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Autore: Terre_del_Nord    08/11/2012    7 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.017 - Il Suono della Vittoria

IV.017


Lord Voldemort

Morvah, Cornwall - sab. 15 gennaio 1972, ore 20

    «Avete trovato la Strega?»
    «... Non ancora, mio Signore... »

Le mie poche parole avevano rotto il silenzio, metalliche: avevo parlato a bassa voce, ma l'eco di quegli spazi angusti le stava amplificando e ripetendo; inghiottii il mio disappunto e il desiderio di puntare la bacchetta contro quegli inetti e Cruciarli, fino a far esalare loro l'ultimo respiro.

    «Alzatevi... »

Aprii gli occhi, li lasciai scorrere su di loro, fiammeggianti, li vidi tremare di fronte a me, come gli alberi squassati dalla tempesta: a uno a uno, rossi in volto per il freddo e la prolungata genuflessione, si tirarono in piedi, ritti davanti allo scranno su cui sedevo. Lui, al contrario, era stato tutto il tempo accanto a me, a curarmi i graffi e le altre ferite che avevo riportato, gli occhi che sfuggivano il mio sguardo attento, le mani tremanti; terminato il suo compito, era rimasto al suo posto, immobile, non aveva degnato d'attenzione nemmeno la neve che aveva infradiciato le sue eleganti vesti, gli occhi freddi fissi a terra, consapevole che la mia ira fosse concentrata tutta su di lui, che la mia delusione fosse dovuta a lui, alla sua codardia. Lo scrutai ancora, di sbieco, pieno di risentimento, poi scivolai su ciascuno degli altri, a far pesare la loro inettitudine.

    «Dovete trovarla, subito! Ad ogni costo!»
    «Mio Signore, perdonatemi, ma... che cosa ce ne facciamo di una Strega, se già abbiamo... »
    «A volte mi chiedo perché non vi privo della testa, Goyle, visto che non sapete cosa farne!»

Ero furioso, non solo per il contrattempo, ma perché causa di quella situazione scellerata era l'uomo che avevo sempre considerato il migliore dei miei Mangiamorte, ora incapace di parlare, contrito e pallido al mio fianco. Mi alzai e mi mossi in cerchio, intorno a loro, sentivo la loro paura, il loro smarrimento, doveva essere un momento di festa, invece mai mi avevano visto tanto alterato.

    «Sparite... e abbiate la decenza di tornare solo quando avrete catturato la Strega! Tu no!»

I miei uomini, simili a inutili ratti spaventati, si dispersero veloci nell'oscurità, Smaterializzandosi di fronte a me, tutti, tranne lui: il capo chino, cercava di trattenere il tremore, non era pronto a subire la mia furia, mai prima d'ora aveva assaggiato la mia collera.
Era al mio fianco dall'inizio, compagni dal primo giorno, ero cresciuto fino a diventare Lord Voldemort sostenuto dalla sua ammirazione, dalla sua devozione; per anni avevo contato sulla sua astuzia, sulla sua efficienza: non capivo perché avesse sbagliato nel momento cruciale.
Non potevo credere che l'avesse fatto apposta, non lui, non Abraxas J. Malfoy...

    «L'avevo detto prima di iniziare, Malfoy, non amo le vittorie a metà. E non posso accettare che proprio questa sia una vittoria a metà! Gli altri pensano di aver conseguito un grande risultato, oggi, ma tu sai che non è così! Solo i mediocri si accontentano: sei per caso un mediocre, Abraxas?»
    «No, mio Signore, io...»
    «Lo credevo anch'io... e invece lo sei... e non sai quanto mi ferisca rendermene conto! Dagli altri potrei anche aspettarmelo, ma tu? Tu ti sei accontentato... e in questo modo hai fallito!»
    «Mio Signore, Ve lo giuro... l'ho fatto solo per Voi...»
    «Per me? E di grazia, Abraxas, in che modo le tue azioni mi avrebbero favorito? Hai lasciato in vita, libera, una testimone che ti ha visto in faccia! La nostra missione mirava a procurarci degli ostaggi, costringere Mirzam Sherton a uscire allo scoperto e piegarlo alla mia volontà... Se sua madre è là fuori, libera, conscia dell'identità di molti di voi, pronta a denunciarvi per riavere indietro i suoi figli, che scopo ha avuto la missione? Che cosa è rimasto del mio vantaggio tattico? Non ti rendi conto dei rischi che stai correndo anche tu, in prima persona?»
    «Io sono sacrificabile, Mio Signore! E per Voi, sarei disposto anche a marcire ad Azkaban!»
    «Non so che cosa farmene di vuote parole, di esaltate promesse come queste! Posso aspettarmele dagli altri, ma da te... tu sei qui per la tua astuzia, non per la tua falsa devozione... »
    «Mi addolora sapere che considerate falsa la mia devozione, Mio Signore... Sto dicendo la verità... ho commesso un errore, ma non potevo fare altrimenti: Emerson era sotto Imperius, non so per mano di chi, né da quanto, ma non ho dubbi. Il piano, come sapete, era semplice, dovevamo piegare la Strega con l'incantesimo del Nord, togliendolo solo poco prima del Vostro arrivo. Quando Emerson Vi ha evocato ed io Vi ho sentito arrivare, gli ho detto che era il momento di terminare l'incantesimo e lasciarVi passare, ma Kenneth si è rifiutato ed ha tentato di uccidere il moccioso! So che quella dannata spia del Nord poteva servirVi ancora, mio Signore, e so che uccidere Deidra Sherton, davanti al marito, oltre a liberarci di un pericoloso testimone, sarebbe stato il modo migliore per spezzare definitivamente lo spirito e la resistenza di Sherton, ma...»
    «Ti sei sempre opposto all'assassinio di quella Strega, Abraxas, non negarlo!»
    «È vero... ma solo perché... un uomo che non ha più nulla da perdere, Mio Signore, è il peggior nemico che si possa avere!»
    «E tu non hai avuto le palle di eseguire i miei ordini al pensiero di trovarti un uomo simile di fronte, dico bene? O pensi addirittura che Io, Lord Voldemort, erede di Salazar Slytherin, non possa sopraffare quel Mago? È questo che stai dicendo? »
    «No, Mio Signore... sto solo dicendo che... se non avessi ucciso Emerson, l'incantesimo avrebbe colpito Voi... risparmiare la Strega è stato inevitabile, anche se non voluto... a quel punto, quando si sono distratti, ho colto l'occasione per prendere almeno i bambini: se avessi esitato, se avessi perso tempo a combattere Sherton per uccidere una Strega già seriamente ferita, avrei rischiato di mandare a monte tutto il piano! Un errore da parte mia c'è stato, è vero, ma è stato quello di presumere che gli altri facessero la loro parte! Sherton era in inferiorità quando mi sono Smaterializzato... non capisco come siano riusciti a farsi scappare una Strega in agonia!»

Lo fissai: era sincero, nonostante il terrore aveva avuto il coraggio di parlare guardandomi negli occhi; inoltre era da lui ribaltare le situazioni a proprio vantaggio, implicare che i propri errori fossero il risultato delle colpe di altri. Conoscevo Abraxas, non era uomo da sporcarsi le mani di sangue, e sempre, in quegli anni, pur odiando suo cugino, mi aveva raccomandato di trattenere la rabbia contro Sherton, perché la soddisfazione di togliere l'espressione arrogante da quel volto era poca cosa rispetto alla miniera di conoscenza che si sarebbe aperta a me appena l'avessi sottomesso, acquisendo finalmente il pieno dominio della Magia delle Terre.
Mi aveva allettato, ormai desideravo quella conoscenza più della vendetta, sebbene, quando ci incontravamo, Sherton riuscisse a farmi ribollire il Sangue col suo sguardo pieno di disprezzo.

    «Pensi che Sherton abbia scoperto il tradimento di Emerson e l'abbia posto sotto Imperius?»
    «Ne dubito, Mio Signore: se avesse saputo, gli avrebbe impedito di avvicinarsi alla sua famiglia. Io temo... non ne ho alcuna prova, certo, ma sapete... la follia... Vi sarete accorto, Mio Signore, che c'è un Mangiamorte che non si è presentato dinanzi a voi, al termine della missione... stamani, in quella casa, dovete sapere che ha già tentato di aggredire Deidra Sherton e...»
    «Stai parlando di Roland?»
    «Mio Signore... e se la Strega che stiamo cercando non fosse fuggita, ma fosse nelle sue mani? In tal caso non dovremmo più preoccuparcene perché, Voi lo sapete, mai nessuno è uscito vivo dalla stanza delle perversioni di Roland Lestrange... persino sulla moglie si dice che... »
    «La vita di quella Strega appartiene a Me, Malfoy! Non permetterò che una stupida, vecchia diatriba tra decadenti famiglie purosangue m'impedisca di leggere nella mente di quella donna!»
    «Mio Signore... posso assicurarvi che non sapeva dove fosse nascosto suo figlio...»
    «Mi fido di te, Abraxas, ma sono stanco di vedermi sfuggire la verità su questi maledetti Sherton! Di avere solo il resoconto di quanto altri hanno visto nella loro mente... Io... »
    «Mio Signore, perché Vi angustiate ancora? Ormai potete conoscere tutto ciò che desiderate sapere, Vi basta allungare la mano e sollevare quella tenda, l'erede di Hifrig è in vostro potere!»
   
Un brivido mi percorse la schiena... Sì, ora potevo, sarebbe bastato voltarsi, camminare fino a quella tenda, sollevarla... Era stata una lunga giornata, piena di eventi, ricca di soddisfazioni...
Ero giunto alla fine di un lungo viaggio... un viaggio iniziato da Tom Riddle trent'anni prima, un viaggio portato a termine ora da Lord Voldemort...

    «Qual è il suono della vittoria, Tom?»

Avevo sentito di nuovo, dopo anni, il suo sibilo di serpente nella mente, avevo visto il suo sorriso beffardo illuminargli il volto, mentre apparivo davanti a lui e la mia furia si abbatteva sulla sua casa e sul suo fragile corpo. Avevo tremato, un misto di attesa, rabbia, esultanza, timore, come stavo tremando ancora, mentre il vento s’infilava tra i ruderi, ruggendo cupo come una bestia in agonia.

    È questo il suono della vittoria, Sherton?

Mi avvicinai alla tenda, tesi la mano: era il momento delle risposte.

    «Abraxas... portami quei mocciosi...»

***

Lord Voldemort
Morvah, Cornwall - sab. 15 gennaio 1972, ore 6

L'oscurità della notte scivolava via, ritraendosi sopra il mare, mentre il grigiore vivido del mattino d'inverno avanzava da est sulla brughiera desolata: attraverso le bifore dell'antico chiostro, un rudere incastonato in cima alla scogliera, annesso a una piccola chiesa ancora in uso (1), osservavo l'altopiano del Cornwall, cristallizzato nella galaverna, estendersi a perdita d'occhio, placido, fino a digradare in ripide e scoscese lame di nuda pietra nei flutti spumosi, sotto di me. A poco a poco, il sole esangue si alzò, lento, filtrando la sua debole luce attraverso il respiro della terra, le nubi, rapide, ora si diradavano, velandolo appena, leggere, ora si serravano di nuovo a celarlo completamente, fondendosi agli oscuri e pesanti nembi che scendevano da nord, minacciosi e pieni.
Mi avvolsi nel mantello, il vento gelido che flagellava la costa s’infilava tra le rovine del chiostro e si levava violento: la tempesta si avvicinava e diventava un tutt'uno con il fuoco che mi pulsava dentro, il mugghiare feroce del mare, sotto di me, seguiva le note del mio canto di morte.
Chiusi gli occhi, svuotai la mente, l'unico suono divenne il mio respiro, su di esso tenni fisso il mio pensiero, su quell'energia e quel gelo sferzante che facevo entrare a pieni polmoni, trattenendolo per calmarmi, fino a sentire il dolore provocato dall'aria che cerca invano di uscire.
I preparativi erano stati serrati, la notte densa di avvenimenti: la faccenda McFiggs (2) si era protratta a lungo, il vecchio Mago si era dimostrato più resistente del previsto, alla fine, avevo lasciato che Rodolphus si smaterializzasse a Little Hangleton per occuparsi di Emerson e per riprendersi, le Cruciatus inferte l'avevano stremato, era così alterato che aveva persino stentato a ubbidirmi; Pucey e Carrow si erano infiltrati nelle case dei ministeriali, segnalati da Rookwood, per eliminarli e assumerne le identità. Quanto a Bellatrix, come promesso, le avevo lasciato l'onore di uccidere il Decano, compiacendomi nel vedere il suo odio trasformarsi in pura Magia Oscura davanti ai miei occhi, mentre strappava la vita alla sua prima vittima. Si era creata una tensione potente tra noi e per brevi, rapidi istanti, cogliendo la lussuria nei suoi occhi, vedendo come mi si offriva, anima e corpo, avevo pregustato l'idea di possederla lì, nel bosco, nel cuore della tempesta, per sancire nella carne e nel sangue la sua appartenenza a me e soddisfare il desiderio furioso che ormai provavo nei suoi confronti. C'erano però le ultime trappole da allestire, ed io non avrei permesso a niente e nessuno, nemmeno a quella Strega, di distrarmi, non dovevano esserci errori o sbavature, com'era accaduto a Herrengton, nulla poteva essere lasciato al caso, non questa volta.

