That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Chains - IV.017
- Il Suono della Vittoria
Lord Voldemort
Morvah, Cornwall - sab. 15 gennaio 1972, ore 20
«Avete
trovato la Strega?»
«... Non ancora, mio
Signore... »
Le mie poche parole avevano rotto il silenzio, metalliche: avevo
parlato a bassa voce, ma l'eco di quegli spazi angusti le stava
amplificando e ripetendo; inghiottii il mio disappunto e il desiderio
di puntare la bacchetta contro quegli inetti e Cruciarli, fino a far
esalare loro l'ultimo respiro.
«Alzatevi... »
Aprii gli occhi, li lasciai scorrere su di loro, fiammeggianti, li vidi
tremare di fronte a me, come gli alberi squassati dalla tempesta: a uno
a uno, rossi in volto per il freddo e la prolungata genuflessione, si
tirarono in piedi, ritti davanti allo scranno su cui sedevo. Lui, al
contrario, era stato tutto il tempo accanto a me, a curarmi i graffi e
le altre ferite che avevo riportato, gli occhi che sfuggivano il mio
sguardo attento, le mani tremanti; terminato il suo compito, era
rimasto al suo posto, immobile, non aveva degnato d'attenzione nemmeno
la neve che aveva infradiciato le sue eleganti vesti, gli occhi freddi
fissi a terra, consapevole che la mia ira fosse concentrata tutta su di
lui, che la mia delusione fosse dovuta a lui, alla sua codardia. Lo
scrutai ancora, di sbieco, pieno di risentimento, poi scivolai su
ciascuno degli altri, a far pesare la loro inettitudine.
«Dovete trovarla, subito! Ad
ogni costo!»
«Mio Signore, perdonatemi,
ma... che cosa ce ne facciamo di una Strega, se già
abbiamo... »
«A volte mi chiedo
perché non vi privo della testa, Goyle, visto che non sapete
cosa farne!»
Ero furioso, non solo per il contrattempo, ma perché causa
di quella situazione scellerata era l'uomo che avevo sempre considerato
il migliore dei miei Mangiamorte, ora incapace di parlare, contrito e
pallido al mio fianco. Mi alzai e mi mossi in cerchio, intorno a loro,
sentivo la loro paura, il loro smarrimento, doveva essere un momento di
festa, invece mai mi avevano visto tanto alterato.
«Sparite... e abbiate la
decenza di tornare solo quando avrete catturato la Strega! Tu
no!»
I miei uomini, simili a inutili ratti spaventati, si dispersero veloci
nell'oscurità, Smaterializzandosi di fronte a me, tutti,
tranne lui: il capo chino, cercava di trattenere il tremore, non era
pronto a subire la mia furia, mai prima d'ora aveva assaggiato la mia
collera.
Era al mio fianco dall'inizio, compagni dal primo giorno, ero cresciuto
fino a diventare Lord Voldemort sostenuto dalla sua ammirazione, dalla
sua devozione; per anni avevo contato sulla sua astuzia, sulla sua
efficienza: non capivo perché avesse sbagliato nel momento
cruciale.
Non potevo credere che l'avesse fatto apposta, non lui, non Abraxas J.
Malfoy...
«L'avevo detto prima di
iniziare, Malfoy, non amo le vittorie a metà. E non posso
accettare che proprio questa sia una vittoria a metà! Gli
altri pensano di aver conseguito un grande risultato, oggi, ma tu sai
che non è così! Solo i mediocri si accontentano:
sei per caso un mediocre, Abraxas?»
«No, mio Signore,
io...»
«Lo credevo anch'io... e
invece lo sei... e non sai quanto mi ferisca rendermene conto! Dagli
altri potrei anche aspettarmelo, ma tu? Tu ti sei accontentato... e in
questo modo hai fallito!»
«Mio Signore, Ve lo giuro...
l'ho fatto solo per Voi...»
«Per me? E di grazia, Abraxas,
in che modo le tue azioni mi avrebbero favorito? Hai lasciato in vita,
libera, una testimone che ti ha visto in faccia! La nostra missione
mirava a procurarci degli ostaggi, costringere Mirzam Sherton a uscire
allo scoperto e piegarlo alla mia volontà... Se sua madre
è là fuori, libera, conscia
dell'identità di molti di voi, pronta a denunciarvi per
riavere indietro i suoi figli, che scopo ha avuto la missione? Che cosa
è rimasto del mio vantaggio tattico? Non ti rendi conto dei
rischi che stai correndo anche tu, in prima persona?»
«Io sono sacrificabile, Mio
Signore! E per Voi, sarei disposto anche a marcire ad
Azkaban!»
«Non so che cosa farmene di
vuote parole, di esaltate promesse come queste! Posso aspettarmele
dagli altri, ma da te... tu sei qui per la tua astuzia, non per la tua
falsa devozione... »
«Mi addolora sapere che
considerate falsa la mia devozione, Mio Signore... Sto dicendo la
verità... ho commesso un errore, ma non potevo fare
altrimenti: Emerson era sotto Imperius, non so per mano di chi,
né da quanto, ma non ho dubbi. Il piano, come sapete, era
semplice, dovevamo piegare la Strega con l'incantesimo del Nord,
togliendolo solo poco prima del Vostro arrivo. Quando Emerson Vi ha
evocato ed io Vi ho sentito arrivare, gli ho detto che era il momento
di terminare l'incantesimo e lasciarVi passare, ma Kenneth si
è rifiutato ed ha tentato di uccidere il moccioso! So che
quella dannata spia del Nord poteva servirVi ancora, mio Signore, e so
che uccidere Deidra Sherton, davanti al marito, oltre a liberarci di un
pericoloso testimone, sarebbe stato il modo migliore per spezzare
definitivamente lo spirito e la resistenza di Sherton, ma...»
«Ti sei sempre opposto
all'assassinio di quella Strega, Abraxas, non negarlo!»
«È vero... ma solo
perché... un uomo che non ha più nulla da
perdere, Mio Signore, è il peggior nemico che si possa
avere!»
«E tu non hai avuto le palle
di eseguire i miei ordini al pensiero di trovarti un uomo simile di
fronte, dico bene? O pensi addirittura che Io, Lord Voldemort, erede di
Salazar Slytherin, non possa sopraffare quel Mago? È questo
che stai dicendo? »
«No, Mio Signore... sto solo
dicendo che... se non avessi ucciso Emerson, l'incantesimo avrebbe
colpito Voi... risparmiare la Strega è stato inevitabile,
anche se non voluto... a quel punto, quando si sono distratti, ho colto
l'occasione per prendere almeno i bambini: se avessi esitato, se avessi
perso tempo a combattere Sherton per uccidere una Strega già
seriamente ferita, avrei rischiato di mandare a monte tutto il piano!
Un errore da parte mia c'è stato, è vero, ma
è stato quello di presumere che gli altri facessero la loro
parte! Sherton era in inferiorità quando mi sono
Smaterializzato... non capisco come siano riusciti a farsi scappare una
Strega in agonia!»
Lo fissai: era sincero, nonostante il terrore aveva avuto il coraggio
di parlare guardandomi negli occhi; inoltre era da lui ribaltare le
situazioni a proprio vantaggio, implicare che i propri errori fossero
il risultato delle colpe di altri. Conoscevo Abraxas, non era uomo da
sporcarsi le mani di sangue, e sempre, in quegli anni, pur odiando suo
cugino, mi aveva raccomandato di trattenere la rabbia contro Sherton,
perché la soddisfazione di togliere l'espressione arrogante
da quel volto era poca cosa rispetto alla miniera di conoscenza che si
sarebbe aperta a me appena l'avessi sottomesso, acquisendo finalmente
il pieno dominio della Magia delle Terre.
Mi aveva allettato, ormai desideravo quella conoscenza più
della vendetta, sebbene, quando ci incontravamo, Sherton riuscisse a
farmi ribollire il Sangue col suo sguardo pieno di disprezzo.
«Pensi che Sherton abbia
scoperto il tradimento di Emerson e l'abbia posto sotto
Imperius?»
«Ne dubito, Mio Signore: se
avesse saputo, gli avrebbe impedito di avvicinarsi alla sua famiglia.
Io temo... non ne ho alcuna prova, certo, ma sapete... la follia... Vi
sarete accorto, Mio Signore, che c'è un Mangiamorte che non
si è presentato dinanzi a voi, al termine della missione...
stamani, in quella casa, dovete sapere che ha già tentato di
aggredire Deidra Sherton e...»
«Stai parlando di
Roland?»
«Mio Signore... e se la Strega
che stiamo cercando non fosse fuggita, ma fosse nelle sue mani? In tal
caso non dovremmo più preoccuparcene perché, Voi
lo sapete, mai nessuno è uscito vivo dalla stanza delle
perversioni di Roland Lestrange... persino sulla moglie si dice che...
»
«La vita di quella Strega
appartiene a Me, Malfoy! Non permetterò che una stupida,
vecchia diatriba tra decadenti famiglie purosangue m'impedisca di
leggere nella mente di quella donna!»
«Mio Signore... posso
assicurarvi che non sapeva dove fosse nascosto suo figlio...»
«Mi fido di te, Abraxas, ma
sono stanco di vedermi sfuggire la verità su questi
maledetti Sherton! Di avere solo il resoconto di quanto altri hanno
visto nella loro mente... Io... »
«Mio Signore,
perché Vi angustiate ancora? Ormai potete conoscere tutto
ciò che desiderate sapere, Vi basta allungare la mano e
sollevare quella tenda, l'erede di Hifrig è in vostro
potere!»
Un brivido mi percorse la schiena... Sì, ora potevo, sarebbe
bastato voltarsi, camminare fino a quella tenda, sollevarla... Era
stata una lunga giornata, piena di eventi, ricca di soddisfazioni...
Ero giunto alla fine di un lungo viaggio... un viaggio iniziato da Tom
Riddle trent'anni prima, un viaggio portato a termine ora da Lord
Voldemort...
«Qual
è il suono della vittoria, Tom?»
Avevo sentito di nuovo, dopo anni, il suo sibilo di serpente nella
mente, avevo visto il suo sorriso beffardo illuminargli il volto,
mentre apparivo davanti a lui e la mia furia si abbatteva sulla sua
casa e sul suo fragile corpo. Avevo tremato, un misto di attesa,
rabbia, esultanza, timore, come stavo tremando ancora, mentre il vento
s’infilava tra i ruderi, ruggendo cupo come una bestia in
agonia.
È questo il suono della vittoria, Sherton?
Mi avvicinai alla tenda, tesi la mano: era il momento delle risposte.
«Abraxas... portami quei
mocciosi...»
***
Lord Voldemort
Morvah, Cornwall - sab. 15 gennaio 1972, ore 6
L'oscurità della notte scivolava via, ritraendosi sopra il
mare, mentre il grigiore vivido del mattino d'inverno avanzava da est
sulla brughiera desolata: attraverso le bifore dell'antico chiostro, un
rudere incastonato in cima alla scogliera, annesso a una piccola chiesa
ancora in uso (1),
osservavo l'altopiano del Cornwall, cristallizzato nella galaverna,
estendersi a perdita d'occhio, placido, fino a digradare in ripide e
scoscese lame di nuda pietra nei flutti spumosi, sotto di me. A poco a
poco, il sole esangue si alzò, lento, filtrando la sua
debole luce attraverso il respiro della terra, le nubi, rapide, ora si
diradavano, velandolo appena, leggere, ora si serravano di nuovo a
celarlo completamente, fondendosi agli oscuri e pesanti nembi che
scendevano da nord, minacciosi e pieni.
Mi avvolsi nel mantello, il vento gelido che flagellava la costa
s’infilava tra le rovine del chiostro e si levava violento:
la tempesta si avvicinava e diventava un tutt'uno con il fuoco che mi
pulsava dentro, il mugghiare feroce del mare, sotto di me, seguiva le
note del mio canto di morte.
Chiusi gli occhi, svuotai la mente, l'unico suono divenne il mio
respiro, su di esso tenni fisso il mio pensiero, su quell'energia e
quel gelo sferzante che facevo entrare a pieni polmoni, trattenendolo
per calmarmi, fino a sentire il dolore provocato dall'aria che cerca
invano di uscire.
I preparativi erano stati serrati, la notte densa di avvenimenti: la
faccenda McFiggs (2)
si era protratta a lungo, il vecchio Mago si era dimostrato
più resistente del previsto, alla fine, avevo lasciato che
Rodolphus si smaterializzasse a Little Hangleton per occuparsi di
Emerson e per riprendersi, le Cruciatus inferte l'avevano stremato, era
così alterato che aveva persino stentato a ubbidirmi; Pucey
e Carrow si erano infiltrati nelle case dei ministeriali, segnalati da
Rookwood, per eliminarli e assumerne le identità. Quanto a
Bellatrix, come promesso, le avevo lasciato l'onore di uccidere il
Decano, compiacendomi nel vedere il suo odio trasformarsi in pura Magia
Oscura davanti ai miei occhi, mentre strappava la vita alla sua prima
vittima. Si era creata una tensione potente tra noi e per brevi, rapidi
istanti, cogliendo la lussuria nei suoi occhi, vedendo come mi si
offriva, anima e corpo, avevo pregustato l'idea di possederla
lì, nel bosco, nel cuore della tempesta, per sancire nella
carne e nel sangue la sua appartenenza a me e soddisfare il desiderio
furioso che ormai provavo nei suoi confronti. C'erano però
le ultime trappole da allestire, ed io non avrei permesso a niente e
nessuno, nemmeno a quella Strega, di distrarmi, non dovevano esserci
errori o sbavature, com'era accaduto a Herrengton, nulla poteva essere
lasciato al caso, non questa volta.
