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Look in my eyes, what do you see?
-'Hai visto
il mio modo di vedere le cose?'-
Le chiavi, dove cavolo erano le mie chiavi? Cercavo nelle tasche del
jeans, del giubbotto, della camicia.. nulla. Tastai ogni parte del mio
corpo, inevitabilmente cominciai a pensare a lei. A lei, e a quelle
dita sottili e leggere che avevano sfioravato piano il mio petto e il
mio viso,
pochi minuti prima, per esplorarlo. Aveva un modo particolare per
sentirmi e conoscermi, mi piaceva quel suo modo di scoprire com'ero
fatto, era diverso. Solitamente le ragazze mi mangiavano con gli occhi,
invece lei preferiva sentirmi. Sentirmi in tutti i sensi. Proprio come
io sentivo lei. Era vera, era pura, era unica. Ed era perfetta, anche
senza la vista.
Scossi la testa, finendo di tastarmi il petto. Quella ragazza mi stava
facendo andare fuori di testa.
Tastai la tasca posteriore dei miei jeans, sentendo un rumore. Eccole.
Le inserii nella piccola serratura metalicca a fatica, il lampione al
centro della strada illuminava poco e mamma, ogni sera a mezzanotte,
spegneva la luce che illuminava il portone di casa per non consumare
troppa energia. Non appena la porta si aprì, trovai la
figura di
mia madre a braccia conserte. Osservava la porta di casa, con gli occhi
chiusi in due fessure. Non appena vide il sorriso sul mio viso,
però, si addolcì.
-Dove sei stato?- cominciò con le domande, avvicinandosi.
-Sono stato con una ragazza- le baciai la fronte, per poi sorriderle.
-Fino a quest'ora? E cos'avete fatto? Oh, no, ti prego, non dirmelo.
Quasi mi dimentico che sei un ragazzo e che voi ragazzi avete..-
-Abbiamo solo parlato, mamma- la interruppi ridendo, corrugò
le
sopracciglia facendole scontrare. Era così strano parlare
con
una ragazza? -Abbiamo parlato per due ore, pensa. Fuori casa sua.
Sembra diversa dalle altre- impercettibilmente, arrossii.
Già,
quella ragazza mi faceva un effetto davvero strano.
-Per far colpo su di te, dev'essere speciale- sorrise mia madre,
dandomi conforto.
-Domani mattina ci sentia, cioè, ci vediamo, ci vediamo
sì.. più o meno ma ci vediamo- ridacchiai,
facendo
scontrare di nuovo le sopracciglia della mamma.
Senza darle ulteriori spiegazioni, le baciai piano la fronte e le
sorrisi rassicurandola. Ricambiò prontamente il sorriso,
donandomi uno di doni più belli che un figlio potesse
ricevere, così che salii di sopra in camera mia. La
stanchezza
si faceva sentire, eccome se si faceva sentire. Mi stesi a letto senza
nemmeno spogliarmi, sentii la camicia scoprirmi la schiena ma poco mi
interessava, sinceramente. Anastasia. Perché non smetto di
pensarti? Portai una mano sul viso e sospirai, non volevo
ricadere
nello stesso tranello, eppure Anastasia non smetteva di essere la
protagonista dei miei pensieri. La conoscevo da poco meno di tre ore,
eppure già la sentivo così vicina. Mi stavo
illudendo da
solo e di nuovo, da stupido e inesperto, ciò che tra l'altro
non
ero. Però quella ragazza, con la sua spontaneità
e la sua
semplicità, era riuscita a far battere il mio piccolo e
deluso
cuore.
-
Quando sentii la sveglia suonare, scattai in piedi. Avevo impostato la
sveglia per le otto, così da potermi preparare. Non avevamo
piani, a dire il vero non sapevo nemmeno a che ora andare da lei.
Sapevo solo che, forse, avrei visto i suoi genitori e non volevo che
potessero farsi cattive idee su di me. Le occhiaie, quella mattina, non
mi davano problemi: semplicemente non c'erano. Quella notte avevo
dormito, eccome se avevo dormito. Certo, erano state meno di sette ore,
ma mi sentivo riposato e carico. E sopratutto, desideroso di rivedere
quella splendida ragazza che mi aveva già rapito.
Dopo essermi fatto una doccia veloce, mi ritrovai davanti all'armadio.
-Adesso cosa metto?- mi chiesi, sentendomi peggio di una ragazzina al
suo primo appuntamento.
