Sei romantico come... un camionista analfabeta.

di Darkry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Evelyn ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Amy ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3, Sarah ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. E chi ha detto che la vendetta è amara? Ha un sapore COSI' dolce... ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Ritorno alle origini. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. He is back. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. Il Medaglione ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Sorrisi nell'oscurità. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. Katherine ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. Non esistono casi disperati e nulla che non possa essere cambiato. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. Palle, spade e vagine. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. Puoi andare in capo al mondo, io ti troverò. E ovunque, sarai mia per sempre. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. Bye bye Mister Parfume. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. Party ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. Evelyn vs. Kyle ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. Fuck to the new age. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. Climax ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. Messages ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. Incontri. Due capriole nel paese di Fanculo. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce. Parte 1 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24. Massi di notte prima degli esami. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce. Parte 2 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. Un cambiamento improvviso. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27. Tenebre ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. Ospite inatteso. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29. Patti ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30. Gita al mare. ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31. Confusione. ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32. Stacchiamo la spina. ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33. La vita è uno schifo. ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34. Puzzle. ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35. Ritorno a casa. ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36. Honey. O quasi. ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37. Fuck, shit! ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38. Fantasmi ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39. Normal Teenager's Life. ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40. Start! ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41. Burned. ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42. Amy la squartatro... te. ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43. Pieces of Heart. ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44. Hearts broken and bad boys. ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45. Conti in sospeso. ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46. Solo la verità. ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47. Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Evelyn ***


Capitolo 1.

Evelyn.


Kyle ha diciassette anni, un bel corpo asciutto e proporzionato, capelli ricci di un biondo che ricorda il colore del grano al tramonto e occhi nocciola, di quel marrone fuso che non è marrone, perché il termine m a r r o n e è un brutto termine per definire il colore dei suoi occhi. Il loro colore è qualcosa che assomiglia all’oro scuro fuso al cioccolato al caramello, acceso poi, da quella luce scherzosa e maliziosa che è impossibile definire. Kyle va al liceo classico e la sua ragazza è nella classe accanto a quella che frequenta.
Bella, gnocca, capelli ricci lunghi di un castano tendente al biondo, un paio di occhi azzurri di una limpidezza accecante, quella del cielo freddo del primo mattino, senza nuvole, solo una distesa sconfinata di celeste infinito. Taylor, così si chiama, ha un bel corpo e un portamento da principessa, di quelli che usano le persone che vogliono stare sempre al centro dell’attenzione. In classe con Kyle, c’è Evelyn, una ragazza semplice, di quelle normali, quelle che passano inosservate, quelle che non vengono prese più di tanto in considerazione solo perché non portano lo smalto glitterato alle unghie o perché  non vanno dalla parrucchiera ogni due pomeriggi sotto appuntamento. Una di quelle che non ha un ragazzo più grande e popolare, una di quelle che sa che per andare da qualche parte nella vita bisogna studiare, darsi da fare, una di quelle che non indossa capi firmati Dolce e Gabbana, Gucci o Cavalli. Evelyn è caffè, Evelyn è sapore di una vita diversa, ha occhi color cioccolato al latte e ricci scuri che scendono morbidi lungo la schiena. Evelyn è esile, non ha il corpo di una ballerina ma quello di una normale adolescente con gambe e braccia toniche grazie alla palestra che frequenta due volte a settimana.
Forse è per questo che Kyle si diverte a prenderla in giro e a tormentarla. Forse perché Evelyn è una di quelle poche ragazze sulla faccia della terra che arrossisce ancora quando un ragazzo le parla. Dopo l’ennesima frecciatina, Evelyn esplode con le amiche: -Basta! Quello scemo non ha capito con chi ha a che fare! Non è che siccome è carino può permettersi di fare ciò che vuole! Da oggi si cambia musica, deve smetterla!
Sarah e Amy annuiscono, dandole ragione.
Kyle è simpatico, ma dopo un po’ sfonda il limite della sopportazione e Evelyn proprio non può sopportare quando viene presa a caricatura.
Amy, a casa, ripensa a tutto ciò che è accaduto.
“Sì, Evie ha proprio ragione! Non è che se quello è carino può permettersi di fare ciò che vuole! Sì, ha ragione! Non è che se se ha un bel viso o un bel corpo può permettersi di fare il cretino sbruffone!! … Sì! Ora chiamo Evelyn e le dico che è pazza!!! Ma come si fa a poter anche solo pensare a una cosa del genere? Si cambia musica?!? Oh, Cristo santo, ma l’ha ben visto in faccia quel figo?! Cavoli…”
 

*WHAWAIEAH!
Salve gente! :D eccomi che ritorno… questa “long” mi è venuta in mente oggi mentre facevamo arte… xD
La sto scrivendo solo perché mi sto rompendo un po’ le palle a non aggiornare, a non scrivere, a non fare niente anche se la scuola mi assorbe forze ed energie e trovare la connessione ad internet è un miracolo!
Non so come andrà a finire, non so se avrà un seguito, non so niente! Posso solo dirvi che molti degli avvenimenti saranno ispirati a fatti reali arricchiti dalla mia fervida immaginazione e che inserirò persone davvero esistenti nella mia vita: amici, parenti, spasimanti, conoscenti, estranei, me medesima…
Bah… xD
:) Spero vogliate seguirmi in questa nuova pazzia, sebbene non so nemmeno io cosa aspettarmi.
Sarà una sorpresa generale, va’.. :)
Un bacione belli! Mi mancavano i miei shoccanti Whawaieah!
Sono fuori allenamento.
Salut!
:* <3
Kry <3 <3 <3
 
ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. Amy ***


Capitolo 2.
Amy

 
Amy entra nella bottega. Ora le spettano due ore di vita. Le uniche ore che può permettersi in tutta la settimana.
Mormora un “ciao” rauco a causa del freddo e si toglie gli auricolari, mettendo a tacere i Linkin Park e la sua voglia di saltare sfrenatamente e combinare casini con “Burn it Down”.
Chiude la porta dietro di sé, affrettandosi a liberarsi della giacca, per non perdere nemmeno un minuto di vita. Nemmeno un minuto in cui il mondo e tutti i suoi problemi del cazzo vengono messi a tacere.
Amy è cioccolato al peperoncino, con una spruzzata di panna e bocca di fragole. I capelli lisci e spettinati vorrebbero ricordare un caschetto color caffè, la pelle è bianca con labbra rosse mangiucchiate e la punta del naso rosa per il freddo. Gli occhi scuri sono marcati da una spessa linea di matita nera, lei è tutta nera, veste di nero e quando sorride, una piccola fossetta le sbuca sull’angolo sinistro della bocca.
Posa sciarpa e guanti e prende la tela su cui sta lavorando. Pennelli, colori, tovaglioli, grembiule felice con macchie colorate e tanta buona volontà. Si scosta un ciuffo dagli occhi e inizia a lavorare. La mente si svuota, non esiste nient’altro che lei e il suo quadro, lei e i colori, la sua mano, il pennello, il profumo acre dello spray spruzzato sui lavori e il raschiare delle setole sulla tela. Non esiste nient’altro.
Ore scadute.
Amy torna a casa, i Linkin Park che riprendono a cantare a palla da dove si sono interrotti, il freddo pungente che le graffia la pelle, la squallida realtà nella quale è stata bruscamente catapultata. Mondo di merda.
Sospira, affranta. Vorrebbe tanto avere la capacità di creare un mondo con le sue mani. Come se bastasse disegnarlo per poter essere catapultata all’interno. La vita è troppo reale, c’è troppa assenza di colori, è troppo normale, troppo…
Il cellulare vibra, interrompendo i suoi pensieri.
Amy legge il messaggio di Tate, agghiacciata.
… rompicoglioni.


*WHAHWAIEAH!
Ehilà :)
Molte cose si chiariranno con l’andare avanti, verranno narrati altri episodi che sono accaduti, ma che magari non hanno niente a che vedere con l’intero svolgimento della storia.
Spero vi piaccia.
Per il momento non voglio scrivere capitoli troppo lunghi, vorrei prima farvi entrare nella psicologia dei personaggi :)
Per chi vive nella mia vita reale e nel mio mondo di merda, potrei cambiare alcune caratteristiche.
Vale a dire: se voi persone che sapete di essere incluse nella storia non vi riconoscete, per alcuni punti caratteriali, non fatemene una colpa. Vi adoro così come siete, ma è più forte di me cambiare qualcosa.
Au revoir!
Sono un po’ depressa perché non so cosa penserete di tutta ‘sta roba… :(

Kry <3

PS: Prima che posso vi metterò le foto dei personaggi ;p Ho delle belle sorprese per voi!
 
ORDER OF THE PHOENIX*
 

 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3, Sarah ***


Capitolo 3. 
Sarah.

 

Sarah sorride soddisfatta, chiudendo i libri di latino. Si stiracchia e invia un messaggio ad Amy e a Evelyn.
“Ho appena finito di studiare. Venite su face?”
Preme il tasto invio e si connette ad internet.
Il cellulare sibila e guarda lo schermo.
Amy: “Ma come cazzo fai? Io sto ancora al quinto rigo della versione! Mi sa che mi metto a dormire.”
Sarah ridacchia e naviga un po’ su facebook, cercando notizie su Sam 5, taggando Amy ed Evelyn ogni dove appare Marco Bocci e guardando le foto della festa di carnevale di qualche giorno prima.
C’era voluto molto per organizzarla, ma alla fine era uscita bene! Si erano divertite molto. Amy si era vestita da barbona, con un cartello appeso al collo con su scritto HO FAME e dall’altro lato HOMELESS.
Sarah ridacchia al pensiero che la sua amica, alla fine, si ritiene davvero una senzacasa. Lei invece si era vestita da cowboy, con tanto di stivali e gilet di pelle e un bel cappello dalla falda larga calato in testa. Evelyn da piratessa, munita di uncino di gomma e benda sull’occhio.
Sarah sospira e le labbra si tendono in un sorriso solare e vellutato, tutto fossette.
Sarah è una ragazza luminosa, sa di ghiaccioli e giornate felici. Ha capelli neri di media lunghezza, occhi di cioccolata fondente e naso a patatina.  
È una di quelle ragazze che appoggiano sempre le amiche e sanno come tirar su il morale dopo una giornata pesante.
Sarah è zucchero filato, calore in un abbraccio, amore in un sorriso, occhi che brillano per qualsiasi cosa.
Il suo essere sempre buona e solare è una caratteristica che non perde quasi mai. E, per le sue amiche, è come portarsi sempre dietro il sole, un sole caldo, avvolgente e invadente, che con i suoi raggi illumina anche le giornate più buie.