Ti prenderò, come premio per la vittoria su Sherton... molto
presto, forse già questa notte...
A malincuore le avevo ordinato di tornare a casa, poi mi ero
smaterializzato nel Cornwall, nei pressi di Morvah: approfittando della
desolazione invernale, da alcune settimane perlustravo il territorio
attorno a quei ruderi, percependo una forte traccia di Magia,
indirizzato lì dal racconto di Emerson, secondo il quale
Sherton e altri Maghi del Nord avevano mostrato interesse per quella
regione tanto lontana dalle Terre. In effetti, le leggende parlavano di
Habarcat come di una delle tre fiamme donate dal dio Lugh e disseminate
in varie parti delle terre dell'antico popolo magico, i Daur (3): Habarcat era
inizialmente conservata in fondo a un pozzo, nei pressi di
Mên-an-Tol, di cui però non era mai stata trovata
traccia. Un paio di notti prima avevo scoperto un passaggio tra gli
scogli e da lì avevo raggiunto la base di quello che doveva
essere l'antico pozzo, ormai in parte franato e sommerso dalle acque
tiepide dell'oceano, ma ancora pregno di antica Magia. Nonostante le
condizioni disagevoli, avevo sorriso: quel luogo aveva qualcosa di
sinistro e familiare, mi ricordava la grotta in cui tutto era iniziato,
quella in cui, ai tempi dell'orfanotrofio, avevo visto soddisfatte per
la prima volta, nelle lacrime e nel sangue altrui, le mie vere
inclinazioni.
La grotta in cui ho custodito una parte di me stesso, alla conquista
dell'immortalità.
Al contrario di quanto mi aspettassi e sperassi, visto l'interesse
mostrato dalla Confraternita, nel pozzo non trovai molto, nessun antico
manufatto per la mia “collezione” (4), nessuna
testimonianza importante, solo numerose formelle
“runate”; ne avevo raccolte alcune, le avevo
studiate, si trattava delle tessere che addobbavano la bocca del pozzo
e che gli antichi Daur avevano gettato all'interno, quando avevano
nascosto ai Babbani l'accesso al sito magico; la maggior parte delle
altre, però, era costituita da preghiere, invocazioni,
stupide richieste di favori fatte agli dei: ebbi di nuovo conferma che
la Confraternita dovesse essere solo una congrega di pazzi visionari,
che amavano camminare nei boschi, evocando le forze della Natura, senza
comprendere il vero potere del proprio dono.
Quei
tempi stanno per finire, però: nelle mie mani, l'Antica
Magia sarà finalmente utilizzata per le imprese degne di
passare alla Storia.
Dal fondo e dalle pareti del pozzo si snodavano dei percorsi creati
dalle frane: alcuni annegavano nell'oceano, altri si aprivano tra le
rocce, improvvise, nel vuoto; uno però, tortuoso e quasi
distrutto, non era frutto del dissesto, pur con interruzioni e
smottamenti, infatti, si riconosceva ancora una pavimentazione a
lastroni disposti geometricamente. L'avevo risalito ed ero giunto sotto
le catacombe dell'antica chiesa: l'apertura era sigillata dal basso con
la Magia mentre, penetrato nei sotterranei dell'edificio sacro, avevo
scoperto una pesante lastra di pietra, su cui era impresso un Triskell,
nascosta proprio sotto l'altare della cripta. Quel simbolo dimostrava
che il pozzo e il percorso erano stati realizzati dai Daur ed erano
probabilmente la ragione del misterioso viaggio compiuto da Sherton e
da altri Maghi del Nord, nel Cornwell, poco dopo l'annuncio del
fidanzamento di Mirzam, il traditore. Non avevo trovato tracce di
attività recenti, sembrava che Sherton e i suoi, al
contrario di me, non fossero stati fortunati nella ricerca, non avevo
però perso tempo a compiacermene, avevo subito ragionato su
cosa fare di quella scoperta e avevo approntato gli incantesimi
necessari a rafforzare le pareti del pozzo e a dissimularne la presenza
a Maghi e a eventuali Babbani. Ghignavo divertito, tutto ormai era
pronto per accogliere Sherton, appena l'avessi catturato: c'era
qualcosa di perverso ed eccitante nell'idea che, per abbatterlo, avrei
usato la sua stessa Magia, quella che ostinatamente e superbamente
aveva cercato di precludermi per anni.
Usare Emerson, come mi ha suggerito Abraxas, non è stata poi
una perdita di tempo.
Poco prima dell'alba, completata la preparazione delle ultime dosi di
Veritaserum, Malfoy mi aveva raggiunto e avevamo ripassato i dettagli
della mia visita al Ministero: volevo assistere al processo Williamson,
sentire con le mie orecchie cosa sarebbe uscito dalle deposizioni di
Sherton e Black, per questo avrei interpretato Abraxas, membro da anni
del Wizengamot, dandogli al contempo un alibi, mentre era impegnato a
sottomettere la Strega e i suoi figli, a Essex Street. Abraxas J.
Malfoy era la persona più adatta per quel compito: era
crudele e sadico, ma si manteneva sempre razionale, e a me servivano
prigionieri vivi, nel caso Sherton si fosse mostrato oltremodo
irragionevole.
«Mio Signore... »
Mi voltai, Malfoy sembrava riluttante a raggiungermi, non apprezzava la
furia degli elementi, si stringeva il mantello addosso infreddolito, i
lunghi capelli scompigliati dal vento, gli occhi lucidi e arrossati per
l'aria gelida e salmastra; gli feci un cenno con la testa,
perché rientrasse, e lo seguii a mia volta, in quella che
era stata l'antica foresteria del convento, uno dei pochi ambienti
ancora quasi intatti. L'aula era più gelida dell'esterno,
non avevo acceso i bracieri; a rompere la penombra di quelle antiche
volte di pietra, c'era solo una fiammella debole, sotto il calderone
nel quale ribolliva, dalla sera prima, la mia ultima pozione; e ora, la
debole luce del mattino penetrava lentamente l'oscurità,
scivolando sinistra sulle colonne, soffermandosi sui volti delle
creature angeliche scolpite sui capitelli e deformandone i tratti,
tanto da ridurli a ghigni mostruosi. Con un colpo di bacchetta feci
sparire dal tavolo pergamene, mappe, libri di antiche Rune, erbe e
boccette, testimonianze dell’intensa notte di studio e lavoro.
«Mio Signore, mi presento
sempre presto al Ministero, quando si riunisce il Wizengamot...
»
Annuii e lo fissai, mentre gli indicavo le boccette di Polisucco pronte
sulla mensola del caminetto, lo vidi strapparsi dei capelli per l'uso e
consegnarmene una: ne bevvi un sorso e attesi gli effetti, mentre il
Mago distribuiva altre ciocche nelle altre due boccette di cui forse mi
sarei dovuto servire durante la giornata; non c'era pericolo che
qualcuno s’insospettisse, tutti avevano notato, nelle ultime
due settimane, la fastidiosa tosse persistente che affliggeva Lord
Malfoy.
Dopo pochi istanti iniziai a contorcermi nel dolore, sentii le membra e
la pelle tendersi, mentre il mio corpo si stirava fino ad assumere la
statura del Mago di fronte a me; i capelli, ormai allungati, mi
sfiorarono la schiena nuda, il ventre parve appesantirsi e perdere la
tonicità cui ero abituato, le spalle s'incurvarono
leggermente, un capogiro mi fece barcollare: intorno a me tutto
sembrava sfocato, indefinito, avvolto in una nuvola di fumo, arpionai
una sedia per non cadere.
«Salazar! Sei forse cieco,
Malfoy?»
«Vi chiedo perdono, mio
Signore, rimedio subito, basta un leggero incantesimo... ho il vezzo di
non portare occhiali, perché non riesco a vedermi con le
lenti… ecco le vesti e... il bastone... »
Abraxas tese la mano e pronunciò l'incantesimo che a poco a
poco rese la mia vista nitida, poi, mentre mi vestivo, creò
una copia del suo bastone da passeggio, riccamente intarsiato, e me la
porse; io, innervosito, gli strappai di mano l'originale, maledicendolo
tra me: quel dannato vanesio, pur senza averne bisogno, andava in giro
con un ricco bastone per darsi un'andatura solenne, ma non portava
occhiali, benché, senza, fosse quasi cieco; mi avvicinai al
tavolo, resi la sua superficie riflettente, mi guardai, provai delle
smorfie e delle espressioni, fino a perfezionare la famosa miscela di
annoiata altezzosità e infastidita arroganza che Malfoy
mostrava in ogni circostanza.
«E questa cicatrice? Non mi
pare tu abbia mai corso il rischio di ferirti in una
missione!»
Lo schernii, da quando lo conoscevo, Abraxas aveva sempre fatto in modo
che fossero gli altri ad andare contro il nemico, al suo posto, avendo
cura di non spezzarsi mai nemmeno un'unghia.
«Si tratta solo di un triste
ricordo di gioventù, mio Signore: volevo dare una lezione a
mio cugino, battendolo in volo con l’Ippogrifo ma quella
bestiaccia immonda mi disarcionò e... »
«… E si prese come
trofeo un po' di carne dal tuo nobile braccio, a quanto vedo... hai una
condotta da gaudente, Abraxas, e sei vanitoso: hai reso il tuo corpo
debole e imperfetto... perché non usi la tua Magia e le tue
capacità di guaritore per porre rimedio ai tuoi
difetti?»
«Per rammentare gli errori di
un passato dissoluto, mio Signore, e i conti che ho in
sospeso.»
«Capisco... allora presumo
curerai questa cicatrice molto presto, dico bene?»
Abraxas sorrise compiaciuto e si prostrò, io lo fissai,
specchiandomi in lui, rispondendo al sorriso con un ghigno falso e
crudele: m'innervosiva oltremodo avere a disposizione un corpo
imperfetto.
«Spero che tu non mi abbia
nascosto altri dettagli importanti... »
«Mio Signore, Ve lo giuro, Vi
ho aperto il mio cuore e la mia mente, sapete tutto ciò
che... »
«Basta così,
è ora di andare: raggiungi gli altri a Little Hangleton e
fai in modo di prevenire qualsiasi mancanza dei tuoi compagni. Bada
soprattutto a Roland: mi è necessario in questa missione
ma… Lo sai: quando ci sono di mezzo gli Sherton, diventa
incontrollabile ed io non tollererei che la giornata finisse con un
altro insuccesso, sono stato chiaro?»
Abraxas chinò il capo e annuì, poi si
Smaterializzò, lasciandomi di nuovo solo nell'atmosfera
carica d'attesa che aleggiava tra quei ruderi. Sospirai. Ero
insofferente a quel suo falso tono condiscendente, era sempre
così, con lui: mi era utile come pochi, così
preciso, efficace, razionale, ma non tolleravo la sua presenza a lungo,
i suoi modi melliflui m’irritavano; inoltre era
straordinariamente intelligente e abile, molto più degli
altri miei uomini, questo faceva sì che non potessi fidarmi
del tutto di lui: Sherton diceva che solo un folle si sarebbe fidato di
Abraxas Malfoy.
Su questo, e su poche altre cose, riconoscevo che la maledetta
“Aquila del Nord” non avesse torto.
Uscii di nuovo nel chiostro, pronto a partire, mi guardai attorno,
ghignando: entro il tramonto di quel sole, di cui avevo ammirato la
gelida nascita, i segreti del Nord e l'antica Magia del mio antenato si
sarebbero dischiusi ai miei occhi e appena fossi entrato in possesso
anche della Sacra Fiamma... Serrai i pugni, il pensiero corse ancora
una volta a Mirzam Sherton, lo sciocco Mago che aveva osato ripagare la
mia benevolenza con il tradimento, mi sentii ribollire il sangue: no,
non se la sarebbe cavata ancora per molto, era giunta l'ora che pagasse
per le sue colpe.
Stavolta non sarebbe finita come poche settimane prima, a Herrengton,
quando l'agognata marcia trionfale nella grotta di Salazar si era
trasformata in una rocambolesca fuga dei miei uomini dalle Terre del
Nord; avrei riportato di persona la mia vittoria, una vittoria meno
importante, in confronto alla caduta del Ministero o all'occupazione di
Hogwarts, certo, ma fondamentale, perché ottenuta spazzando
via o piegando per sempre la dannata stirpe degli Sherton.
E cancellare quel ghigno arrogante dai vostri volti, vedervi piegati e
umiliati, sarà per me la più soddisfacente delle
vittorie... almeno per oggi...
***
Lord Voldemort
Ministero della Magia, Londra - sab. 15 gennaio
1972, ore 9
Osservavo i corridoi del Ministero, che stavano via via riempiendosi, e
sorridevo, pensando che presto li avrei percorsi con il mio vero
aspetto, non più servendomi della Polisucco. Guardandomi
intorno, a cominciare dalla Statua al centro dell'ampio atrio, avevo in
mente almeno una decina di cambiamenti da fare, appena mi fossi
auto-nominato nuovo e “definitivo” Ministro della
Magia. Non era l’arredamento, però, il fulcro del
mio progetto: fissavo gli impiegati che sbucavano dai camini,
insonnoliti, e pensavo a quanto il loro dono fosse sprecato. Presto,
però, sarebbe cambiata ogni cosa, anche il loro destino: si
sarebbero trasformati da inutili burocrati in un esercito operoso al
mio servizio, pronto a modellare tutto il mondo, magico e babbano,
secondo la mia volontà.
E
sarà allora che imprimerò, indelebile, il mio
Marchio anche su Hogwarts, la mia unica, vera casa, la casa creata dal
grande Salazar Slytherin, il mio antenato, per tutti quelli come me.