-Mamma!- uscii dalla mia camera con solo l'accappatoio.
-Justin Drew Bieber, ieri ho lavato a terra e guarda, con i piedi stai
bagnando tutto!- incrociò le braccia al petto, alzai le
sopracciglia.
-Non importa, dai, adesso ho bisogno di te- la trascinai con me in
camera mia, piazzandola davanti all'armadio.
-Devo riordinarti l'armadio?- mi chiese, roteai gli occhi al cielo e
abbozzai un sorriso.
-Hei, è già ordinato- alzò le mani in
segno di resa, inclinando verso l'alto gli angoli della bocca.
-Allora a cosa ti servo?- mi chiese, spostando tutto il peso del suo
corpo su una gamba.
-Mentre io mi asciugo i capelli, sceglieresti per me cosa devo mettere
stamattina?- mentre parlavo presi un boxer dal cassetto e feci per
metterlo, ma mi bloccai quando notai lo sguardo stranito di mia madre.
-Amore, non è che hai la febbre?- mi tocco la fronte prima
con
le mani e poi con le labbra. -Non sembra, forse dovremo prendere un
termom..-
-Sto bene- la interruppi -Ti prego, non voglio fare brutte figure.
-Hai preso proprio una bella cotta, eh?-
Sì, avrei voluto rispondere. Ma come avrei potuto? Infondo
non
la conoscevo nemmeno da un giorno, non sapevo quasi nulla di lei a
parte il fatto che no vedesse con gli occhi ma usando altri metodi.
Indossai i boxer, asciugai i capelli e misi l'accappatoio a lavare, per
poi tornare in camera. Mia madre aveva preso una semplice maglia nera
che avrei indossato con un pantalone marrone chiaro e le mie Supra
nere. Ringraziai mia madre dandole un tenere bacio sulla fronte prima
di vestirmi e guardarmi allo specchio. Ero davvero un gran figo.
Aggiustai i capelli, spruzzai un po' di profumo e mi guardai ancora una
volta allo specchio. Avevo uno strano sorriso quella mattina, un
sorriso che non sempre avevo. Era sincero ed esprimeva come mi sentivo:
e mi sentivo bene.
Dopo aver indossato una felpa e il cappotto, uscii da camera mia.
Cavolo, aveva ragione mia mamma: avevo lasciato le impronte. Prima di
andar via, passai una pezza sulle impronte, facendo risultare il
pavimento pulito. Mia madre mi guardava ancora più stupita
e,
sinceramente, anch'io ero abbastanza stupito.
-Devo conoscere questa ragazza- enfatizzò mia madre,
sparendo
poi in cucina. -Tesoro, fai colazione qui o devi già uscire?-
-Esco mamma, ci vediamo dopo- corsi in cucina dandole un bacio, per poi
uscire di casa.
E, ancora una volta, l'aria fresca mattutina mi pizzicò il
viso.
Erano appena le nove meno dieci, non sapevo se Anastasia stesse ancora
dormendo o meno. Non volevo svegliarla, ma allo stesso tempo volevo
vederla. Presi la moto, che mi faceva sentire tanto Batman, e sfrecciai
via, per le vie di Stratford. Ricordavo perfettamente dov'era casa sua.
In un batter d'occhio mi ritrovai fuori la sua abitazione e persi un
battito quando mi avvicinai per poter suonare al campanello. Ma non
feci in tempo a suonarlo, perché la porta si
aprì.
-Sapevo che eri arrivato- quella splendida ragazza dai capelli ramati,
sorrise. Facendo sorridere anche me.
-Come?- le chiesi, dolcemente.
-Ho riconosciuto il rombo della tua bambina- aprì di
più
la porta, facendomi segno d'entrare. -Prego, entra. Hai già
fatto colazione?- si chiuse la porta alle spalle.
-E tu?- scosse la testa. -Allora ti va di fare colazione fuori?- sul
suo viso si accese un sorriso.
-Prendo il cappotto e la borsa- mi strinse la mano, sorridendomi.
Quant'era bella. E quella mattina ancora di più. Indossava
un
paio di jeans chiari che le fasciavano perfettamente le gambe, un
maglioncino grigio con dei richiami in nero e degli stivaletti neri.
Con un movimento fluido, prese il giubbotto e lo indossò,
così come fece con lo scaldacollo e il cappello.