*WHAWAIEAH!
Okay, so che non è granché come capitolo, ma cercate di capirmi… ho appena finito di studiare, le mie sorelle cantano a squarciagola e si sentono anche sopra ad Iyaz. Sono disperata.
Senza contare che quando scrivo questa long non so che cosa accadrà o ciò che ho in serbo per voi, è quasi una rivincita che voglio prendermi sulla scuola e sul tempo che mi leva.
Spero che non sia troppo pesante come lettura, almeno quello.
Sennò davvero posso dire di essere una fallita coi fiocchi.
Sopra vi ho messo l’immagine di Sarah :) ne seguiranno altre dal prossimo capitolo, oltre che “all’azione” vera e propria.
Un bacione, siate gentili, ho il cervello fritto.
<3 Kry.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. E chi ha detto che la vendetta è amara? Ha un sapore COSI' dolce... ***


Capitolo 4.

E chi ha detto che la vendetta è amara? Ha un sapore così dolce…



 


È la sfiga.
Amy direbbe che: ce l’abbiamo proprio appiccicata in culo.
Tanto per cominciare siamo sedute ai primi banchi, sotto lo sguardo scrutatore dei prof, che non appena notano qualche poverino distratto lo flagellano con domande e gli appioppano un bell’impreparato.
Poi, come se non bastasse lo stress accumulato dallo studio, da questa struttura fatiscente e dagli sguardi assassini dei prof che godono nell’incuterti terrore, abbiamo pure i nostri problemini. Le ochette sedute dietro di noi, ad esempio.
Ma in questo momento sono proprio l’ultimo dei nostri problemi.
Kyle si avvicina. Amy sta parlando con Sarah, ma non appena lo vede avvicinarsi avvolge il suo banco come una coperta, proteggendo tutti gli oggetti che sono sopra. Ormai abbiamo capito la filosofia di vita di Kyle Anderson. Ogni volta che si alza e viene verso la porta ci butta puntualmente qualcosa all’aria e non si ferma sino a quando non gliele strappi dalle grinfie. All’inizio Amy rispondeva con un garbato: Che palle, Kyle! Smettila di rompere!, mentre io mi limitavo al mio educato: Smettila.
Ora, però, abbiamo capito come funziona e non appena lo avvistiamo avvicinarsi, mettiamo al riparo tutte le cose sui nostri banchi. Guardo la superficie del banco di Amy. È completamente ricoperta di disegni e scarabocchi. Posso solo immaginare ciò che il bidello nullafacente le urlerà quando entrerà per pulire. Il banco di Amy è sempre stracolmo di roba. Libri, quaderni, matite, fogli occupano tutta la superficie liscia, tanto che la mia amica ha da tempo rinunciato a mettere via tutto e preferisce stendersi letteralmente sul banco per impedire che le sue cose volino.
Amy è piuttosto paziente. O meglio.
Non le piace mischiarsi con la gente.
Non che sia snob, assolutamente.
Solo che sta meglio per conto suo, con la sua musica, i suoi disegni, i suoi amici stretti e le sue pazzie quotidiane. Non è una che ama mettersi in mostra, non è come le oche qui dietro. Tutte loro hanno un fidanzato ricco e più grande, che amano sfoggiare quasi come se fosse merce preziosa. A volte si buttano addosso a Kyle, gli stampano baci sulle guance e lui le lascia fare, scherzando. Mi chiedo quale sia il suo vero volto. A cosa puntino le sue persecuzioni su di me.
È molto simpatico, lo ammetto, mi fa ridere quando mi imita, ma a volte sembra proprio che lo faccia per insultarmi, per deridermi, per ferirmi
È questo che non sopporto. La falsità. E Kyle è la persona che più mi ispira questa parola. Me lo ripeto mentre lo fisso avvicinarsi, con quel suo sorriso obliquo sul volto. Falso, falso, falso, falso.
Solo quando è a pochi passi da me ricordo di non aver tolto nulla dal mio banco. Per fortuna sopra c’è poco. Agguanto tutte le penne e le ficco nel borsellino, controllando che tutti i libri siano al sicuro, sotto al banco. –Ehilà, Evelyn! Sorridi un pochino, sembri sempre una morta quando ti guardo!- dice, e fa una blanda imitazione della mia faccia in trance. Sarah ed Amy scoppiano in una risata convulsa e confesso che anche a me sfugge un piccolo sorriso imbarazzato. Sento il volto in fiamme e le orecchie bollenti.
Posso solo immaginare che sfumatura sta assumendo il mio viso. Kyle continua a fare gli occhi strabici e semichiusi, la bocca aperta in una smorfia da ebete e le mani che sfiorano il viso.
-Ma dai, che non è così!- tenta Amy a voce bassa, stanca anche lei di quel gioco.
Kyle la fissa, anzi fissa i banchi e prende un evidenziatore che sbuca da sotto al braccio di Amy.
-Porc…- Amy non finisce di parlare che l’evidenziatore è già in aria a compiere giri acrobatici e capriole degne di un atleta olimpionico. Amy difende il suo territorio meglio che può, ma si vede che è in difficoltà, ci sono troppe cose e lei ha solo due mani. Cerco di aiutarla a raccogliere tutti gli oggetti e a sistemarli meglio che possiamo, lasciando andare il mio borsellino. Kyle fa per prendere il diario di Sarah, ma lei è più veloce e lo acchiappa prima di lui. In certi momenti mi sembra proprio un giocoliere. Ma lo divertono tanto certi giochi?
Sento le galline che ridacchiano dietro di noi, guardandoci andare in confusione.
No, è la mia risposta. Servono a farlo stare ancora di più al centro dell’attenzione. Stupido cretino! Kyle riesce a prendere la gomma di Amy e lei rimane agghiacciata. Kyle lancia in aria la gomma e inizia a palleggiarci con i piedi, come se fosse un pallone.
Oh. No.