Al mio arrivo, avevo visto il malefico vecchio, di spalle, entrare
nell'ascensore, forse diretto da qualche amico babbanofilo, qualche
SangueSporco imbucato nella sede del potere magico; appena avessi
conquistato il potere, li avrei strappati via dai loro nascondigli, uno
a uno, li avrei calpestati, distrutti, cancellati, non ci sarebbe
più stata traccia dell'abominio (5).
La Magia tornerà a risplendere nel mondo, pura e
incontrastata… e questo grazie a Me.
Silenzioso e concentrato, mentre mi avviavo all'ascensore per scendere
all'Aula dieci, in compagnia di due degli amici di sempre, Travers e
Rosier, incrociati dopo aver parlato con il Ministro, riflettevo sulle
ultime mosse approntate contro Sherton: Lodge aveva convocato Malfoy,
suo socio in affari, anche il giorno precedente, per chiedere consiglio
su alcune questioni, Abraxas ne aveva approfittato per convincerlo a
emanare una Circolare con cui ordinava di requisire gli anelli a tutti
i Maghi del Nord che si fossero presentati al processo (6). Sapeva,
infatti, che non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione unica di
impossessarmene e che l’avrei ricompensato per la sua
intraprendenza.
Il Ministro aveva ubbidito: non era uno dei miei uomini, non l'avevamo
nemmeno posto sotto Imperius, ma era così corrotto, avido e
ricattabile, e soprattutto così tronfio e stupido, da essere
una marionetta perfetta, da spremere fino in fondo, prima che uomini
come Crouch e Dumbledore raccogliessero prove sufficienti sui suoi
intrallazzi per sollevarlo dall'incarico o che, alle elezioni di
primavera, un Ministro eletto dal popolo prendesse il suo posto. La
carica temporanea di Ministro, dopo un precedente tentativo andato a
vuoto alle elezioni regolari, gli era stata assegnata in tutta fretta
dal Consiglio, grazie alle abili manovre di Abraxas, che non aveva
avuto difficoltà a convincere gli altri, a causa dello stato
d'emergenza e del caos in cui versava il Mondo Magico dopo la morte di
Longbottom. Non ci illudevamo, però, che la situazione
potesse durare a lungo, se prima non avessimo eliminato qualche altro
potente avversario, uomini del calibro di Crouch stesso.
Appena giunto a Malfoy Manor, fingendomi di ritorno dalla passeggiata
mattutina nel parco pieno di candidi pavoni, l'Elfo mi aveva portato
una lettera di Lodge che mi convocava di nuovo ed io, soddisfatto, mi
ero affrettato di buon grado, mi ero presentato nel suo ufficio, avevo
bevuto un Firewhisky con lui e l'avevo fissato, con la grazia del
gentiluomo che impersonavo, pensando tra me che Malfoy fosse stato
geniale a proporre e spingere per avere un idiota simile su quella
poltrona.
Lodge voleva parlarmi della proposta di Crouch d'infilare un
Dissennatore (6)
nella camera adiacente alla sala d'attesa dei testimoni: intendeva,
infatti, creare una serie d’imprevisti e intoppi per mettere
a disagio Sherton prima dell'udienza e
“esacerbare”, così aveva detto,
l'arroganza che caratterizzava il Mago del Nord. Al pensiero di
ritrovare, alla fine della giornata, il mio avversario ancora
più provato nel corpo e nello spirito di quanto avessi
già messo in conto, non potevo che essere entusiasta di
quell'aiuto inatteso, offerto proprio da uno dei miei peggiori nemici.
Avevo annuito composto, come avevo visto fare infinite volte a Malfoy,
poi mi ero passato lento e assorto la mano sulla barba biondiccia:
conoscevo Abraxas dal nostro primo giorno di scuola, non mi era
difficile imitarne il passo autoritario o la risata composta, o quello
stupido vezzo di passarsi la mano sulla barba curata, quando qualcuno
gli rivolgeva una domanda. «Lo
faccio per compiacere l'interlocutore» mi aveva spiegato
Malfoy «lo illudo che gli stia prestando attenzione, che
prenda tempo e rifletta sulla risposta da dare... invece so che cosa
dirgli già prima di riceverlo... »:
gli era bastato il mio migliore sguardo ironico e il mio più
feroce sorriso omicida per perdere, da quel momento, l'abitudine di
lisciarsi la barba in mia presenza.
Il colloquio con il Ministro, per altro, era stato un momento
fondamentale per i miei piani.
«Non saprei cosa dirti,
Archibald, è un grattacapo impelagarsi con la Confraternita,
ma hai già preso posizione ieri, quando hai redatto quella
Circolare riguardante gli anelli, quindi... »
«Me l'hai raccomandato tu,
ricordi? C'eri anche tu, quando Bartemious è arrivato qua,
ieri, trafelato, sostenendo che quegli anelli potrebbero essere
pericolosi... e tu hai detto che una remota possibilità che
siano pregni di Magia Oscura esiste! Non dirmi che ora ci hai
ripensato, Abraxas?»
«Certo che no, ma non credo
costituiscano il rischio che sospetta Crouch: invece è certo
che privarlo dei suoi adorati anelli indisporrà mio cugino
tanto da fargli commettere qualche passo falso, esattamente come
snervarlo con attese assurde, stupidi contrattempi... o un
Dissennatore... Crouch ha ragione: approfitta del suo stato di salute
precario, trattienilo oltre il dovuto lontano dalla sua adorata
mogliettina e vedrai vacillare la sua arrogante baldanza. Questa
è l'occasione giusta per far scattare le catene attorno ai
suoi polsi e avere le Terre ai tuoi piedi; domani il Daily Prophet
potrebbe avere questo titolo: “Archibald
Lodge. Il Ministro che ha ridotto alla ragione i ribelli del
Nord!”. Saresti fin da oggi riconfermato nella
tua attuale carica, nessuno riuscirebbe più a tenerti
testa... certo... c'è sempre quel dettaglio che
può mandare a monte tutti i tuoi piani,
ma…»
«Ovvero? Che cosa potrebbe mai
ostacolarmi? Non capisco... »
«L'ambizione di Crouch, amico
mio: la vicenda di Sherton può essere il trampolino di
lancio anche per lui. Devi metterlo in ombra, Archibald, devi negargli
quel processo pubblico cui tiene tanto, svalutare le sue posizioni e,
soprattutto, spingerlo a compiere un passo falso... Si potrebbe far
sparire gli anelli e rendere nota che l'idea di requisirli sia stata
sua... si potrebbe far rinvenire uno degli anelli nel suo ufficio, o
nella sua casa, così che l'opinione pubblica sospetti che
Crouch voglia prendere le Terre per interesse personale, non per il
bene del Mondo Magico... Devi rovinarlo, o il tuo ruolo nella vittoria
sul Nord passerà in secondo piano e quell'uomo
conquisterà la tua poltrona. Ora è meglio che ti
lasci, devi leggere le deposizioni: ho sottolineato le parti
più interessanti... »
Lodge aveva annuito: non aveva alcun interesse per le Terre del Nord,
al contrario di me, ma occupare quella poltrona stava portando benefici
particolari ai suoi affari e, soprattutto, tenere Bartemious Crouch
lontano dalla carica di Ministro, significava garantire la
prosperità propria e quella di tanti amici che avevano
interessi... poco ortodossi. Amici pronti, per questo, a dimostrarsi
molto, molto riconoscenti nei suoi confronti.
«Aspetta... chiudi la porta,
Abraxas... mi chiedevo… potresti occuparti tu di Crouch? Gli
anelli... se io te li consegnassi al termine dell'udienza... ti
toglieresti anche quella tua curiosità... »
«La Runa dei Malfoy? No, amico
mio, lascia stare, potrebbero vederci confabulare, ed io non rischierei
mai la tua brillante carriera per una sciocchezza simile... falli
sparire tu, poi tra qualche giorno, ti manderò qualcuno che
li farà ritrovare a casa di Bartemious... »
«No, Malfoy, no... non li
voglio... Preferisco operare in fretta, è anche una
questione di... sicurezza... Contatta subito quel tuo amico... ti
manderò stasera il mio Elfo... con gli anelli... »
«Se proprio insisti...
d'accordo... li prenderò io... »
Ghignavo tra me, ripensando a come perfino le mire e le ambizioni di
uomini insospettabili come Crouch andassero a infittire, senza volerlo,
le mie trame, rendendo il mio lavoro più rapido ed efficace:
avevo tentato mille strade per mettere le mani su tutti quegli anelli,
e ora, era stato sufficiente far insospettire Crouch, riportandogli
astutamente delle false informazioni, per ottenerli.
La giornata si prospettava davvero trionfale...
***
Lord Voldemort
Ministero della Magia, Londra - sab. 15 gennaio
1972, ore 10
(7) Avevo
raggiunto il banco che da secoli occupavano i membri della famiglia
Malfoy, dopo aver salutato con garbo e autorità parenti e
conoscenti, ed essermi intrattenuto con Cygnus Black, che voleva
assistere al processo e aveva approfittato della situazione per
parlarmi del “fidanzamento
dei nostri ragazzi”: per fortuna era apparso
l'usciere con l'avviso che il processo si sarebbe tenuto a porte
chiuse, così avevo salutato in tutta fretta “il
mio futuro consuocero”, sfuggendogli prima di essere
coinvolto in una discussione che non avevo previsto e che poteva
arrecarmi danno.
Il Wizengamot era ormai al completo e i Dissennatori, con gli Aurors di
supporto, avevano scortato in aula Williamson, all'interno di un
gabbiotto magico impenetrabile a qualsiasi incantesimo, per proteggerlo
da un eventuale attacco. Avevo valutato l'idea dell'attentato,
Lestrange si era offerto per la missione, ma le cose non erano andate
come previsto e alla fine avevo desistito, anche perché
Williamson non costituiva una minaccia, non sapeva quasi nulla, era
invece perfetto per la propaganda, un uomo come lui, un irreprensibile
che si era ribellato ai “dettami
cristallizzati della società” era un
ottimo esempio per gli indecisi, e fonte di turbamento per i nemici.
Inoltre, non volevo rischiare in un’impresa difficile e di
scarsa importanza gli uomini che stavo infiltrando nel Ministero, fonte
d’informazioni preziose per la causa: li avrei sacrificati
solo alla fine, quando, ottenuto il potere, non mi sarebbero stati
più di alcuna utilità.
Il Ministro fece il suo ingresso, accompagnato dal suo staff di
collaboratori più stretti, e andò a sedersi
qualche banco più in basso, davanti a me:
s’immerse subito nella lettura delle deposizioni,
perché, stando a Malfoy non aveva che una pallida idea di
quello che era venuto fuori dagli interrogatori; noi, al contrario,
sapevamo tutto, grazie a Rookwood che, al solito, era riuscito a
farcene avere delle copie. Poco distante, Albus Dumbledore parlottava
con Alastor Moody, m’innervosiva non riuscire a capire che
cosa stessero confabulando, continuamente interrotti da un Bartemious
Crouch a dir poco agitato. I due personaggi, per i quali nutrivo una
curiosità morbosa, non erano ancora arrivati ma ormai si
stavano avvicinando alla sala d'attesa, accompagnati da Dolores
Umbridge, segretaria personale del Ministro: era stato Abraxas a
suggerire a Lodge di servirsi di lei per accogliere Black e Sherton,
consapevole di quanto sapesse essere irritante.
Per primo, sul banco dei testimoni, sarebbe salito Orion Arcturus
Black, un individuo sfuggente, pieno di risorse economiche e prestigio
sociale, di contatti e conoscenze utili, che volevo portare dalla mia
parte, in un modo o nell'altro. Di recente, l'avevo già
incontrato da Malfoy e da Lestrange, a rimorchio del cognato Cygnus,
padre di Bellatrix, a due delle riunioni di simpatizzanti organizzate
per sondare gli intenti dei Purosangue che non apprezzavano Dumbledore
e non sopportavano più la politica che limitava loro
privilegi e accesso alle cariche, a favore di personaggi di dubbia
origine e, soprattutto, stanchi delle chiacchiere, erano affascinati
dalle imprese dei miei uomini, gli unici che stessero facendo qualcosa
di concreto per porre un freno alla deriva del Mondo Magico.
In quegli incontri avevo avuto molto successo, anche personaggi
insospettabili erano entrati nelle mie fila, molti giovani volenterosi
erano scesi in campo, prendendo il Marchio, mentre i loro stanchi
genitori erano diventati alleati potenti, avevano creato una rete che,
operando nell'ombra, ci proteggeva e ci finanziava. Orion Black,
invece, aveva solo staccato un assegno, probabilmente per non essere da
meno di parenti e conoscenti, ma aveva subito addotto le sue precarie
condizioni di salute per porre un veto a future, più
impegnative, collaborazioni. Sapevo, naturalmente, che a spingerlo a
muoversi con cautela era ben altro: pur convinti della
necessità di intervenire e della bontà delle mie
intenzioni, infatti, i Black erano troppo arroganti e pieni di
sé per stringere alleanze al di fuori della propria cerchia
familiare, soprattutto con chi, come me, pur famoso e potente, non era
ufficialmente ricollegabile a una famiglia di nobile lignaggio. Erano,
insomma, troppo orgogliosi della propria reputazione, tutta incentrata
su purezza e rispettabilità: Bellatrix li definiva
«un covo di formali perbenisti, che mettono al di sopra del
Bene superiore, i propri miserabili e ristretti interessi personali,
gente troppo pigra e viziata per mostrare gli attributi e prendersi con
coraggio, d'autorità, ciò che ci spetta di
diritto!». Era con queste parole che la moglie di Rodolphus
Lestrange aveva guadagnato la mia attenzione e il mio rispetto ma,
intenzionato a non farle capire subito quanto mi piacesse il suo modo
di ragionare, mi ero limitato ad annuire divertito, fingendo di non dar
troppo peso a certi discorsi. Da anni, invece, sapevo che era quella la
verità: avevo, infatti, “conosciuto” il
modo di ragionare dei Black appena messo piede nel Mondo Magico.