Dopodiché prese la borsa e indossò anche gli
occhiali da
sole neri che aveva anche il giorno prima, provocando un gesto di
disappunto da parte mia. Cavolo, era bellissima senza.
Perché
mai doveva metterli?
Justin, fatti i fattacci
tuoi.
Rotei gli occhi al suono della mia amatissima vocina,
anche
chiamata coscienza, ma che ben presto avrei rinominato rottura di
scatole. Menomale che Anastasia non poteva vedermi, così per
lo
meno non avrei fatto una brutta figura davanti ai suoi occhi.
-Anastasia- una voce interruppe i miei pensieri, mi si gelò
il
sangue nelle vene non appena vidi un uomo sulla cinquantina scendere le
scale di casa sua.
-Papà, ciao- ed era anche il padre, perfetto.
-Non mi presenti il tuo amico?- chiese alla figlia, cingendole le
spalle con un braccio.
-Sì, certo. Papà, lui è Justin, il
ragazzo che
ieri sera mi ha riacompagnata a casa. Justin..- mi tastò il
braccio, fino a scendere alla mia mano che prese dolcemente. -..lui
è mio padre, Joseph- accennai un sorriso.
-Piacere di conoscerti, Justin. Dove porti questa mattina la mia
donzella?- accarezzò di capelli di sua figlia, facendomi
sentire
dannatamente invidioso.
-Avevo pensato di fare colazione e fare un giro al parco, sempre se per
lei va bene- ammisi, suo padre annuì.
-Certo, basta che non me la porti all'una di notte come ieri sera- suo
padre ridachio, mentre io sbiancai. -Non preoccuparti, so che siete
stati qui fuori a parlare- tirai un sospiro di sollievo e sorrisi,
stringendo la mano di Anastasia che ancora giocherellava con le mie
dita, nonostante avessi i guanti.
-Allora a dopo, papà- Anastasia diede un bacio a suo padre,
avvicinandosi a me.
-Arrivederci, signor Mitchell-
Dopo aver dato una stretta di mano a suo padre, uscii di casa,
raggiungendo quella splendida ragazza che era riuscita ad ipnotizzarmi.
Mentre camminava nel vialetto di casa sua sembrava più
sicura, i
suoi passi erano più decisi. Mi trasmetteva sicurezza quella
ragazza, nonostante tutto quello che aveva passato era riuscita a
rialzarsi e a vivere senza una cosa fondamentale: la vista. Era
riuscita a combattere, a crearsi nuove abitudini, a vivere nonostante
quel grande disagio che era costretta a sopportare. E aveva un sorriso,
un sorriso meraviglioso, un sorriso che mi faceva capire che era
felice, che nonostante tutto era felice e che aveva coraggio da
vendere.
Prima di salire in sella alla mia moto, le presi entrambe le mani e mi
soffermai a guardarla. Aveva un'espressione confusa, molto confusa, ma
non ci diedi tanto peso. Levai il guanto della mano sinistra,
così che potesse sentirmi meglio. Le accarezzai dolcemente
il
viso, scesi sul collo, tornai su percorrendo con l'indice il suo naso.
Mi soffermai sul suo mento, prendendolo tra l'indice e il pollice.
-Buongiorno, piccola stella- le sossurrai all'orecchio, prima di
sentirmi sprofondare tra le sue braccia sottili.
Justin, cosa stai
facendo?
La sto abbracciando, non vedi?
Ma così ti farai del male.
Lo so.
E non ti interessa sapere che dopo aver passato quel po' di tempo con
te, ti getterà via come una pezza?
Sinceramente? No.
No? NO? Justin, ti conosco meglio di chiunque altro.
Può darsi, ma non cambio idea.
Perché vuoi soffrire?
Perché sento che lei è diversa dalle altre.
Le femmine sono tutte uguali.
Lei a differenza delle altre non ci vede con gli occhi.
E cosa c'entra?
C'entra il fatto che vede col cuore.
-Grazie per non esser scappato via- mi staccai a
malavoglia da quell'abbraccio, guardandola e accarezzandole il viso.
-Perché sarei dovuto scappare?- le chiesi, baciandole
dolcemente la guancia.
-Perché mio padre fa scappare tutti- ridacchiò,
stringendomi la mano. -Andiamo?- annuii impercettibilmente. Da perfetto
idiota insomma, dato che non poteva vedermi.