Gli occhi di Amy sono fermi sulla sua preziosissima gomma rotonda. Dice che non se ne trovano più di così buone. A me le gomme per cancellare sembrano tutte uguali, ma lei ha una concezione diversa dalla mia in campo artistico e se lei dice che quella gomma è la migliore per quando disegna, non posso far altro che credere che sia così. Io sono una frana in disegno. Non ci provo nemmeno. Kyle perde la gomma, come era prevedibile che accadesse e Amy si tuffa sotto il banco, alla ricerca del suo bene prezioso, che si mimetizza alla perfezione con il pavimento. In questi momenti Amy mi sembra un po’ fuori di testa e so che se la sua attenzione non fosse del tutto presa dalla gomma, e che se lei amasse stare al centro dell’attenzione, Kyle adesso si ritroverebbe pieno di lividi e col naso sanguinante.
Io e Amy siamo molto simili sotto questo punto di vista. Rapide e impulsive.
Troppo, troppo, troppo impulsive, a volte mi ripeto. È che il cervello in certe situazioni smette semplicemente di funzionare, si spegne e basta e nella foga del momento non stai certo a pensare se trattenerti o altro dal dire o fare cose stupide. Amy alle mani è molto più incline di me, ecco. Io grido e parlo, senza dire parolacce se mi riesce, lei invece impreca gridando ma quando perde proprio la testa non la vede più nessuno. Diventa fuoco. Fortunatamente io non l’ho mai vista in questo stato con me, anche se una volta ci siamo scannate di brutto a casa di una nostra amica. Poi ci siamo guardate, ci siamo chieste scusa a vicenda e, anche se ancora un po’ rigide, ci siamo messe a mangiare dalla stessa ciotola di pop-corn. Subito dopo stavamo ridendo come due stupide di quello che avevamo fatto poco prima.
È questo il bello nell’avere Amy come amica. Sappiamo capirci, sappiamo quando alcuni comportamenti irritano una di noi semplicemente perché anche all’altra danno fastidio. E quella sfuriata è stata come una prova. Da allora, abbiamo capito di essere fatte della stessa pasta. Era quasi una prova per la misura della nostra forza, dove io testavo lei e lei me. O almeno, ora la vedo così. Allora eravamo semplicemente incavolate marce, punto.
Kyle butta a terra altri oggetti di Amy, ma ce ne sono così tanti che Amy alla fine rinuncia a raccoglierli e aspetta a braccia conserte che Kyle abbia finito di ripulirle il banco. Vedo la sua mascella serrarsi mentre gli lancia occhiate di fuoco. Se la conoscesse bene la rispetterebbe di più, se si conoscessero bene e fossero fuori dal contesto scolastico, Amy gli avrebbe già “rotto il culo”.
 Kyle prende il mio borsellino e lo apre.
So che questi non sono atti di bullismo, sta solo scherzando, vuole solo farmi perdere la pazienza e mettersi in mostra davanti a tutti. In fondo è una persona buona. Con fini strani ma pur sempre una persona buona che sa fare discorsi seri.
Cerco inutilmente di afferrare le penne mentre le fa volare sul pavimento. Mi alzo dalla sedia. –E ora?- gli chiedo. –Che hai intenzione di fare, ora? Non ci sono più oggetti sul banco!
Il mio guardo è una sfida e ho la bocca curvata in un sorrisino arguto. Kyle mi guarda, affondando i suoi occhi caramellati nei miei. Poi un angolo delle sue labbra si solleva all’insù. Vedo le mani serrarsi lungo il bordo del mio banco, aggrotto le sopracciglia, non capendo cosa vuole fare. Con uno scatto poderoso delle braccia solleva il banco per il bordo, ribaltandolo. Tutti i libri che erano sotto al banco cadono a terra, si aprono, alcune pagine sono piegate, tutte storte. Kyle appoggia il banco a terra, con garbo, come se non fosse successo praticamente niente. Intorno a me scoppiano le risate. Guardo Amy dietro Kyle, la bocca spalancata e gli occhi sgranati, che non crede a quello che è successo. So che la sua espressione rispecchia appieno la mia. Sarah è immobile. Kyle… Kyle mi guarda con un sorrisetto dispiaciuto, che si prende gioco di me, mentre i suoi occhi brillano per lo scherzo appena fatto. Il sorrisetto si trasforma in una vera e propria risata. Sento qualcosa crescere dentro di me. Stringo e apro i palmi delle mani più volte, ficcandomi le unghie nei palmi e cercando di rallentare il respiro. Lo guardo. –Ora ti faccio vedere io.- sibilo. La risata scompare dal suo volto, mentre mi giro e sguscio tra tutte le persone che mi stanno davanti e che occupano lo spazio tra i banchi. Sento che Kyle cerca di raggiungermi capendo cosa voglio fare, ma lui non è piccolo come me, non mi raggiungerà abbastanza in fretta, le persone lo bloccano, infatti. Il suo banco è dalla parte opposta rispetto al mio. Raggiungo il fondo dell’aula, l’ultima fila, l’ultimo banco, il suo banco. Poso una mano sulla superficie e con un gesto solo faccio cadere tutto quello che c’è sopra. Non mi sono mai sentita meglio di adesso. La vendetta ha un sapore così dolce. Svuoto il banco anche da ciò che c’è sotto e quando mi giro per ritornare al mio posto vedo Kyle con un’espressione a metà tra lo stupefatto e l’inorridito. Si affretta a raccogliere le sue cose mentre io torno al mio posto a raccogliere le mie. Alcune persone attorno a me ridacchiano, altre mi guardano stupefatte. Amy è a terra in mezzo a tutti i suoi libri che si regge la pancia mentre ride così forte che ha le lacrime agli occhi. Cerca di riprendere fiato e io rido con lei. –Sei…- mormora con un sospiro mentre cerca di rimettersi in piedi. –Sei stata grande!
Sul mio viso si apre un sorriso aperto e luminoso. Non mi faccio mettere sotto da tipi stupidi come Kyle Anderson. Ascolto distrattamente Amy mentre mormora una sua teoria su banchi ermetici dai quali non può cadere nulla da sotto il banco e nel frattempo mi godo la mia vittoria.

