Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: __Jude    20/03/2012    5 recensioni
Tra Sherlock e John scorre un sentimento che va ben oltre l' amicizia. E forse loro lo sanno, ma la sofferenza causata dalla caduta di Reichenbach ha seppellito le emozioni in profondità. Sarà l' arrivo di un nuovo ispettore, completamente diverso da Lestrade, che cambierà le cose, facendosi spazio nella quotidianità dei due coinquilini.
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve a tutti :)
Prima di lasciarvi alla lettura ci tengo a dire un paio di cose:
- A dispetto di quanto si possa pensare, questa storia è incentrata sul pairing Sherlock/John.
- Cercherò di mantenere i personaggi più IC possibile, ma temo che a volte sarà inevitabile che appaiano un po' OOC.
Detto ciò sparisco. Enjoy!




INTRO.
Così sempre corre il giovane verso la donna: ma è davvero amore per lei a spingerlo?
O non è amore soprattutto di sé, ricerca d' una certezza d' esserci che solo la donna gli può dare?
Corre e s' innamora il giovane, insicuro di sé, felice e disperato, e per lui la donna è quella che certamente c'è e lei sola può dargli quella prova.
Ma la donna anche lei c'è e non c'è: eccola di fronte a lui, trepidante anch' essa, insicura, come fa il giovane a non capirlo?
Cosa importa chi tra i due è il forte e chi il debole?
Sono pari.
-Italo Calvino, "Il cavaliere inesistente"








Capitolo 1.
C’era odore di sigaretta e alcool etilico quando John rientrò al 221B di Baker Street dopo una proficua spesa al supermercato. La varietà di alimenti infilati nelle buste che teneva tra le mani lo avevano messo di buon umore, probabilmente perché era consapevole che tutto, o per lo meno la maggior parte, era destinato al suo stomaco. E neanche i folli esperimenti di Sherlock gli avrebbero potuto togliere quel sorriso.
“Ma dove diavolo eri?! E’ almeno un ora che ti chiedo di passarmi quel flacone di cromo!” si lamentò il suo coinquilino appena il dottore varcò la soglia della cucina.
Per un attimo John si chiese dove avrebbe potuto posare le buste, dato che il tavolo e il piano cottura erano invasi da strumenti diabolici e sostanze dall’ odore nauseabondo. Strinse le labbra, come se stesse cercando di trattenere il suo buonumore dietro i denti, e optò per il pavimento.
“Sono uscito un’ ora fa e il fatto che tu abbia problemi di concentrazione non ti autorizza a sbraitare” ribatté mentre apriva il frigo per sistemare i suoi acquisti. Fortunatamente non ci trovò nient’ altro al di fuori di uno yogurt, probabilmente scaduto, un paio di carote e un pomodoro. Stranamente, Sherlock aveva smesso da un po’ di infilarci dentro parti sanguinolente di corpi umani e animali e dal canto suo John non sapeva se preoccuparsene o esserne felice.
“Cosa ti fa pensare che io abbia problemi di concentrazione? E’ proprio perché sono bravissimo a concentrarmi che non mi sono accorto che eri uscito” disse il detective con risolutezza, senza sollevare lo sguardo dal suo esperimento.
“Infatti è questo il problema: ti concentri troppo e non capisci niente di niente di quello che succede attorno a te!”.
“Perché, evidentemente, in determinati momenti, quello che succede attorno a me non è così importante”.
“Grazie per la considerazione”.
Sherlock sorrise e accostò gli occhi al microscopio. “Quando fai la donzella offesa sei molto divertente”.
“La cosa?” chiese il dottore appoggiandosi con una mano al frigo e inarcando un sopracciglio. “P- perché dovrei essere una donzella?!”.
“Beh, avrei potuto chiamarti ‘mammina’ o ‘cucciolo’, ma credo che ‘donzella’ sia più appropriato”.
John sospirò, arrendendosi davanti al suo irritante coinquilino e concentrandosi sulla spesa che andava stipando nel frigo. “Sei un idiota”.
Sherlock non badò a quell’ insulto e si abbandonò sulla sedia. Sbuffò ed incrociò le braccia con aria infastidita.
“Cosa c’è?” cantilenò il dottore, non potendone fare a meno.
“Il mio esperimento è andato a farsi benedire” si lamentò l’ altro. “Se mi avessi passato il cromo a tempo debito sarebbe andato tutto bene”.