    Ti prenderò, come premio per la vittoria su Sherton... molto presto, forse già questa notte...

A malincuore le avevo ordinato di tornare a casa, poi mi ero smaterializzato nel Cornwall, nei pressi di Morvah: approfittando della desolazione invernale, da alcune settimane perlustravo il territorio attorno a quei ruderi, percependo una forte traccia di Magia, indirizzato lì dal racconto di Emerson, secondo il quale Sherton e altri Maghi del Nord avevano mostrato interesse per quella regione tanto lontana dalle Terre. In effetti, le leggende parlavano di Habarcat come di una delle tre fiamme donate dal dio Lugh e disseminate in varie parti delle terre dell'antico popolo magico, i Daur (3): Habarcat era inizialmente conservata in fondo a un pozzo, nei pressi di Mên-an-Tol, di cui però non era mai stata trovata traccia. Un paio di notti prima avevo scoperto un passaggio tra gli scogli e da lì avevo raggiunto la base di quello che doveva essere l'antico pozzo, ormai in parte franato e sommerso dalle acque tiepide dell'oceano, ma ancora pregno di antica Magia. Nonostante le condizioni disagevoli, avevo sorriso: quel luogo aveva qualcosa di sinistro e familiare, mi ricordava la grotta in cui tutto era iniziato, quella in cui, ai tempi dell'orfanotrofio, avevo visto soddisfatte per la prima volta, nelle lacrime e nel sangue altrui, le mie vere inclinazioni.

    La grotta in cui ho custodito una parte di me stesso, alla conquista dell'immortalità.

Al contrario di quanto mi aspettassi e sperassi, visto l'interesse mostrato dalla Confraternita, nel pozzo non trovai molto, nessun antico manufatto per la mia “collezione” (4), nessuna testimonianza importante, solo numerose formelle “runate”; ne avevo raccolte alcune, le avevo studiate, si trattava delle tessere che addobbavano la bocca del pozzo e che gli antichi Daur avevano gettato all'interno, quando avevano nascosto ai Babbani l'accesso al sito magico; la maggior parte delle altre, però, era costituita da preghiere, invocazioni, stupide richieste di favori fatte agli dei: ebbi di nuovo conferma che la Confraternita dovesse essere solo una congrega di pazzi visionari, che amavano camminare nei boschi, evocando le forze della Natura, senza comprendere il vero potere del proprio dono.

    Quei tempi stanno per finire, però: nelle mie mani, l'Antica Magia sarà finalmente utilizzata per le imprese degne di passare alla Storia.

Dal fondo e dalle pareti del pozzo si snodavano dei percorsi creati dalle frane: alcuni annegavano nell'oceano, altri si aprivano tra le rocce, improvvise, nel vuoto; uno però, tortuoso e quasi distrutto, non era frutto del dissesto, pur con interruzioni e smottamenti, infatti, si riconosceva ancora una pavimentazione a lastroni disposti geometricamente. L'avevo risalito ed ero giunto sotto le catacombe dell'antica chiesa: l'apertura era sigillata dal basso con la Magia mentre, penetrato nei sotterranei dell'edificio sacro, avevo scoperto una pesante lastra di pietra, su cui era impresso un Triskell, nascosta proprio sotto l'altare della cripta. Quel simbolo dimostrava che il pozzo e il percorso erano stati realizzati dai Daur ed erano probabilmente la ragione del misterioso viaggio compiuto da Sherton e da altri Maghi del Nord, nel Cornwell, poco dopo l'annuncio del fidanzamento di Mirzam, il traditore. Non avevo trovato tracce di attività recenti, sembrava che Sherton e i suoi, al contrario di me, non fossero stati fortunati nella ricerca, non avevo però perso tempo a compiacermene, avevo subito ragionato su cosa fare di quella scoperta e avevo approntato gli incantesimi necessari a rafforzare le pareti del pozzo e a dissimularne la presenza a Maghi e a eventuali Babbani. Ghignavo divertito, tutto ormai era pronto per accogliere Sherton, appena l'avessi catturato: c'era qualcosa di perverso ed eccitante nell'idea che, per abbatterlo, avrei usato la sua stessa Magia, quella che ostinatamente e superbamente aveva cercato di precludermi per anni.

    Usare Emerson, come mi ha suggerito Abraxas, non è stata poi una perdita di tempo.

Poco prima dell'alba, completata la preparazione delle ultime dosi di Veritaserum, Malfoy mi aveva raggiunto e avevamo ripassato i dettagli della mia visita al Ministero: volevo assistere al processo Williamson, sentire con le mie orecchie cosa sarebbe uscito dalle deposizioni di Sherton e Black, per questo avrei interpretato Abraxas, membro da anni del Wizengamot, dandogli al contempo un alibi, mentre era impegnato a sottomettere la Strega e i suoi figli, a Essex Street. Abraxas J. Malfoy era la persona più adatta per quel compito: era crudele e sadico, ma si manteneva sempre razionale, e a me servivano prigionieri vivi, nel caso Sherton si fosse mostrato oltremodo irragionevole.

    «Mio Signore... »

Mi voltai, Malfoy sembrava riluttante a raggiungermi, non apprezzava la furia degli elementi, si stringeva il mantello addosso infreddolito, i lunghi capelli scompigliati dal vento, gli occhi lucidi e arrossati per l'aria gelida e salmastra; gli feci un cenno con la testa, perché rientrasse, e lo seguii a mia volta, in quella che era stata l'antica foresteria del convento, uno dei pochi ambienti ancora quasi intatti. L'aula era più gelida dell'esterno, non avevo acceso i bracieri; a rompere la penombra di quelle antiche volte di pietra, c'era solo una fiammella debole, sotto il calderone nel quale ribolliva, dalla sera prima, la mia ultima pozione; e ora, la debole luce del mattino penetrava lentamente l'oscurità, scivolando sinistra sulle colonne, soffermandosi sui volti delle creature angeliche scolpite sui capitelli e deformandone i tratti, tanto da ridurli a ghigni mostruosi. Con un colpo di bacchetta feci sparire dal tavolo pergamene, mappe, libri di antiche Rune, erbe e boccette, testimonianze dell’intensa notte di studio e lavoro.

    «Mio Signore, mi presento sempre presto al Ministero, quando si riunisce il Wizengamot... »

Annuii e lo fissai, mentre gli indicavo le boccette di Polisucco pronte sulla mensola del caminetto, lo vidi strapparsi dei capelli per l'uso e consegnarmene una: ne bevvi un sorso e attesi gli effetti, mentre il Mago distribuiva altre ciocche nelle altre due boccette di cui forse mi sarei dovuto servire durante la giornata; non c'era pericolo che qualcuno s’insospettisse, tutti avevano notato, nelle ultime due settimane, la fastidiosa tosse persistente che affliggeva Lord Malfoy.
Dopo pochi istanti iniziai a contorcermi nel dolore, sentii le membra e la pelle tendersi, mentre il mio corpo si stirava fino ad assumere la statura del Mago di fronte a me; i capelli, ormai allungati, mi sfiorarono la schiena nuda, il ventre parve appesantirsi e perdere la tonicità cui ero abituato, le spalle s'incurvarono leggermente, un capogiro mi fece barcollare: intorno a me tutto sembrava sfocato, indefinito, avvolto in una nuvola di fumo, arpionai una sedia per non cadere.

    «Salazar! Sei forse cieco, Malfoy?»
    «Vi chiedo perdono, mio Signore, rimedio subito, basta un leggero incantesimo... ho il vezzo di non portare occhiali, perché non riesco a vedermi con le lenti… ecco le vesti e... il bastone... »

Abraxas tese la mano e pronunciò l'incantesimo che a poco a poco rese la mia vista nitida, poi, mentre mi vestivo, creò una copia del suo bastone da passeggio, riccamente intarsiato, e me la porse; io, innervosito, gli strappai di mano l'originale, maledicendolo tra me: quel dannato vanesio, pur senza averne bisogno, andava in giro con un ricco bastone per darsi un'andatura solenne, ma non portava occhiali, benché, senza, fosse quasi cieco; mi avvicinai al tavolo, resi la sua superficie riflettente, mi guardai, provai delle smorfie e delle espressioni, fino a perfezionare la famosa miscela di annoiata altezzosità e infastidita arroganza che Malfoy mostrava in ogni circostanza.

    «E questa cicatrice? Non mi pare tu abbia mai corso il rischio di ferirti in una missione!»

Lo schernii, da quando lo conoscevo, Abraxas aveva sempre fatto in modo che fossero gli altri ad andare contro il nemico, al suo posto, avendo cura di non spezzarsi mai nemmeno un'unghia.

    «Si tratta solo di un triste ricordo di gioventù, mio Signore: volevo dare una lezione a mio cugino, battendolo in volo con l’Ippogrifo ma quella bestiaccia immonda mi disarcionò e... »
    «… E si prese come trofeo un po' di carne dal tuo nobile braccio, a quanto vedo... hai una condotta da gaudente, Abraxas, e sei vanitoso: hai reso il tuo corpo debole e imperfetto... perché non usi la tua Magia e le tue capacità di guaritore per porre rimedio ai tuoi difetti?»
    «Per rammentare gli errori di un passato dissoluto, mio Signore, e i conti che ho in sospeso.»
    «Capisco... allora presumo curerai questa cicatrice molto presto, dico bene?»

Abraxas sorrise compiaciuto e si prostrò, io lo fissai, specchiandomi in lui, rispondendo al sorriso con un ghigno falso e crudele: m'innervosiva oltremodo avere a disposizione un corpo imperfetto.

    «Spero che tu non mi abbia nascosto altri dettagli importanti... »
    «Mio Signore, Ve lo giuro, Vi ho aperto il mio cuore e la mia mente, sapete tutto ciò che... »
    «Basta così, è ora di andare: raggiungi gli altri a Little Hangleton e fai in modo di prevenire qualsiasi mancanza dei tuoi compagni. Bada soprattutto a Roland: mi è necessario in questa missione ma… Lo sai: quando ci sono di mezzo gli Sherton, diventa incontrollabile ed io non tollererei che la giornata finisse con un altro insuccesso, sono stato chiaro?»

Abraxas chinò il capo e annuì, poi si Smaterializzò, lasciandomi di nuovo solo nell'atmosfera carica d'attesa che aleggiava tra quei ruderi. Sospirai. Ero insofferente a quel suo falso tono condiscendente, era sempre così, con lui: mi era utile come pochi, così preciso, efficace, razionale, ma non tolleravo la sua presenza a lungo, i suoi modi melliflui m’irritavano; inoltre era straordinariamente intelligente e abile, molto più degli altri miei uomini, questo faceva sì che non potessi fidarmi del tutto di lui: Sherton diceva che solo un folle si sarebbe fidato di Abraxas Malfoy.
Su questo, e su poche altre cose, riconoscevo che la maledetta “Aquila del Nord” non avesse torto.
Uscii di nuovo nel chiostro, pronto a partire, mi guardai attorno, ghignando: entro il tramonto di quel sole, di cui avevo ammirato la gelida nascita, i segreti del Nord e l'antica Magia del mio antenato si sarebbero dischiusi ai miei occhi e appena fossi entrato in possesso anche della Sacra Fiamma... Serrai i pugni, il pensiero corse ancora una volta a Mirzam Sherton, lo sciocco Mago che aveva osato ripagare la mia benevolenza con il tradimento, mi sentii ribollire il sangue: no, non se la sarebbe cavata ancora per molto, era giunta l'ora che pagasse per le sue colpe.
Stavolta non sarebbe finita come poche settimane prima, a Herrengton, quando l'agognata marcia trionfale nella grotta di Salazar si era trasformata in una rocambolesca fuga dei miei uomini dalle Terre del Nord; avrei riportato di persona la mia vittoria, una vittoria meno importante, in confronto alla caduta del Ministero o all'occupazione di Hogwarts, certo, ma fondamentale, perché ottenuta spazzando via o piegando per sempre la dannata stirpe degli Sherton.

    E cancellare quel ghigno arrogante dai vostri volti, vedervi piegati e umiliati, sarà per me la più soddisfacente delle vittorie... almeno per oggi...

***

Lord Voldemort
Ministero della Magia, Londra - sab. 15 gennaio 1972, ore 9

Osservavo i corridoi del Ministero, che stavano via via riempiendosi, e sorridevo, pensando che presto li avrei percorsi con il mio vero aspetto, non più servendomi della Polisucco. Guardandomi intorno, a cominciare dalla Statua al centro dell'ampio atrio, avevo in mente almeno una decina di cambiamenti da fare, appena mi fossi auto-nominato nuovo e “definitivo” Ministro della Magia. Non era l’arredamento, però, il fulcro del mio progetto: fissavo gli impiegati che sbucavano dai camini, insonnoliti, e pensavo a quanto il loro dono fosse sprecato. Presto, però, sarebbe cambiata ogni cosa, anche il loro destino: si sarebbero trasformati da inutili burocrati in un esercito operoso al mio servizio, pronto a modellare tutto il mondo, magico e babbano, secondo la mia volontà.

    E sarà allora che imprimerò, indelebile, il mio Marchio anche su Hogwarts, la mia unica, vera casa, la casa creata dal grande Salazar Slytherin, il mio antenato, per tutti quelli come me.