 


*WHAWAIEAH!
Eccola qui, fantastica e super sexy!! Aieah! O.o 
Salvatemi!! xD
Nada, non so proprio che dire... mi avete trovato nel giorno giusto, niente scleri oggi..
Stress a 1000... Vaaabèè :p
Un bacione bellischimi!!! :*
Spero che vi vada tutto bene..
La scuola è un incubo come sempre!! D:
Che la buona sorte sia sempre a nostro favore!! <3
Kry <3
PS: Quella sopra è Evelyn.. :)
E quello che sta sotto Kyle... <3

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Capitolo 5.

«Amy? :((»

 

Amy.

Siedo sullo stretto davanzale di marmo della finestra della mia camera, mentre i miei occhi cercano di carpire quanti più anfratti di vita possibile. Il freddo del marmo ghiacciato mi penetra le ossa ma non importa. Mi piace osservare la gente.
Il cielo è ancora chiaro, ma si vede che fuori fa freddo. Alcune persone camminano tutte infagottate per le strade deserte e mi immagino di sentire il rumore dei tacchi delle loro scarpe risuonare sull’asfalto, la lana dei guanti accarezzarmi liscia il volto, mentre mi alzo il bavero del cappotto.
Mi sorprendo della rapidità con la quale mi immergo nelle vite degli altri. Un attimo prima le osservo, l’attimo dopo immagino il sapore dei loro gesti, l’odore della loro casa, la loro vita, i nipotini, i figli, le sorelle. Guardo alcuni uccelli volare sopra la mia testa e mi chiedo perché mai l’uomo sia sprovvisto di una cosa così bella come le ali.
Le ali sono il mezzo per fuggire via, scappare, volare da qualche parte in qualche posto tutto tuo. Sospiro, spostandomi dalla fronte alcuni capelli che mi pizzicano gli occhi. Il cellulare mi vibra nella tasca dei jeans. Lo estraggo, attenta a non cadere, e lo apro. Un nuovo messaggio. Mi passo la mano tra i capelli e il mio cuore accelera i battiti, mentre vedo chi me l’ha inviato. Tate.
Sta diventando una persecuzione.
Perché, perché, perché gli ho dato il mio numero, Cristo Santo?
Lo leggo.
“Amy? :(( ”
Che palle, basta!
Chiudo il cellulare con un gesto secco e lo lancio sul letto.
Non voglio rispondere. Non gli risponderò mai più.

***

Prima.