“Mi stai addossando la colpa, per caso?”.
“Sto puntualizzando”.
John si avvicinò a una credenza e vi ripose del pane fresco. “Sappi che sei colpevole dell’ omicidio del mio buonumore”.
Sherlock ridacchiò e quell’ espressione annoiata che aveva stampata addosso da almeno un paio di giorni sembrò sparire per un attimo. “Chiamo Lestrade o mi costituisco direttamente?”.
“Ti costituisco io a furia di calci in culo”.
Il detective scoppiò in una risata. “Oh, John, meno male che ci sei! Il tuo umorismo tutt’ altro che britannico mi diverte e spezza questa noiosa monotonia che sembra aver divorato Londra da settimane” esordì mentre si sfilava i guanti di gomma. “Non so cosa sia successo a questa città. E’ diventata così noiosa ed insulsa. Quasi mi ripugna”.
John alzò le sopracciglia con ironia, soddisfatto del complimento appena ricevuto, e si andò a sedere sulla poltrona in salotto. Sherlock si piantò davanti alla finestra, intento a guardare fuori con quel suo sguardo arrabbiato di chi vorrebbe fare ma non può. Nonostante quel breve sprazzo di allegria, il dottore sentiva nell’ aria quell’ odore forte della calma prima della tempesta. Sherlock era stato tranquillo tutta la mattina e questo suggeriva solo una cosa: prima o poi la sua iperattività, e il relativo odio per l’ esistenza umana, sarebbe scoppiata come un fuoco d’ artificio.
In quei giorni, spesso John si ritrovava perso in ragionamenti lunghi e intricati che dimenticava e ricordava di nuovo poche ore dopo. La sua testa era diventata un continuo vorticare di immagini, parole, vecchi ricordi, pensieri senza senso. A volte lo prendeva una strana inquietudine a cui non sapeva dare una spiegazione esatta, cosa abbastanza assurda considerato che era un medico e che la sua mente era predisposta a dare spiegazioni plausibili. Gli si spalmava addosso come una coperta di lana grezza, appariva e scompariva come un fuoco fatuo e lo faceva sentire solo. Il che era abbastanza insolito, dato che non c’era momento in cui non avesse Sherlock intorno. O, per lo più, che lui stesse intorno a Sherlock.
Era passato molto tempo dalla caduta di Reichenbach, così si era abituato a chiamare il giorno in cui aveva creduto fermamente di aver perso Sherlock per sempre, ma ancora i ricordi lo tormentavano di tanto in tanto. La mancanza, la rabbia, l’ improvvisa solitudine, il dolore, lo avevano divorato durante quel periodo. Poi Sherlock era ricomparso, così come se n’ era andato, sempre uguale e tuttavia un po’ cambiato. Da quel giorno gli risultava sempre difficile separarsi da lui. Sentiva il bisogno di accertarsi che fosse lì, che non andasse da nessuna parte. Piuttosto patetico per un soldato, ma assolutamente necessario ed incontrollabile. Aveva cercato di decodificare quel sentimento forte e bruciante che era sicuro di provare in certe occasioni, senza però risultati.
Sherlock guardava fuori e stava zitto. E nella sua apparente immobilità macinava anche lui pensieri e strane sensazioni. Solo che era sempre più bravo di John ad accantonare tutto.
Stava per far sapere al mondo di essere annoiato quando il suo telefono iniziò a squillare. Sullo schermo lampeggiava il nome ‘Lestrade’.
“Per favore, dimmi che abbiamo un caso” disse Sherlock subito dopo aver cliccato il tasto di risposta.
“Innanzitutto, io ho i casi. Non usare sempre questi pluralia tantum”.
“Sì, tu hai i casi, ma io ho l’ intelligenza per risolverli”.
Lestrade sospirò dall’ altra parte. “Vai al 32C di Charing Cross Road. Abb… c’è stato un omicidio. E il corpo è stato trovato in un congelatore per bibite e alimenti”.
“Perfetto, ci vediamo lì”.
“Ehm, no, Sherlock, non ci vediamo lì”.
Il detective corrugò la fronte. “Perché mai?”.
“Non te lo ricordi? I capi mi hanno dato due mesi di ferie per l’ ottimo lavoro” rispose gongolando.
