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Autore: Mrs Teller    22/03/2012    4 recensioni
Sono passati 3 anni dalla morte di Sherlock, eppure John non è ancora riuscito a farsene una ragione, anzi sembra costantemente peggiorare. Ma il destino ha in serbo una dolce sorpresa: Sherlock sta tornando, solo per lui.
Piccola notazione: essendo la prima fanfic che ho scritto su di loro ho cercato di tenerli il più possibile IC,ma in alcuni punti sono un po' OOC.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quella giornata mi sembrava davvero infinita: i miei pazienti si succedevano ordinatamente già dalle prime ore della mattina, eppure avevo l’impressione che le ore non passassero mai, scorressero più lente del solito.. Avevo chiesto al mio collega dello studio medico se potesse gentilmente sostituirmi perché avevo bisogno di prendere un paio d’ore di permesso, sebbene i miei appuntamenti non fossero ancora finiti. Ma io, quel giorno, avevo un altro appuntamento che mi stava molto più a cuore, un appuntamento cui non sarei mai mancato.
 In quello stesso giorno, 3 anni prima, il mio migliore amico Sherlock Holmes si era suicidato buttandosi dal tetto del St. Bart’s, e da quel momento la mia vita non era più stata la stessa. Era come se un fulmine fosse intervenuto a tranciare di netto in due pezzi la mia storia: prima c’era il paradiso, poi solo l’inferno. Strano come il mio paradiso personale fosse stato una persona che tutti gli altri consideravano una sorta di figlio del demonio per il suo carattere così “particolare”.. Non c’era giorno che non pensassi a Sherlock: a volte il suo viso si affacciava come un ombra sfuocata nei miei ricordi e nei miei pensieri, a volte invece lo sentivo molto più vicino, come se mi stesse in un certo qual modo osservando e proteggendo; in quelle ore soprattutto non riuscivo a smettere di pensare a lui..

Facevo fatica a concentrarmi, avevo enormi difficoltà nel seguire i discorsi dei miei pazienti ed ero evidentemente assente, tanto che un paio di persone mi chiesero se stessi bene. Dovetti trattenere una risata amara a quella innocente domanda: non stavo bene, non stavo affatto bene. Ero certo che una parte di me fosse morta con Sherlock quella mattina maledetta, anzi la parte MIGLIORE di me, e a volte mi sentivo svuotato, un semplice contenitore privo di contenuto che andava avanti per forza di inerzia.. No, non stavo affatto bene. *Aria, ho bisogno d’aria* Mi dissi aprendomi il colletto della camicia, sperando che quell’ultima visita di controllo finisse presto. Esultai mentalmente quando ciò finalmente accadde.
 Dopo essermi richiuso la porta alle spalle saltai dalla sedia come se fossi stato seduto su una molla; presi la giacca e uscii di corsa dopo aver salutato e ringraziato il mio collega per l’ennesima volta. Mi fermai sul marciapiede e chiamai un taxi: non avevo preso la mia macchina perché volevo fare esattamente le stesse cose che ero solito fare con Sherlock, in un estremo quanto singolare tentativo di sentirlo più vicino. Quel giorno più che mai ne avevo bisogno.. Mi sedetti e diedi al tassista l’indirizzo del cimitero, poi mi chiusi nel mutismo dei miei pensieri e lasciai la mente libera di ricordare.

Ricordavo ogni minuto del tempo passato con Sherlock, anche se man mano che i giorni si trasformavano in mesi e i mesi in anni questi ricordi mi apparivano sempre più lontani, come se fosse un’altra vita lontana anni luce. Chiusi gli occhi e cercai di focalizzare il suo viso: incredibile come ne ricordassi ogni dettaglio con precisione quasi chirurgica. Non avrei mai dimenticato quella massa di morbidi ricci neri, quegli zigomi perfetti per cui lo prendevo sempre bonariamente in giro, quelle labbra che mi sembravano quasi finte per quanto erano definite, quegli occhi così intensi e cangianti che a volte diventavano freddi come il ghiaccio ma che con me erano sempre buoni e gentili, quei suoi sorrisi sghembi con mezzo lato delle labbra sollevato.. Ricordavo ogni sua piccola follia e ogni mania, ogni stranezza e ogni punta di genio.

Però i ricordi iniziavano a non bastarmi più: avevo cercato di farmi forza all’inizio e per qualche tempo m’ero anche convinto che, a lungo andare, avrebbe fatto meno male.. Avevo ripreso a lavorare regolarmente in uno studio medico, avevo anche avuto un paio di storie di cui una un po’ più seria delle altre, ma comunque nulla era andato in porto. Tutto sembrava scorrere nei binari della normalità, sebbene avessi cambiato appartamento: l’unica concessione che mi ero fatto perché davvero non riuscivo a vivere in un posto che era impregnato di Sherlock e della nostra storia insieme. E invece.. Invece di migliorare, dentro mi sentivo sempre più alla deriva. Era come se senza Sherlock io fossi solo la metà dell’uomo che ero prima: di fuori ero sempre il solito John Watson, ma dentro ero spezzato, quasi anestetizzato, del tutto indifferente alla vita che continuava a scorrermi intorno. Io ero me stesso perché lui era accanto a me, riuscivo ad essere veramente e totalmente me stesso solo accanto a lui, e sapevo che per lui era la stessa identica cosa: ora che lui se n’era andato, anche il me stesso di prima se n’era andato per lasciare il posto a una persona che facevo fatica a riconoscere. Il filo dei miei pensieri fu interrotto dalla voce del tassista che mi annunciava l’arrivo alla nostra destinazione; pagai la corsa e mi fermai un attimo all’ingresso a comprare dei fiori, prima di entrare col mio solito passo spedito dentro il cimitero.