*
Era il primo settembre
del lontano 1938, stavo affacciato al finestrino in attesa che il treno
partisse e finalmente quello stupido mondo babbano uscisse dalla mia
vita, quando avevo visto sulla banchina un gruppo di Maghi che non
aveva nulla in comune con tutti gli altri: erano otto adulti (8), tre ragazzini e un paio di
bambini piccoli, tutti austeri, dall'espressione seria e cupa, le toghe
eleganti e sontuose, i gioielli meravigliosi, fatti di argento e
smeraldi. Tra tutti loro mi colpì il ragazzino:
benché già molto alto, doveva essere una
matricola come me, perché, al contrario delle femmine, non
aveva ancora i colori di alcuna Casa sul baule e sul calderone; il
giovane portava i lisci capelli corvini lunghi fino alle spalle,
all'indietro per lasciare libero il volto pallido, su cui campeggiavano
due occhi di un blu talmente intenso da sembrare neri. Le due giovani
Streghe non si allontanavano di un passo dagli adulti, il ragazzo, al
contrario, sembrava incuriosito dal mondo che lo circondava, in
particolare dal treno, che ammirava estasiato mentre si gustava le sue
Cioccorane: approfittando dell'arrivo di un gruppo di amici di
famiglia, si era lasciato distrarre ed era rimasto indietro, perdendo
il contatto con gli altri, diretti alla prima carrozza. Quando comprese
di essere rimasto solo, si guardò intorno smarrito, poi
alzò gli occhi e incrociò i miei: sembrava
combattuto, come se qualcosa gli impedisse di rivolgermi la parola,
aveva bisogno d'aiuto ma non disse “ciao”,
né mi fece alcuna domanda. Io, consapevole che l'amicizia di
un personaggio simile potesse tornarmi utile, prima o poi, presi
l'iniziativa e gli indicai col dito le due carrozze davanti alla mia,
allora il ragazzino, lasciati da parte timori e dubbi, mi sorrise e si
avvicinò al finestrino, prese una Cioccorana dal suo
sacchetto e me la porse. Purtroppo, non ebbi il tempo di prenderla,
né di sentirmi dire “Grazie”: il padre,
un uomo arcigno e dinoccolato, con un paio di baffetti isterici che
stentavano a crescergli in faccia, si stava già facendo
largo tra la folla, con il bastone da passeggio usato quasi come
sfollagente; una volta giunto davanti a noi, dopo avermi squadrato
disgustato, prese il figlio per un braccio, trascinandolo via,
vermiglio di rabbia.
«Alphard Pollux Black, ti ho forse insegnato a dare
confidenza ai Sangue Sporco?»
Non sentii altro, ma fu
sufficiente: nel breve tempo trascorso dalla visita di Dumbledore alla
mia partenza per Hogwarts, avevo letto tutto sul Mondo Magico, sapevo
che i Black erano una delle famiglie più illustri e potenti
e conoscevo il significato della parola “Sangue
Sporco”. Io ero orfano, non conoscevo le mie origini, ma
sapevo di non essere nato da Babbani: all'epoca immaginavo che mio
padre fosse un Mago potente e che una disgraziata circostanza ci avesse
separato, facendomi perdere dodici anni della mia vita lontano dal
mondo cui appartenevo. Fin da piccolo, infatti, pur senza sapere cosa
fosse, sentivo in me qualcosa di diverso, anche gli altri lo sentivano
e mi temevano: ero certo che, appena fossi tornato al mio posto, la mia
grandezza sarebbe stata percepita anche dagli altri Maghi, Dumbledore,
per esempio, era rimasto impressionato quando gli avevo detto di saper
parlare con i serpenti.
Come avevo immaginato,
in breve tempo, a scuola, nessuno aveva più badato al mio
aspetto e alle mie origini oscure: ammaliati da me, compagni e
insegnanti mi avevano apprezzato grazie al mio naturale carisma e alle
mie abilità e, alla fine, dalla mia cerchia più
ristretta, via via a molti altri, pressoché tutti avevano
riconosciuto in me il migliore tra loro.
I Black no, per loro ero
e sarei stato, sempre e soltanto, Tom Riddle, Mago dalle oscure
origini, proprio come il primo giorno: poco dopo lo smistamento,
vedendomi avvicinare al tavolo della mia Casa, Alphard Black aveva
tentato di farmi spazio, ma una delle due ragazzine, appena mi vide, mi
disse arrogante che quel posto era già occupato. La fissai,
era molto bella, con i lunghi capelli corvini raccolti in maniera
aristocratica a esaltarne i lineamenti e renderla più adulta
dei suoi tredici anni, le labbra imbronciate in un'espressione
altezzosa e i profondi occhi azzurri talmente scuri, da sembrare
ossidiana nera. Accanto a lei, in silenzio, c'era anche l'altra
ragazzina vista in stazione, era più minuta e timida, con
grandi occhi grigi, che teneva sempre bassi. Non avevo detto nulla in
risposta alle parole della sorella di Alphard Black, Walburga, ma i
miei pugni si erano stretti con violenza; non avevo abbassato lo
sguardo, anzi avevo sostenuto con fierezza quei penetranti occhi scuri
che mi soppesavano disgustati, sembravano chiedersi chi fossi per osare
restare lì, a guardarla fisso, senza spaventarmi come
facevano tutti. Una trepidazione, che avevo provato solo moltissimi
anni dopo, trovandomi per la prima volta di fronte sua nipote
Bellatrix, mi aveva fatto restare senza fiato per alcuni secondi, poi,
più prepotente, emerse in me il desiderio di farle del male,
quello che spesso era venuto fuori quando vivevo in orfanotrofio, con
chi mi faceva arrabbiare... Fu solo la paura di essere cacciato da
Hogwarts e costretto a tornare tra le nullità da cui ero
appena scappato che mi trattenne dallo scatenarle contro la mia
collera. Senza scompormi, smisi di guardarla e scivolai via, mentre
lei, ghignando trionfante, gracchiava alle mie spalle.
«Che cosa ti passa per la testa, Alphard? Hai sentito come
l'ha chiamato Dumbledore? Non esiste un cognome simile nel libro delle
famiglie magiche ed io non voglio feccia al mio tavolo!»
«Non ti curare di quelli... »
Mi voltai, a parlare era
stato un ragazzo dall'aspetto curato e tranquillo, poco più
grande di me, mi sedetti accanto a lui, si presentò come (9) Gustav Nott: sarebbe diventato
uno dei miei amici più fidati.
«... I Black sono ricchi, purosangue e potenti, ma
completamente pazzi, una razza strana, così fissati con il
“pedigree” che si accasano tra loro, come i cani
che hanno nello stemma! Se sei a Slytherin, però, il
Cappello ha riconosciuto in te la propensione alla grandezza,
ciò che Salazar ricercava nei suoi discepoli... Ma questo te
l'avrà detto tua madre... qual è il suo
cognome?»
Avevo taciuto, non avevo
conosciuto i miei genitori e, all'epoca, consideravo inutile sapere il
cognome di mia madre, convinto che una vera Strega non sarebbe mai
morta nel darmi alla luce, e soprattutto... una vera Strega non avrebbe
mai acconsentito a un lurido Babbano di giacere con lei... Purtroppo,
con gli anni, avevo scoperto che mia madre, pur discendendo da Salazar
Slytherin stesso, si era macchiata proprio di quell'infamia: aveva
sprecato e sporcato il suo Sangue cedendo a un Babbano qualsiasi, per
quell'assurdità inutile cui solo gli sciocchi davano gran
peso. L'Amore.
*
Dopo i teatrini voluti da Crouch, Orion Arcturus Black fece il suo
ingresso: pallido, con un cane d'argento al fianco per proteggersi dal
gelido fiato dei Dissennatori, l'aria sprezzante e la testa persa in
chissà quali pensieri, sembrava aver difficoltà a
trattenere la propria irritazione, trasudava però, come
sempre, superiorità. Avevo deciso che, se non fossi riuscito
in tempi brevi a convincerli con le buone a sostenermi, li avrei
obbligati, dovevo perciò trovare i punti deboli dei Black,
impresa in apparenza difficile, perché sembrava che, a parte
il nobile sangue, per quella famiglia non contasse altro. Erano umani
come tutti, però, e come tutti dovevano avere segreti da
nascondere, paure insospettabili, desideri irrealizzabili: mentre stava
lì, seduto sullo scranno davanti al Wizengamot, pronto a
testimoniare contro il suo migliore amico o contro il suo figlioccio,
mi chiesi se l'anello debole per irretire quella famiglia fosse proprio
Orion. Ero andato al processo per studiare quell'uomo mentre era
sottoposto a una prova stressante, deciso a scoprire cosa si celasse
dietro quello sguardo imperturbabile, per poterlo poi ricattare,
minacciare o, semplicemente, comprare...
«... quanto agli Aurors
presenti [...] che cosa stavano facendo in quel momento? Erano
impegnati a ficcare il naso in giro e a ostacolare le ricerche, invece
di aiutarci a ritrovarla! Una bambina di undici anni!»
«Come hanno dimostrato gli
eventi, era di primario interesse difendere il Ministro... »
«Oh sì... abbiamo
visto tutti benissimo quanto siete stati abili a difenderlo!»
«Come osate... »
Di certo era divertente sentirlo parlare: abile e sagace oratore,
capace di ridicolizzare e innervosire l'avversario, sarebbe stato un
ottimo uomo politico, peccato sembrasse portato solo per gli
investimenti che rendevano sempre più benestante la sua
già straricca famiglia e, peggio ancora, privo di
peculiarità in campo magico. Più lo guardavo,
meno riuscivo a spiegarmi come mai l'Erede di Hifrig mi avesse
preferito un inetto simile, disdegnando la mia cerchia e i miei inviti.
«... Black... un'ultima
domanda... vi ricordo che avete giurato di dire la verità...
erano Mirzam Alshain Sherton e sua moglie Sile Aylys Kelly i due
Mangiamorte che avete incrociato in cima alla torre e che avete aiutato
a scappare servendovi dell'anello che avevate in mano?»
La risata di Black, uomo sempre composto e imperturbabile, mi sorprese:
tutta la tensione accumulata, quella che l'aveva a mano a mano
costretto ad abbandonare l'abituale indifferenza, si era sciolta in
quella risata liberatoria. La sua testimonianza non era stata di alcun
interesse per me, sapevo prima di sentire le domande di Crouch che
Mirzam Sherton poteva essermi sfuggito solo grazie all'aiuto di Duncan
MacPherson, detto Fear, l'ultimo Mago Oscuro in vita della Confraternita:
ero anche certo che fosse lui il misterioso Custode di Herrengton, ma
non sapevo ancora abbastanza di quel Mago e di quella maledetta
Congrega per riuscire a trovarlo ed eliminarlo. Per questo il Ministero
doveva sospettare di Mirzam e di Fear: quanti più uomini
avessero dato loro la caccia, più probabilità ci
sarebbero state che fossero finalmente catturati; e una volta presi,
servendomi degli uomini infiltrati nel Ministero, Sherton, MacPherson e
soprattutto Habarcat sarebbero stati miei.
«... leggete quelle carte...
Ciò che cercate di sapere è scritto
lì... ciò che forse non troverete nelle carte
è che quei due giovani hanno patito tanto per stare insieme,
non avrebbero scelto il giorno del loro matrimonio per mettersi nei
guai volontariamente e... soprattutto, mai, per nessun motivo, quel
ragazzo avrebbe fatto del male ai suoi fratelli o a suo padre... non ho
altro da dirvi... »
Era stato questo il mio errore? Credere che il desiderio di emanciparsi
da suo padre fosse sincero, credere che padre e figlio fossero stati
divisi dagli eventi? Avevo letto nella mente di Mirzam, avevo sentito
tutta la sua angoscia, l'odio, la ribellione, tutta la sua confusione a
causa di suo padre e delle sue intromissioni. Orion Black,
però, forse aveva ragione: padre e figlio avevano
collaborato, Mirzam si era avvicinato a me per riferire informazioni
preziose a suo padre e suo padre si era servito di lui per trasmettermi
notizie errate. In questo modo, Sherton era riuscito a conoscere non la
totalità dei miei piani, certo, ma abbastanza da starmi
sempre un passo avanti, negli ultimi mesi.
… Mai, per nessun motivo, quel ragazzo avrebbe fatto del
male ai suoi stessi fratelli…
Già... i suoi fratelli... i suoi stessi fratelli…
Sarà proprio questa carta, i tuoi fratelli, che
giocherò contro di te, Mirzam Sherton, lurido traditore... e
ti annienterò... come meriti...
***
Lord Voldemort
Ministero della Magia, Londra - sab. 15 gennaio
1972, ore 11
Non vedevo Alshain Sherton da mesi, e sebbene Malfoy mi avesse
già avvisato che stentava a riprendersi dopo la notte di
Herrengton, mi colpì vederlo pallido ed emaciato, smagrito e
lugubre, febbricitante, anche grazie alla Magia sprecata per resistere
alla presenza del Dissennatore nella sala attigua a quella d'attesa.
Sarebbe stata una passeggiata piegarlo, alla fine del processo, e
questo mi fece pentire di aver predisposto che la seduta si protraesse
per tutta la giornata: desideravo una sospensione del dibattito per
potermene andare, avrei colto una scusa qualsiasi per raggiungere
Malfoy a Essex Street e anticipare i tempi, occupandomi personalmente
della Strega e dei bambini...