“Ferie? Che cosa inutile. E poi, ottimo lavoro?! E’ un argomento piuttosto discutibile…”
“Sherlock!”.
“Va bene, me la caverò da solo”.
“Certo, ti piacerebbe. Mi rimpiazzano per questi due mesi. Oggi farai la conoscenza dell’ ispettore O’Malley”.
“Mmmh… irlandese” mormorò Sherlock, più tra sé che con l’ uomo che lo ascoltava dall’ altro capo del telefono.
“Fai il bravo. E saluta John da parte mia”.
Sherlock chiuse la chiamata, si infilò il cellulare in tasca e agguantò il cappotto, lanciando a John uno sguardo eloquente. Quest’ ultimo sospirò e si affrettò a mettersi anche lui la giacca.
“Mi sembra di aver capito che Lestrade si sia preso delle ferie” disse il dottore mentre uscivano dal portone di casa.
Sherlock annuì distrattamente e alzò la mano per richiamare l’ attenzione di un taxi. “Già, gliel’ hanno concesse i capi”.
John lo guardò impaziente, aspettando altri dettagli. L’ amico sospirò, come se sputare quelle ultime parole gli costasse una fatica immensa.
“Lo rimpiazza un certo ispettore O’Malley”.
“Ok, ora ho capito. Cognome irlandese, ispettore irlandese. E il caso?” continuò il dottore mentre salivano sul taxi.
Sherlock indicò la strada al tassista. “Omicidio. Il corpo è stato trovato in un congelatore”.
“Wow, chiunque sia stati deve avere una mente molto perversa”.
“Già, non ci si crede, ma in giro c’è gente più pazza di me”.
Non ci misero molto a raggiungere Charing Cross Road. I marciapiedi pullulavano di gente e tutta quella vita nei pressi di una scena del crimine faceva sembrare tutto più strano. Strano quanto l’ edificio che apparve agli occhi di Sherlock e John appena scesi dalla vettura. Un grosso blocco dai colori sinistri e circondato da un cortile altrettanto inquietante si ergeva imponente in mezzo alla tranquillità del quartiere. John deglutì rumorosamente, non potendo fare a meno di rimanere un po’ intimorito da quella struttura.
“E’ una sorta di centro di riabilitazione, il St. Peter. Ci mandano i ragazzi per il servizio sociale. Come se raccogliere spazzatura e ridipingere pareti li potesse distogliere dalla criminalità” esordì Sherlock anticipando la domanda dell’ amico e iniziando a camminare verso l’ edificio.
John lo vide osservare attentamente il terreno arido del cortile, chinandosi di tanto in tanto a sfiorare la terra e annusare le piante. La sua espressione corrucciata indicava che non aveva trovato niente di interessante.
Sally Donovan li accolse con il sorriso più spregevole che potesse esistere sulla faccia della terra.
“Per l’ amor del cielo, Donovan, smetti di infliggere così tanto orrore al mondo e dimmi dov’è l’ ispettore” la punzecchiò infastidito.
La donna incrociò le braccia con quella sua aria superba da serpe. “Se n’è già andato, strambo. Ha già ispezionato la scena”.
Sherlock sorrise. “Un idiota in meno tra i piedi” disse sorpassando Sally.
John le rivolse un educato e sbrigativo cenno del capo a mo di saluto e seguì il compagno, chiedendosi se il gesto dell’ ispettore doveva essere considerato un affronto o un segno d’ intelligenza. In fondo, stare dietro a Sherlock sulla scena del crimine era più che difficile.
Due uomini della scientifica li scortarono lungo un infinito corridoio, fino ad arrivare ad un stanza piccola e senza finestre. Ad un lato, un congelatore grande quanto un sarcofago ed ai piedi di questo il corpo inerme della vittima: un ragazzo, probabilmente un adolescente sui 17 anni, con la pelle congelata e gli occhi spalancati in un’ espressione di inquietante stupore e impotenza. Portava un tuta verde mela che risultò essere la divisa dell’ istituto. Sherlock si accovacciò accanto al cadavere e tirò fuori la sua lente d’ ingrandimento. Ispezionò il corpo per un manciata di minuti e strinse le labbra.
“I muscoli sono leggermente tesi, specialmente quelli facciali. Piuttosto inusuale per qualcuno che muore assiderato, perciò sicuramente quando è stato messo nel congelatore era già morto” disse. Poi corrugò la fronte stringendo gli occhi, concentrato. “John, guarda qui”.