 Avevo fatto quella strada così tante volte che adesso avrei potuto percorrerla anche bendato, per quanto la conoscevo bene: i primi tempi dopo la morte di Sherlock andavo a trovarlo tutti i giorni, poi diradai le visite a una volta a settimana poi due o tre volte al mese. Non perché non volessi più andare a fargli visita o rendergli omaggio, ma semplicemente perché la vita andava avanti in un modo o nell’altro. Non quel giorno però. Mi fermai davanti la sua lapide e mi guardai intorno per accertarmi di essere solo: avvertivo il bisogno fisico di parlare con lui in quel frangente, come se comunicando ad alta voce lui potesse ascoltarmi meglio e venire a portarmi un po’ di conforto, dovunque egli fosse al momento (io personalmente credevo in Paradiso). Non volevo che la gente mi vedesse parlare da solo e piangere come un cretino davanti a una tomba, ma se fosse stato necessario l’avrei fatto lo stesso. Posai i fiori a terra e mi inginocchiai davanti la lapide recitando mentalmente qualche preghiera, prima di allungare la mano sul marmo e aprire la diga delle mie emozioni:

“Sono passati 3 anni ma per me è come se fossero passate solo 3 ore Sherlock. Dicono che il tempo allevia tutte le ferite e lenisce ogni dolore, ma cazzo si sbagliano! Ogni giorno che passa io sto sempre peggio, il dolore si è trasformato in disperazione e non trovo un modo per venirne fuori.” La mia voce si incrinò. “Io avevo dei progetti Sherlock, avevo immaginato come sarebbe stata la mia vita: con te! Qualsiasi cosa fosse successa, tu saresti sempre stato parte della mia vita perché ormai non c’era più un John Watson, c’erano John e Sherlock, eravamo un noi. Immaginavo che mi sarei innamorato di una brava ragazza e che avrei messo su famiglia, e tu saresti stato li accanto a me, li per me perché saremmo sempre stati io e te Sherlock, pacchetto completo prendere o lasciare.
Invece guardarmi adesso: sono un altro da me stesso, sono solo l’ombra dell’uomo che ero e sai perché? Perché tu, bastardo egoista, ti sei portato via la mia anima, la parte migliore di me. Quando hai deciso di buttarti da quel tetto non ti sei portato via solo la tua vita, ma anche la mia perché la mia vita passava da te, la mia vita eri tu. Che cosa sono io adesso? Niente, non sono più niente Sherlock. Nessuno riuscirà mai a colmare il cratere che m’hai scavato dentro perché tu eri la parte di me stesso che mi mancava.

Sherlock e John, il sociopatico iperattivo e il diligente medico militare: nessuno avrebbe scommesso un penny sul fatto che un rapporto come il nostro avrebbe funzionato. Invece nel momento stesso in cui mi hai chiesto ‘Afghanistan o Iraq’ ho capito che eri speciale, mi sono fidato di te istintivamente e ti ho permesso di entrarmi dentro come non credevo fosse possibile. Tu eri la mia anima gemella Sherlock, tu SEI la mia anima gemella e io ho un disperato bisogno di te per andare avanti. Come faccio io ad andare avanti senza di te? Come?”
Ormai le lacrime mi rigavano il viso ma non mi importava: era da troppo tempo che reprimevo quei sentimenti nella parte più profonda della mia coscienza, ignorandoli e fingendo che sarebbero andati via da soli col tempo.. “Mi sono illuso che, andando avanti, qualcuno avrebbe potuto prendere il tuo posto e riportarmi a ciò che ero, ma la verità è solo una: nessuno potrà mai fare di nuovo ciò che tu hai fatto per me. Tu mi hai riportato alla vita ridandomi la serenità e tu me l’hai tolta, ma adesso non ci sarà nessuno che verrà a salvarmi Sherlock. Io senza di te sono un uomo a metà, un uomo che prova sentimenti a metà: non credo di essere più capace di amare senza di te.” Ecco, l’avevo detto.

Non mi ero mai interrogato fino in fondo sulla natura dei sentimenti che mi legavano a Sherlock ma una cosa la sapevo con certezza: le nostre anime erano intrecciate, andavano all’unisono e non potevo non amarlo. Non era l’amore passionale, travolgente ma anche dolce che avrei potuto provare per una donna, per la donna che sarebbe diventata la mia compagna di vita; no era un sentimento molto più profondo, trascendentale e “asessuato” ma che comunque avrebbe sempre fatto parte di me. Nel mio cuore ci sarebbe stato sempre posto per Sherlock Holmes perché Sherlock Holmes era indubbiamente la mia anima gemella. Non era amore come comunemente lo si vuole intendere, eppure indubbiamente io lo amavo, non avevo altro termine per definire il nostro legame. E Sherlock lo sapeva bene. Ora che lui se n’era andato, si era portato via quella parte di me che sapeva amare.