Da quelle deposizioni, d'altra parte, non stava emergendo nulla che
già non sapessi, c'era stata solo un'occasione in cui la
testimonianza di Sherton e soprattutto le domande di Bartemious
potevano svelarmi qualcosa d’importante: Crouch, infatti, nel
tentativo di dimostrare che Sherton avesse in mente fin dall'inizio di
uccidere il Ministro, aveva fatto emergere un legame non superficiale
tra il Mago del Nord e Longbottom, di cui non sapevo nulla. Alshain
Sherton non era implicato nell'omicidio, mi chiedevo perciò
quale altro motivo, altrettanto importante e misterioso, l'avesse
spinto ad attirare il Ministro a Herrengton: l'intervento di
Dumbledore, che si era affrettato a parlare di una compravendita tra i
due, e lo sguardo, al tempo stesso allarmato e diffidente, di Sherton
mi portavano a supporre che il vecchio manipolatore avesse mentito per
coprire qualcosa d’importante (10).
Sherton era un Purosangue atipico, amava il mondo babbano limitatamente
a ciò che poteva essere utile al suo tornaconto o al suo
piacere personale, quando però si trattava delle cose
essenziali, come la famiglia, gli affari e le alleanze, era tutto d'un
pezzo come suo padre. La purezza di Sangue era valore per lui
irrinunciabile e lo Stato di Sangue di Dumbledore, oltre a un'atavica
antipatia personale, faceva sì che tra i due non potesse
esserci un rapporto tra pari. Longbottom, però, era un
Purosangue e avrebbe potuto costituire il tramite perfetto per
avvicinare le loro posizioni, se avessero deciso di allearsi contro di
me. Ghignai: qualunque fosse, uccidendo il Ministro, ero riuscito a
mandare a monte il loro piano, prima ancora di sapere che ne stavano
preparando uno!
*
(11) A Hogwarts, avevo avuto molta
facilità, grazie al mio carisma innato, a creare attorno a
me un gruppo di ammiratori, i miei compagni erano attratti da me,
volevano entrare nella mia cerchia, alcuni, i più fidati,
divennero i miei Mangiamorte e con loro iniziai a usare il nome di Lord
Voldemort quando ancora frequentavo la scuola. Erano la mia famiglia,
presenze importanti per me che ero cresciuto in un orfanotrofio, eppure
mi sentivo diverso da tutti loro, unico, solitario, soprattutto nelle
imprese più importanti, come la ricerca della Camera o lo
studio degli Horcrux... A nessuno consentivo di accedere ai miei
pensieri più reconditi, nessuno poteva comprendere, in
nessuno riconoscevo un mio pari: anni più tardi, tornato a
reclamare la cattedra di Difesa, Dumbledore mi parlò di loro
definendoli i miei “servi”. In effetti, quando li
valutavo, non sentivo in nessuno un'indole simile alla mia, con cui
sintonizzarmi. Solo in un'occasione, ai tempi della Camera dei Segreti,
m’illusi di aver incontrato qualcuno alla mia altezza, ma
presto compresi che Alshain Donovan Sherton era soltanto un
indecifrabile, irritante e sfuggente moccioso.
La prima volta che lo
vidi era il primo settembre del 1942 ed io mi trovavo sulla banchina
davanti al treno, accerchiato da Malfoy, Nott, Mulciber, Rosier e altri
amici che ammiravano la mia spilla da Prefetto; all'improvviso,
Abraxas, più alto di tutti noi già a quei tempi,
aveva iniziato a ghignare: incuriosito e infastidito perché
stava distraendo l'attenzione degli altri su se stesso, gli chiesi cosa
stesse accadendo e lui ci annunciò l'arrivo dei suoi cugini
del Nord, gli Sherton. Mulciber scoppiò a ridere e, senza
nemmeno fargli finire di spiegare, preso il suo sacchettino di Galeoni,
fece tintinnare delle monete e urlò
“Ravenclaw”, seguito da quasi tutti gli altri.
Gustav, vedendomi confuso, mi spiegò che il minore degli
Sherton, un certo Alshain, era così fragile e delicato da
sembrare una femmina e, probabilmente, come accadeva solo alle Streghe
di quella famiglia, sarebbe stato il primo Sherton maschio a finire a
Ravenclaw. Quando lo vidi comparire, seminascosto dalle gonne della
madre, compresi perché fosse oggetto di scherno: il fratello
del borioso e muscoloso Ronald Sherton era, infatti, un bambino
all'apparenza più piccolo della sua età, un esile
pulcino terribilmente impacciato, con un paio di occhiali
così grossi da nascondergli mezza faccia. Aveva i tratti
delicati e gentili della madre, una Strega molto bella e purosangue,
ma, come tutti i Ravenclaw, priva di grandi ambizioni, presa solo dai
suoi studi e dai suoi libri: stando ai miei amici, il bambino ne aveva
ereditato anche il carattere fragile, infatti, quando andavano a
Herrengton per far visita a Ronald, Alshain si nascondeva, barricandosi
nella biblioteca materna, con notevole disappunto del padre. Il vecchio
Sherton, un Mago severo e composto, dalla lunga chioma leonina e gli
occhi freddi come il metallo, si fermò per salutare Abraxas
e Roland Lestrange, figli di amici, ebbi allora l'occasione di guardare
il bambino più da vicino: quando intercettai, fugace, il suo
sguardo di mercurio, sentii un brivido e qualcosa agitarsi nello
stomaco, sembrava impossibile ma emanava lo stesso magnetismo del
padre, cosa che a Ronald non accadeva. Appena si allontanarono, presi i
miei pochi galeoni e, a sorpresa, sentenziai
“Slytherin”.
*
Quella sera, finita la
cena inaugurale, al termine della cerimonia di Smistamento,
c’eravamo ritirati in Sala Comune e molti di noi stavano
scherzando e progettando azioni ai danni degli odiati Gryffindor o di
qualche inutile Hufflepuff; Mulciber, Lestrange, Rosier, Malfoy ed io
eravamo seduti sul solito divano presso il camino e la nostra
discussione si faceva via via più vivace, tutti tesi a
valutare come trarre il massimo dei benefici dal club di Slughorn. A
poco a poco, con fare distratto, mi stavo impegnando a spingere la
conversazione sulle leggende risalenti agli antichi Fondatori, volevo
capire che cosa gli altri, tutti appartenenti alle più
antiche famiglie purosangue, sapessero del misterioso mostro lasciato
da Slytherin nel castello e della mitica Camera dei Segreti: erano anni
che la stavo cercando, ma ancora non avevo avuto fortuna.
All'improvviso i nostri discorsi furono interrotti da delle grida, mi
voltai verso l'ingresso e vidi Ronald Sherton prendere per la
collottola il fratello e tentare di spingerlo verso di noi:
così tronfio, manesco e ottuso, Sherton non mi era mai
piaciuto, il suo unico interesse era prevaricare e tiranneggiare i
ragazzini più piccoli e deboli, non solo delle altre Case,
tanto che, all'inizio, prima di subire il mio carisma, quell'idiota
aveva tentato di fare il gradasso anche con me. Credevo si comportasse
così per le mie misteriose origini ma, a quanto vedevo, non
aveva alcun riguardo nemmeno per il suo stesso Sangue: per tutta la
serata, infatti, aveva molestato suo fratello, pur smistato a
Slytherin. Mentre ghignavo, pensando ai soldi vinti ai miei amici,
grazie al moccioso, Alphard Black si intromise, prendendo le difese del
bambino. Ne era uscita una situazione esplosiva, con Black e gli altri
ragazzi della squadra di Quidditch che tenevano testa al branco di
“picchiatori” capitanati da Sherton, i miei amici
che scommettevano divertiti sugli esiti della zuffa ormai prossima e le
ragazze Black inorridite per lo spettacolo indecoroso di cui era
protagonista un loro congiunto - tra l'altro, all'epoca, si vociferava
di un possibile matrimonio tra Lucretia Black e Ronald Sherton -.
C’erano poi i due marmocchi, Cygnus e Orion, che cercando di
non farsi notare troppo da “Lady” Walburga,
tifavano per Alphard, come facevano sempre al campo da Quidditch. La
disputa, alla fine, fu sedata sul nascere dall'intervento
provvidenziale di Slughorn, il piccolo Sherton, però, aveva
già approfittato del caos per fuggire e nascondersi nei
dormitori.
*
Con i miei amici, risi e
commentai divertito quello spettacolo, e i tanti simili che seguirono,
ogni volta che incrociavo lo sguardo di Alshain, però,
percepivo quel magnetismo particolare, che mi riempiva di domande e
curiosità: non desideravo far notare questo mio interesse,
non volevo avvicinarmi e fare la prima mossa, avrei gradito che Ronald
smettesse di comportarsi da bestia, mi presentasse suo fratello e poco
alla volta lo introducesse nella mia cerchia, quello stupido sbruffone,
invece, stava diventando un ostacolo. Compresi che avrei dovuto fare da
me, approfittando della mia carica di Prefetto: non capivo
perché ci perdessi tempo, ma mi ritrovai a pedinare il
moccioso, nella speranza di coglierlo da solo, in
difficoltà, e poter fare qualcosa per lui, volevo che mi
vedesse come un confidente, una guida, qualcuno cui affidarsi
fiducioso. L'occasione che attendevo si presentò quando lo
trovai in biblioteca, nel reparto “Erbologia”, alle
prese con un libro che non riusciva a trovare.
«Mi chiamo Tom, Tom Riddle, sono uno dei Prefetti della tua
Casa... se hai bisogno di aiuto, puoi rivolgerti a me, per qualsiasi
cosa... »
Gli avevo sorriso, con i
miei modi gentili e educati, quelli che mandavano in visibilio i
professori, quelli che mi avevano appiccicato addosso l'etichetta di
ragazzo per bene, distinto, quelli che mi avevano garantito la spilla
da Prefetto. Sherton mi aveva fissato con i suoi penetranti occhi di
mercurio, aveva valutato la spilla, aveva sondato la mano che gli avevo
teso e il sorriso che gli avevo rivolto: non disse niente, non
accettò la mia mano, nel suo sguardo c'era qualcosa
d’indefinibile, forse paura, forse disprezzo, compresi subito
che, come suo fratello all'inizio, mi considerava inferiore, per lui il
mio nome babbano faceva di me quasi un imbucato a una festa. Al
contrario di Ronald, però, Alshain era talmente terrorizzato
che non fiatò: sentii che respirava velocemente, sempre di
più, sentii emergere, a poco a poco, da lui quella specie di
magnetismo che mi affascinava e mi turbava, sembrava fosse una corazza
che in qualche modo gli cresceva intorno quando aveva paura, ma non era
credibile che un ragazzino così piccolo e inesperto potesse
aver già sviluppato un controllo simile sul proprio potere
magico. All'improvviso i suoi occhi diventarono neri di paura,
allungò le mani verso di me, su di me, mi spinse e rapido
sgusciò via, lontano: senza rendermene conto e senza volerlo
mi ero avvicinato a lui, lentamente, fino a metterlo spalle al muro.
Turbato, mi allontanai a mia volta, confuso. No, non riuscivo a capire.
*
Tutti davano per
scontato che fosse Ronald, il primogenito forte e prepotente, il futuro
signore di Herrengton e che il moccioso gracile e strano fosse invece
destinato a un futuro da emarginato: anche per questo, dopo le prime
schermaglie, nel giro di poche settimane, nessuno si curò
più di lui, e Sherton si preoccupò solo di
studiare e passare il tempo con gli altri inutili ragazzini del Nord.
Io lo tenevo sotto
controllo, però, perché lo sorprendevo sempre a
scrutarmi furtivo quando in Sala Comune o al tavolo in Sala Grande
incrociavo il suo sguardo: dopo quell'episodio incomprensibile in
biblioteca aveva paura di me e mi teneva d'occhio, io però,
impegnato nella ricerca della Camera dei Segreti, non potevo
permettermi che qualcuno mi mettesse il bastone tra le ruote. Dovevo
carpire la sua fiducia e farmelo amico o terrorizzarlo tanto da tenerlo
alla larga da me, così, quando lo scovai, durante una ronda,
a violare il coprifuoco, decisi di tentare ancora una volta la carta
della fiducia e non lo denunciai né a Slughorn né
a Dippet. Di nuovo, però, invece della sua gratitudine,
ottenni solo altro sospetto.
Sherton si fece
più vigile, ma era solo un bambino ed io, che conoscevo la
scuola come le mie tasche ed ero sempre impegnato nelle mie ricerche e
nelle ronde da Prefetto, avevo capito che le sue sortite notturne erano
frequenti e non miravano a cercare cibo nelle cucine: Alshain Sherton
stava cercando la Stanza delle Necessità. Fui tentato di
aiutarlo ma desistetti, ormai avevo capito che non avrei mai ottenuto
qualcosa da lui con le lusinghe o con dei doni, al massimo con le
minacce, pertanto dovevo scoprire cosa avesse in mente e, nel caso
fosse stato qualcosa di losco, l'avrei usato per ricattarlo e
sottometterlo: ormai era diventata una questione di principio.
