Le
due facce del Duca
Era solo
focoso. Nel suo sangue caldo di spagnolo, ardeva un fuoco.
Il fuoco dei
Borgia.
Il rampollo di Castel Sant’Angelo, Cesare Borgia,
detto il Valentino,
assedia da
sei mesi il castello.
Il Borgia era alla testa del
ben armato e nutrito esercito papale.
Assediava la città da sei
mesi; con l’anima infiammata dalla determinazione, e il cuore pieno d’orgoglio
spagnolo, famelico di vittoria. Si vociava che non mangiasse da tre mesi, così
occupato com’era a progettare una vittoria rapida e schiacciante.
Faenza era l’ultima mira del
Valentino, dopo, che, nell’ottobre di quello stesso anno, aveva intrapreso la
seconda campagna contro i nemici della Chiesa, finanziata dal suo ricco ed
immorale padre Alessandro VI.
Aveva seminato paura e
distruzione dietro di sé, espugnando, con il pugno di ferro, i ricchi castelli
laziali dei nemici del padre: i Colonna e i Savelli.
La voce della sua
schiacciante vittoria aveva raggiunto gli orecchi di Pandolfo Malatesta,
signore della ricca Rimini e di Giovanni Sforza, signore di Pesaro, che spaventati
fuggirono come cani, lasciando che l’invasione dello spietato Borgia prendesse
sempre più piede nella Romagna, mentre i poveri lo acclamavano come un
liberatore, portatore della voce di Dio.
Il Borgia aveva fama
d’essere un grande uomo, forte e invincibile, spinto dalla stessa voce
dell’Altissimo. Che leggenda fosse vera o no, non ci è dato di sapere. Ma in
quegli ultimi mesi d’assedio, pareva veramente che Iddio parlasse per mezzo di
lui; aggiungendo altra forza al suo braccio, ampliando e fomentando la fiamma
incandescente che gli ardeva dentro. Era ancora più ardimentoso ed impaziente,
girovagava come un febbricitante per il
campo, borbottando parole assennate, sussurrate al vento.
Era dunque in quello spirito,
irrequieto e tormentato da pensieri tenebrosi, che risiedeva la voce di Dio.
<< E’ la spada di
Satana che impugna! >> sbottò con voce ardimentosa il Manfredi,
passeggiando nervosamente su e giù per la stanza.
<< Calma, fratello!
>> esordì con voce piatta il giovane Gian Galeazzo II Manfredi, il più
saggio e filosofico tra i due fratelli signori di Faenza:<< Il Borgia è
pur sempre il figlio del Santo Padre… >> gli rammentò con calma:<<
se la nostra resa è ciò che vuole Iddio, allora è alla sua volontà che ci
dobbiamo inchinare… >> disse.
<< Dio, fratello? >>
sbottò l’altro:<< guarda! Guardalo! >> urlò febbricitante,
indicando oltre la finestra:<< ti sembra un figlio di Dio, quello!?
>> fece una pausa e attese che anche il fratello si accostasse alla
finestra:<< un figlio di Dio che uccide, violenta, assale, distrugge? Di
che Dio stiamo parlando?! >> sbottò:<< di che Dio parliamo?! E’
palese che quel demone serve solo sé stesso, sé e quella sua fame di potere, di
vittoria! Lo ha ben istruito il suo Santo Padre! Inganno, sotterfugi, omicidi!
E’ questo che fa Dio? >> sbottò.
Gian Galeazzo restò in
silenzio, a fissare con intensità oltre il vetro della finestra. Il Borgia, infuriava
nella battaglia a spada tratta, con la rabbia che traboccava nel suo cuore,
annebbiandogli anche gli occhi. La sete di vittoria che bruciava nel petto.
<< Non è della sua
Santa ispirazione di cui parliamo adesso, Astorre… >> disse con calma un
uomo, che indossava una pesante armatura a placche.
<< Cosa suggerisci,
allora? >>sbottò il giovane duca, voltandosi di scatto famelico,
rendendosi conto di essere stato troppo duro con il suo più fidato braccio
destro:<< perdona la mia irruenza, Petronio… >> disse con voce più
calma, cercando di non ascoltare le urla di guerra e il cozzare delle spade che
proveniva da fuori.
<< La tua idea,
Petronio? >> si intromise Gian Galeazzo, mettendo una mano sulla spalla
del fratello, invitandolo a riprendere le redini del suo autocontrollo.
<< Siamo alla fame…
>> prese a dire l’uomo con calma pacata nella voce:<< il Borgia e
il suo esercito hanno tagliato le nostre risorse, e preso le campagne sempre
più in profondità, non ci arrivano più provviste e pare che… >> fece una
pausa e abbassò lo sguardo gravemente.
<< Parla, per Dio!
>> sbottò l’irrequieto Manfredi, perdendo nuovamente la calma:<< se
sono cattive notizie che devi portare, non attendere oltre! >> aggiunse
irritato, con il volto paonazzo.
<< l’esercito e
soprattutto lo stuolo di prostitute che lo seguono devono… >> fece
nuovamente una pausa, ma nel vedere il volto di Astorre diventare sempre più
paonazzo, si affrettò ad aggiungere altro:<< aver dato l’avvio ad un
epidemia… >> spiegò seriamente.
Astorre ebbe un moto d’ira,
che lo costrinse a digrignare i denti:<< deve aver architettato tutto
lui! Quel mostro! >> urlò.
<< Calmati fratello!
>> si intromise Gian Galeazzo un poco più preoccupato.