Certo avrei imparato prima o poi a provare di nuovo una qualche forma di sentimento, ma non sarebbe mai più stata la stessa cosa. “Nella mia mente e nel mio cuore tu ci sarai sempre Sherlock, però vorrei sapere perché, perché mi hai fatto questo? Perché hai permesso ai tuoi fantasmi di prendere il sopravvento? Io ci sarei stato, avremmo affrontato tutto insieme lo sai.. Non mi ritenevi capace di aiutarti? Di starti vicino? pensavi che ti avrei abbandonato? Pensavi davvero che sarei caduto in quella rete arrivando a dubitare di te? Non ci ho creduto nemmeno quando mi hai detto addio, e continuo a non crederci nemmeno adesso che tu sia un egoista impostore. Sono 3 anni che mi chiedo perché, perché non ti sei fidato di me? Io ti avrei protetto Sherlock, da qualsiasi cosa e lo sapevi! Avrei dato la mia vita per te.. Sono 3 anni che mi torturo alla ricerca di mille spiegazioni eppure non ci arrivo. Hai una vaga idea di quello che mi hai fatto? Io ho bisogno di te, non ce la faccio ad andare avanti così. Se solo tu potessi tornare da me in qualche modo, se solo io avessi un modo per cancellare questi ultimi 3 anni ti giuro che lo farei.

C’è solo un pensiero, in tutto questo, che mi da la forza di andare avanti: tu adesso sei in pace. Ovunque tu sia, qualsiasi sia il motivo che ti ha spinto a fare ciò che hai fatto, so che almeno tu sei in pace. Io non potrò esserlo mai più, ma spero con tutto me stesso che almeno la tua anima abbia trovato conforto; sapere che stai bene e che le tue sofferenze sono finite mi rende più facile sopportare le mie”. Non ce la facevo davvero più a parlare, un enorme nodo mi aveva chiuso la gola e le lacrime scorrevano copiose sul mio viso. Non mi importava che qualcuno mi vedesse in quel modo e potesse fraintendere: l’unica cosa che volevo era lasciar andare le mie emozioni almeno per un po’, prendermi il lusso di esprimerle ad alta voce e lasciarle concretizzarsi, prendere una forma precisa.

Ero troppo occupato ad asciugarmi le lacrime e accarezzare la lapide di marmo per rendermi conto dell’ombra che s’era mossa furtiva alle mie spalle, tra i cipressi; anche se me ne fossi accorto probabilmente non c’avrei dato molto peso preso com’ero dal mio crollo psicologico. Per una frazione di secondo, però, mi sentii osservato, come se ci fosse qualcuno a poca distanza che mi stesse guardando; in un attimo di raziocinio mi voltai ma non vidi nessuno. *Ovvio, chi ti aspettavi che ci fosse?* Mi dissi tristemente.

Restai per un altro po’ davanti alla lapide, stavolta in silenzio: ormai quello che avevo da dire l’avevo detto, e comunque ero convinto che Sherlock avrebbe ascoltato sia le parole dette sia, e soprattutto, quelle non dette. Non so quanto tempo rimasi seduto a terra accanto alla lapide a pensare, immerso nei ricordi, a volte sorridendo a volte scuotendo bonariamente il capo al pensiero di qualche espressione infelice del mio migliore amico Sherlock Holmes. Solo quando il sole scese oltre la linea dell’orizzonte mi alzai e mi voltai per tornare al mio appartamento: non stavo meglio, anzi il dolore era come la morsa di un cane che avvolgeva implacabile il mio cuore già abbastanza provato, ma almeno ero riuscito a dirgli apertamente ciò che provavo ed era un passo avanti. Presi nuovamente un taxi e tornai in centro città.

Mi sentivo più solo del solito mentre aprivo la porta del mio appartamento: sfogarmi al cimitero indubbiamente mi aveva fatto bene, ma tutto quello che avevo dentro era ancora li, ad agitarsi prepotentemente nella mia testa e nel mio cuore. Forse stare solo quella sera non era l’ideale, ma d’altra parte non mi sentivo nemmeno in vena di uscire o di vedere gente: la verità era che dovevo metabolizzare per conto mio.
Accesi la luce in soggiorno con un gesto automatico e altrettanto automaticamente mi voltai, ma ciò che vidi mi colpì con l’intensità di una scarica elettrica. “Oh mio Dio..” Esclamai sentendo la terra che mi si apriva sotto i piedi. La mia mano sinistra iniziò a tremare (non certo per la ferita di guerra..) e si aprì senza che potessi controllarla facendo crollare la mia borsa a terra con un tonfo sordo, spalancai le labbra e sentii le gambe che si facevano molli, la gola completamente secca. Seduto sul divano di casa mia c’era Sherlock Holmes: molto più magro di come lo ricordassi, con le guance tirate e leggermente scavate ma era senza dubbio lui, e mi stava fissando in silenzio con quegli occhi così intensi e accesi che sembravano volermi bruciare dentro. Una statua di marmo non avrebbe potuto essere più perfetta nel suo silenzio.