Passate le vacanze di
Natale, la sua ricerca, al contrario della mia, non aveva portato
ancora ad alcun risultato ma vedevo che la necessità di un
nascondiglio, per lui, diventava sempre più forte, al
passare dei giorni, tanto da renderlo sempre meno guardingo. La notte
di Imbolc, mentre mi dirigevo, furtivo, nel bagno delle ragazze in cui
avevo scoperto l'accesso alla Camera dei Segreti, vidi il moccioso
fuori dai Dormitori, a pochi passi da me; decisi di non scendere dal
Basilisco ma scoprire cosa facesse Sherton: lo seguii, lo vidi entrare
in un'aula usata come deposito di vecchi mobili rovinati, scivolai
dentro, silenzioso, dietro di lui. Nascosto nell'oscurità,
lo vidi lanciare dei Muffliato tutto attorno a sé, che
m’impedì di sentire le parole che pronunciava, e
fare degli incantesimi che attenuassero il riverbero delle candele che
aveva acceso: mi addossai a una delle colonne e lo osservai, stupito, i
ragazzini del primo anno, almeno quelli normali, non sapevano fare
così bene tutti quegli incantesimi. Sherton stese il suo
mantello, dispose le sue candele in cerchio, si spogliò di
tutto, tranne dei pantaloni, e si sedette a terra, prese una ciotola
dalla sacca che aveva portato con sé, ci versò
dentro delle erbe che teneva in un sacchettino alla cintola, le
bruciò con un incantesimo, senza usare la bacchetta, poi
s’impiastricciò i piedi, il collo e le mani con
quella cenere. Infine si rivolse alla finestra, verso la luna che
filtrava dalle nuvole, e iniziò a salmodiare parole che non
riuscii a sentire: non c'era nulla di losco o di utile, per i miei
fini, in quello che stavo vedendo, ma ne ero comunque affascinato. Era
la prima volta che vedevo un Mago del Nord celebrare uno degli antichi
Sabba, ero convinto che ormai, anche per loro, i rituali fossero una
pratica arcaica e desueta, invece, per quel bizzarro ragazzino, erano
tanto importanti da non riuscire a esimersi dal celebrarli.
Mi chiesi quanto potere ci fosse davvero nell'Antica Magia, quella che
Ronald Sherton, sprezzante, bollava come inutili anticaglie da
Ravenclaw.
Era forse quella la
fonte dello strano magnetismo di Sherton?
*
Una volta scoperta la
Camera e aizzato il Basilisco contro i SangueSporco, mentre le
aggressioni si ripetevano per tutta la primavera e solo per puro caso
non si registravano le prime vittime, notai che il piccolo Sherton
sembrava percepire la bestia che si muoveva nella scuola; i suoi
atteggiamenti strani e sospetti e le leggende che legavano gli Sherton
a Salazar, facevano sì che nei sotterranei e sulle torri,
tra i miei compagni di studio e tra i professori, circolasse il
sospetto che l'erede di Salazar, tornato per aprire dopo secoli la
Camera dei Segreti, fosse proprio lui, tanto che Dippet
chiamò a Hogwarts il vecchio Sherton affinché
rendesse conto delle opere dei propri figli e li richiamasse; io,
infastidito al pensiero che altri si prendessero i miei meriti e
spaventato che, in qualche modo, il moccioso potesse smascherarmi, lo
controllai ancora di più.
Una mattina di giugno,
in Sala Grande, finsi di tornare nei dormitori per prendere dei libri,
mi allontanai dagli altri, poi, non visto, mi nascosi dietro una delle
statue antiche e bisbigliai in serpentese, ordinando alla bestia di
muoversi e rispondere alle mie parole. Rientrato nella Sala, rischiai
di essere travolto sulla porta da una sciocca ragazzina in lacrime che
fuggiva di sopra, andai a sedermi accanto ai miei amici che parlavano
della probabile vittoria della Coppa di Quidditch, visto che il
Cercatore di Gryffindor era fuorigioco, grazie a uno scherzetto di
Abraxas; io non partecipai alla conversazione attivamente, troppo preso
a fissarli tutti, uno dopo l'altro: Malfoy, Nott, Lestrange, Ronald
Sherton, Rosier... Sentivo i sussurri della bestia che mi rispondeva
attraverso le pareti, era bramosa di sangue, di carne, voleva uccidere,
ma nessuno dei miei amici aveva qualche tipo di reazione. Quando
guardai Alshain, però, lo vidi con gli occhi persi nel
vuoto, terrorizzato, confuso: si guardava intorno ma non si fermava su
di me, sentiva la bestia ma non aveva capito che a istigarla ero io,
era pallido come uno straccio, tremava. A un certo punto si
alzò in piedi, proprio mentre la bestia esultava nella mia
testa: aveva appena strappato la vita a qualcuno, dopo un'attesa lunga
mille anni. Alshain Sherton svenne in Sala Grande, senza motivo
apparente, all'improvviso, fu portato in Infermeria per una ferita in
testa e lì restò a lungo, incosciente: questo lo
salvò dai sospetti, quando, un'ora più tardi, di
ritorno dalla lezione di Erbologia, Sandrine Williams trovò
Mirtilla, sua compagna di corso, morta nel bagno delle ragazze.
*
In quegli ultimi giorni
di scuola, tutti parlarono dell'Erede di Salazar, della Camera dei
Segreti, Dippet intendeva chiudere Hogwarts, io rischiavo di tornare a
vivere in quel dannato orfanotrofio, e perdere per sempre il contatto
con la mia gente. Avevo pensato di attirare l'attenzione dei professori
su Sherton, ma non sarebbe stato facile spiegare come avevo scoperto
che capiva il Serpentese, così scelsi la via più
semplice: chiusi temporaneamente la Camera e accusai quell'idiota di un
Mezzogigante che aveva un debole per le bestie pericolose, sapevo che
anche in quel periodo nascondeva uno dei suoi dannati mostriciattoli.
Confrontando le accuse di un Prefetto irreprensibile con le scuse di un
buono a nulla come Rubeus Hagrid, Dippet credette a me, il Mezzogigante
fu incolpato dell'apertura della Camera e cacciato dalla scuola,
Hogwarts fu salva, tutti tirarono un sospiro di sollievo. Tutti tranne
quel rompiscatole di Albus Dumbledore.
*
Ritornato a scuola, dopo
l'estate, per distogliere da me le attenzioni morbose del professore di
Trasfigurazione, cercai di tenere quel comportamento ligio, rispettoso,
impeccabile che mi aveva garantito la devozione di studenti e
insegnanti; quanto a Sherton, decisi di disinteressarmi di lui,
lasciando che fossero alcuni dei miei compari più tranquilli
e dagli interessi simili ai suoi a portarlo fino a me. Sherton,
però, era tornato dalle vacanze molto cambiato, nel corpo e
nella mente: si era alzato e si era irrobustito, aveva perso
quell'aspetto sparuto che gli era costato tante prese in giro e
soprattutto, poco per volta, divenne sempre più determinato,
grazie a un talento straordinario di cui nessuno finora aveva mai avuto
sospetto. Alphard Black, però, aveva ascoltato con
attenzione quello che raccontavano a casa di suo zio Arcturus i lontani
parenti McMillan così, alla ricerca di un nuovo Cercatore
per la squadra di Quidditch, di cui era capitano e Cacciatore, il primo
sabato mattina di settembre, si presentò alla lezione di
volo dei ragazzi del secondo anno, deciso a valutare Alshain con i
propri occhi: nascosto dietro il colonnato, appena Sherton
salì sulla sua scopa, sguinzagliò un boccino
dorato. Da bravo erede dei Meyer, Sherton ne restò subito
ipnotizzato, individuò il boccino volante e lo
catturò in pochissimi istanti. L'intuizione di Black si
tradusse in sei anni di vittorie per la squadra di Serpeverde e, in
seguito, nella nota carriera gloriosa nel Puddlemere United, interrotta
solo dal desiderio di stare più tempo con la propria
famiglia. Il ragazzino solitario e strano iniziò a perdere
la propria timidezza, si circondò di una propria schiera di
ammiratori e soprattutto di ammiratrici, le vittorie, l'aspetto, il
successo precoce con le ragazze, un corpo sempre più forte,
lo resero via via più spericolato, sbruffone, persino
più cattivo, facendolo assomigliare in molti atteggiamenti a
suo fratello. Le risse con i Gryffindors, per il Quidditch, scoppiarono
di continuo, quell'anno, seguite dai continui richiami del preside,
dagli incitamenti focosi dei compagni di Casa e dai pubblici e severi
rimproveri del padre, convocato più di una volta nel
tentativo di contenerlo. Nel giro di pochi mesi,
l’ex-introverso Alshain Sherton era riuscito a rimediare una
serie infinita di punizioni e una severa minaccia di espulsione,
impresa che non era riuscita in sei anni nemmeno a suo fratello.
Tra noi non c'erano
rapporti, Sherton mi mostrava tutto il suo disprezzo ogni volta che
poteva, non era più il ragazzino dell’anno prima,
certo, ma non aveva dimenticato: mi disprezzava per le mie origini e
ancora di più per la mia spilla di Prefetto,
perché ogni volta che ne combinava una, il mio incarico mi
costringeva a far notare le sue mancanze a Slughorn o al Preside. Lo
sentii insultarmi in più di un'occasione con il titolo di
“Cagnolino di Dippet”, e la sua cerchia, fatta di
giovani del Nord e di fissati di Quidditch, sembrava subirne il fascino
e aderire alle sue idee.
*
Passato quasi un anno
dall’omicidio di quell’inutile Sanguesporco, la
Coppa di Quidditch era teoricamente già nostra ma Sherton
non avrebbe giocato l'ultima partita contro gli odiati Gryffindors,
decisione di Dippet dopo la sua ultima bravata, quella culminata con la
minaccia di espulsione e lo schiaffo pubblico di suo padre, nel cortile
d’ingresso.
Alphard Black non era
stato da meno, quanto a severità, sarebbe rimasto a scuola
ancora per un anno e aveva il potere, come capitano, di tenere Sherton
fuori dalla squadra, se non avesse smesso di essere una testa calda: di
tutte le minacce, era sicuramente quella che spaventava di
più il moccioso. Responsabile di tutto questo eravamo stati
Abraxas, Ronald ed io, pensavamo tutti che il ragazzino dovesse essere
messo in riga, così avevamo creato ad arte le condizioni per
metterlo nei guai. Alshain non aveva potuto evitare di caderci, ma
sospettavo sapesse chi doveva ringraziare.
Un pomeriggio di fine
maggio, grazie al sole e al calore quasi estivo, molti erano impegnati
a studiare in riva al lago, io, al contrario, ero deciso a salire
all'ultimo piano, nella Stanza delle Necessità, a
controllare e ammirare in pace le mie “creature”,
come facevo spesso: nessuno aveva idea del potere dell'anello che
portavo al dito, quello che avevo dall'estate precedente, quando avevo
fatto visita a miei parenti materni... e soprattutto… a
quelli paterni...
Stavo ghignando tra me e
mi avviavo nel dormitorio a prendere anche il diario, quando intravvidi
un'ombra che si allontanava furtiva nel corridoio, ma sul momento non
ci feci troppo caso, entrai nella mia stanza, distratto, appoggiai i
libri presi in biblioteca sul letto e mi avvicinai al baule.
Vidi subito che il
cuscino non era sistemato come sempre: preoccupato, mi guardai attorno
e con orrore vidi che c'erano altri segni d’intrusione, tutti
concentrati sulle mie cose, gli altri baldacchini non erano stati
toccati. Con il cuore in gola controllai il baule, lo trovai forzato;
all'interno, tutto era fuori posto, era stato manomesso anche il doppio
fondo. Furioso, infilai la mano e sentii che il diario non c'era
più. Ripensai all'ombra nel corridoio, sguainai la
bacchetta, rapido, uscii e cercai tracce del ladro: sapevo che era
stato lui, poteva essere stato solo lui. Emersi in Sala Comune, non
c'era nessuno; uscii nei corridoi del sotterraneo, niente. Iniziai a
salire le scale, consapevole che se fosse uscito in cortile non l'avrei
più preso, ma quando alzai gli occhi, vidi che quell'idiota
arrogante era ancora sulle scale: era già al terzo piano,
intuii dove stesse andando. Salii di corsa, quasi travolsi un paio di
ragazzini del primo anno, come una furia irruppi nel cortile di
Trasfigurazione, pregai di non incontrare quell'impiccione di
Dumbledore, attraverso il colonnato guardai davanti a me, vidi la porta
del corridoio opposto che si chiudeva: Sherton stava andando nella
stanza che usava per i suoi stupidi riti sabbatici! Veloce arrivai alla
porta, la bacchetta sempre in mano, ma stavolta iniziai a muovermi con
circospezione, cercando di pensare a come affrontarlo: entrai piano nel
corridoio e per prima cosa mi assicurai che non ci fosse nessuno nel
cortile, dietro di me, poi guardai avanti, Sherton stava velocemente
superando il bagno in cui un anno prima era stata uccisa la
Sanguesporco. Levai la bacchetta di fronte a me, puntai, usai uno dei
miei incantesimi non verbali: Sherton inciampò sui suoi
stessi piedi e si contorse a terra, incapace di rialzarsi, veloce e
silenzioso mi avvicinai; si guardò indietro e mi vide, mi
ghignò contro, il volto deformato dal disprezzo e dalla
rabbia, teneva stretto il diario e ci puntava sopra la bacchetta.
Quello stupido non immaginava cosa avesse in mano, non sarebbe mai
riuscito a distruggerlo con un semplice incantesimo
d’incendio. Mi chiamò Mezzosangue e
scoppiò a ridere, il mio cuore rallentò i battiti
e una calma improvvisa mi prese: gli avrei dato una lezione che non
avrebbe scordato più, decisi all’istante che
l’avrei portato al cospetto del Basilisco, gli avrei fatto
dimenticare per sempre la sua arrogante baldanza!