Al mio arrivo, avevo visto il malefico vecchio, di spalle, entrare nell'ascensore, forse diretto da qualche amico babbanofilo, qualche SangueSporco imbucato nella sede del potere magico; appena avessi conquistato il potere, li avrei strappati via dai loro nascondigli, uno a uno, li avrei calpestati, distrutti, cancellati, non ci sarebbe più stata traccia dell'abominio (5).

    La Magia tornerà a risplendere nel mondo, pura e incontrastata… e questo grazie a Me.

Silenzioso e concentrato, mentre mi avviavo all'ascensore per scendere all'Aula dieci, in compagnia di due degli amici di sempre, Travers e Rosier, incrociati dopo aver parlato con il Ministro, riflettevo sulle ultime mosse approntate contro Sherton: Lodge aveva convocato Malfoy, suo socio in affari, anche il giorno precedente, per chiedere consiglio su alcune questioni, Abraxas ne aveva approfittato per convincerlo a emanare una Circolare con cui ordinava di requisire gli anelli a tutti i Maghi del Nord che si fossero presentati al processo (6). Sapeva, infatti, che non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione unica di impossessarmene e che l’avrei ricompensato per la sua intraprendenza.
Il Ministro aveva ubbidito: non era uno dei miei uomini, non l'avevamo nemmeno posto sotto Imperius, ma era così corrotto, avido e ricattabile, e soprattutto così tronfio e stupido, da essere una marionetta perfetta, da spremere fino in fondo, prima che uomini come Crouch e Dumbledore raccogliessero prove sufficienti sui suoi intrallazzi per sollevarlo dall'incarico o che, alle elezioni di primavera, un Ministro eletto dal popolo prendesse il suo posto. La carica temporanea di Ministro, dopo un precedente tentativo andato a vuoto alle elezioni regolari, gli era stata assegnata in tutta fretta dal Consiglio, grazie alle abili manovre di Abraxas, che non aveva avuto difficoltà a convincere gli altri, a causa dello stato d'emergenza e del caos in cui versava il Mondo Magico dopo la morte di Longbottom. Non ci illudevamo, però, che la situazione potesse durare a lungo, se prima non avessimo eliminato qualche altro potente avversario, uomini del calibro di Crouch stesso.
Appena giunto a Malfoy Manor, fingendomi di ritorno dalla passeggiata mattutina nel parco pieno di candidi pavoni, l'Elfo mi aveva portato una lettera di Lodge che mi convocava di nuovo ed io, soddisfatto, mi ero affrettato di buon grado, mi ero presentato nel suo ufficio, avevo bevuto un Firewhisky con lui e l'avevo fissato, con la grazia del gentiluomo che impersonavo, pensando tra me che Malfoy fosse stato geniale a proporre e spingere per avere un idiota simile su quella poltrona.
Lodge voleva parlarmi della proposta di Crouch d'infilare un Dissennatore (6) nella camera adiacente alla sala d'attesa dei testimoni: intendeva, infatti, creare una serie d’imprevisti e intoppi per mettere a disagio Sherton prima dell'udienza e “esacerbare”, così aveva detto, l'arroganza che caratterizzava il Mago del Nord. Al pensiero di ritrovare, alla fine della giornata, il mio avversario ancora più provato nel corpo e nello spirito di quanto avessi già messo in conto, non potevo che essere entusiasta di quell'aiuto inatteso, offerto proprio da uno dei miei peggiori nemici. Avevo annuito composto, come avevo visto fare infinite volte a Malfoy, poi mi ero passato lento e assorto la mano sulla barba biondiccia: conoscevo Abraxas dal nostro primo giorno di scuola, non mi era difficile imitarne il passo autoritario o la risata composta, o quello stupido vezzo di passarsi la mano sulla barba curata, quando qualcuno gli rivolgeva una domanda. «Lo faccio per compiacere l'interlocutore» mi aveva spiegato Malfoy «lo illudo che gli stia prestando attenzione, che prenda tempo e rifletta sulla risposta da dare... invece so che cosa dirgli già prima di riceverlo... »: gli era bastato il mio migliore sguardo ironico e il mio più feroce sorriso omicida per perdere, da quel momento, l'abitudine di lisciarsi la barba in mia presenza.
Il colloquio con il Ministro, per altro, era stato un momento fondamentale per i miei piani.

    «Non saprei cosa dirti, Archibald, è un grattacapo impelagarsi con la Confraternita, ma hai già preso posizione ieri, quando hai redatto quella Circolare riguardante gli anelli, quindi... »
    «Me l'hai raccomandato tu, ricordi? C'eri anche tu, quando Bartemious è arrivato qua, ieri, trafelato, sostenendo che quegli anelli potrebbero essere pericolosi... e tu hai detto che una remota possibilità che siano pregni di Magia Oscura esiste! Non dirmi che ora ci hai ripensato, Abraxas?»
    «Certo che no, ma non credo costituiscano il rischio che sospetta Crouch: invece è certo che privarlo dei suoi adorati anelli indisporrà mio cugino tanto da fargli commettere qualche passo falso, esattamente come snervarlo con attese assurde, stupidi contrattempi... o un Dissennatore... Crouch ha ragione: approfitta del suo stato di salute precario, trattienilo oltre il dovuto lontano dalla sua adorata mogliettina e vedrai vacillare la sua arrogante baldanza. Questa è l'occasione giusta per far scattare le catene attorno ai suoi polsi e avere le Terre ai tuoi piedi; domani il Daily Prophet potrebbe avere questo titolo: “Archibald Lodge. Il Ministro che ha ridotto alla ragione i ribelli del Nord!”. Saresti fin da oggi riconfermato nella tua attuale carica, nessuno riuscirebbe più a tenerti testa... certo... c'è sempre quel dettaglio che può mandare a monte tutti i tuoi piani, ma…»
    «Ovvero? Che cosa potrebbe mai ostacolarmi? Non capisco... »
    «L'ambizione di Crouch, amico mio: la vicenda di Sherton può essere il trampolino di lancio anche per lui. Devi metterlo in ombra, Archibald, devi negargli quel processo pubblico cui tiene tanto, svalutare le sue posizioni e, soprattutto, spingerlo a compiere un passo falso... Si potrebbe far sparire gli anelli e rendere nota che l'idea di requisirli sia stata sua... si potrebbe far rinvenire uno degli anelli nel suo ufficio, o nella sua casa, così che l'opinione pubblica sospetti che Crouch voglia prendere le Terre per interesse personale, non per il bene del Mondo Magico... Devi rovinarlo, o il tuo ruolo nella vittoria sul Nord passerà in secondo piano e quell'uomo conquisterà la tua poltrona. Ora è meglio che ti lasci, devi leggere le deposizioni: ho sottolineato le parti più interessanti... »

Lodge aveva annuito: non aveva alcun interesse per le Terre del Nord, al contrario di me, ma occupare quella poltrona stava portando benefici particolari ai suoi affari e, soprattutto, tenere Bartemious Crouch lontano dalla carica di Ministro, significava garantire la prosperità propria e quella di tanti amici che avevano interessi... poco ortodossi. Amici pronti, per questo, a dimostrarsi molto, molto riconoscenti nei suoi confronti.

    «Aspetta... chiudi la porta, Abraxas... mi chiedevo… potresti occuparti tu di Crouch? Gli anelli... se io te li consegnassi al termine dell'udienza... ti toglieresti anche quella tua curiosità... »
    «La Runa dei Malfoy? No, amico mio, lascia stare, potrebbero vederci confabulare, ed io non rischierei mai la tua brillante carriera per una sciocchezza simile... falli sparire tu, poi tra qualche giorno, ti manderò qualcuno che li farà ritrovare a casa di Bartemious... »
    «No, Malfoy, no... non li voglio... Preferisco operare in fretta, è anche una questione di... sicurezza... Contatta subito quel tuo amico... ti manderò stasera il mio Elfo... con gli anelli... »
    «Se proprio insisti... d'accordo... li prenderò io... »

Ghignavo tra me, ripensando a come perfino le mire e le ambizioni di uomini insospettabili come Crouch andassero a infittire, senza volerlo, le mie trame, rendendo il mio lavoro più rapido ed efficace: avevo tentato mille strade per mettere le mani su tutti quegli anelli, e ora, era stato sufficiente far insospettire Crouch, riportandogli astutamente delle false informazioni, per ottenerli.
La giornata si prospettava davvero trionfale...

***

Lord Voldemort
Ministero della Magia, Londra - sab. 15 gennaio 1972, ore 10

(7) Avevo raggiunto il banco che da secoli occupavano i membri della famiglia Malfoy, dopo aver salutato con garbo e autorità parenti e conoscenti, ed essermi intrattenuto con Cygnus Black, che voleva assistere al processo e aveva approfittato della situazione per parlarmi del “fidanzamento dei nostri ragazzi”: per fortuna era apparso l'usciere con l'avviso che il processo si sarebbe tenuto a porte chiuse, così avevo salutato in tutta fretta “il mio futuro consuocero”, sfuggendogli prima di essere coinvolto in una discussione che non avevo previsto e che poteva arrecarmi danno.
Il Wizengamot era ormai al completo e i Dissennatori, con gli Aurors di supporto, avevano scortato in aula Williamson, all'interno di un gabbiotto magico impenetrabile a qualsiasi incantesimo, per proteggerlo da un eventuale attacco. Avevo valutato l'idea dell'attentato, Lestrange si era offerto per la missione, ma le cose non erano andate come previsto e alla fine avevo desistito, anche perché Williamson non costituiva una minaccia, non sapeva quasi nulla, era invece perfetto per la propaganda, un uomo come lui, un irreprensibile che si era ribellato ai “dettami cristallizzati della società” era un ottimo esempio per gli indecisi, e fonte di turbamento per i nemici. Inoltre, non volevo rischiare in un’impresa difficile e di scarsa importanza gli uomini che stavo infiltrando nel Ministero, fonte d’informazioni preziose per la causa: li avrei sacrificati solo alla fine, quando, ottenuto il potere, non mi sarebbero stati più di alcuna utilità.
Il Ministro fece il suo ingresso, accompagnato dal suo staff di collaboratori più stretti, e andò a sedersi qualche banco più in basso, davanti a me: s’immerse subito nella lettura delle deposizioni, perché, stando a Malfoy non aveva che una pallida idea di quello che era venuto fuori dagli interrogatori; noi, al contrario, sapevamo tutto, grazie a Rookwood che, al solito, era riuscito a farcene avere delle copie. Poco distante, Albus Dumbledore parlottava con Alastor Moody, m’innervosiva non riuscire a capire che cosa stessero confabulando, continuamente interrotti da un Bartemious Crouch a dir poco agitato. I due personaggi, per i quali nutrivo una curiosità morbosa, non erano ancora arrivati ma ormai si stavano avvicinando alla sala d'attesa, accompagnati da Dolores Umbridge, segretaria personale del Ministro: era stato Abraxas a suggerire a Lodge di servirsi di lei per accogliere Black e Sherton, consapevole di quanto sapesse essere irritante.
Per primo, sul banco dei testimoni, sarebbe salito Orion Arcturus Black, un individuo sfuggente, pieno di risorse economiche e prestigio sociale, di contatti e conoscenze utili, che volevo portare dalla mia parte, in un modo o nell'altro. Di recente, l'avevo già incontrato da Malfoy e da Lestrange, a rimorchio del cognato Cygnus, padre di Bellatrix, a due delle riunioni di simpatizzanti organizzate per sondare gli intenti dei Purosangue che non apprezzavano Dumbledore e non sopportavano più la politica che limitava loro privilegi e accesso alle cariche, a favore di personaggi di dubbia origine e, soprattutto, stanchi delle chiacchiere, erano affascinati dalle imprese dei miei uomini, gli unici che stessero facendo qualcosa di concreto per porre un freno alla deriva del Mondo Magico.
In quegli incontri avevo avuto molto successo, anche personaggi insospettabili erano entrati nelle mie fila, molti giovani volenterosi erano scesi in campo, prendendo il Marchio, mentre i loro stanchi genitori erano diventati alleati potenti, avevano creato una rete che, operando nell'ombra, ci proteggeva e ci finanziava. Orion Black, invece, aveva solo staccato un assegno, probabilmente per non essere da meno di parenti e conoscenti, ma aveva subito addotto le sue precarie condizioni di salute per porre un veto a future, più impegnative, collaborazioni. Sapevo, naturalmente, che a spingerlo a muoversi con cautela era ben altro: pur convinti della necessità di intervenire e della bontà delle mie intenzioni, infatti, i Black erano troppo arroganti e pieni di sé per stringere alleanze al di fuori della propria cerchia familiare, soprattutto con chi, come me, pur famoso e potente, non era ufficialmente ricollegabile a una famiglia di nobile lignaggio. Erano, insomma, troppo orgogliosi della propria reputazione, tutta incentrata su purezza e rispettabilità: Bellatrix li definiva «un covo di formali perbenisti, che mettono al di sopra del Bene superiore, i propri miserabili e ristretti interessi personali, gente troppo pigra e viziata per mostrare gli attributi e prendersi con coraggio, d'autorità, ciò che ci spetta di diritto!». Era con queste parole che la moglie di Rodolphus Lestrange aveva guadagnato la mia attenzione e il mio rispetto ma, intenzionato a non farle capire subito quanto mi piacesse il suo modo di ragionare, mi ero limitato ad annuire divertito, fingendo di non dar troppo peso a certi discorsi. Da anni, invece, sapevo che era quella la verità: avevo, infatti, “conosciuto” il modo di ragionare dei Black appena messo piede nel Mondo Magico.