L’ amico lo raggiunse accanto al corpo e guardò il punto che gli stava indicando. Una ferita profonda e ancora coperta di sangue secco appariva in tutto il suo orrore sulla parte bassa del cranio.
“E’ stato colpito con forza e il colpo è stato letale. Questa parte del cranio e strettamente collegata ai nervi del cervello. Sarebbe bastata anche una botta meno forte per ucciderlo” disse il dottore. “Credo si tratti di un oggetto appuntito, calcolando la profondità della ferita, ma non ne sono del tutto certo”.
“E’ stata trovata qualche arma con sopra il sangue della vittima?” chiese Sherlock agli uomini della scientifica che guardavano la scena appoggiati allo stipite della porta.
“Meredith Brody, una ragazza che frequenta il servizio sociale, signor Holmes” rispose uno dei due. “Ma… la cosa strana è che ha sfondato la porta per aprirla. Era chiusa dall’ interno”.
Sherlock annuì, già immerso nella sua intricata rete di ragionamenti. “E’ stata rinvenuta qualche arma col sangue della vittima?”.
“No, signore, non è stato trovato nulla”.
John era rimasto accucciato accanto al cadavere, cercando di dare un senso alle parole che sentiva. Il delitto che avevano di fronte era sicuramente più intricato di quanto non apparisse a prima vista.
“Allora, che ne pensi?” chiese appena usciti da quell’ angusta e claustrofobica stanza.
“Ho qualche idea, ma prima devo assolutamente interrogare la ragazza che ha trovato il cadavere” disse Sherlock guardandosi intorno. “E per questo, ho assolutamente bisogno del nostro ispettore fantasma”.
“Senta, dove possiamo trovare l’ ispettore O’Malley?” domandò John ad un poliziotto, cercando di nascondere l’ impazienza e la curiosità.
“E’ nel cortile laterale” rispose quello indicando una porta a pochi metri da loro.
Sbucarono in un piccolo cortile ancora più triste di quello anteriore, reso ancora più tetro dal fatto che non vi arrivava tanto sole. Sherlock fece vagare lo sguardo tra quelle pietre ed erbacce e sbuffò frustrato.
“Oh, per l’ amor del cielo! Ma esiste o no, questo ispettore!?” esclamò.
Una risata femminile spezzò il silenzio. I due amici si voltarono all’ unisono e quello che apparve ai loro occhi fu più che inaspettato. Una giovane donna, che sedeva su una panchina a pochi metri da loro, si alzò e avanzò sorridendo appena. Era di statura media, corporatura magra, ma atletica. Si vedeva che aveva sicuramente frequentato i campi d’ addestramento militari. Un paio di gambe snelle strette in un paio di jeans scuri, terminavano in un audace e spartano anfibio nero ed il busto stretto apparve allo spostarsi della giacca di pelle, come un pentagramma all’ aprirsi di uno spartito. Nel viso, di una durezza quasi sensuale, erano ben riconoscibili quei lineamenti tipici irlandesi, incorniciati da lisci capelli di un castano scuro, che arrivavano leggermente più in basso dell’ altezza delle spalle. Le ciocche erano tagliate in modo sfasato ed irregolare, ma creavano una strana ed inspiegabile armonia con la frangia para che le ricadeva sulla fronte. Di lei, tutto sembrava solo una cornice dopo che si erano visti gli occhi: una paio di occhi grandi da lupo, brillanti e del colore del deserto, contornati da ciglia lunghe e folte.
John deglutì a vuoto e sentì il sangue affluire sulle guance. Sherlock spostò lo sguardo dalla donna a lui e rimase incollato al viso di John per una buona manciata di secondi. Poi di nuovo si spostò verso di lei, mentre la sua mente già si metteva in moto per cogliere quelle caratteristiche di lei all’ apparenza nascoste.
“Sherlock Holmes e John Watson, vero?” li apostrofò la donna allacciando le mani dietro la schiena. “Io sono Heather O’Malley, molto piacere”.
Con un tempismo quasi perfetto il cellulare di Sherlock suonò. Le parole di Lestrade sprizzavano ironia e soddisfazione.

‘Ah, te l’ avevo detto che l’ ispettore è una donna? Beh, ora lo sai. GL’

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: __Jude