Lo afferrai per un
braccio e lo tirai in piedi, mi spintonò e cercò
di darmi un pugno in faccia, era poco più basso di me, lo
schiantai con un altro incantesimo non verbale, mezzo svenuto me lo
caricai addosso e lo trascinai dentro il bagno, chiusi la porta dietro
di noi, lo buttai a terra, ripresi il diario e me lo assicurai sotto i
vestiti, poi mi avvicinai al rubinetto sul quale era inciso il
serpente, dandogli le spalle. Vidi il lampo rosso riflesso sul metallo
e subito sentii la fitta dolorosa che m’intorpidì,
senza però buttarmi a terra: era incredibile, si era
già ripreso e sembrava sapesse usare alcuni incantesimi non
verbali. Rabbioso mi voltai e gli puntai di nuovo la bacchetta addosso,
facendo scivolare via il trittico di fatture sgangherate che mi aveva
lanciato addosso, in rapida successione. Gli lanciai delle fatture
anch’io ma le deviò, vidi attorno al suo corpo una
pioggia di schegge di legno e pezzetti di pietra scalfita; iniziavo a
essere stanco di lui, prima di sbarazzarmene, però, l'avrei
sottoposto a Legilimens, ormai stavo diventando bravo ed io volevo
capire, ora che ne avevo l'occasione, come diavolo riuscisse a fare
cose che altri imparavano alla mia età! Lo centrai con
un’altra fattura dolorosa, nella stessa gamba che avevo
ferito in precedenza, lui mi ruggì contro un Petrificus che
non ebbe effetto, cercai di schiantarlo con ancora più
rabbia, mentre ormai l'ingresso al condotto per la Camera stava per
aprirsi completamente.
All'improvviso Sherton
parve capire cosa stesse per accadergli, apparve l'antico terrore sulla
sua faccia, si guardò rapidamente intorno, il baratro si
stava aprendo alle sue spalle, mentre la porta, la sua unica salvezza,
era dinanzi a lui, ma doveva prima battermi e superarmi. Ghignai.
«Crucio!»
Lo urlò con
tutta la forza, la determinazione e la disperazione di cui fu capace,
il fiotto di luce uscì carico dalla sua bacchetta e mi
colpì a un braccio, mi ferì, una singola stilla
del mio sangue schizzò via, cadde a terra, poco lontano da
dove c’era una traccia del suo.
Sherton era piccolo,
inesperto, spaventato, sbagliò l’incantesimo, non
capii mai in che modo, ma lo sbagliò: improvvisa, da tutte
le tubature del bagno zampillò acqua, in tale
quantità che rapida sommerse il pavimento e, pur
incuneandosi nel baratro, raggiunse e superò la soglia,
andando a scorrere fino nel corridoio; il lampo di luce rossa, emesso
per un rapido istante dalla sua bacchetta, si estinse e si
trasformò in una fiammata vivida, talmente ampia che avvolse
entrambi, per poi ritrarsi e avvolgerlo completamente.
Non avrei mai
dimenticato quel giorno... non riuscii mai a capire come mi fossi messo
in salvo: pensai fosse un effetto secondario dei primi Horcrux creati,
o forse era per quel luogo, intriso della Magia di Salazar, il mio
antenato, sembrava che la Magia di Sherton invece di colpire me, si
ritorcesse contro di lui. Abbassai la bacchetta, cercai di aiutarlo, ma
era tutto inutile: una corona di fiamme alta fino al soffitto
l'avvolgeva, lui era scivolato a terra, privo di sensi, tra fiamme che
non si spegnevano nonostante l'acqua e i miei disperati incantesimi.
Poi, quando l’acqua, sotto di lui, lentamente
iniziò a tingersi di rosso porpora, il suo sangue, pensai
che non ci fosse più nulla da fare. Non potevo farmi trovare
lì, non dopo quanto era accaduto l'anno precedente:
nonostante tutti gli altri si fidassero di me, infatti, Dumbledore non
smetteva mai di tenermi d'occhio. Fuggii nel corridoio, dopo aver
chiuso di nuovo l'accesso alla Camera e aver fatto sparire ogni traccia
della mia presenza, m’imposi un incantesimo per asciugarmi,
e, appena sentii la porta che dava sul cortile aprirsi, mi ritirai
dentro l'aula deserta usata da Sherton.
Alcuni secondi
più tardi vidi Orion Black: stava salendo dalle serre di
Erbologia, due piani più sotto, e rumoreggiava tra
sé, come fu vicino mi accorsi che, noto vanitoso, sempre
perfetto e impeccabile, aveva i pantaloni sporcati da una macchia
indelebile, tipico scherzo idiota di moda presso i Gryffindors, in quel
periodo. Si guardò intorno, vide che non c'era nessuno,
decise di entrare nel bagno, anche se era delle ragazze e aveva una
triste nomea, parve perplesso solo quando notò l'acqua sul
pavimento. Entrò… passarono pochi
secondi…
Lo vidi uscire, correndo
e urlando: reggeva Sherton, probabilmente morto, tra le braccia.
Per anni mi chiesi come
avesse fatto Black a superare quelle fiamme. (12)
*
Non capii mai
perché Sherton cercò di provocarmi in quel modo e
cosa pensasse di trovare nel diario: uscì dai dieci giorni
di convalescenza privo di qualsiasi ricordo su quanto era accaduto nel
bagno e su di me, il mio diario e tutto il resto. Da quell'esperienza,
parve restargli addosso solo l'amicizia con Orion Black, il giovane cui
doveva la vita. Nell'ultimo anno passato a scuola, cercai di non avere
più nulla a che fare con i fratelli Sherton, mi chiusi nello
studio, intenzionato ad aumentare ancora di più il mio
prestigio, così da convincere Dippet ad affidarmi un posto
da insegnante, appena uscito dalla scuola: non volevo allontanarmi
dalla mia unica, vera casa. Le cose non andarono come volevo, ero stato
considerato troppo giovane per un impegno del genere; Dippet
però si sbagliava, ero tutt'altro che giovane, ero
già molto di più di quanto gli altri vedevano,
stavo facendo giustizia dei torti subiti e, soprattutto stavo
percorrendo la via che mi avrebbe condotto all'immortalità.
*
Ritornato indietro, dopo
dieci anni di silenzio, pur non sapendo che dietro al grande Lord
Voldemort si celasse il vecchio compagno di scuola, Sherton aveva
rigettato tutti i miei inviti a parlare dei nostri comuni interessi:
secondo Abraxas si comportava così perché mi
sentiva come un avversario, anche Alshain, infatti, desiderava
sovvertire l'ordine costituito, ma in prima persona. Solo di recente,
pressato dall'opera persuasiva di Abraxas e dalle mie lusinghe miste a
minacce, aveva ceduto, lasciandomi intendere di essere interessato a
trovare punti d'incontro nei nostri progetti e collaborare. Quando
c’eravamo incontrati, però, era accaduto subito
qualcosa di strano. Di nuovo. Tom Riddle non esisteva più da
anni e della mia identità precedente sapevano qualcosa solo
alcuni membri della mia cerchia più ristretta, Mulciber,
Lestrange, Malfoy, Nott, e pochissimi altri; nessuno, di quanti mi
avevano conosciuto superficialmente da ragazzo, era in grado di
riconoscermi, perché dopo gli anni di lontananza volontaria,
durante i quali avevo rafforzato la mia Magia e portato fino alle
estreme conseguenze i miei esperimenti, ero tornato trasfigurato nei
miei tratti. La Magia Oscura degli Horcrux, gli anni, l'esperienza
avevano cancellato buona parte della mia passata avvenenza, quella che
da ragazzo attraeva il prossimo e che io odiavo, perché mi
rendeva simile al mio dannato padre babbano; la Magia mi aveva reso
diverso, aveva fatto di me l'unico uomo capace di sconfiggere persino
la morte. Sherton, però, aveva riconosciuto in me Tom Riddle
al primo istante, nei brevi secondi in cui ci eravamo scontrati a Black
Manor, il giorno del matrimonio di Rodolphus Lestrange: lo capii quando
ci incontrammo di nuovo, di notte, a Godric Hollow, davanti alla tomba
di Peverell. Non era rimasto turbato da me, non aveva cercato di capire
perché gli ricordassi qualcuno. Era sicuro, pronto, sapeva
già che si sarebbe trovato di fronte me. (13)
*
Sherton mi aveva promesso molto, contatti, aiuti, aveva però
disatteso le mie aspettative, dimostrandosi un alleato inaffidabile, un
uomo sleale, un abile commediante. Ora tutto questo non avrebbe avuto
più importanza, tutto sarebbe cambiato, gli Sherton avevano
finito di farmi sprecare energie e tempo, con i loro trucchi da
illusionisti. Sospirai, pregustando l'attimo, bramoso come il lupo che
già nel sogno sente il sapore del sangue tiepido di cervo
sulle proprie labbra.
«Incriminatemi, allora... mi
spiace... io non ho altro da dire, a nessuno di voi... »
«Non ve la caverete
così, Sherton... Che fine ha fatto il pugnale? Sappiamo che
Fear è il Custode di Herrengton, esegue solo gli ordini che
gli avete dato! Dove nasconde vostro figlio?»
«Io non so dove si trovi mio
figlio... e non so nulla di alcun pugnale... Quanto al Custode di
Herrengton... il Decreto Ministeriale 109 del 31 dicembre 1692 recita
che “Gli Affari della Confraternita del Nord, non sono Affari
del Ministero della Magia...”»
«Lo sono, quando nelle Terre
vengono nascosti dei criminali! Vi ordino di rispondermi!»
Avevo perso più della metà della deposizione di
Sherton, stando dietro ai miei pensieri: dovevo calmarmi, tornare al
presente, mi attendeva una giornata lunga, impegnativa, dovevo tessere
trame anche contro gli altri miei nemici, Dumbledore, Crouch, tutti gli
altri.
Le cose però cambiarono improvvisamente rispetto a quello
che avevo organizzato.
«Ministro... scusate
l'interruzione, ma... in questa relazione che ho ricevuto solo stamani,
ci sono informazioni che rendono superflue le altre domande che avevo
suggerito di fare a questo testimone e agli altri convocati per oggi...
chiedo una sospensione per parlare al Wizengamot... »
Fissai inorridito Alastor Moody, rimasto silenzioso tutto il tempo:
dovevo sapere cosa stava per emergere dalle indagini di Moody, ma il
piano concordato con i miei uomini prevedeva che Sherton fosse
trattenuto al Ministero e che io raggiungessi Essex Street prima del
suo arrivo... Maledii quel dannato Auror e quell'idiota di Crouch: a
causa sua, infatti, non ebbi nemmeno l'opportunità di
avvertire Abraxas che Sherton e Black stavano tornando a casa, la
seduta non fu sospesa.
Innervosito, rimasi al mio posto, mentre gli altri si distribuirono
uniformemente sui banchi dell'aula: appena Moody iniziò a
parlare, capii che Kenneth Emerson era ormai bruciato.
***
Lord Voldemort
Ministero della Magia, Londra - sab. 15 gennaio
1972, ore 12
«Milord vi
sottometterà! Nessuno di voi può fermarlo,
schifosi traditori del Sangue Puro!»
«Portatelo via, chiudete
questo essere ad Azkaban, in isolamento, e lasciate che muoia
lì!»
(14) Lodge
lesse la sentenza senza sollevare mai la faccia dalle carte, il vecchio
ex Auror, destinato all'ergastolo ad Azkaban, fu trascinato via tra gli
applausi e gli insulti degli ex colleghi: io lo fissai, mentre la sua
risata sinistra continuava a risuonare a lungo nella stanza e nel
corridoio, circondato dalle figure minacciose dei Dissennatori. L'aula
dieci era pervasa da un silenzio carico di turbamento, Bartemious
Crouch schiumava rabbia: grazie all'intervento di Moody, il processo
era giunto alla sua conclusione, non sarebbe stato necessario
riascoltare i testimoni, l’indomani; a parlare erano stati i
fatti, l'imputato era stato condannato per le prove inequivocabili ma
Crouch non era riuscito a ottenere quanto si era prefisso, legare
l'altisonante nome di Sherton alla disfatta di Williamson, ottenendone
vantaggi considerevoli per la propria carriera.
Dal faldone di Alastor era uscita la verità, una
verità poco gratificante per Crouch: c’era stato
un episodio poco chiaro nel passato dell’Auror, i miei uomini
ne erano venuti a conoscenza, ne avevano ritrovato le prove, le avevano
usate per ricattarlo, chiedendo fedeltà e favori, in cambio
del silenzio. La difesa dell’ex Auror mirava a sollevarlo
dalle accuse sostenendo che fosse stato posto sotto maledizione
Imperius, ma le prove della sua innata crudeltà e
propensione alla corruzione, facevano di lui un collaboratore, non una
vittima sottomessa con la forza e la paura.
«Siete stato abile, Moody...
siete riuscito a risalire a fatti così lontani nel tempo da
essere ormai da tutti dimenticati… Senza di voi non saremmo
riusciti a legare Williamson alle proprie responsabilità,
avete impedito che un assassino riuscisse a passare per vittima,
complimenti!»
«Ministro, a nome della mia
squadra vi ringrazio degli elogi, e visto che ormai avete
già perduto la vostra importante partita e siamo tutti
qui... vorrei analizzare con voi altri dettagli emersi durante
l’indagine… mi era stato chiesto di approfondire
la posizione di Mirzam Sherton…»
Quelle parole scatenarono una serie di brusii che fecero di nuovo
fremere l'aria, Bartemius si protese di nuovo sulla sua poltrona e di
nuovo rischiò di cadere di sotto, Lodge rimase pietrificato
in una posizione strana, indeciso se rimettersi seduto o restare in
piedi.
«Moody, voi siete un uomo
ricco di sorprese! Avete tenuto il pezzo forte per il finale a quanto
pare! Dunque l'avete trovato? Avete trovato il ragazzo e magari anche
quel dannato vecchio pazzo? Meritereste una promozione per la vostra
efficienza, Moody! Crouch… spero abbiate a disposizione le
vostre squadre più esperte per gli arresti di criminali
molto pericolosi!»
«Ho già attivato
quattro squadre, pronte al mio segnale, per ogni evenienza...»