*

Era il primo settembre del lontano 1938, stavo affacciato al finestrino in attesa che il treno partisse e finalmente quello stupido mondo babbano uscisse dalla mia vita, quando avevo visto sulla banchina un gruppo di Maghi che non aveva nulla in comune con tutti gli altri: erano otto adulti (8), tre ragazzini e un paio di bambini piccoli, tutti austeri, dall'espressione seria e cupa, le toghe eleganti e sontuose, i gioielli meravigliosi, fatti di argento e smeraldi. Tra tutti loro mi colpì il ragazzino: benché già molto alto, doveva essere una matricola come me, perché, al contrario delle femmine, non aveva ancora i colori di alcuna Casa sul baule e sul calderone; il giovane portava i lisci capelli corvini lunghi fino alle spalle, all'indietro per lasciare libero il volto pallido, su cui campeggiavano due occhi di un blu talmente intenso da sembrare neri. Le due giovani Streghe non si allontanavano di un passo dagli adulti, il ragazzo, al contrario, sembrava incuriosito dal mondo che lo circondava, in particolare dal treno, che ammirava estasiato mentre si gustava le sue Cioccorane: approfittando dell'arrivo di un gruppo di amici di famiglia, si era lasciato distrarre ed era rimasto indietro, perdendo il contatto con gli altri, diretti alla prima carrozza. Quando comprese di essere rimasto solo, si guardò intorno smarrito, poi alzò gli occhi e incrociò i miei: sembrava combattuto, come se qualcosa gli impedisse di rivolgermi la parola, aveva bisogno d'aiuto ma non disse “ciao”, né mi fece alcuna domanda. Io, consapevole che l'amicizia di un personaggio simile potesse tornarmi utile, prima o poi, presi l'iniziativa e gli indicai col dito le due carrozze davanti alla mia, allora il ragazzino, lasciati da parte timori e dubbi, mi sorrise e si avvicinò al finestrino, prese una Cioccorana dal suo sacchetto e me la porse. Purtroppo, non ebbi il tempo di prenderla, né di sentirmi dire “Grazie”: il padre, un uomo arcigno e dinoccolato, con un paio di baffetti isterici che stentavano a crescergli in faccia, si stava già facendo largo tra la folla, con il bastone da passeggio usato quasi come sfollagente; una volta giunto davanti a noi, dopo avermi squadrato disgustato, prese il figlio per un braccio, trascinandolo via, vermiglio di rabbia.
    «Alphard Pollux Black, ti ho forse insegnato a dare confidenza ai Sangue Sporco?»
Non sentii altro, ma fu sufficiente: nel breve tempo trascorso dalla visita di Dumbledore alla mia partenza per Hogwarts, avevo letto tutto sul Mondo Magico, sapevo che i Black erano una delle famiglie più illustri e potenti e conoscevo il significato della parola “Sangue Sporco”. Io ero orfano, non conoscevo le mie origini, ma sapevo di non essere nato da Babbani: all'epoca immaginavo che mio padre fosse un Mago potente e che una disgraziata circostanza ci avesse separato, facendomi perdere dodici anni della mia vita lontano dal mondo cui appartenevo. Fin da piccolo, infatti, pur senza sapere cosa fosse, sentivo in me qualcosa di diverso, anche gli altri lo sentivano e mi temevano: ero certo che, appena fossi tornato al mio posto, la mia grandezza sarebbe stata percepita anche dagli altri Maghi, Dumbledore, per esempio, era rimasto impressionato quando gli avevo detto di saper parlare con i serpenti.
Come avevo immaginato, in breve tempo, a scuola, nessuno aveva più badato al mio aspetto e alle mie origini oscure: ammaliati da me, compagni e insegnanti mi avevano apprezzato grazie al mio naturale carisma e alle mie abilità e, alla fine, dalla mia cerchia più ristretta, via via a molti altri, pressoché tutti avevano riconosciuto in me il migliore tra loro.
I Black no, per loro ero e sarei stato, sempre e soltanto, Tom Riddle, Mago dalle oscure origini, proprio come il primo giorno: poco dopo lo smistamento, vedendomi avvicinare al tavolo della mia Casa, Alphard Black aveva tentato di farmi spazio, ma una delle due ragazzine, appena mi vide, mi disse arrogante che quel posto era già occupato. La fissai, era molto bella, con i lunghi capelli corvini raccolti in maniera aristocratica a esaltarne i lineamenti e renderla più adulta dei suoi tredici anni, le labbra imbronciate in un'espressione altezzosa e i profondi occhi azzurri talmente scuri, da sembrare ossidiana nera. Accanto a lei, in silenzio, c'era anche l'altra ragazzina vista in stazione, era più minuta e timida, con grandi occhi grigi, che teneva sempre bassi. Non avevo detto nulla in risposta alle parole della sorella di Alphard Black, Walburga, ma i miei pugni si erano stretti con violenza; non avevo abbassato lo sguardo, anzi avevo sostenuto con fierezza quei penetranti occhi scuri che mi soppesavano disgustati, sembravano chiedersi chi fossi per osare restare lì, a guardarla fisso, senza spaventarmi come facevano tutti. Una trepidazione, che avevo provato solo moltissimi anni dopo, trovandomi per la prima volta di fronte sua nipote Bellatrix, mi aveva fatto restare senza fiato per alcuni secondi, poi, più prepotente, emerse in me il desiderio di farle del male, quello che spesso era venuto fuori quando vivevo in orfanotrofio, con chi mi faceva arrabbiare... Fu solo la paura di essere cacciato da Hogwarts e costretto a tornare tra le nullità da cui ero appena scappato che mi trattenne dallo scatenarle contro la mia collera. Senza scompormi, smisi di guardarla e scivolai via, mentre lei, ghignando trionfante, gracchiava alle mie spalle.
    «Che cosa ti passa per la testa, Alphard? Hai sentito come l'ha chiamato Dumbledore? Non esiste un cognome simile nel libro delle famiglie magiche ed io non voglio feccia al mio tavolo!»
    «Non ti curare di quelli... »
Mi voltai, a parlare era stato un ragazzo dall'aspetto curato e tranquillo, poco più grande di me, mi sedetti accanto a lui, si presentò come (9) Gustav Nott: sarebbe diventato uno dei miei amici più fidati.
    «... I Black sono ricchi, purosangue e potenti, ma completamente pazzi, una razza strana, così fissati con il “pedigree” che si accasano tra loro, come i cani che hanno nello stemma! Se sei a Slytherin, però, il Cappello ha riconosciuto in te la propensione alla grandezza, ciò che Salazar ricercava nei suoi discepoli... Ma questo te l'avrà detto tua madre... qual è il suo cognome?»
Avevo taciuto, non avevo conosciuto i miei genitori e, all'epoca, consideravo inutile sapere il cognome di mia madre, convinto che una vera Strega non sarebbe mai morta nel darmi alla luce, e soprattutto... una vera Strega non avrebbe mai acconsentito a un lurido Babbano di giacere con lei... Purtroppo, con gli anni, avevo scoperto che mia madre, pur discendendo da Salazar Slytherin stesso, si era macchiata proprio di quell'infamia: aveva sprecato e sporcato il suo Sangue cedendo a un Babbano qualsiasi, per quell'assurdità inutile cui solo gli sciocchi davano gran peso. L'Amore.

*

Dopo i teatrini voluti da Crouch, Orion Arcturus Black fece il suo ingresso: pallido, con un cane d'argento al fianco per proteggersi dal gelido fiato dei Dissennatori, l'aria sprezzante e la testa persa in chissà quali pensieri, sembrava aver difficoltà a trattenere la propria irritazione, trasudava però, come sempre, superiorità. Avevo deciso che, se non fossi riuscito in tempi brevi a convincerli con le buone a sostenermi, li avrei obbligati, dovevo perciò trovare i punti deboli dei Black, impresa in apparenza difficile, perché sembrava che, a parte il nobile sangue, per quella famiglia non contasse altro. Erano umani come tutti, però, e come tutti dovevano avere segreti da nascondere, paure insospettabili, desideri irrealizzabili: mentre stava lì, seduto sullo scranno davanti al Wizengamot, pronto a testimoniare contro il suo migliore amico o contro il suo figlioccio, mi chiesi se l'anello debole per irretire quella famiglia fosse proprio Orion. Ero andato al processo per studiare quell'uomo mentre era sottoposto a una prova stressante, deciso a scoprire cosa si celasse dietro quello sguardo imperturbabile, per poterlo poi ricattare, minacciare o, semplicemente, comprare...

    «... quanto agli Aurors presenti [...] che cosa stavano facendo in quel momento? Erano impegnati a ficcare il naso in giro e a ostacolare le ricerche, invece di aiutarci a ritrovarla! Una bambina di undici anni!»
    «Come hanno dimostrato gli eventi, era di primario interesse difendere il Ministro... »
    «Oh sì... abbiamo visto tutti benissimo quanto siete stati abili a difenderlo!»
    «Come osate... »

Di certo era divertente sentirlo parlare: abile e sagace oratore, capace di ridicolizzare e innervosire l'avversario, sarebbe stato un ottimo uomo politico, peccato sembrasse portato solo per gli investimenti che rendevano sempre più benestante la sua già straricca famiglia e, peggio ancora, privo di peculiarità in campo magico. Più lo guardavo, meno riuscivo a spiegarmi come mai l'Erede di Hifrig mi avesse preferito un inetto simile, disdegnando la mia cerchia e i miei inviti.

    «... Black... un'ultima domanda... vi ricordo che avete giurato di dire la verità... erano Mirzam Alshain Sherton e sua moglie Sile Aylys Kelly i due Mangiamorte che avete incrociato in cima alla torre e che avete aiutato a scappare servendovi dell'anello che avevate in mano?»

La risata di Black, uomo sempre composto e imperturbabile, mi sorprese: tutta la tensione accumulata, quella che l'aveva a mano a mano costretto ad abbandonare l'abituale indifferenza, si era sciolta in quella risata liberatoria. La sua testimonianza non era stata di alcun interesse per me, sapevo prima di sentire le domande di Crouch che Mirzam Sherton poteva essermi sfuggito solo grazie all'aiuto di Duncan MacPherson, detto Fear, l'ultimo Mago Oscuro in vita della Confraternita: ero anche certo che fosse lui il misterioso Custode di Herrengton, ma non sapevo ancora abbastanza di quel Mago e di quella maledetta Congrega per riuscire a trovarlo ed eliminarlo. Per questo il Ministero doveva sospettare di Mirzam e di Fear: quanti più uomini avessero dato loro la caccia, più probabilità ci sarebbero state che fossero finalmente catturati; e una volta presi, servendomi degli uomini infiltrati nel Ministero, Sherton, MacPherson e soprattutto Habarcat sarebbero stati miei.

    «... leggete quelle carte... Ciò che cercate di sapere è scritto lì... ciò che forse non troverete nelle carte è che quei due giovani hanno patito tanto per stare insieme, non avrebbero scelto il giorno del loro matrimonio per mettersi nei guai volontariamente e... soprattutto, mai, per nessun motivo, quel ragazzo avrebbe fatto del male ai suoi fratelli o a suo padre... non ho altro da dirvi... »

Era stato questo il mio errore? Credere che il desiderio di emanciparsi da suo padre fosse sincero, credere che padre e figlio fossero stati divisi dagli eventi? Avevo letto nella mente di Mirzam, avevo sentito tutta la sua angoscia, l'odio, la ribellione, tutta la sua confusione a causa di suo padre e delle sue intromissioni. Orion Black, però, forse aveva ragione: padre e figlio avevano collaborato, Mirzam si era avvicinato a me per riferire informazioni preziose a suo padre e suo padre si era servito di lui per trasmettermi notizie errate. In questo modo, Sherton era riuscito a conoscere non la totalità dei miei piani, certo, ma abbastanza da starmi sempre un passo avanti, negli ultimi mesi.

    … Mai, per nessun motivo, quel ragazzo avrebbe fatto del male ai suoi stessi fratelli…
    Già... i suoi fratelli... i suoi stessi fratelli… Sarà proprio questa carta, i tuoi fratelli, che giocherò contro di te, Mirzam Sherton, lurido traditore... e ti annienterò... come meriti...