Peccato che Sherlock non potesse essere veramente li, seduto sul divano di casa mia ad aspettarmi! Probabilmente l’ enorme stress mentale che avevo accumulato quel giorno si stava manifestando in forma di allucinazione: avevo così tanta voglia di vedere Sherlock, così tanto bisogno di sentirlo vicino che la mia mente stava rispondendo in quel modo, ossia proiettando la sua figura. Presi un profondo respiro e cercai di recuperare il controllo stropicciandomi gli occhi. “Ci mancavano solo le allucinazioni adesso”. Blaterai sconclusionatamente. Chiusi gli occhi e restai un attimo così, aspettandomi di vedere il divano vuoto quando li avessi riaperti. Invece, quando li riaprii Sherlock era ancora seduto li.

“John..” Disse semplicemente. La sua voce sembrava provenire da un altro luogo, un altro tempo, forse era semplicemente l’oltretomba. Scossi il capo con fare frenetico. “No, no, NO!! Non può essere, tu non puoi essere vero! Sto impazzendo, non c’è altra spiegazione! Sento anche la tua voce ma tu NON PUOI ESSERE QUI’!” Mi ritrovai a urlare, come se urlando quella voce che avevo sentito se ne andasse, e Dio solo sapeva quanto volessi che sparisse perché era come una tortura. Invece la figura si alzò dal divano, fece qualche passo verso di me e parlò di nuovo. “John sono io, Sherlock. Sono qui, accanto a te, sul serio.. Non sono un’allucinazione. Sono vivo.” Quelle parole si abbatterono su di me con la forza di una bomba atomica, mentre il mio cervello cercava di elaborarle e trarne le dovute conseguenze.

Per un attimo lo guardai stravolto, del tutto fuori di me, poi sentii il mio cuore mancare un battito e la vista appannarsi, così mi lasciai andare in ginocchio per terra perché sapevo che se fossi rimasto in piedi molto probabilmente sarei svenuto. “Sherlock..” Il suo nome mi venne fuori come un lamento spezzato e la voce mi si incrinò. “Sherlock sei.. sei davvero tu?? Sei qui? Sei.. Vivo?” Avevo paura a pronunciare quella parola perché ero ancora segretamente convinto che quello fosse un brutto tiro che mi stava giocando la mia mente. Per tutta risposta il mio amico si mise in ginocchio davanti a me e allungò una mano sulla mia guancia, accarezzandola e annuendo semplicemente.

Tutta la tensione che avevo dentro ruppe gli argini con violenza e scoppiai in un pianto convulso appoggiando la mia guancia sulla mano morbida e leggermente scarna di Sherlock, allungando a mia volta la mano per appoggiarla dapprima sul suo fianco e lasciandola poi scorrere liberamente lungo il suo petto per fermarla sul suo cuore. Potevo sentire distintamente i suoi muscoli tesi e guizzanti sotto il mio tocco, il suo cuore che batteva forte e sano, anzi in modo leggermente accelerato, così come il mio che galoppava all’impazzata. Era proprio Sherlock la persona che avevo davanti, il mio migliore amico in carne e ossa. L’unica cosa che riuscii a fare per almeno due minuti buoni fu piangere: piansi senza ritegno nascondendomi tra le sue braccia come un ragazzino, e mi stupii non poco sentendo le sue braccia forti che mi circondavano senza traccia di esitazione, attirandomi a se con una dolcezza di cui non lo avrei mai ritenuto capace.

“John mi dispiace tanto..” Mi sussurrò delicatamente in un orecchio continuando a stringermi in una morsa serrata, come se non volesse lasciarmi andare e io stesso, d’altra parte, non avrei voluto sciogliere quell’abbraccio per nessun motivo al mondo. In quel momento ero esattamente dov’ero destinato a stare. “Sherlock sei vivo, sei vivo, non.. ancora non riesco a crederci..” Avevo paura che il cuore mi scoppiasse nel petto per quella scarica di emozione, un emozione incredibile cui non riuscivo a dare un solo nome e un solo significato. Mi sfogai per tutto il tempo di cui avevo bisogno e Sherlock mi lasciò fare pazientemente, senza allentare di un millimetro la presa ma anzi cullandomi quasi tra le sue braccia, per farmi calmare un po’.

Quando ebbi la forza tirai su la testa dal rifugio che le avevo scavato nella spalla di Sherlock e lo guardai negli occhi, spostando la mano dal suo petto alla sua guancia: non riuscivo a smettere di toccarlo, avevo quasi paura che se avessi smesso di farlo si sarebbe dissolto davanti a me come un fantasma e la sola idea mi terrorizzava. “Sherlock com’è possibile tutto ciò? Che significa? Io.. Non riesco a capire.. Perché mi hai tenuto all’oscuro per tutto questo tempo?” Gli chiesi con la voce incrinata. Alla fine era quella la cosa che mi interessava di più: non volevo nemmeno sapere come fosse sopravvissuto alla caduta, volevo solo sapere perché mi aveva ingannato per 3 lunghissimi anni, facendomi passare le pene dell’inferno.