«Molto bene, molto molto
bene... Crouch, ora si ragiona...»
Crouch incassò il primo elogio della giornata, Alastor
riprese a camminare intorno alla sedia su cui si erano succeduti i
testimoni, il faldone sottomano, da cui estrasse una pergamena scritta
fitto fitto.
«In realtà,
Ministro, i risultati cui sono giunto sono diversi da quelli che mi
aspettavo, ma altrettanto illuminanti… sono partito
indagando sul presunto passaggio di proprietà di
un… Elfo…»
«Un Elfo? Moody ma che state
dicendo? Vi ho mandato a caccia del pericoloso Mangiamorte che ha
ucciso Podmore, un vostro collega, e voi ci fate perdere tempo con gli
Elfi?»
«Esattamente,
Ministro… sono stato mandato a caccia di un Mangiamorte...
ma mi sono reso conto che... mi è stato fornito l'indirizzo
sbagliato... parlando di un certo Elfo, dimostrerò
com’è stato possibile questo equivoco…
»
«Bando alle ciance di quale
Elfo state parlando?»
«Dell'Elfo Cael, Ministro,
quello trovato morto nelle cucine di Herrengton: le prove dimostrano
che non è mai appartenuto a Mirzam Sherton. Nacque da
un’Elfa di proprietà di un Mago che aveva motivi
di risentimento decennali e sconosciuti verso gli Sherton... lo
istruì e ne rimase sempre il legittimo proprietario; tra i
vari ordini che diede a Cael, ci fu quello di bussare alla porta di una
famiglia di Maghi, a Doire, che non ne aveva bisogno, e che lo
indirizzò a chi ne stava cercando uno. Attraverso
l’inconsapevole tramite di Jarvis Warrington,
l’Elfo Cael giunse nella casa della sua vittima, quel Mirzam
Sherton che finse di servire per anni, rispondendo invece sempre e
soltanto al suo vero, legittimo padrone che non l’aveva mai
né liberato, né venduto. Il Signore Oscuro, a
Herrengton, si servì perciò di Williamson per
portare il veleno e distruggerne ogni traccia, e del proprietario
dell’Elfo che diede a Cael l'ordine di versarlo, facendo
ricadere i sospetti sugli Sherton... In tutti questi anni, inoltre,
l’Elfo spiò gli Sherton, sottrasse tracce
biologiche, scoprì ogni segreto del maniero, apprendendo
quando e come muoversi al suo interno. Quest'uomo, attraverso il suo
Elfo ha potuto fare di tutto, per anni, persino nascondere
prove…»
«Per Merlino e tutti i
Fondatori! »
«Allora... se la storia va
avanti da anni... quell’uomo potrebbe anche aver assunto le
sembianze del giovane Sherton per acquistare il pugnale... o persino
per uccidere Podmore! »
«Ecco perché alcuni
testimoni hanno affermato che Sherton era sulla scena di alcuni
delitti, mentre centinaia di altre persone l'hanno visto negli stadi di
Quidditch di mezza Gran Bretagna! »
Il brusio si fece sempre più alto, nella mente di tutti poco
prima c'era l'assoluta certezza che gli Sherton fossero assassini e
mentitori, ora si affacciava l'idea altrettanto terribile che Mirzam
Sherton fosse un innocente braccato da assassini, costretto alla fuga
da un errore giudiziario.
«A questo punto ci sono
fondati dubbi sulla veridicità di quanto ho
visto… vorrei ritirare la mia deposizione contro
Sherton… non posso dire con certezza chi sia stato a
uccidere Podmore…»
Alastor annuì e volse lo sguardo fiero su ognuno di noi,
come un'accusa, Dumbledore parlò all’orecchio di
Potter e gli mise, bonario, una mano sulla spalla, come a voler
consolare quell’uomo giusto per l’ingiustizia
commessa.
«Ministro, se il Wizengamot
acconsente, vorrei che il nome da apporre sull’ordine di
arresto fosse noto soltanto a voi… so che non è
regolare ma... temo una fuga di notizie e... sto ancora indagando su
alcuni casi archiviati... se la pista che sto seguendo fosse
giusta... arrestando quest'uomo arriverei anche al mandante
dell'incidente occorso a Ronald Sherton e a sua moglie Elladora
Lestrange, anni fa, e dell'aggressione a Deidra Sherton e a suo
figlio... »
«Salazar santissimo!
»
«Non si era già
stabilito che Ronald ed Elladora morirono in un incidente di caccia?
»
«Calma... Moody... avete prove
fondate di quanto affermate? Avete testimoni credibili? Potete
sostenere di fronte al Wizengamot le vostre accuse di là di
ogni ragionevole dubbio? »
«Intendo approfittare del
sopralluogo per trovare le prove mancanti... se me lo
consentite…»
Lodge parve perplesso, lesse il nome che gli porse Alastor, lesse
rapidamente le prove che aveva allegato, poi annuì, forse
stava ragionando tra sé quanto sarebbe pesato sulla sua
conferma alla carica di Ministro la risoluzione di tutti quei casi
irrisolti.
«E sia… Crouch,
accompagnate Moody con le vostre squadre… e naturalmente,
prima di sciogliere la seduta… Mirzam Sherton è
riconosciuto innocente e prosciolto da ogni
accusa…»
Non mi sfuggì il moto di stizza mal represso da Bartemius.
Né la figura che lesta (15)
scivolò nell’oscurità addensata del
corridoio, a ridosso dell’ingresso: evidentemente un curioso
era riuscito ad assistere almeno alle battute finali della seduta. Non
me ne curai, il nome di Kenneth Emerson non era stato pronunciato
pubblicamente e il formicolio che sentivo ormai insistente al braccio,
stava a indicare che, prima di morire, quello stupido Ravenclaw aveva
compiuto il proprio dovere.
Rapido salutai gli altri, addussi la scusa di un incontro
d’affari e scivolai via, verso i piani superiori e i camini.
Fremevo di eccitazione. Sherton ormai era mio.
***
Lord Voldemort
74, Essex Street, Londra - sab. 15 gennaio 1972,
ore 13
Mi materializzai al centro della stanza. Ghignante. (16)
Sherton era davanti a me, serrava la bacchetta, pallido, scompigliato,
sconvolto, i segni di lacrime, fumo, battaglia a mischiarsi sul suo
volto. Era immobile, la bacchetta puntata a terra, il capo chino.
Ero eccitato, come la belva che, fiutata la preda, attende il momento
del balzo; ma ero anche accorto, perché la carne di cui
volevo cibarmi era infida, ne ero consapevole.
Levai la bacchetta, mentre i miei attorno m'incitavano, m'imploravano
di avere quell'onore, ma attendevo quel momento da anni e non avrei mai
concesso a nessun altro il piacere tanto agognato.
Alshain sollevò il capo in quell'istante preciso, sorrideva,
serrava nel pugno la sua bacchetta, e mi fissava con quegli occhi di
mercurio che mi turbavano e che odiavo da decenni, dalla prima volta
che l’avevo visto. Pronunciai la mia condanna, volevo
spegnere nell'agonia e nel tormento quel sorriso arrogante, quella luce
di derisione, quell'insulso senso di superiorità.
Scatenai tutta la mia potenza contro di lui e la sua dimora di
babbanofilo.
Continuava però a sorridere e lo sentivo nella mente,
sibilante, come un serpente.
Qual è il suono della vittoria Tom?
Non capii, doveva essere impazzito, la potenza della Cruciatus doveva
già averlo reso pazzo.
Rise e gettò la bacchetta a terra, si gettò lui
stesso a terra, mentre gli scatenavo addosso la mia ira, sempre
più infervorato dalle urla vittoriose dei miei uomini.
Poi fu un boato mostruoso, uno spaventoso risucchio
dell’aria, talmente calda da farmi pensare che stessi
bruciando: mi sentii sollevare e schiantare contro il muro, sentii il
corpo contorcersi nel dolore, ogni singolo osso, ogni singolo pezzo di
carne. E vidi il fuoco, fiamme alte fino al soffitto levarsi attorno a
me, gli altri che parevano schiantati contro le pareti, schiacciati da
una forza centrifuga. Bellatrix fu l’unica a trovare la forza
di reagire, gridava il mio nome e ripeteva “NO”,
impazzita, non capivo, vedevo la sua furia, la sua Magia, la vedevo
richiamare vetri e oggetti appuntiti nelle sue mani e poi scagliarli
feroce contro un’ombra in piedi al centro della stanza, sopra
di me, irriconoscibile. Non mi ero reso conto di essere crollato a
terra, di tremare, di bruciare.
Qual è il suono della vittoria Tom?
Non riuscivo a pensare, c’era solo quel sibilo nella mia
mente, che si ripeteva, e ripeteva e ripeteva ancora,
all’infinito, impedendomi di ragionare, reagire, ritrovare in
me la Magia per controbattere.
Poi tutto iniziò a crollare, qualcosa mi afferrò
per un braccio, sentii un dolore lancinante alla testa.
E, infine, non vidi e non capii più niente.
***
Lord Voldemort
Morvah, Cornwall - sab. 15 gennaio 1972, ore 20
Qual è il suono della vittoria Tom?
La vittoria ha il suono del legno che cade a terra
Del vetro spezzato a ritmare il tuo passo.
Ha l'odore del fumo che impregna i polmoni
E il tatto gelido di una mattina d'inverno.
Sollevai la tenda, deciso a prendermi le mie risposte.
La mia risposta… in quel momento… avevo una sola
domanda.
Che cosa è andato storto, stavolta?
*continua*
NdA:
Ciao a
tutti, ringrazio innanzitutto quanti hanno letto, commentato,
aggiunto, ecc ecc. Le note di questo capitolo lungherrimo sono
numerose perciò cercherò di essere breve:
1-3) La
scena si svolge a Morvah, una località della Cornovaglia,
tra i ruderi di un convento immaginario, nei pressi del sito
preistorico di Mên-an-Tol: la chiesa era stata già
descritta in un precedente capitolo di That Love quando Fear incontra
Alshain per parlargli del suo progetto per proteggere Sile e Mirzam
dagli attacchi del Signore Oscuro, e a quell'episodio si fa rifarimento
in tutta questa parte (qui).
La storia di Habarcat e della diaspora dei Daur è invece
narrata brevemente in Old Tales. (qui)
2) La scena
della morte del Decano, con il primo omicidio di Bellatrix, si trova qui
4-5)
Sappiamo della fissazione di Voldemort per i Cimeli dei Fondatori e ho
immaginato che nel caso esistessero e ne avesse avuta l'occasione, si
sarebbe impadronito anche di altre testimonianze del glorioso passato
della Magia. Analogamente, abbiamo visto cosa è accaduto al
Mondo Magico quando è diventato Ministro una delle
marionette di Milord ( ne "I doni della Morte") : ho immaginato che
quello schema (epurazione del Ministero, schedatura dei Nati Babbani,
occupazione di Hogwarts, ecc ecc) sarebbe stato seguito anche prima, se
Voldemort avesse vinto durante la prima guerra magica.
6-7-10) Il
processo è narrato da Alshain e Orion qui
e da Albus Dumbledore qui:
in tutto il capitolo si narra il dietro le quinte di quel processo e i
dialoghi estrapolati sono all'incirca identici a quelli dei capitoli
originali; può sembrare strano che Lord Voldemort
si sia intrufolato con la Polisucco nel palazzo del potere, ma
effettivamente nel canon i nostri tre eroi usano proprio questo
stratagemma per riprendere il medaglione di Regulus alla Umbridge,
quindi ho dedotto che al Ministero non ci fossero incantesimi
paragonabili a quelli usati alla Gringott per smascherare gli impostori.
8) Ho
immaginato che il primo maschio di casa Black, Alphard, fosse
accompagnato in stazione per il suo primo viaggio come un principe, da
tutti i quattro nonni oltre che da genitori e fratelli; gli altri due
adulti sarebbero Arcturus e Melania McMillan, genitori di Lucretia e
Orion.
9) Gustav
è inventato, non ho trovato da nessuna parte i nomi dei
parenti di Theodore Nott.
11) Tutta
questa parte è una rielaborazione personale dei fatti
relativi agli anni in cui Alshain e Tom Riddle si ritrovarono a
studiare a Hogwarts contemporaneamente: cito i capitoli relativi de "La
camera dei Segreti" e de "Il principe Mezzosangue" e tutto
ciò che riguarda Tom trovato su HPLexicon...
12) Questa
è la "versione di Tom" del misterioso incidente occorso a
Alshain nei bagni di Mirtilla: tutta la storia dell'amicizia tra
Alshain e Orion si basa su questo avvenimento e ci sono innumerevoli
capitoli in cui ne parlo a partire da L'Aquila
e il Cacciatore .
13) I due
capitoli citati sono il matrimonio di Rod (Il
tocco del Male) e l'incontro a Godric Hollow (Per
la Gloria)
14) Questa
parte del processo è inedita e segue la parte narrata da
Albus nel capitolo già citato.
15) Come
sappiamo, Jarvis Warrington è riuscito a assistere alla
parte finale dell'udienza e appena saputa la notizia del
proscioglimento di Mirzam si era messo sulle tracce di Alshain.
16) Il
cerchio si chiude: l'ultima volta che avevamo visto Alshain, il suo POV
era finito con queste parole "Serrai con forza la bacchetta,
mentre Riddle si materializzava al centro della stanza. Quel sottile
fumo si addensava ormai in una forma definita, prima il contorno ampio
del mantello, poi la figura intera, fino al suo ghigno malvagio, fino
al lampo di nera morte nei suoi occhi. Sorrisi. E la furia del Signore
Oscuro squassò la mia casa dalle fondamenta e si
abbattè su di me."
A
presto.
Valeria
Scheda
Immagine
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