-Sì- mi affrettai a dire, mettendo il casco.
Presi quello che precedentemente era stato il casco di Selena e lo misi
a quella ragazza che di Selena aveva ben poco. Selena era bellissima,
certo, e l'avevo amata molto. Ma Anastasia, oh.. Anastasia era riuscita
a stregarmi con un solo tocco, era riuscita a farmi percepire la
dolcezza e la delicatezza con una sola carezza. Mi dava attenzioni,
diverse da quelle che ricevevo dalle altre ragazze che avevo avuto. E
mi piaceva, dannatamente. Aiutai la piccola stella a salire in sella,
dopodiché sfrecciai via verso il centro. Avrei voluto
continuare
a correre ancora, sentendo le sue mani abbracciarmi, ma avevo anche una
certa fame dato che non mangiavo dal giorno precedente. Non appena
arrivammo parcheggiai la moto e aiutai Anastasia a scendere,
era
così bello aiutare qualcuno. Sopratutto se quel qualcuno era
una
bella ragazza.
Dolcemente, presi la sua mano e la poggiai sul mio braccio. Mi sorrise
e le sorrisi anche io.
-Justin, posso farti una domanda?-
-Certo, puoi farmi tutte le domande che vuoi-
-Non prendermi per sfacciata o cascamorta.. ma non vorrei mai che un
ragazzo fidanzato uscisse con una ragazza per cui mi chiedevo.. non sei
fidanzato, vero?- rimasi un secondo spiazzato a quella domanda, ma mi
ricomposi pochi secondi dopo.
-No, non sono fidanzato- risposi semplicemente, schiarendomi la gola.
Perché la sentivo improvvisamente pizzicare? -Da un paio di
anni, ormai- continuai, vedendola annuire.
Parlare della mia relazione sentimentale mi metteva a disagio. Insomma,
ripensare ad Hayley e al fatto che mi lasciò poco prima di
sposarci, non era proprio il massimo. Lei sembrò capire,
anche
se sentivo che non era ancora soddisfatta. Ringraziai però
il
fatto che lasciò perdere, così che potevo fare
colazione
senza dover soffocare col cornetto. Una ragazza del Revel Coffe ci
accompagnò al nostro tavolo, da perfetto gentiluomo aiutai
Anastasia a sedersi e, per minuti interminabili, guardai il suo viso.
Perfetto, anche con gli occhiali.
-Allora, piccola stella, cosa prendi di solito?- le chiesi, prendendole
la mano. -Vuoi che ti legga il menù?-
-No, grazie. Prendo un latte macchiato con una ciambella-
-Al cioccolato bianco?-
-Come fai a saperlo?-
-Perché hai la faccia da cioccolato bianco-
-Devo prenderlo come un complimento?-
-Sì, io amo il cioccolato bianco-
Mi sentii scoppiare il cuore non appena vidi le sue gote arrossire.
Chissà se riusciva a percepire il mio sorriso,
perché
altrimenti ero fregato. Non sorridevo mai così tanto, era
tutto
così strano e nuovo per me. Mi sentivo di nuovo un ragazzino
alle prime armi. Con le mie ex non mi ero mai sentito così
bene,
Anastasia riusciva a darmi emozioni diverse. Con Cait ero solo un
ragazzino, quando ci fidanzammo avevo più o meno quattordici
anni e stammo insieme per due anni. Anche se inizialmente mi piaceva,
volevo stare con lei principalmente per il fatto che volessi sentirmi
anch'io come tutti gli altri ragazzini della mia età che
avevano
la fidanzata. Perché, andiamo, cosa può saperne
un
ragazzo a quattordici anni dell'amore? Solo col tempo cominciai ad
amarla, ma non avevo mai sentito le ginocchia tremolare e non avevo mai
cominciato a tremare in sua presenza. Con Anastasia, invece, era tutto
diverso: lei mi trasmetteva magnifiche emozioni, e le mie
capacità motorie potevano pure andare a farsi fottere
quand'ero
con lei. Per quanto riguarda Selena, era bellissima, davvero bellissima
e provai subito sentimenti per lei. Solo che.. la nostra storia era
più basata sullo stare insieme a casa mia o a casa sua, non
mi
aveva mai toccato con gentilezza e delicatezza come mi aveva toccato
Anastasia. Le sue mani erano stupende sulla mia pelle. Mi facevano
sentire emozioni uniche. Anche con lei sono stato due anni,
così
come sono stato due anni con Hayley. Quanto amavo quella donna, ero
capace di fare di tutto per lei, anche di prenderla e di portarla in
giro per l'universo se necessario. Dovevamo sposarci, ma la sua
attrazione per l'altro sesso l'aveva spinta a tradirmi poco prima del
nostro matrimonio. Da quello che avevo capito da Anastasia, dopo il suo
incidente non aveva avuto molti rapporti con i ragazzi.