***

Lord Voldemort
Ministero della Magia, Londra - sab. 15 gennaio 1972, ore 11

Non vedevo Alshain Sherton da mesi, e sebbene Malfoy mi avesse già avvisato che stentava a riprendersi dopo la notte di Herrengton, mi colpì vederlo pallido ed emaciato, smagrito e lugubre, febbricitante, anche grazie alla Magia sprecata per resistere alla presenza del Dissennatore nella sala attigua a quella d'attesa. Sarebbe stata una passeggiata piegarlo, alla fine del processo, e questo mi fece pentire di aver predisposto che la seduta si protraesse per tutta la giornata: desideravo una sospensione del dibattito per potermene andare, avrei colto una scusa qualsiasi per raggiungere Malfoy a Essex Street e anticipare i tempi, occupandomi personalmente della Strega e dei bambini...
Da quelle deposizioni, d'altra parte, non stava emergendo nulla che già non sapessi, c'era stata solo un'occasione in cui la testimonianza di Sherton e soprattutto le domande di Bartemious potevano svelarmi qualcosa d’importante: Crouch, infatti, nel tentativo di dimostrare che Sherton avesse in mente fin dall'inizio di uccidere il Ministro, aveva fatto emergere un legame non superficiale tra il Mago del Nord e Longbottom, di cui non sapevo nulla. Alshain Sherton non era implicato nell'omicidio, mi chiedevo perciò quale altro motivo, altrettanto importante e misterioso, l'avesse spinto ad attirare il Ministro a Herrengton: l'intervento di Dumbledore, che si era affrettato a parlare di una compravendita tra i due, e lo sguardo, al tempo stesso allarmato e diffidente, di Sherton mi portavano a supporre che il vecchio manipolatore avesse mentito per coprire qualcosa d’importante (10).
Sherton era un Purosangue atipico, amava il mondo babbano limitatamente a ciò che poteva essere utile al suo tornaconto o al suo piacere personale, quando però si trattava delle cose essenziali, come la famiglia, gli affari e le alleanze, era tutto d'un pezzo come suo padre. La purezza di Sangue era valore per lui irrinunciabile e lo Stato di Sangue di Dumbledore, oltre a un'atavica antipatia personale, faceva sì che tra i due non potesse esserci un rapporto tra pari. Longbottom, però, era un Purosangue e avrebbe potuto costituire il tramite perfetto per avvicinare le loro posizioni, se avessero deciso di allearsi contro di me. Ghignai: qualunque fosse, uccidendo il Ministro, ero riuscito a mandare a monte il loro piano, prima ancora di sapere che ne stavano preparando uno!

*

(11) A Hogwarts, avevo avuto molta facilità, grazie al mio carisma innato, a creare attorno a me un gruppo di ammiratori, i miei compagni erano attratti da me, volevano entrare nella mia cerchia, alcuni, i più fidati, divennero i miei Mangiamorte e con loro iniziai a usare il nome di Lord Voldemort quando ancora frequentavo la scuola. Erano la mia famiglia, presenze importanti per me che ero cresciuto in un orfanotrofio, eppure mi sentivo diverso da tutti loro, unico, solitario, soprattutto nelle imprese più importanti, come la ricerca della Camera o lo studio degli Horcrux... A nessuno consentivo di accedere ai miei pensieri più reconditi, nessuno poteva comprendere, in nessuno riconoscevo un mio pari: anni più tardi, tornato a reclamare la cattedra di Difesa, Dumbledore mi parlò di loro definendoli i miei “servi”. In effetti, quando li valutavo, non sentivo in nessuno un'indole simile alla mia, con cui sintonizzarmi. Solo in un'occasione, ai tempi della Camera dei Segreti, m’illusi di aver incontrato qualcuno alla mia altezza, ma presto compresi che Alshain Donovan Sherton era soltanto un indecifrabile, irritante e sfuggente moccioso.
La prima volta che lo vidi era il primo settembre del 1942 ed io mi trovavo sulla banchina davanti al treno, accerchiato da Malfoy, Nott, Mulciber, Rosier e altri amici che ammiravano la mia spilla da Prefetto; all'improvviso, Abraxas, più alto di tutti noi già a quei tempi, aveva iniziato a ghignare: incuriosito e infastidito perché stava distraendo l'attenzione degli altri su se stesso, gli chiesi cosa stesse accadendo e lui ci annunciò l'arrivo dei suoi cugini del Nord, gli Sherton. Mulciber scoppiò a ridere e, senza nemmeno fargli finire di spiegare, preso il suo sacchettino di Galeoni, fece tintinnare delle monete e urlò “Ravenclaw”, seguito da quasi tutti gli altri. Gustav, vedendomi confuso, mi spiegò che il minore degli Sherton, un certo Alshain, era così fragile e delicato da sembrare una femmina e, probabilmente, come accadeva solo alle Streghe di quella famiglia, sarebbe stato il primo Sherton maschio a finire a Ravenclaw. Quando lo vidi comparire, seminascosto dalle gonne della madre, compresi perché fosse oggetto di scherno: il fratello del borioso e muscoloso Ronald Sherton era, infatti, un bambino all'apparenza più piccolo della sua età, un esile pulcino terribilmente impacciato, con un paio di occhiali così grossi da nascondergli mezza faccia. Aveva i tratti delicati e gentili della madre, una Strega molto bella e purosangue, ma, come tutti i Ravenclaw, priva di grandi ambizioni, presa solo dai suoi studi e dai suoi libri: stando ai miei amici, il bambino ne aveva ereditato anche il carattere fragile, infatti, quando andavano a Herrengton per far visita a Ronald, Alshain si nascondeva, barricandosi nella biblioteca materna, con notevole disappunto del padre. Il vecchio Sherton, un Mago severo e composto, dalla lunga chioma leonina e gli occhi freddi come il metallo, si fermò per salutare Abraxas e Roland Lestrange, figli di amici, ebbi allora l'occasione di guardare il bambino più da vicino: quando intercettai, fugace, il suo sguardo di mercurio, sentii un brivido e qualcosa agitarsi nello stomaco, sembrava impossibile ma emanava lo stesso magnetismo del padre, cosa che a Ronald non accadeva. Appena si allontanarono, presi i miei pochi galeoni e, a sorpresa, sentenziai “Slytherin”.

*

Quella sera, finita la cena inaugurale, al termine della cerimonia di Smistamento, c’eravamo ritirati in Sala Comune e molti di noi stavano scherzando e progettando azioni ai danni degli odiati Gryffindor o di qualche inutile Hufflepuff; Mulciber, Lestrange, Rosier, Malfoy ed io eravamo seduti sul solito divano presso il camino e la nostra discussione si faceva via via più vivace, tutti tesi a valutare come trarre il massimo dei benefici dal club di Slughorn. A poco a poco, con fare distratto, mi stavo impegnando a spingere la conversazione sulle leggende risalenti agli antichi Fondatori, volevo capire che cosa gli altri, tutti appartenenti alle più antiche famiglie purosangue, sapessero del misterioso mostro lasciato da Slytherin nel castello e della mitica Camera dei Segreti: erano anni che la stavo cercando, ma ancora non avevo avuto fortuna. All'improvviso i nostri discorsi furono interrotti da delle grida, mi voltai verso l'ingresso e vidi Ronald Sherton prendere per la collottola il fratello e tentare di spingerlo verso di noi: così tronfio, manesco e ottuso, Sherton non mi era mai piaciuto, il suo unico interesse era prevaricare e tiranneggiare i ragazzini più piccoli e deboli, non solo delle altre Case, tanto che, all'inizio, prima di subire il mio carisma, quell'idiota aveva tentato di fare il gradasso anche con me. Credevo si comportasse così per le mie misteriose origini ma, a quanto vedevo, non aveva alcun riguardo nemmeno per il suo stesso Sangue: per tutta la serata, infatti, aveva molestato suo fratello, pur smistato a Slytherin. Mentre ghignavo, pensando ai soldi vinti ai miei amici, grazie al moccioso, Alphard Black si intromise, prendendo le difese del bambino. Ne era uscita una situazione esplosiva, con Black e gli altri ragazzi della squadra di Quidditch che tenevano testa al branco di “picchiatori” capitanati da Sherton, i miei amici che scommettevano divertiti sugli esiti della zuffa ormai prossima e le ragazze Black inorridite per lo spettacolo indecoroso di cui era protagonista un loro congiunto - tra l'altro, all'epoca, si vociferava di un possibile matrimonio tra Lucretia Black e Ronald Sherton -. C’erano poi i due marmocchi, Cygnus e Orion, che cercando di non farsi notare troppo da “Lady” Walburga, tifavano per Alphard, come facevano sempre al campo da Quidditch. La disputa, alla fine, fu sedata sul nascere dall'intervento provvidenziale di Slughorn, il piccolo Sherton, però, aveva già approfittato del caos per fuggire e nascondersi nei dormitori.

*

Con i miei amici, risi e commentai divertito quello spettacolo, e i tanti simili che seguirono, ogni volta che incrociavo lo sguardo di Alshain, però, percepivo quel magnetismo particolare, che mi riempiva di domande e curiosità: non desideravo far notare questo mio interesse, non volevo avvicinarmi e fare la prima mossa, avrei gradito che Ronald smettesse di comportarsi da bestia, mi presentasse suo fratello e poco alla volta lo introducesse nella mia cerchia, quello stupido sbruffone, invece, stava diventando un ostacolo. Compresi che avrei dovuto fare da me, approfittando della mia carica di Prefetto: non capivo perché ci perdessi tempo, ma mi ritrovai a pedinare il moccioso, nella speranza di coglierlo da solo, in difficoltà, e poter fare qualcosa per lui, volevo che mi vedesse come un confidente, una guida, qualcuno cui affidarsi fiducioso. L'occasione che attendevo si presentò quando lo trovai in biblioteca, nel reparto “Erbologia”, alle prese con un libro che non riusciva a trovare.
    «Mi chiamo Tom, Tom Riddle, sono uno dei Prefetti della tua Casa... se hai bisogno di aiuto, puoi rivolgerti a me, per qualsiasi cosa... »
Gli avevo sorriso, con i miei modi gentili e educati, quelli che mandavano in visibilio i professori, quelli che mi avevano appiccicato addosso l'etichetta di ragazzo per bene, distinto, quelli che mi avevano garantito la spilla da Prefetto. Sherton mi aveva fissato con i suoi penetranti occhi di mercurio, aveva valutato la spilla, aveva sondato la mano che gli avevo teso e il sorriso che gli avevo rivolto: non disse niente, non accettò la mia mano, nel suo sguardo c'era qualcosa d’indefinibile, forse paura, forse disprezzo, compresi subito che, come suo fratello all'inizio, mi considerava inferiore, per lui il mio nome babbano faceva di me quasi un imbucato a una festa. Al contrario di Ronald, però, Alshain era talmente terrorizzato che non fiatò: sentii che respirava velocemente, sempre di più, sentii emergere, a poco a poco, da lui quella specie di magnetismo che mi affascinava e mi turbava, sembrava fosse una corazza che in qualche modo gli cresceva intorno quando aveva paura, ma non era credibile che un ragazzino così piccolo e inesperto potesse aver già sviluppato un controllo simile sul proprio potere magico. All'improvviso i suoi occhi diventarono neri di paura, allungò le mani verso di me, su di me, mi spinse e rapido sgusciò via, lontano: senza rendermene conto e senza volerlo mi ero avvicinato a lui, lentamente, fino a metterlo spalle al muro. Turbato, mi allontanai a mia volta, confuso. No, non riuscivo a capire.

*

Tutti davano per scontato che fosse Ronald, il primogenito forte e prepotente, il futuro signore di Herrengton e che il moccioso gracile e strano fosse invece destinato a un futuro da emarginato: anche per questo, dopo le prime schermaglie, nel giro di poche settimane, nessuno si curò più di lui, e Sherton si preoccupò solo di studiare e passare il tempo con gli altri inutili ragazzini del Nord.
Io lo tenevo sotto controllo, però, perché lo sorprendevo sempre a scrutarmi furtivo quando in Sala Comune o al tavolo in Sala Grande incrociavo il suo sguardo: dopo quell'episodio incomprensibile in biblioteca aveva paura di me e mi teneva d'occhio, io però, impegnato nella ricerca della Camera dei Segreti, non potevo permettermi che qualcuno mi mettesse il bastone tra le ruote. Dovevo carpire la sua fiducia e farmelo amico o terrorizzarlo tanto da tenerlo alla larga da me, così, quando lo scovai, durante una ronda, a violare il coprifuoco, decisi di tentare ancora una volta la carta della fiducia e non lo denunciai né a Slughorn né a Dippet. Di nuovo, però, invece della sua gratitudine, ottenni solo altro sospetto.
Sherton si fece più vigile, ma era solo un bambino ed io, che conoscevo la scuola come le mie tasche ed ero sempre impegnato nelle mie ricerche e nelle ronde da Prefetto, avevo capito che le sue sortite notturne erano frequenti e non miravano a cercare cibo nelle cucine: Alshain Sherton stava cercando la Stanza delle Necessità. Fui tentato di aiutarlo ma desistetti, ormai avevo capito che non avrei mai ottenuto qualcosa da lui con le lusinghe o con dei doni, al massimo con le minacce, pertanto dovevo scoprire cosa avesse in mente e, nel caso fosse stato qualcosa di losco, l'avrei usato per ricattarlo e sottometterlo: ormai era diventata una questione di principio.
Passate le vacanze di Natale, la sua ricerca, al contrario della mia, non aveva portato ancora ad alcun risultato ma vedevo che la necessità di un nascondiglio, per lui, diventava sempre più forte, al passare dei giorni, tanto da renderlo sempre meno guardingo. La notte di Imbolc, mentre mi dirigevo, furtivo, nel bagno delle ragazze in cui avevo scoperto l'accesso alla Camera dei Segreti, vidi il moccioso fuori dai Dormitori, a pochi passi da me; decisi di non scendere dal Basilisco ma scoprire cosa facesse Sherton: lo seguii, lo vidi entrare in un'aula usata come deposito di vecchi mobili rovinati, scivolai dentro, silenzioso, dietro di lui. Nascosto nell'oscurità, lo vidi lanciare dei Muffliato tutto attorno a sé, che m’impedì di sentire le parole che pronunciava, e fare degli incantesimi che attenuassero il riverbero delle candele che aveva acceso: mi addossai a una delle colonne e lo osservai, stupito, i ragazzini del primo anno, almeno quelli normali, non sapevano fare così bene tutti quegli incantesimi. Sherton stese il suo mantello, dispose le sue candele in cerchio, si spogliò di tutto, tranne dei pantaloni, e si sedette a terra, prese una ciotola dalla sacca che aveva portato con sé, ci versò dentro delle erbe che teneva in un sacchettino alla cintola, le bruciò con un incantesimo, senza usare la bacchetta, poi s’impiastricciò i piedi, il collo e le mani con quella cenere. Infine si rivolse alla finestra, verso la luna che filtrava dalle nuvole, e iniziò a salmodiare parole che non riuscii a sentire: non c'era nulla di losco o di utile, per i miei fini, in quello che stavo vedendo, ma ne ero comunque affascinato. Era la prima volta che vedevo un Mago del Nord celebrare uno degli antichi Sabba, ero convinto che ormai, anche per loro, i rituali fossero una pratica arcaica e desueta, invece, per quel bizzarro ragazzino, erano tanto importanti da non  riuscire a esimersi dal celebrarli. Mi chiesi quanto potere ci fosse davvero nell'Antica Magia, quella che Ronald Sherton, sprezzante, bollava come inutili anticaglie da Ravenclaw.
Era forse quella la fonte dello strano magnetismo di Sherton?

