapere cosa stesse accadendo venne invasa dall’orrore. Sgranati gli occhi ripercorse la scena dell’inscenata violenza con una deterrente inquietudine nelle carni: Ben le aveva messo le mani addosso e l’unica cosa cui era riuscita a pensare era stata la gelosia – l’ipotetica gelosia – provata nei confronti dell’altra lei?
Sconvolta si rannicchiò in sé. Ecco riemergere quell’orlo ossessionato germogliatole indosso poco prima. Toccandosi per compiere un gesto tanto comune come quello d’insaponarsi era riuscita inconsapevolmente a rievocare l’accaduto che l’aveva indubbiamente scioccata. Rivide Ben. Chiusi gli occhi lottò per scacciarlo, eliminarne la fisionomia quantomeno momentaneamente. Non ne fu in grado. Presasi la fronte tra le dita strinse gli arti con rabbia. Fosse mai possibile non riuscire a dimenticare? Angosciata a furibonda si raccolse in sé piantando le unghie nella carne, tremante, impietosa. Forse, semplicemente stufa. Si torturò fisicamente e mentalmente tentando di cavar qualcheduna soluzione di quel gran groviglio, ansimò di collera scalciando l’acque come tacciandole di colpevolezza, si morse e s’arrovellò impietosa sì tanto non ebbe certezza di starsi solo facendo del male. E l’amarezza restava. Come poteva essere giunta a tal segno? Quanto Ben le s’era insinuato dentro? Era ovunque guardasse, famelico e crudele ma ugualmente manso e timoroso. A Gwen venne da piangere di rancore: strinse le palpebre e corrugò la fronte; l’indignazione le perforò le membra sino a giungerle al cuore, condensandosi con quel dolore nascosto,celato nelle proprie profondità a causa della coscienza amara d’aver lasciato la madre in mani impietose di bestia e sentendosi ulteriormente ignobile. Quale razza d’essere umano s’era ridotta ad essere? Gwen Tennyson aveva amato sempre e solo sé stessa, sin d’ora nessun stupido intrico amoroso con nessun tanto meritamente stupido cristiano; nessuna grazia, pochi sentimentalismi; faceva eccezione la madre: ed ella l’aveva evidentemente abbandonata, o quantomeno questo stesse sentendo. Udiva sgocciolare, sgretolarsi la propria dignità personale ma soprattutto l’orgoglio, oramai raschiato. Alzato appena il capo rivide sui polsi i segni violacei, residui del violento litigio con il padre. Era troppo. Sentendo il sangue pulsare e la testa soffrire, senza prendere il respiro affogò il capo in acqua. Tra le bolle della schiuma e il rancore che credeva d’essersi lavata di dosso.
 
Ben e Sienna sedettero. Il primo a gambe larghe come si conviene ad un uomo, la seconda in gran compostezza.
– Non voglio tu me ne abbia, Ben, ma desidero mi spieghi cos’è accaduto. E non farti banali scrupoli in quanto consapevole della mia situazione sentimentale.
Ben rimase zitto. Poi si accasciò sullo schienale metallico della panchina: – io l’ammazzo.
– Gwen?
– Non ci voleva grande arguzia, ne abbiamo parlato prima. – la rimbeccò il giovane.
– Certo, certo, chiedo perdono.
– Ad ogni modo, ho capito che ha paura di me. Dai discorsi che fa pare che le siano state appioppate strane e perverse conclusioni circa il nostro rapporto per i prossimi giorni assieme. Sembro una bestia assatanata di sesso, dalle sue parole.
– Non avrai fatto nulla, voglio sperare.
– Io…in che senso?
– Non le avrai messo le mani addosso approfittando della cosa…!
A Sienna si contorse lo stomaco. L’immagine di Kevin le riempì la mente comparendosene all’improvviso.
– Ovviamente no! – ribatté Ben sconvolto.
– Ti posso assicurare che questo potrebbe essere…stato…fonte di shock…per lei.
Lo sguardo della ragazza andò a velarsi progressivamente. E Ben lo notò. Ma non disse nulla. Volle evitare di ammettere la verità: non era stato un abuso, era certo, ma se letto indebitamente, di sicuro un atto intentato. Pregò la misericordia: non era quel genere di persona. S’udì ora sudicio di indegnità.
– Ad ogni modo… – lo incitò Sienna.
– Il padre l’ha picchiata. Gwen è pesta di febbre e non so come né bene perché questi l’ha devastata. Ha segni violacei tutt’intorno al collo, ai polsi, ed un taglio spaventoso al centro del petto. Come se non bastasse…mi sta venendo da vomitare. –  Ben raccolse il capo tra le mani – Non so come potrò resistere né come esserle d’aiuto benché voglia sinceramente. Abbiamo litigato ormai un numero di volte incalcolabile. E dico davvero…Gwen è una persona così dannatamente difficile…
– E tu?
Il ragazzo alzò il capo prima volto in basso.
– La chiave è questa, Ben. Comprendo: Gwen non è una persona facilmente gestibile, desidera il controllo, l’egemonia, una sorta di comando perenne. Ma è una ragazza al contempo molto fragile e maledettamente insicura. Se litiga con te tanto spesso è forse perché in tua compagnia sente sfuggirsi il comando di mano. Orbene, valuta: cosa sarebbe bene fare? O meglio, cosa sarebbe più facile?
– Spararmi?
Sienna contorse la bocca in un’espressione a metà tra la risata e un lieve accenno di sopportazione al limite dell’umano. Indubbiamente, Ben era assai poco maturo, in campo.
– No, sciocco. Faresti certamente meno fatica cercando di mettere ognuno a proprio agio. Se sai cosa irrita lei e cosa te stesso bene, evitalo. In ogni caso, mi duole, Ben…ma bisogna essere realisti. L’amore parentale è complesso e differisce ben chiaramente dall’amore tra due estranei. Eppure tra te e lei…io stessa non riesco a distinguerne il confine.
Quella frase rimase appesa nel vuoto. Poi il silenzio.

Continua!

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Ben 10 / Vai alla pagina dell'autore: The Theory