Be', meglio. Sarebbe stata solo mia.
Caspita però. Due anni con Cait, due con Sel, due con Hay.
Speriamo non succeda anche con Anastasia..
Sempre se ci starai
insieme.
Non sono problemi tuoi.
Ma io sono te.
No, tu sei il guastafeste della serata.
Sono appena le nove e cinque.
E' uguale.
-Justin?- mi chiamò Anastasia, era
così soave il mio nome pronunciato dalle sue labbra.
-Dimmi, piccola stella- le accarezzai dolcemente il viso, facendole
capire che ero lì.
-Come mai mi chiami piccola stella?- mi chiese, sorseggiando il suo
latte macchiato.
-Perché ti sono state rubate due stelle..-le tolsi gli
occhiali,
toccando i suoi occhi -..ma in compenso, la tua forza ti ha dato
l'opportunità di diventare una stella capace di illuminare
di
speranza chiunque ti stia vicino. E poi sei piccola, per cui sei una
piccoal stella- mi stupii delle mie parole, ma non mi vergognai di
pronunciarle.
Perché erano la verità, la pura e semplice
verità.
Per me, Anastasia, era una stella che riusciva ad infonderti speranza.
Era riuscita a dare speranza a me che avevo smesso di sperare anni
prima, poteva irradiare speranza in chiunque. Bastava vederla
sorridere, era veramente una piccola stella. Guardai i suoi occhi, e mi
ci persi. Erano velati di bianco, ma l'azzurro che si intravedeva sotto
era un qualcosa di spettacolare. Chissà com'erano quando non
era
ancora cieca. Ma a cosa importava? Era bellissima lo stesso. E il fatto
che fosse cieca, la rendeva ancora più avvicinabile. Non
fraintendetemi, non volevo certamente approfittarmene. Semplicemente,
era una persona che aveva sofferto come me, per cui poteva capirmi.
-Ma non mi sembra di illuminare così tante persone- Ammise,
abbassando lo sguardo.
-Hai illuminato me, Anastasia. Sai da quanto tempo non sorridevo
così?-
-Da quanto?-
-Da quando la mia fidanzata mi ha lasciato, poco prima di sposarci.
Pensavo di essere senza speranze, di non avere niente.. poi sei
arrivata tu- ammisi, stringendole la mano.
-E cos'ho fatto?- aggrottò le sopracciglia.
-Mi stai facendo scoprire un mondo nuovo, un mondo in cui non
c'è bisogno degli occhi per vedere, ma del cuore per poter
immagazzinare ogni singolo attimo di vita. Non ti conosco nemmeno da un
giorno, e già mi hai fatto capire che rimpiangersi addosso
non
è il miglior modo per vivere, ma bisogna reagire. Come hai
fatto
tu- mi fermai un attimo, rimettendo insieme tutti i pensieri.
-A me sembra di non aver fatto nulla- mi sorrise, ricambiando la
stretta alla mano.
-E immagina se vorresti fare qualcosa. Anastasia, sei una ragazza
davvero speciale, proprio così come sei. E la tua semplice
presenza mi fa capire quanto importante sia vivere-
Sospirai, alle mie stesse parole. Forse ero stato un po' troppo
sincero, ma era quello che sentivo. Sentivo che sarebbe stata in grado
di illuminare la mia vita, come sarebbe stata in grado di illuminare la
vita di chiunque. Forse non si rendeva conto di ciò che era
in
grado di fare a causa dell'insicurezza che dentro sentiva, ma io
riuscivo a vederlo. E riuscivo a sentirlo.
Dopo la breve conversazione, continuammo a mangiare e a parlare e a
scherzare. Era bellissimo stare in sua compagnia, mi sentivo davvero
me, mi sentivo davvero vivo e mi sentivo davvero bene. Dopo aver
mangiato e pagato, uscimmo dal bar e cominciammo a camminare a
braccetto per le vie di Stratford, la mia città innevata era
davvero bellissima. Anche se mancava davvero pochissimo a marzo, la
neve continuava a scendere la notte. Be', infondo il Canada
è
questo.