Evelyn aveva ricevuto dei messaggi da un ragazzo che non vedeva da tempo. Alle medie avevano anche avuto una storia, ma si erano lasciati quasi subito.
Gabriel, voleva incontrarla di nuovo.
Amy e Sarah si erano offerte di accompagnarla, vedendola molto insicura, e Gabriel aveva portato un amico. Tate, per l’appunto.
Pian piano la tensione iniziale si era sbloccata e avevano parlato piacevolmente di un sacco di cose. Amy e Tate avevano parlato insieme per più o meno due minuti e lui le aveva chiesto se andasse alle medie.
Amy lo guardò storto. –Ho capito che l’altezza non aiuta, ma addirittura alle medie…?
Tate sembrava imbarazzato, cercò di dire qualcosa, ma Amy lo bloccò con un gesto della mano e gli sorrise. –Ho sedici anni.
Stessa età.
Il giorno dopo Amy stava studiando filosofia e il telefono prese a vibrare. –Ehi, Sarah.
Amy sorrise.
-Ciao Amy, siamo io e Evelyn, vuoi uscire?
La voce dell’amica le arrivò stridula all’orecchio, come se stesse tossendo o ridendo, non si capiva.
–Ehm…- Amy diede un’occhiata ai libri di filosofia e a quelli di matematica, che non aveva ancora aperto. –Veramente dovrei ancora finire di studiare.
-Ah.
Mormorii dall’altro capo. –Sarah?- Amy aggrottò le sopracciglia mentre sentiva Sarah bisbigliare con Evelyn qualcosa del tipo “No, non sa se può uscire. Io glielo dico. Deve saperlo! Okay, glielo dico…”.
-Amy?
-Sì?!?
-Sicura di non poter uscire?- la voce di Sarah era ansiosa, trepidante, tesa.
-No, cioè, non lo so. Si può sapere che cazzo succede?- Amy iniziava a sentirsi nervosa.
-Beh, senti dal momento che probabilmente non esci te lo dico.
-Okay.
-Okay.
Silenzio.
Risolini striduli.
-Sarah. Dimmi che cazzo succede.
-Sì. Allora, è arrivato un messaggio ad Evelyn, da parte di Gabriel pochi minuti fa.- Sarah si interruppe, per vedere se Amy stava seguendo.
-Mhmm.- Niente che riguarda me, per fortuna.
-Beh, Gabriel ha chiesto ad Evelyn se poteva avere il tuo numero per poterlo dare a Tate.
-Che cosa?!- Amy si alzò di scatto dalla sedia, il cuore a mille, senza fiato.
Dall’altra parte del telefono si sentì trambusto e poi risuonò la voce squillante di Evelyn. –Amy, ti leggo il messaggio. “Ehi Evy, Tate vuole il numero di telefono di quella tua amica che se ne andò prima, ieri. Puoi darmelo?” Io gli ho risposto che prima avrei chiesto a te. Che cosa dico?
-NO!- la voce di Amy risuonò stridula e più alta di un’ottava.
-Amy, rifletti. Non posso dirgli di no, sta male. insomma, alla fine vuole solo il tuo numero poi tu puoi scegliere di non rispondergli.
Silenzio.
-Amy? Sei ancora lì?
-Ho detto di no. Non lo conosco e non voglio conoscerlo.
-Dai, Amy!- la voce di Sarah era quasi supplicante. –Così poi ci dici tutti gli erroracci che fa quando parla!
Amy fece una smorfia. Tate aveva la loro stessa età, sì, ma era stato bocciato e ora aveva un lavoro. Non era una persona cattiva, ma nemmeno una di quelle con cui passeresti il tuo tempo a parlare. Troppo ignorante. Amy non aveva nulla in contrario alle persone che avevano lasciato la scuola, o che lavoravano. Non era in base a questo che giudicava una persona, lei. Ma Tate era davvero troppo. Non potevi farci nemmeno un discorso serio, non avrebbe capito! Già non capiva le battute normali.
-Amy.- di nuovo la voce di Evelyn. –Ti prego, che figura ci faccio? Quello ci rimane male se gli diciamo di no!
E ci rimanesse male, sai chissenefrega!
Amy chiuse gli occhi e reclinò la testa all’indietro. Sapeva già che se ne sarebbe pentita. Lo sapeva.
-Okay.
Dall’altra parte del telefono le sentì esultare.
-Ci vediamo tra mezz’ora. Tanto non riesco più a studiare, ora.- mormorò.
 

 Tate.


*WHAWAIEAH!
Il whawaieah è corto perchè vado di fretta... 
spero solo che vi sia piaciuto.
Aspetto un vostro commento e spero che vogliate lasciarmelo.
Un bacione, belli!! :*

Kry <3 <3 <3

ORDER OF THE PHOENIX*

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. Ritorno alle origini. ***


Capitolo 6.

Ritorno alle origini.

 
Cerco il coraggio per dirglielo.
Ormai siamo a pochi metri da scuola e non è proprio il caso affrontare l’argomento lì dentro. Mi mordo le labbra, indecisa.
-Mi è arrivato un messaggio anonimo, ieri.- sputo alla fine, quasi senza respirare.
Amy ed Evelyn mi guardano, aspettando che continui.
Non si può più tornare indietro. È solo che rivangare questa faccenda mi fa solo stare male. Mi fa ancora male, nonostante sia passato così tanto tempo, nonostante io abbia superato il mio dolore, abbia capito che per certe persone è inutile buttare via il sangue. Nonostante io abbia respinto queste persone definitivamente. Beh, non tanto definitivamente a quanto pare. Il dolore è ancora qui, come una spina tra le costole, incurabile.
-Diceva: “Ti amo ancora, ma tu hai smesso di farlo.”
Scruto i volti di Amy e di Evelyn. Sono silenziose, mi guardano attentamente con i loro occhi scuri.
Alla fine Amy rompe il silenzio. –È chi io penso che sia?
Loro sanno tutto.
Tra amiche non ci si nasconde nulla, del resto.
-Non lo so, tu cosa pensi?- le chiedo, cercando di guadagnare tempo. Non ha senso, lo so, ma è l’unica cosa che posso fare.
-Mr. Stronzo, Boss del cazzo?- mi chiede sollevando un sopracciglio.
Non ho ancora fatto l’abitudine a quanto Amy dica spesso le parolacce.
Annuisco, cercando aria che i miei polmoni non hanno immagazzinato.
-Che stupido.- mormora Amy, scuotendo la testa. –Non ha alcun senso mandare messaggi anonimi di questo genere! Insomma, non ha le palle il cristiano!! Lo fa solo per rispuntare così, dopo tanti anni, e lasciare la povera vittima a farsi domande esistenziali del tipo: “Forse è lui… ma non ne sono sicura, ma… e se fosse…? No, è lui senz’altro!”. Insomma, un po’ di coerenza! L’hai fatto il gesto, fallo bene! Manda un messaggio normale, col tuo nome scritto sotto, così io vittima non mi faccio mille seghe mentali appresso a te e posso anche risponderti elegantemente di fotterti quella testa di cazzo che…
-Non è mai stata una persona coraggiosa.- la interrompo io prima, per farle riprendere fiato. Amy è altamente protettiva con i suoi amici.
-Sono d’accordo con Amy.- si pronuncia Evelyn. –Inviare messaggi anonimi di questo genere non servono di certo a risolvere la situazione. Sono inutili, anche perché non puoi nemmeno rispondergli..
-Di centrare il buco del culo di sua nonna e non farsi più vedere!- esclama Amy infervorata.
Mi costringo a fare una mezza risatina.
-Ma se fosse lui… - riprende Evelyn –Lo incontreresti anche solo per vedere cos’è cambiato, se lui è cambiato?
-No,- e su questo non ho dubbi.
Stavolta anche Amy mi guarda un po’ contrariata. In fondo in fondo è una romanticona e sospetto già cosa mi direbbe di fare.
-Ho davvero buttato il sangue per quel ragazzo. Ho fatto tutto ciò che non avrei mai fatto per nessuno, ho messo da parte il mio orgoglio per capire cosa stava succedendo, ma non è servito a niente. Non lo incontrerei. È un capitolo chiuso, che se ne faccia una ragione. Io me la sono fatta quando non ho avuto alcuna risposta e mi sembrava di sbattere contro un muro di gomma.
Loro non dicono niente.
So che rispettano la mia decisione, ma che persino Amy non partirebbe in maniera così prevenuta come faccio io. Amy che è sempre sul piede di guerra con tutti.
Scuoto la testa, continuando a camminare.
Non lo farei mai.
Tradirei il rispetto che ho per me stessa e un po’… un po’ sarebbe come un ritorno alle origini.
 