<< Sì, potrebbe essere
come dici tu, Astorre… >> prese a spiegare Petronio:<< ma io non
penso, non è certo stato Cesare Borgia a costringere i nostri contadini
insoddisfatti ad andare dalle sue prostitute! >> disse seriamente
l’uomo:<< non penso sia stata una mossa programmata… >> continuò.
Astorre strinse il pugno,
nervoso ed irritato:<< lo proteggi, Petronio? >> sbottò.
<< No, Astorre, ma non
possiamo esserne sicuri! >> disse con voce più franca l’uomo, mentre
l’armatura scintillava lugubre alla luce della prima mattina:<< in dieci
anni di battaglie non ho mai visto una città espugnata senza inganno,
sotterfugio e furbizia… e dobbiamo ricordarci che l’esercito papale può
muoversi liberamente, trovare alleati, rafforzarsi, noi siamo bloccati qui,
senza aiuti, né cibo e… >> fece una pausa e abbassò lo sguardo, ma ad una
mossa di Astorre riprese a parlare:<< devono aver scoperto l’esistenza
del secondo pozzo… proprio stamane una famiglia di cinque persone è morta
avvelenata, e altre subiranno la stessa sorte… non sappiamo quanti abbiano già
utilizzato quell’acqua dopo la contaminazione, né chi l’abbia avvelenata…
>> constatò lentamente.
<< E’ terribile!
>> intervenne Gian Galeazzo, affranto, con lo sguardo assorto nei suoi
pensieri:<< cosa possiamo fare, Petronio? >> chiese ingenuamente.
L’uomo fece schioccare la
lingua sul palato, poi si strofinò le mani nervoso e dubbioso, infine, riprese
a parlare titubante:<< io credo che… la nostra unica speranza sia…
>> fece una lunga pausa, ma né Astorre, né il fratello minore ebbero la
forza di ribadire, quella moltitudine di notizie li aveva profondamente
scossi:<< innalzare il vessillo
della resa… >> mormorò.
Per la sala aleggiò un
silenzio profondo e teso, mentre di sotto, provenivano le grida della
battaglia.
Il volto di Astorre si
incupì, mentre Gian Galeazzo, parve riflettere seriamente sul consiglio
dell’uomo.
<< Petronio! >>
sbottò il maggiore tra i fratelli, Astorre, portandosi due dita all’attaccatura
del naso:<< come puoi dire una cosa simile! >> disse infuriato,
trattenendo il tono di voce irritato.
<< Calma, Astorre!
>> sbottò Gian Galeazzo, prendendo la parola, con occhi iniettati di
determinazione, che di rado si poteva scorgere sul suo volto:<< potremmo
non avere altra scelta! >> aggiunse lentamente.
<< No, mai! >>
sbottò l’altro, sciogliendosi dalla presa del fratello, che ancora poggiava la
mano alla sua spalla:<< non cederò mai agli sporchi ricatti di quel
demone! Mai! A costo di morire io stesso di sete! >> sbottò deciso.
<< Dici bene,
fratello! >> intervenne Gin Galeazzo, serio e deciso:
Astorre digrignò i denti per
la rabbia, e fissò alternativamente il fratello ed il fidato Petronio, infine,
con passi lenti si avviò verso la finestra.
La scena che gli si presentò
davanti agli occhi lo fece fremere per la rabbia e per l’orrore. Il Borgia
infuriava nel cuore pulsante della battaglia, mentre i suoi soldati mercenari
dissanguavano i nemici, e, ormai sotto le mura, violentavano le donne che si
erano rifugiate nella corte interna.
Non ebbe il tempo per
riprendersi del tutto da quella vista, voltò lo sguardo e fissò per qualche attimo
il pavimento. Non poteva arrendersi, non voleva. Faenza non era mai stata
attaccata prima dall’ora, lui aveva giurato di proteggere i suoi abitanti dalle
violenze e dalle ingiustizie, ed il Duca Valentino era la minaccia più crudele
e spietata che potesse capitar loro.
Allo stesso tempo, il suo
animo nobile, non gli permetteva di lasciare che tutto quello accadesse. Non
poteva fingere di non vedere. Non poteva evitare di guardare oltre le finestre.
Forse Dio aveva tracciato
una via diversa per lui, un cammino al fianco della Chiesa, non contro d’essa,
lontano dalla sua amata Faenza, a Roma…
Si tormentò con quei
pensieri per lunghi minuti, aveva la vista annebbiata dalle lacrime di rabbia e
frustrazione. Le urla disperate delle donne, i pianti dei bambini e il fragore
delle spade rimbombavano nelle sue orecchie, come il battito di un cuore
spaventato.
Come poteva fingere che non
succedesse nulla?
Se si fosse arreso
spontaneamente, la vita dei suoi sudditi sarebbe stata salva, e forse, il
Borgia sarebbe stato clemente con lui. Ancora aleggiavano i racconti della sua
bontà nei rispetti di Caterina Sforza, alla quale aveva risparmiato la vita,
mandandola in convento, piuttosto che ordinare la sua esecuzione. Forse anche
lui avrebbe avuto salva la vita. Era anche vero che Caterina Sforza era una
donna, e anche molto bella, a quanto si narrava. Un motivo in più per non
ucciderla, si vociferava, che i Borgia, avessero un particolare ‘appetito’ in
questo senso.
No, Cesare Borgia, non gli
avrebbe mai risparmiato la vita. Ma non poteva permettergli di continuare con
la sua invasione.
<< Innalza il
vessillo! >> disse seriamente:<< e assicurati che Cesare e i suoi
animali smettano di combattere, la città è loro! >>