*

Una volta scoperta la Camera e aizzato il Basilisco contro i SangueSporco, mentre le aggressioni si ripetevano per tutta la primavera e solo per puro caso non si registravano le prime vittime, notai che il piccolo Sherton sembrava percepire la bestia che si muoveva nella scuola; i suoi atteggiamenti strani e sospetti e le leggende che legavano gli Sherton a Salazar, facevano sì che nei sotterranei e sulle torri, tra i miei compagni di studio e tra i professori, circolasse il sospetto che l'erede di Salazar, tornato per aprire dopo secoli la Camera dei Segreti, fosse proprio lui, tanto che Dippet chiamò a Hogwarts il vecchio Sherton affinché rendesse conto delle opere dei propri figli e li richiamasse; io, infastidito al pensiero che altri si prendessero i miei meriti e spaventato che, in qualche modo, il moccioso potesse smascherarmi, lo controllai ancora di più.
Una mattina di giugno, in Sala Grande, finsi di tornare nei dormitori per prendere dei libri, mi allontanai dagli altri, poi, non visto, mi nascosi dietro una delle statue antiche e bisbigliai in serpentese, ordinando alla bestia di muoversi e rispondere alle mie parole. Rientrato nella Sala, rischiai di essere travolto sulla porta da una sciocca ragazzina in lacrime che fuggiva di sopra, andai a sedermi accanto ai miei amici che parlavano della probabile vittoria della Coppa di Quidditch, visto che il Cercatore di Gryffindor era fuorigioco, grazie a uno scherzetto di Abraxas; io non partecipai alla conversazione attivamente, troppo preso a fissarli tutti, uno dopo l'altro: Malfoy, Nott, Lestrange, Ronald Sherton, Rosier... Sentivo i sussurri della bestia che mi rispondeva attraverso le pareti, era bramosa di sangue, di carne, voleva uccidere, ma nessuno dei miei amici aveva qualche tipo di reazione. Quando guardai Alshain, però, lo vidi con gli occhi persi nel vuoto, terrorizzato, confuso: si guardava intorno ma non si fermava su di me, sentiva la bestia ma non aveva capito che a istigarla ero io, era pallido come uno straccio, tremava. A un certo punto si alzò in piedi, proprio mentre la bestia esultava nella mia testa: aveva appena strappato la vita a qualcuno, dopo un'attesa lunga mille anni. Alshain Sherton svenne in Sala Grande, senza motivo apparente, all'improvviso, fu portato in Infermeria per una ferita in testa e lì restò a lungo, incosciente: questo lo salvò dai sospetti, quando, un'ora più tardi, di ritorno dalla lezione di Erbologia, Sandrine Williams trovò Mirtilla, sua compagna di corso, morta nel bagno delle ragazze.

*

In quegli ultimi giorni di scuola, tutti parlarono dell'Erede di Salazar, della Camera dei Segreti, Dippet intendeva chiudere Hogwarts, io rischiavo di tornare a vivere in quel dannato orfanotrofio, e perdere per sempre il contatto con la mia gente. Avevo pensato di attirare l'attenzione dei professori su Sherton, ma non sarebbe stato facile spiegare come avevo scoperto che capiva il Serpentese, così scelsi la via più semplice: chiusi temporaneamente la Camera e accusai quell'idiota di un Mezzogigante che aveva un debole per le bestie pericolose, sapevo che anche in quel periodo nascondeva uno dei suoi dannati mostriciattoli. Confrontando le accuse di un Prefetto irreprensibile con le scuse di un buono a nulla come Rubeus Hagrid, Dippet credette a me, il Mezzogigante fu incolpato dell'apertura della Camera e cacciato dalla scuola, Hogwarts fu salva, tutti tirarono un sospiro di sollievo. Tutti tranne quel rompiscatole di Albus Dumbledore.

*

Ritornato a scuola, dopo l'estate, per distogliere da me le attenzioni morbose del professore di Trasfigurazione, cercai di tenere quel comportamento ligio, rispettoso, impeccabile che mi aveva garantito la devozione di studenti e insegnanti; quanto a Sherton, decisi di disinteressarmi di lui, lasciando che fossero alcuni dei miei compari più tranquilli e dagli interessi simili ai suoi a portarlo fino a me. Sherton, però, era tornato dalle vacanze molto cambiato, nel corpo e nella mente: si era alzato e si era irrobustito, aveva perso quell'aspetto sparuto che gli era costato tante prese in giro e soprattutto, poco per volta, divenne sempre più determinato, grazie a un talento straordinario di cui nessuno finora aveva mai avuto sospetto. Alphard Black, però, aveva ascoltato con attenzione quello che raccontavano a casa di suo zio Arcturus i lontani parenti McMillan così, alla ricerca di un nuovo Cercatore per la squadra di Quidditch, di cui era capitano e Cacciatore, il primo sabato mattina di settembre, si presentò alla lezione di volo dei ragazzi del secondo anno, deciso a valutare Alshain con i propri occhi: nascosto dietro il colonnato, appena Sherton salì sulla sua scopa, sguinzagliò un boccino dorato. Da bravo erede dei Meyer, Sherton ne restò subito ipnotizzato, individuò il boccino volante e lo catturò in pochissimi istanti. L'intuizione di Black si tradusse in sei anni di vittorie per la squadra di Serpeverde e, in seguito, nella nota carriera gloriosa nel Puddlemere United, interrotta solo dal desiderio di stare più tempo con la propria famiglia. Il ragazzino solitario e strano iniziò a perdere la propria timidezza, si circondò di una propria schiera di ammiratori e soprattutto di ammiratrici, le vittorie, l'aspetto, il successo precoce con le ragazze, un corpo sempre più forte, lo resero via via più spericolato, sbruffone, persino più cattivo, facendolo assomigliare in molti atteggiamenti a suo fratello. Le risse con i Gryffindors, per il Quidditch, scoppiarono di continuo, quell'anno, seguite dai continui richiami del preside, dagli incitamenti focosi dei compagni di Casa e dai pubblici e severi rimproveri del padre, convocato più di una volta nel tentativo di contenerlo. Nel giro di pochi mesi, l’ex-introverso Alshain Sherton era riuscito a rimediare una serie infinita di punizioni e una severa minaccia di espulsione, impresa che non era riuscita in sei anni nemmeno a suo fratello.
Tra noi non c'erano rapporti, Sherton mi mostrava tutto il suo disprezzo ogni volta che poteva, non era più il ragazzino dell’anno prima, certo, ma non aveva dimenticato: mi disprezzava per le mie origini e ancora di più per la mia spilla di Prefetto, perché ogni volta che ne combinava una, il mio incarico mi costringeva a far notare le sue mancanze a Slughorn o al Preside. Lo sentii insultarmi in più di un'occasione con il titolo di “Cagnolino di Dippet”, e la sua cerchia, fatta di giovani del Nord e di fissati di Quidditch, sembrava subirne il fascino e aderire alle sue idee.

*

Passato quasi un anno dall’omicidio di quell’inutile Sanguesporco, la Coppa di Quidditch era teoricamente già nostra ma Sherton non avrebbe giocato l'ultima partita contro gli odiati Gryffindors, decisione di Dippet dopo la sua ultima bravata, quella culminata con la minaccia di espulsione e lo schiaffo pubblico di suo padre, nel cortile d’ingresso.
Alphard Black non era stato da meno, quanto a severità, sarebbe rimasto a scuola ancora per un anno e aveva il potere, come capitano, di tenere Sherton fuori dalla squadra, se non avesse smesso di essere una testa calda: di tutte le minacce, era sicuramente quella che spaventava di più il moccioso. Responsabile di tutto questo eravamo stati Abraxas, Ronald ed io, pensavamo tutti che il ragazzino dovesse essere messo in riga, così avevamo creato ad arte le condizioni per metterlo nei guai. Alshain non aveva potuto evitare di caderci, ma sospettavo sapesse chi doveva ringraziare.
Un pomeriggio di fine maggio, grazie al sole e al calore quasi estivo, molti erano impegnati a studiare in riva al lago, io, al contrario, ero deciso a salire all'ultimo piano, nella Stanza delle Necessità, a controllare e ammirare in pace le mie “creature”, come facevo spesso: nessuno aveva idea del potere dell'anello che portavo al dito, quello che avevo dall'estate precedente, quando avevo fatto visita a miei parenti materni... e soprattutto… a quelli paterni...
Stavo ghignando tra me e mi avviavo nel dormitorio a prendere anche il diario, quando intravvidi un'ombra che si allontanava furtiva nel corridoio, ma sul momento non ci feci troppo caso, entrai nella mia stanza, distratto, appoggiai i libri presi in biblioteca sul letto e mi avvicinai al baule.
Vidi subito che il cuscino non era sistemato come sempre: preoccupato, mi guardai attorno e con orrore vidi che c'erano altri segni d’intrusione, tutti concentrati sulle mie cose, gli altri baldacchini non erano stati toccati. Con il cuore in gola controllai il baule, lo trovai forzato; all'interno, tutto era fuori posto, era stato manomesso anche il doppio fondo. Furioso, infilai la mano e sentii che il diario non c'era più. Ripensai all'ombra nel corridoio, sguainai la bacchetta, rapido, uscii e cercai tracce del ladro: sapevo che era stato lui, poteva essere stato solo lui. Emersi in Sala Comune, non c'era nessuno; uscii nei corridoi del sotterraneo, niente. Iniziai a salire le scale, consapevole che se fosse uscito in cortile non l'avrei più preso, ma quando alzai gli occhi, vidi che quell'idiota arrogante era ancora sulle scale: era già al terzo piano, intuii dove stesse andando. Salii di corsa, quasi travolsi un paio di ragazzini del primo anno, come una furia irruppi nel cortile di Trasfigurazione, pregai di non incontrare quell'impiccione di Dumbledore, attraverso il colonnato guardai davanti a me, vidi la porta del corridoio opposto che si chiudeva: Sherton stava andando nella stanza che usava per i suoi stupidi riti sabbatici! Veloce arrivai alla porta, la bacchetta sempre in mano, ma stavolta iniziai a muovermi con circospezione, cercando di pensare a come affrontarlo: entrai piano nel corridoio e per prima cosa mi assicurai che non ci fosse nessuno nel cortile, dietro di me, poi guardai avanti, Sherton stava velocemente superando il bagno in cui un anno prima era stata uccisa la Sanguesporco. Levai la bacchetta di fronte a me, puntai, usai uno dei miei incantesimi non verbali: Sherton inciampò sui suoi stessi piedi e si contorse a terra, incapace di rialzarsi, veloce e silenzioso mi avvicinai; si guardò indietro e mi vide, mi ghignò contro, il volto deformato dal disprezzo e dalla rabbia, teneva stretto il diario e ci puntava sopra la bacchetta. Quello stupido non immaginava cosa avesse in mano, non sarebbe mai riuscito a distruggerlo con un semplice incantesimo d’incendio. Mi chiamò Mezzosangue e scoppiò a ridere, il mio cuore rallentò i battiti e una calma improvvisa mi prese: gli avrei dato una lezione che non avrebbe scordato più, decisi all’istante che l’avrei portato al cospetto del Basilisco, gli avrei fatto dimenticare per sempre la sua arrogante baldanza!
Lo afferrai per un braccio e lo tirai in piedi, mi spintonò e cercò di darmi un pugno in faccia, era poco più basso di me, lo schiantai con un altro incantesimo non verbale, mezzo svenuto me lo caricai addosso e lo trascinai dentro il bagno, chiusi la porta dietro di noi, lo buttai a terra, ripresi il diario e me lo assicurai sotto i vestiti, poi mi avvicinai al rubinetto sul quale era inciso il serpente, dandogli le spalle. Vidi il lampo rosso riflesso sul metallo e subito sentii la fitta dolorosa che m’intorpidì, senza però buttarmi a terra: era incredibile, si era già ripreso e sembrava sapesse usare alcuni incantesimi non verbali. Rabbioso mi voltai e gli puntai di nuovo la bacchetta addosso, facendo scivolare via il trittico di fatture sgangherate che mi aveva lanciato addosso, in rapida successione. Gli lanciai delle fatture anch’io ma le deviò, vidi attorno al suo corpo una pioggia di schegge di legno e pezzetti di pietra scalfita; iniziavo a essere stanco di lui, prima di sbarazzarmene, però, l'avrei sottoposto a Legilimens, ormai stavo diventando bravo ed io volevo capire, ora che ne avevo l'occasione, come diavolo riuscisse a fare cose che altri imparavano alla mia età! Lo centrai con un’altra fattura dolorosa, nella stessa gamba che avevo ferito in precedenza, lui mi ruggì contro un Petrificus che non ebbe effetto, cercai di schiantarlo con ancora più rabbia, mentre ormai l'ingresso al condotto per la Camera stava per aprirsi completamente.
All'improvviso Sherton parve capire cosa stesse per accadergli, apparve l'antico terrore sulla sua faccia, si guardò rapidamente intorno, il baratro si stava aprendo alle sue spalle, mentre la porta, la sua unica salvezza, era dinanzi a lui, ma doveva prima battermi e superarmi. Ghignai.
    «Crucio!»
Lo urlò con tutta la forza, la determinazione e la disperazione di cui fu capace, il fiotto di luce uscì carico dalla sua bacchetta e mi colpì a un braccio, mi ferì, una singola stilla del mio sangue schizzò via, cadde a terra, poco lontano da dove c’era una traccia del suo.
Sherton era piccolo, inesperto, spaventato, sbagliò l’incantesimo, non capii mai in che modo, ma lo sbagliò: improvvisa, da tutte le tubature del bagno zampillò acqua, in tale quantità che rapida sommerse il pavimento e, pur incuneandosi nel baratro, raggiunse e superò la soglia, andando a scorrere fino nel corridoio; il lampo di luce rossa, emesso per un rapido istante dalla sua bacchetta, si estinse e si trasformò in una fiammata vivida, talmente ampia che avvolse entrambi, per poi ritrarsi e avvolgerlo completamente.
Non avrei mai dimenticato quel giorno... non riuscii mai a capire come mi fossi messo in salvo: pensai fosse un effetto secondario dei primi Horcrux creati, o forse era per quel luogo, intriso della Magia di Salazar, il mio antenato, sembrava che la Magia di Sherton invece di colpire me, si ritorcesse contro di lui. Abbassai la bacchetta, cercai di aiutarlo, ma era tutto inutile: una corona di fiamme alta fino al soffitto l'avvolgeva, lui era scivolato a terra, privo di sensi, tra fiamme che non si spegnevano nonostante l'acqua e i miei disperati incantesimi. Poi, quando l’acqua, sotto di lui, lentamente iniziò a tingersi di rosso porpora, il suo sangue, pensai che non ci fosse più nulla da fare. Non potevo farmi trovare lì, non dopo quanto era accaduto l'anno precedente: nonostante tutti gli altri si fidassero di me, infatti, Dumbledore non smetteva mai di tenermi d'occhio. Fuggii nel corridoio, dopo aver chiuso di nuovo l'accesso alla Camera e aver fatto sparire ogni traccia della mia presenza, m’imposi un incantesimo per asciugarmi, e, appena sentii la porta che dava sul cortile aprirsi, mi ritirai dentro l'aula deserta usata da Sherton.
Alcuni secondi più tardi vidi Orion Black: stava salendo dalle serre di Erbologia, due piani più sotto, e rumoreggiava tra sé, come fu vicino mi accorsi che, noto vanitoso, sempre perfetto e impeccabile, aveva i pantaloni sporcati da una macchia indelebile, tipico scherzo idiota di moda presso i Gryffindors, in quel periodo. Si guardò intorno, vide che non c'era nessuno, decise di entrare nel bagno, anche se era delle ragazze e aveva una triste nomea, parve perplesso solo quando notò l'acqua sul pavimento. Entrò… passarono pochi secondi…
Lo vidi uscire, correndo e urlando: reggeva Sherton, probabilmente morto, tra le braccia.
Per anni mi chiesi come avesse fatto Black a superare quelle fiamme. (12)