 
***
 
Prima.
 
Sarah si era appena trasferita in un nuovo complesso. I palazzi si ergevano alti e imponenti e si affacciavano tutti su di un ampi giardino ricolmo di fiori.
Non c’era niente delle strade sporche di città, lì si trovavano in periferia, una zona isolata e baciata dal sole, tranquilla.
Nei palazzi c’erano altri ragazzi della sua età, con i quali in quei giorni aveva fatto amicizia. Lee, era uno di quelli. Occhi azzurri, capelli rossi, una furia della natura. Aveva un sorriso contagioso che ti faceva incantare e un carattere di fuoco, come i suoi capelli.
Erano subito diventati buoni amici.
Poi c’era sua sorella, Alice. Dolce, frizzante e comprensiva. Un’amica con la quale potevi parlare di tutto, che sapeva mantenere i segreti.
E poi, c’erano quelli con i quali non aveva stretto ancora alcun legame. alcuni ragazzi con i quali Lee ed Alice uscivano, ad esempio, e che lei non aveva ancora conosciuto. E poi c’era quella ragazza, quella amica di Alice. I loro balconi erano uno di fronte all’altro, e Sarah ricordava di quella volta in cui si era sporta dalla ringhiera e aveva incontrato i suoi occhi freddi.
Si erano scambiate un’occhiataccia e da allora se si incrociavano voltavano entrambe lo sguardo da un’altra parte.
Una pomeriggio, Lee convinse Sarah ad uscire con il gruppo.
Faceva caldo, era estate e sarebbero rimasti un po’ nel giardino a parlare, scherzare, chissà.
Sarah scese i gradini e raggiunse Lee, che la aspettava sorridente sotto il  suo portone.
-Sei sicuro? Insomma, voi uscite da più tempo e io..
-Stai tranquilla- sorrise lui. –Andiamo.
Si incamminarono verso il centro del giardino, dove aspettavano tutti gli altri. Quando arrivarono, Sarah iniziò a scrutare le persone di fronte a lei. C’era Alice, che la salutò subito con un sorriso. Poi c’era quella ragazza antipatica e Sarah distolse subito lo sguardo, infastidita. Dietro di loro stavano parlottando tra loro due ragazzine minute. Una era magrissima, con i capelli biondi a caschetto e la matita nera calcata sugli occhi. L’altra aveva folti riccioli dai riflessi ramati, e occhi di un verde estremamente limpido.
Avanti, come se si fossero schierati a difendere il loro territorio, stavano due ragazzi. Uno scheletrico, moro e con gli occhi scuri.
L’altro, l’esatto opposto. Era la perfetta raffigurazione di un angelo. Occhi limpidi e chiari come quelli del cielo d’inverno e capelli biondi del colore delle stelle. Sarah notò senza fatica che gli sguardi di tutte le ragazze erano in adorazione del bell’imbusto dagli occhi d’angelo. Anche il gracilino di fianco a lui sembrava in sua adorazione.
Assomigliava ad un picciotto malavitoso.
Sarah scosse la testa, scacciando tutti quei pensieri e accennò un sorriso.
Occhi d’angelo parlò e i chiacchiericci delle ragazze si interruppero immediatamente.
-E questa chi è?- chiese sprezzante rivolto a Lee.
Sarah aggrottò le sopracciglia e deglutì rumorosamente, per non urlargli in faccia.
Ma tu vedi questo! Ma chi si crede di essere? Lo smonto in due secondi!!
-È Sarah, la ragazza di cui ti ho parlato,- spiegò velocemente Lee.
-Ah. E deve uscire con noi?- chiese ancora, con una punta di acidità nella voce.
E secondo te che sto a fare qua, boss della malavita?
Il resto del gruppo era fermo a guardare la scena, quasi come se Sarah fosse una criminale.
-Beh, sì.- rispose Lee.
Sarah spostò lo sguardo sul resto del gruppo. A parte le ragazze, che la guardavano quasi tutte con solidarietà, c’erano il gracilino e la ragazza-dagli-occhi-di-ghiaccio che la guardavano come si guarda una cacca nel bel mezzo del marciapiede.
Con ribrezzo.
Oh, ma cos’è una moda?
Il boss continuò a guardarla e Sarah iniziò a temere che la pelle le si staccasse dal volto per l’intensità del suo sguardo, paragonabile solo a quello di un sezionatore.
-Non so.- disse alla fine. –Voi che ne dite, ragazzi?
Sarah avvertì tutti gli sguardi puntati su di lei e iniziò a tormentarsi le dita, nervosa.