“John io..” Era evidente che non sapeva nemmeno lui da dove iniziare a scusarsi e spiegare.. Il che per Sherlock Holmes parlava da solo. “Non volevo farti soffrire così, sul serio; non mi perdonerò mai per tutto quello che ti ho fatto passare però.. Pensavo che fosse la cosa migliore per te. Tu meritavi di meglio, tu meriti molto più di quanto io possa offrirti, tu..” Non fece in tempo a finire la frase perché la mia mano si mosse da sola, partì prima che potessi controllarla: lo colpii al volto con una forza che non avrei mai usato contro di lui in una situazione normale. Lo schiaffo, impetuoso e violento, risuonò nella stanza come un colpo secco e Sherlock lo incassò senza dire o fare assolutamente nulla, anzi se possibile l’espressione nei suoi occhi divenne ancora più mesta e triste. Sapeva di esserselo meritato, e non poteva replicare nulla in proposito. “Come ti sei permesso di decidere per me Sherlock?? COME?” Urlai: la gioia immensa che provavo nel riaverlo accanto stava lentamente lasciando il posto a una rabbia cieca per tutta la sofferenza e la disperazione che mi aveva fatto provare e che mi avrebbe evitato semplicemente presentandosi alla mia porta.

“Non era un tuo diritto scegliere per me Sherlock, non avevi il diritto di impormi la tua assenza!!” “Ma tu non avresti mai avuto una vita normale accanto a me John; io non sono una persona normale e volevo per te qualcosa di più, qualcosa che tutte le persone normali hanno.” “Ma a me non importa di avere una vita normale Sherlock dannazione!! Non mi importa avere la vita perfetta se non posso viverla con te!! Io volevo una vita normale, ma la volevo con te accanto!! Volevo avere TE accanto, stupido che non sei altro! La vita che facevamo insieme mi andava benissimo così com’era, anzi è stato il periodo più felice che abbia mai vissuto! Mi sembrava di essere in paradiso, grazie a te avevo trovato il paradiso dopo essere passato per l’inferno della guerra. Senza di te la mia vita non era nulla..” La mia voce si incrinò di nuovo e la sua mano tornò di nuovo sulla mia guancia per scacciare una lacrima solitaria che stava cadendo indisturbata.
“Lo so John, adesso finalmente l’ho capito. Troppo tardi forse, ma l’ho capito. Non saprò mai ripagarti abbastanza per tutto quello che ti ho fatto passare in questi anni, ma credimi se ti dico che pensavo veramente di essere nel giusto. E non pensare che per me sia stato facile.. Anche tu eri tutta la mia vita John, senza di te ero tornato la macchina vuota e fredda che ero prima di conoscerti. Io ho bisogno di te tanto quanto tu hai bisogno di me, sono stato uno stupido ad averlo capito solo ora.”

Presi un profondo respiro e scossi appena il capo come a dire che non faceva nulla, che non doveva preoccuparsi perché l’importante era che alla fine l’avesse capito. “Cosa ti ha fatto cambiare idea, genio?” Glielo rivolsi di proposito quell’appellativo: Sherlock era veramente un genio, sotto tutti i punti di vista tranne uno, ossia le relazioni umane. In quel settore era davvero molto impreparato, anzi lasciava proprio a desiderare. Il mio amico incassò con stile anche quel colpo, che forse faceva male al suo ego molto più di quanto il mio schiaffo di prima gli avesse fatto male al viso. “Al cimitero, oggi.. Ti ho sentito e ho capito che stavo sbagliando tutto; ho capito che stavo costringendo entrambi a una sofferenza indicibile per niente.. Sentirti pronunciare a voce alta quel fiume di parole mi ha illuminato. Ho capito che avevo sbagliato!” Ero così preso da quella rivelazione che nemmeno riuscii a gioire del fatto che il grande Sherlock Holmes avesse ammesso di aver sbagliato. “Al cimitero? Vuol dire che mi stavi osservando? Eri tu quell’ombra che ho visto tra i cipressi?” La mascella mi cadde per terra: non riuscivo a crederci. Ora capivo perché spesso mi sentivo osservato..

Sherlock annuì: “E’ da quando mi avete seppellito, diciamo così, che ti tengo d’occhio, che veglio su di te costantemente. Non sono riuscito a lasciarti andare del tutto, è stato più forte di me. Come tu sentivi il bisogno di me, anch’io sentivo il disperato bisogno di vederti, anche solo da lontano, per sapere che stavi andando avanti in qualche modo. Io non sono mai stato uno che prova emozioni, eppure ero dominato dall’impulso irrefrenabile di vederti. E non puoi immaginare quanto intensamente desiderassi toccarti, avvicinarmi a te. E’ questo che mi ha fatto cambiare idea. Come hai detto tu prima, divisi siamo niente, insieme siamo tutto, siamo un NOI. Volevo che tornasse quel noi John; ne avevo bisogno io e ne avevi bisogno tu. Non avevo più la forza di lottare contro i miei sentimenti..” La sua voce era così incredibilmente calda e morbida, ipnotica quasi e i suoi occhi in quel momento erano di un verde più brillante e cristallino dell’acqua pura. Ricambiai il suo sguardo senza paura, perdendomi un attimo in quegli occhi stupendi che sembravano essere carichi di promesse per il futuro.