-Justin..?- mi chiamò, girai la testa verso il suo viso:
aveva rimesso gli occhiali.
-Dimmi, piccola stella- le baciai dolcemente la tempia, mi sorrise.
-Siamo vicini al parco?- strabuzzai gli occhi, non appena mi resi conto
che aveva ragione.
-Adesso sono io a chiedertelo: come fai a saperlo?- le circondai i
fianchi col braccio, facendo scontrare i nostri corpi.
-Sento il profumo di erba, di foglie.. e le urla dei bambini- la sentii
inspirare a pieni polmoni.
E come lei, chiusi gli occhi. Cominciai ad inspirare, ad espirare,
concentrandomi su ogni odore che sentivo. L'odore di gelato della
gelateria affianco al parco, l'odore di erba bagnata, l'odore del
caffé che stava bevendo un uomo al bar, di una brioche
appena
sfornata. E ascoltai, le urla dei bambini, la risata di una ragazza, le
urla al telefono di un signore poco lontano da noi. Riuscivo a
percepire il suo modo di vedere, il suo modo di sentire, di vivere la
realtà. Era un modo diverso, ma che riusciva a farti capire
ciò di cui l'uomo era capace per poter stare bene, per poter
vivere bene.
-Hai visto, Justin? Ha visto il mio modo di vedere le cose?- per tre
volte, enfatizzò la parola 'visto' e 'vedere'. Sorrisi.
-Ho sentito ogni cosa- enfatizzai la parola 'sentito', facendo
sorridere anche lei.
-E' bello, non è vero?- sussurrò, continuando ad
ascoltare.
-Bella sei tu..- le accarezzai il viso, perdendo il controlle delle mie
azioni e delle mie parole. -E il tuo mondo è proprio come
te-
Portai un braccio sulle sue spalle, le baciai dolcemente la tempia e, a
passo lento, cominciai con lei a camminare verso il parco. Sembravo
davvero un ragazzino in preda agli ormoni, sembravo davvero un
ragazzino alle sue prime armi. Quella ragazza, oh che mi stava facendo.
-Mi canteresti qualcosa?- mi chiese, dolcemente.
-Cosa vorresti sentire?-
-Qualcosa di tuo- ci pensai su per qualche secondo.
-Che genere ti piacerebbe ascoltare?-
-Basta che sia tu a cantare. Può anche essere un inno da
stadio- roteai gli occhi, sorridendo.
-Facciamo così allora: oggi pomeriggio vieni a casa mia, e
ti
faccio sentire qualcosa al piano. Ti va?- le chiesi, prendendole la
mano.
-Non è che vuoi stuprarmi?- mi chiese, nascondendo un
sorriso.
-Oh piccola, se potessi vedermi mi stupreresti tu- ridacchiai,
trascinando anche lei.
-Non c'è bisogno di vederti per capire che sei un bel
ragazzo- mi mise una mano sul petto, delicatamente.
-Allora, ci stai?- le presi delicatamente le mani, avvicinandomi al suo
orecchio.
-Ci sto- affermò, facendomi provare tantissimi brividi lungo
la spina dorsale.
Anastasia.
Che cosa mi stai facendo?
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Notturne, a rapporto!!
Hola chicas, como estate?
Io sto.. discretamente.
Quando uso sti termini mi sento tanto.. 'acculturata' lol.
Quando invece sono una mezza cafona ahahahah.
Ma tornando serii!
E tornando alla storia sopratutto.
Ricordo che quando ho scritto questo capitolo, cancellavo e
ricancellavo.
Non sono molto soddisfatta, ma spero che colpisca il significato della
scena finale.
La vita è un dono meraviglioso e il corpo umano è
in grado di adattarsi a tutto.
Manca l'udito? Esiste la vita, la lingua dei segni.
Manca la vita? Esiste il braille e tutti gli altri sensi.
Insomma, in breve abbiamo davvero un corpo creato in maniera
meravigliosa.
E non dobbiamo discriminare coloro a cui 'manca qualcosa di
fondamentale'.
Peché nulla è fondamentale quanto la vita e il
rispetto che abbiamo di questa.
Vi
aspetto nelle recensioni, tesori miei.
Al prossimo capitolo, bellezze.
Much love.
-Sharon.
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