*

Non capii mai perché Sherton cercò di provocarmi in quel modo e cosa pensasse di trovare nel diario: uscì dai dieci giorni di convalescenza privo di qualsiasi ricordo su quanto era accaduto nel bagno e su di me, il mio diario e tutto il resto. Da quell'esperienza, parve restargli addosso solo l'amicizia con Orion Black, il giovane cui doveva la vita. Nell'ultimo anno passato a scuola, cercai di non avere più nulla a che fare con i fratelli Sherton, mi chiusi nello studio, intenzionato ad aumentare ancora di più il mio prestigio, così da convincere Dippet ad affidarmi un posto da insegnante, appena uscito dalla scuola: non volevo allontanarmi dalla mia unica, vera casa. Le cose non andarono come volevo, ero stato considerato troppo giovane per un impegno del genere; Dippet però si sbagliava, ero tutt'altro che giovane, ero già molto di più di quanto gli altri vedevano, stavo facendo giustizia dei torti subiti e, soprattutto stavo percorrendo la via che mi avrebbe condotto all'immortalità.

*

Ritornato indietro, dopo dieci anni di silenzio, pur non sapendo che dietro al grande Lord Voldemort si celasse il vecchio compagno di scuola, Sherton aveva rigettato tutti i miei inviti a parlare dei nostri comuni interessi: secondo Abraxas si comportava così perché mi sentiva come un avversario, anche Alshain, infatti, desiderava sovvertire l'ordine costituito, ma in prima persona. Solo di recente, pressato dall'opera persuasiva di Abraxas e dalle mie lusinghe miste a minacce, aveva ceduto, lasciandomi intendere di essere interessato a trovare punti d'incontro nei nostri progetti e collaborare. Quando c’eravamo incontrati, però, era accaduto subito qualcosa di strano. Di nuovo. Tom Riddle non esisteva più da anni e della mia identità precedente sapevano qualcosa solo alcuni membri della mia cerchia più ristretta, Mulciber, Lestrange, Malfoy, Nott, e pochissimi altri; nessuno, di quanti mi avevano conosciuto superficialmente da ragazzo, era in grado di riconoscermi, perché dopo gli anni di lontananza volontaria, durante i quali avevo rafforzato la mia Magia e portato fino alle estreme conseguenze i miei esperimenti, ero tornato trasfigurato nei miei tratti. La Magia Oscura degli Horcrux, gli anni, l'esperienza avevano cancellato buona parte della mia passata avvenenza, quella che da ragazzo attraeva il prossimo e che io odiavo, perché mi rendeva simile al mio dannato padre babbano; la Magia mi aveva reso diverso, aveva fatto di me l'unico uomo capace di sconfiggere persino la morte. Sherton, però, aveva riconosciuto in me Tom Riddle al primo istante, nei brevi secondi in cui ci eravamo scontrati a Black Manor, il giorno del matrimonio di Rodolphus Lestrange: lo capii quando ci incontrammo di nuovo, di notte, a Godric Hollow, davanti alla tomba di Peverell. Non era rimasto turbato da me, non aveva cercato di capire perché gli ricordassi qualcuno. Era sicuro, pronto, sapeva già che si sarebbe trovato di fronte me. (13)

*

Sherton mi aveva promesso molto, contatti, aiuti, aveva però disatteso le mie aspettative, dimostrandosi un alleato inaffidabile, un uomo sleale, un abile commediante. Ora tutto questo non avrebbe avuto più importanza, tutto sarebbe cambiato, gli Sherton avevano finito di farmi sprecare energie e tempo, con i loro trucchi da illusionisti. Sospirai, pregustando l'attimo, bramoso come il lupo che già nel sogno sente il sapore del sangue tiepido di cervo sulle proprie labbra.

    «Incriminatemi, allora... mi spiace... io non ho altro da dire, a nessuno di voi... »
    «Non ve la caverete così, Sherton... Che fine ha fatto il pugnale? Sappiamo che Fear è il Custode di Herrengton, esegue solo gli ordini che gli avete dato! Dove nasconde vostro figlio?»
    «Io non so dove si trovi mio figlio... e non so nulla di alcun pugnale... Quanto al Custode di Herrengton... il Decreto Ministeriale 109 del 31 dicembre 1692 recita che “Gli Affari della Confraternita del Nord, non sono Affari del Ministero della Magia...”»
    «Lo sono, quando nelle Terre vengono nascosti dei criminali! Vi ordino di rispondermi!»

Avevo perso più della metà della deposizione di Sherton, stando dietro ai miei pensieri: dovevo calmarmi, tornare al presente, mi attendeva una giornata lunga, impegnativa, dovevo tessere trame anche contro gli altri miei nemici, Dumbledore, Crouch, tutti gli altri.
Le cose però cambiarono improvvisamente rispetto a quello che avevo organizzato.

    «Ministro... scusate l'interruzione, ma... in questa relazione che ho ricevuto solo stamani, ci sono informazioni che rendono superflue le altre domande che avevo suggerito di fare a questo testimone e agli altri convocati per oggi... chiedo una sospensione per parlare al Wizengamot... »

Fissai inorridito Alastor Moody, rimasto silenzioso tutto il tempo: dovevo sapere cosa stava per emergere dalle indagini di Moody, ma il piano concordato con i miei uomini prevedeva che Sherton fosse trattenuto al Ministero e che io raggiungessi Essex Street prima del suo arrivo... Maledii quel dannato Auror e quell'idiota di Crouch: a causa sua, infatti, non ebbi nemmeno l'opportunità di avvertire Abraxas che Sherton e Black stavano tornando a casa, la seduta non fu sospesa.
Innervosito, rimasi al mio posto, mentre gli altri si distribuirono uniformemente sui banchi dell'aula: appena Moody iniziò a parlare, capii che Kenneth Emerson era ormai bruciato.

***

Lord Voldemort
Ministero della Magia, Londra - sab. 15 gennaio 1972, ore 12

    «Milord vi sottometterà! Nessuno di voi può fermarlo, schifosi traditori del Sangue Puro!»
    «Portatelo via, chiudete questo essere ad Azkaban, in isolamento, e lasciate che muoia lì!»

(14) Lodge lesse la sentenza senza sollevare mai la faccia dalle carte, il vecchio ex Auror, destinato all'ergastolo ad Azkaban, fu trascinato via tra gli applausi e gli insulti degli ex colleghi: io lo fissai, mentre la sua risata sinistra continuava a risuonare a lungo nella stanza e nel corridoio, circondato dalle figure minacciose dei Dissennatori. L'aula dieci era pervasa da un silenzio carico di turbamento, Bartemious Crouch schiumava rabbia: grazie all'intervento di Moody, il processo era giunto alla sua conclusione, non sarebbe stato necessario riascoltare i testimoni, l’indomani; a parlare erano stati i fatti, l'imputato era stato condannato per le prove inequivocabili ma Crouch non era riuscito a ottenere quanto si era prefisso, legare l'altisonante nome di Sherton alla disfatta di Williamson, ottenendone vantaggi considerevoli per la propria carriera.
Dal faldone di Alastor era uscita la verità, una verità poco gratificante per Crouch: c’era stato un episodio poco chiaro nel passato dell’Auror, i miei uomini ne erano venuti a conoscenza, ne avevano ritrovato le prove, le avevano usate per ricattarlo, chiedendo fedeltà e favori, in cambio del silenzio. La difesa dell’ex Auror mirava a sollevarlo dalle accuse sostenendo che fosse stato posto sotto maledizione Imperius, ma le prove della sua innata crudeltà e propensione alla corruzione, facevano di lui un collaboratore, non una vittima sottomessa con la forza e la paura.

    «Siete stato abile, Moody... siete riuscito a risalire a fatti così lontani nel tempo da essere ormai da tutti dimenticati… Senza di voi non saremmo riusciti a legare Williamson alle proprie responsabilità, avete impedito che un assassino riuscisse a passare per vittima, complimenti!»
    «Ministro, a nome della mia squadra vi ringrazio degli elogi, e visto che ormai avete già perduto la vostra importante partita e siamo tutti qui... vorrei analizzare con voi altri dettagli emersi durante l’indagine… mi era stato chiesto di approfondire la posizione di Mirzam Sherton…»

Quelle parole scatenarono una serie di brusii che fecero di nuovo fremere l'aria, Bartemius si protese di nuovo sulla sua poltrona e di nuovo rischiò di cadere di sotto, Lodge rimase pietrificato in una posizione strana, indeciso se rimettersi seduto o restare in piedi.

    «Moody, voi siete un uomo ricco di sorprese! Avete tenuto il pezzo forte per il finale a quanto pare! Dunque l'avete trovato? Avete trovato il ragazzo e magari anche quel dannato vecchio pazzo? Meritereste una promozione per la vostra efficienza, Moody! Crouch… spero abbiate a disposizione le vostre squadre più esperte per gli arresti di criminali molto pericolosi!»
    «Ho già attivato quattro squadre, pronte al mio segnale, per ogni evenienza...»
    «Molto bene, molto molto bene... Crouch, ora si ragiona...»