“Meglio tardi che mai, sono contento che tu finalmente l’abbia capito. E’ così che deve essere Sherlock, per quanto tu ti sforzassi di vederla diversamente io e te siamo destinati a stare insieme. Ce ne hai messo di tempo per capirlo ma alla fine ce l’hai fatta!” Abbozzai un sorriso per sdrammatizzare. Ora c’era solo una cosa che mi premeva sapere. “Non mi importa sapere come sei sopravvissuto o cosa hai fatto in questi anni, avrai tempo di raccontarmelo con calma se ti andrà. Voglio sapere solo una cosa, una cosa sola: perché? Perché ti sei buttato da quel tetto Sherlock? Io.. Io ti ho visto steso a terra in una pozza di sangue; poi volevi farmi credere di essere un impostore e non ho mai capito perché. Me lo puoi spiegare?”

Sherlock annuì accarezzandomi placidamente la guancia col pollice, la sua mano calda che sembrava assolutamente a suo agio dov’era. “Ho dovuto farlo John: di mia iniziativa non mi sarei mai buttato. Mi conosci meglio di quanto io conosca me stesso: sai che l’idea di togliermi la vita non mi appartiene, sono troppo egocentrico per farlo. Sono stato costretto, Moriarty mi ha costretto”. Aggrottai le sopracciglia godendo del suo tocco quasi impalpabile. “Che vuol dire ti ha costretto?” “Aveva dei cecchini John, puntati contro di voi: contro Mrs. Hudson, contro Lestrade ma soprattutto contro di te. Se io non mi fossi buttato loro avrebbero fatto fuoco e vi avrebbero uccisi, e io questo non potevo permetterlo. Non potevo permettere che ti accadesse qualcosa, mi capisci? Il solo pensiero di un proiettile conficcato nella tua testa mi faceva impazzire. Eri tu tutto ciò cui riuscivo a pensare in quel momento, tu e la tua vita in pericolo.” C’era un che di metallico nel tono della sua voce mentre mi raccontava tutto quello.

“Avevo capito che c’era una qualche password, una parola chiave che li avrebbe fermati ed ero disposto a fare qualsiasi cosa a Moriarty per farmela rivelare e stoppare i killer. Anche lui sapeva che ero disposto a qualsiasi cosa, così ha detto qualcosa del tipo Tu sei come me, tu sei me, grazie Sherlock Holmes e poi si è sparato. Senza di lui non avevo altro modo per impedire ai cecchini di ucciderti di uccidervi tutti: mi sono dovuto buttare. Ma non volevo andarmene senza almeno dirti addio.. Ti ho detto che ero un impostore pensando, stupidamente, che se mi avessi creduto un cattivo e un truffatore ci saresti stato meno male.. Volevo ferirti per farti stare meno male dopo.. Evidentemente non ci sono riuscito.” Concluse e stavolta fu il suo turno di piangere: una lacrima gli cadde lungo le guance e fui io a raccoglierla accarezzandogli il viso. In quel momento Sherlock Holmes mi sembrava l’essere più fragile e indifeso che fosse mai esistito sulla faccia della terra, come un angelo caduto: il suo sguardo carico di scuse era qualcosa che non riuscivo a sopportare.

“Sherlock sono io che ti devo delle scuse.. Ho dubitato di te, ho pensato che tu non ti fidassi abbastanza di me, che preferissi toglierti la vita piuttosto che scendere da quel tetto e affrontare con me l’onta delle menzogne di quel pazzo. Ho dubitato della persona più importante della mia vita, che invece ha donato la sua per salvarmi. Sono io che ti devo chiedere scusa, non sei affatto un bastardo egoista. Mi vergogno di me stesso.” Mi sentivo troppo in colpa per quello che avevo detto al cimitero, non riuscivo più a sostenere il suo sguardo intenso e cristallino, così abbassai gli occhi tirando su col naso. “Smettila! Se c’è qualcuno che ti deve delle scuse sono io: sono io che ti ho mentito mentre stavo per buttarmi, sono io che ti ho mentito per i 3 anni successivi facendoti credere di essere morto. Tu non hai assolutamente nulla per cui sentirti in colpa, nulla di nulla. Credimi.” Eppure, nonostante le sue parole rassicuranti, facevo fatica a rialzare lo sguardo e sostenere il suo.

“John guardami..” Pronunciò quelle due semplici parole con un tono così caldo ma allo stesso tempo autoritario che ebbi un violento brivido lungo la schiena. Spostò anche due dita sotto il mio mento per tirarmi gentilmente su il viso e farsi guardare. Mi feci forza qualche attimo prima di obbedire e alzare il viso, arrivando finalmente a incontrare quegli occhi che sembravano parlare da soli: vi lessi tutto quello che avevo bisogno di sapere. Ma Sherlock sapeva che non era abbastanza, sentiva che bisognava andare oltre, almeno per una volta. Portò anche l’altra mano sul mio viso e mi tenne fermo, osservandomi intensamente: era ovvio che stava cercando di dirmi qualcosa, voleva dirmi qualcosa ma non sapeva nemmeno lui come fare, cosa dire.. “Ascoltami bene perché ciò che sto per dire non lo ripeterò mai più, quindi è necessario che tu presti la massima attenzione adesso.” Io lo guardai vagamente perplesso ma annuii di buon grado, preparandomi ad ascoltare.

“Sai cosa penso dei sentimenti, sai che mi sono sempre tenuto adeguatamente alla larga da essi, sai che semplicemente non mi interessano e che sarà sempre così. Non ne ho mai provati, tranne magari un leggero fastidio nei confronti della stragrande maggioranza del genere umano. La mia mente funziona in modo diverso, non potevo permetterle di restare imbrigliata nei sentimenti, far vincere il cuore. Che cosa stupida il cuore, le emozioni. Sono capaci solo di offuscare il raziocinio, e io vivo di razionalità. Non avrei mai immaginato che un giorno sarebbe arrivato qualcuno in grado di cambiarmi, cambiare la mia prospettiva: pensavo di essermi costruito delle barriere forti abbastanza da resistere a ogni tipo di impatto. Ma quando sei entrato tu nella mia vita queste mura sono crollate come un castello di carta. Tu sulla mia tomba hai detto che ti sono penetrato dentro come mai avresti ritenuto possibile; beh è giusto che tu sappia che per me è la stessa cosa: anch’io ti ho permesso di entrarmi dentro, come mai era accaduto prima per nessuno, e mai accadrà di nuovo una cosa del genere. Io non sono la tua parte migliore, sei TU la MIA parte migliore John. E’ sempre stato così, e sempre sarà così. Non so cosa voglia dire amare, non ne ho mai avuto la più pallida idea; ma conosco bene il sentimento che provo per te, c’ho preso le misure già da un po’. Non so se sarò mai capace di amare davvero qualcuno, ma so con certezza che se mai dovessi imparare quella persona saresti tu. Quello che provo per te è la cosa più vicina all’amore che io abbia mai sperimentato.” Concluse.

Doveva essergli costato uno sforzo immane fare quel discorso perché Sherlock non era tipo che faceva dichiarazioni, non era tipo che esprimeva ciò che aveva dentro se non il fastidio, come lui stesso aveva riconosciuto. Avevo sentito tutto quello che avevo bisogno di sentire, anzi forse anche di più, anche cose che mai mi sarei aspettato di sentire da Sherlock Holmes. Ormai ci eravamo detti tutto reciprocamente, a cuore aperto, come mai prima eravamo stati capaci di fare: non aveva più senso nascondersi, nascondere il sentimento che provavamo l’uno per l’altro. Lo guardai fisso e annuii. “Ora sei tu che devi prestare attenzione Sherlock, perché nemmeno io ripeterò mai più ciò che sto per fare, mi hai capito?” Ricevetti per tutta risposta uno sguardo perplesso: mi stava studiando, stava cercando di dedurre e capire dove volessi andare a parare, ma dubitavo che ci sarebbe arrivato.

Mi feci ancora più vicino al suo viso senza smettere di guardarlo negli occhi, arrivai a sfiorare la punta del suo naso col mio e in quel momento lessi nei suoi occhi che aveva capito, perché si fece più vicino a me in modo del tutto naturale: voleva anche lui la stessa cosa. Aveva le labbra leggermente dischiuse e ansimava un poco per l’emozione, potevo sentire il suo respiro caldo che si mischiava col mio. Chiusi gli occhi e sfiorai delicatamente le sue labbra con le mie, assaporando quel momento di assoluta perfezione. Sherlock ricambiò timidamente sfiorando a sua volta le mie labbra più volte, ma era chiaro che non sapeva bene che pesci prendere quindi avrei dovuto guidare io la cosa. Così feci, perché era giusto che così fosse. Schiusi leggermente le labbra lasciando che i nostri respiri si fondessero e Sherlock mi segui in modo diligente, avvicinandosi leggermente col corpo al mio.

Allungai appena la punta della lingua e sfiorai delicatamente il suo labbro inferiore “saggiando” quasi la sua reazione: temevo che quello fosse troppo per lui, invece accolse positivamente il gesto ricambiandolo in un modo così impacciato che faceva tenerezza. Perciò, spinsi più a fondo la mia lingua nella sua bocca e sfiorai più e più volte la sua, in un gioco di prendersi e rincorrersi che non avevo mai trovato così bello prima d’ora. Sherlock sembrava sciogliersi ogni secondo che passava, ricambiando i miei gesti con la stessa intensità: era uno che imparava in fretta.. Feci scivolare una mano sulla sua nuca e lo spinsi un poco contro di me, mentre le nostre labbra e le nostre lingue si univano ancora, serenamente, dolcemente, senza fretta o urgenza. Era come se il tempo si fosse fermato e noi due fossimo stati trasportati in una dimensione astratta e ovatta, un altro luogo che a me sembrava molto simile al Paradiso.