Crouch incassò il primo elogio della giornata, Alastor riprese a camminare intorno alla sedia su cui si erano succeduti i testimoni, il faldone sottomano, da cui estrasse una pergamena scritta fitto fitto.

    «In realtà, Ministro, i risultati cui sono giunto sono diversi da quelli che mi aspettavo, ma altrettanto illuminanti… sono partito indagando sul presunto passaggio di proprietà di un… Elfo…»
    «Un Elfo? Moody ma che state dicendo? Vi ho mandato a caccia del pericoloso Mangiamorte che ha ucciso Podmore, un vostro collega, e voi ci fate perdere tempo con gli Elfi?»
    «Esattamente, Ministro… sono stato mandato a caccia di un Mangiamorte... ma mi sono reso conto che... mi è stato fornito l'indirizzo sbagliato... parlando di un certo Elfo, dimostrerò com’è stato possibile questo equivoco… »
    «Bando alle ciance di quale Elfo state parlando?»
    «Dell'Elfo Cael, Ministro, quello trovato morto nelle cucine di Herrengton: le prove dimostrano che non è mai appartenuto a Mirzam Sherton. Nacque da un’Elfa di proprietà di un Mago che aveva motivi di risentimento decennali e sconosciuti verso gli Sherton... lo istruì e ne rimase sempre il legittimo proprietario; tra i vari ordini che diede a Cael, ci fu quello di bussare alla porta di una famiglia di Maghi, a Doire, che non ne aveva bisogno, e che lo indirizzò a chi ne stava cercando uno. Attraverso l’inconsapevole tramite di Jarvis Warrington, l’Elfo Cael giunse nella casa della sua vittima, quel Mirzam Sherton che finse di servire per anni, rispondendo invece sempre e soltanto al suo vero, legittimo padrone che non l’aveva mai né liberato, né venduto. Il Signore Oscuro, a Herrengton, si servì perciò di Williamson per portare il veleno e distruggerne ogni traccia, e del proprietario dell’Elfo che diede a Cael l'ordine di versarlo, facendo ricadere i sospetti sugli Sherton... In tutti questi anni, inoltre, l’Elfo spiò gli Sherton, sottrasse tracce biologiche, scoprì ogni segreto del maniero, apprendendo quando e come muoversi al suo interno. Quest'uomo, attraverso il suo Elfo ha potuto fare di tutto, per anni, persino nascondere prove…»
    «Per Merlino e tutti i Fondatori! »
    «Allora... se la storia va avanti da anni... quell’uomo potrebbe anche aver assunto le sembianze del giovane Sherton per acquistare il pugnale... o persino per uccidere Podmore! »
    «Ecco perché alcuni testimoni hanno affermato che Sherton era sulla scena di alcuni delitti, mentre centinaia di altre persone l'hanno visto negli stadi di Quidditch di mezza Gran Bretagna! »

Il brusio si fece sempre più alto, nella mente di tutti poco prima c'era l'assoluta certezza che gli Sherton fossero assassini e mentitori, ora si affacciava l'idea altrettanto terribile che Mirzam Sherton fosse un innocente braccato da assassini, costretto alla fuga da un errore giudiziario.

    «A questo punto ci sono fondati dubbi sulla veridicità di quanto ho visto… vorrei ritirare la mia deposizione contro Sherton… non posso dire con certezza chi sia stato a uccidere Podmore…»

Alastor annuì e volse lo sguardo fiero su ognuno di noi, come un'accusa, Dumbledore parlò all’orecchio di Potter e gli mise, bonario, una mano sulla spalla, come a voler consolare quell’uomo giusto per l’ingiustizia commessa.

    «Ministro, se il Wizengamot acconsente, vorrei che il nome da apporre sull’ordine di arresto fosse noto soltanto a voi… so che non è regolare ma... temo una fuga di notizie e... sto ancora indagando su alcuni casi archiviati...  se la pista che sto seguendo fosse giusta... arrestando quest'uomo arriverei anche al mandante dell'incidente occorso a Ronald Sherton e a sua moglie Elladora Lestrange, anni fa, e dell'aggressione a Deidra Sherton e a suo figlio... »
    «Salazar santissimo! »
    «Non si era già stabilito che Ronald ed Elladora morirono in un incidente di caccia? »
    «Calma... Moody... avete prove fondate di quanto affermate? Avete testimoni credibili? Potete sostenere di fronte al Wizengamot le vostre accuse di là di ogni ragionevole dubbio? »
    «Intendo approfittare del sopralluogo per trovare le prove mancanti... se me lo consentite…»

Lodge parve perplesso, lesse il nome che gli porse Alastor, lesse rapidamente le prove che aveva allegato, poi annuì, forse stava ragionando tra sé quanto sarebbe pesato sulla sua conferma alla carica di Ministro la risoluzione di tutti quei casi irrisolti.

    «E sia… Crouch, accompagnate Moody con le vostre squadre… e naturalmente, prima di sciogliere la seduta… Mirzam Sherton è riconosciuto innocente e prosciolto da ogni accusa…»

Non mi sfuggì il moto di stizza mal represso da Bartemius.
Né la figura che lesta (15) scivolò nell’oscurità addensata del corridoio, a ridosso dell’ingresso: evidentemente un curioso era riuscito ad assistere almeno alle battute finali della seduta. Non me ne curai, il nome di Kenneth Emerson non era stato pronunciato pubblicamente e il formicolio che sentivo ormai insistente al braccio, stava a indicare che, prima di morire, quello stupido Ravenclaw aveva compiuto il proprio dovere.
Rapido salutai gli altri, addussi la scusa di un incontro d’affari e scivolai via, verso i piani superiori e i camini. Fremevo di eccitazione. Sherton ormai era mio.

***

Lord Voldemort
74, Essex Street, Londra - sab. 15 gennaio 1972, ore 13

Mi materializzai al centro della stanza. Ghignante. (16)
Sherton era davanti a me, serrava la bacchetta, pallido, scompigliato, sconvolto, i segni di lacrime, fumo, battaglia a mischiarsi sul suo volto. Era immobile, la bacchetta puntata a terra, il capo chino.
Ero eccitato, come la belva che, fiutata la preda, attende il momento del balzo; ma ero anche accorto, perché la carne di cui volevo cibarmi era infida, ne ero consapevole.
Levai la bacchetta, mentre i miei attorno m'incitavano, m'imploravano di avere quell'onore, ma attendevo quel momento da anni e non avrei mai concesso a nessun altro il piacere tanto agognato.
Alshain sollevò il capo in quell'istante preciso, sorrideva, serrava nel pugno la sua bacchetta, e mi fissava con quegli occhi di mercurio che mi turbavano e che odiavo da decenni, dalla prima volta che l’avevo visto. Pronunciai la mia condanna, volevo spegnere nell'agonia e nel tormento quel sorriso arrogante, quella luce di derisione, quell'insulso senso di superiorità.
Scatenai tutta la mia potenza contro di lui e la sua dimora di babbanofilo.
Continuava però a sorridere e lo sentivo nella mente, sibilante, come un serpente.

    Qual è il suono della vittoria Tom?

Non capii, doveva essere impazzito, la potenza della Cruciatus doveva già averlo reso pazzo.
Rise e gettò la bacchetta a terra, si gettò lui stesso a terra, mentre gli scatenavo addosso la mia ira, sempre più infervorato dalle urla vittoriose dei miei uomini.
Poi fu un boato mostruoso, uno spaventoso risucchio dell’aria, talmente calda da farmi pensare che stessi bruciando: mi sentii sollevare e schiantare contro il muro, sentii il corpo contorcersi nel dolore, ogni singolo osso, ogni singolo pezzo di carne. E vidi il fuoco, fiamme alte fino al soffitto levarsi attorno a me, gli altri che parevano schiantati contro le pareti, schiacciati da una forza centrifuga. Bellatrix fu l’unica a trovare la forza di reagire, gridava il mio nome e ripeteva “NO”, impazzita, non capivo, vedevo la sua furia, la sua Magia, la vedevo richiamare vetri e oggetti appuntiti nelle sue mani e poi scagliarli feroce contro un’ombra in piedi al centro della stanza, sopra di me, irriconoscibile. Non mi ero reso conto di essere crollato a terra, di tremare, di bruciare.

    Qual è il suono della vittoria Tom?

Non riuscivo a pensare, c’era solo quel sibilo nella mia mente, che si ripeteva, e ripeteva e ripeteva ancora, all’infinito, impedendomi di ragionare, reagire, ritrovare in me la Magia per controbattere.
Poi tutto iniziò a crollare, qualcosa mi afferrò per un braccio, sentii un dolore lancinante alla testa.
E, infine, non vidi e non capii più niente.

***

Lord Voldemort
Morvah, Cornwall - sab. 15 gennaio 1972, ore 20
   
    Qual è il suono della vittoria Tom?

    La vittoria ha il suono del legno che cade a terra
    Del vetro spezzato a ritmare il tuo passo.
    Ha l'odore del fumo che impregna i polmoni
    E il tatto gelido di una mattina d'inverno.

Sollevai la tenda, deciso a prendermi le mie risposte.
La mia risposta… in quel momento… avevo una sola domanda.

    Che cosa è andato storto, stavolta?


*continua*



NdA:
Ciao a tutti,  ringrazio innanzitutto quanti hanno letto, commentato, aggiunto, ecc ecc. Le note di questo capitolo lungherrimo sono numerose perciò cercherò di essere breve:
1-3) La scena si svolge a Morvah, una località della Cornovaglia, tra i ruderi di un convento immaginario, nei pressi del sito preistorico di Mên-an-Tol: la chiesa era stata già descritta in un precedente capitolo di That Love quando Fear incontra Alshain per parlargli del suo progetto per proteggere Sile e Mirzam dagli attacchi del Signore Oscuro, e a quell'episodio si fa rifarimento in tutta questa parte (qui). La storia di Habarcat e della diaspora dei Daur è invece narrata brevemente in Old Tales. (qui)
2) La scena della morte del Decano, con il primo omicidio di Bellatrix, si trova qui
4-5) Sappiamo della fissazione di Voldemort per i Cimeli dei Fondatori e ho immaginato che nel caso esistessero e ne avesse avuta l'occasione, si sarebbe impadronito anche di altre testimonianze del glorioso passato della Magia. Analogamente, abbiamo visto cosa è accaduto al Mondo Magico quando è diventato Ministro una delle marionette di Milord ( ne "I doni della Morte") : ho immaginato che quello schema (epurazione del Ministero, schedatura dei Nati Babbani, occupazione di Hogwarts, ecc ecc) sarebbe stato seguito anche prima, se Voldemort avesse vinto durante la prima guerra magica.
6-7-10) Il processo è narrato da Alshain e Orion qui  e da Albus Dumbledore qui: in tutto il capitolo si narra il dietro le quinte di quel processo e i dialoghi estrapolati sono all'incirca identici a quelli dei capitoli originali; può sembrare strano che Lord Voldemort si sia intrufolato con la Polisucco nel palazzo del potere, ma effettivamente nel canon i nostri tre eroi usano proprio questo stratagemma per riprendere il medaglione di Regulus alla Umbridge, quindi ho dedotto che al Ministero non ci fossero incantesimi paragonabili a quelli usati alla Gringott per smascherare gli impostori.
8) Ho immaginato che il primo maschio di casa Black, Alphard, fosse accompagnato in stazione per il suo primo viaggio come un principe, da tutti i quattro nonni oltre che da genitori e fratelli; gli altri due adulti sarebbero Arcturus e Melania McMillan, genitori di Lucretia e Orion.
9) Gustav è inventato, non ho trovato da nessuna parte i nomi dei parenti di Theodore Nott.
11) Tutta questa parte è una rielaborazione personale dei fatti relativi agli anni in cui Alshain e Tom Riddle si ritrovarono a studiare a Hogwarts contemporaneamente: cito i capitoli relativi de "La camera dei Segreti" e de "Il principe Mezzosangue" e tutto ciò che riguarda Tom trovato su HPLexicon...
12) Questa è la "versione di Tom" del misterioso incidente occorso a Alshain nei bagni di Mirtilla: tutta la storia dell'amicizia tra Alshain e Orion si basa su questo avvenimento e ci sono innumerevoli capitoli in cui ne parlo a partire da L'Aquila e il Cacciatore .
13) I due capitoli citati sono il matrimonio di Rod (Il tocco del Male) e l'incontro a Godric Hollow (Per la Gloria)
14) Questa parte del processo è inedita e segue la parte narrata da Albus nel capitolo già citato.
15) Come sappiamo, Jarvis Warrington è riuscito a assistere alla parte finale dell'udienza e appena saputa la notizia del proscioglimento di Mirzam si era messo sulle tracce di Alshain.
16) Il cerchio si chiude: l'ultima volta che avevamo visto Alshain, il suo POV era finito con queste parole  "Serrai con forza la bacchetta, mentre Riddle si materializzava al centro della stanza. Quel sottile fumo si addensava ormai in una forma definita, prima il contorno ampio del mantello, poi la figura intera, fino al suo ghigno malvagio, fino al lampo di nera morte nei suoi occhi. Sorrisi. E la furia del Signore Oscuro squassò la mia casa dalle fondamenta e si abbattè su di me."
A presto.
Valeria



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