Non c’era passione bruciante nei nostri gesti, non c’era urgenza, non c’era desiderio, non c’era nulla di tutto ciò che solitamente c’è in un bacio tra due persone che si amano; c’era serenità, c’era dolcezza, c’era un amore placido che non sarebbe mai stato nulla di più, c’erano due anime gemelle che per la prima e ultima volta si univano anche fisicamente, com’era giusto che fosse. Prolungammo quel contatto dolce per tutto il tempo che i nostri polmoni ci concessero, poi ci staccammo lentamente e ci guardammo negli occhi: entrambi sapevamo che quella cosa bellissima che era appena accaduta non avrebbe mai e poi mai potuto cambiare il nostro rapporto, sarebbe rimasto un episodio isolato e, proprio per questo, ancora più speciale. Non c’era traccia di imbarazzo o fraintendimento alcuno, perché ciò che era appena accaduto non poteva essere in alcun modo frainteso, quanto meno da noi.

Sherlock mi scoccò un sorriso luminoso e mi disse una cosa che mai mi sarei aspettato di sentire: “Grazie John. Grazie per avermi fatto provare per la prima volta l’emozione più bella, più forte e intensa che potessi immaginare. Grazie. Custodirò per sempre nel mio cuore il ricordo di tutto questo, e sarà il mio ricordo più dolce. Non credevo che l’avrei mai detto, ma è stata l’esperienza più bella della mia vita, bella e assolutamente irripetibile.” Concluse, chiarendo ancora una volta come non fosse minimamente interessato a quel genere di cose. Però ero dannatamente felice di essere stato io a fargli provare quell’emozione. “Non devi ringraziarmi, per me è stato un onore essere il primo e, anche l’ultimo, ad averti fatto sperimentare l’emozione che ancora ti mancava. Te lo dovevo. Doveva essere così, era nel corso delle cose che fossi io.” “Non avrei voluto che fosse nessun altro.” Fu la sua replica.

Mi misi seduto meglio sul pavimento e anche lui si accomodò accanto a me: il momento era finito, tutto era tornato alla normalità. Lo guardai negli occhi e gli posi la domanda che mi terrorizzava: “Resti? Qui, con me? Per favore..” Volevo che restasse quella sera li nel mio appartamento, ma soprattutto volevo che restasse per sempre nella mia vita, che non se ne andasse mai più. Non avrei sopportato di perderlo di nuovo. Qualsiasi cosa avesse in mente di fare, l’avremmo fatta insieme. Lui, come al solito, intuì il filo dei miei pensieri perché rispose precisamente. “Non me ne vado da nessuna parte John, mai più. Non permetterò a niente e nessuno di separarci ancora. Sono tornato per restare” Disse serio. Io annuii sollevato e chiusi un attimo gli occhi.

Quando li riaprii lo trovai che mi guardava con aria severa, anche se c’era una luce brillante e divertita nei suoi occhi. “Però avrò bisogno del mio teschio” Mi disse. A quelle parole strabuzzai gli occhi: era tornato ufficialmente il solito Sherlock. “Il tuo teschio? Che ci devi fare col teschio scusa?? Non ero io il tuo teschio?” Ok, messa così quella protesta mi sminuiva parecchio me ne rendevo conto, però lui avrebbe capito il senso ultimo. Sherlock si strinse nelle spalle sfoderando la sua miglior espressione innocente: labbra vagamente arricciate e occhioni spalancati con fare angelico. “Con chi pensi che abbia parlato negli ultimi 3 anni? Non posso mica parlare da solo, lo sai: ho bisogno di un interlocutore, per quanto silenzioso. Ormai ti ho rimpiazzato.” La risposta mi partì da sola, senza nemmeno pensarci: quella stessa risposta che tutti gli altri gli rivolgevano sempre, costantemente, e io non gli avevo mai detto. “Sherlock.. ma vaffanculo”.

Mi guardò con gli occhioni spalancati, stavolta per il sincero stupore, e poi scoppiammo a ridere di gusto, come due cretini. Ci lasciammo andare sfogando la tensione che ci aveva avvolti e che finalmente si stava scaricando, ridemmo come eravamo abituati a fare in passato, reggendoci l’un l’altro, la mia guancia posata sulla sua spalla e la sua sulla mia fronte. Quando l’attacco di riso passò Sherlock mi sorrise: “Cena fuori? S’è fatto tardi..” I miei occhi si illuminarono nel momento esatto in cui il mio stomaco brontolò: “Oh si, sto morendo di fame!” Mi misi in piedi seguito a ruota dal mio migliore amico ma mi fermai e lo guardai. “Ti prego, almeno stasera mi fai compagnia?? Guardati come sei ridotto: sei troppo magro Sherlock, devi assolutamente mangiare qualcosa! Te lo impongo come medico e come amico” Borbottai in stile mamma chioccia premurosa. Sherlock mi fece un faccino vagamente schifato della serie devo proprio, ma poi si arrese e sbuffò sorridendo di sottecchi. “Ah va bene, stasera te lo devo, è il minimo. E poi non ho mangiato molto ultimamente, mettere qualcosa sotto i denti di certo non mi farà male.” Ammise a denti stretti. “Grazie a Dio l’hai capito. Muoviti allora, prima di cambiare idea e ripensarci!” Mi misi la giaccia e lo spinsi a forza fuori dal pianerottolo, ridendo di nuovo. Il mio migliore amico Sherlock Holmes era tornato, e io avevo finalmente ritrovato il mio paradiso personale.
 
 
   
 
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