-Sembra un camionista!- proruppe il gracilino.
-Ha parlato Miss Italia, qua!- esclamò lei, incapace di trattenersi.
-Senti, senti, abbiamo la lingua tagliente!- il biondo ammiccò nella sua direzione.
-Scusa, ma non ho ancora capito come ti chiami.- Sarah era furiosa.
-David.- disse lui con un sorriso di superiorità.
-Bene, David.- sospirò Sarah, imitando il suo tono pomposo. –Ti dispiacerebbe metterti la lingua tra i denti e masticartela?
Il ragazzo sussultò impercettibilmente e tutto il gruppo sembrò sull’orlo del caos, ma prima che potesse accadere qualche altra cosa, Sarah continuò: –È da quando sono arrivata che state emettendo sentenze come se foste Dio! Beh, ero qui per uscire con voi, non per essere processata! Perciò se questa è la procedura preferisco tagliarmi le vene piuttosto che continuare questo strazio!
Detto questo, si voltò e iniziò ad allontanarsi a grandi passi.
Non era andata lì per farsi insultare o giudicare. Quei ragazzi non li conosceva ma si vedeva lontano un miglio che alcuni erano super montati e il resto andava in visibilio per il Grande Capo Augh!
Sentì i mormorii del gruppo, dietro di sé, ma non vi prestò  attenzione e tirò avanti verso il portone.
Qualcuno la afferrò per un braccio.
Sarah si voltò, furiosa.
Era solo Lee.
La rabbia sbollì così com’era venuta, dopotutto non era colpa sua se aveva degli amici così idioti.
-Dai, torna indietro.
Gli occhi di Lee le sorridevano, sicuri.
-Ma sei scemo? No, dico, hai visto che hanno fatto o ti ci vuole un paio di occhiali?
-Primo, ho undici decimi e il mio quoziente intellettivo supera quello della media.- Sarah sollevò un sopracciglio, tossicchiando. –Secondo,- riprese lui facendo finta di niente, -Secondo vogliono che tu faccia parte del gruppo. A quanto pare hai fatto colpo.
Sarah rimase in silenzio per un momento –Come no.- e riprese a camminare verso il portone.
-Ehi, no, no, no, aspetta! Dico davvero!- esclamò Lee parandosi davanti a lei. Sarah era riluttante. –Dai, non vorrai fare la figura della cagasotto perfettina! Dopo tutto quello che hai detto!- tentò di nuovo lui, con voce persuasiva.
Sarah alzò gli occhi al cielo, senza riuscire a trattenere un sorriso.
-Evvai!- esultò Lee, trascinandola nuovamente verso il gruppo.
Quando Sarah fu di nuovo lì in mezzo, la situazione si era “alleggerita”. Anzitutto le ragazze le sorridevano apertamente tranne l’antipatica e poi il boss e il picciotto sembrarono non fare caso a lei, mentre parlottavano tra loro di roba di maschi.
Sarah fu accolta dalle ragazze da risolini di approvazione e calorose strette di mano. Poi fu il turno dell’antipatica, che si costrinse a fare un sorriso forzato e a dire il suo nome. Emily.
E poi, il turno del gracilino. –Ehilà, chi si rivede!- A Sarah sembrò che avesse tutta la voglia di divertirsi. Gliel’avrebbe fatta passare subito, subito. –Marcus.- disse porgendole una mano.
Col cavolo che gliela faccio passare liscia a questo qua!
Sarah gli regalò una bella espressione infuriata e ignorò completamente la sua mano, passando all’attacco.
-Gli asfaltatori sono aumentati.- sibilò acida ammiccando verso la sua maglietta giallo evidenziatore.
Potrebbe andare a fare il faro segnalatore al porto!
Marcus strabuzzò gli occhi.
-Ma senti ‘sta stronza!
Sarah gli regalò un sorrisino falso.
-Ehi, marocchino! Ti seri lavato oggi? Puzzi più del fiume Ofanto!- disse godendosi lo spettacolo della sua faccia che diventava sempre più rossa.
Si allontanò, vittoriosa, avvicinandosi alle ragazze, che nel frattempo stavano ridendo per il loro scambio di battute.
Quando Sarah si voltò indietro per guardare la reazione di Marcus, lo vide guardarla con i pugni serrati. Le scappò una piccola risata, che non fece altro che far arrabbiare ancora di più il gracilino. Sembrava che volesse saltarle addosso da un momento all’altro. Dietro di lui, Lee la guardava con un sorriso che la diceva lunga e Sarah scorse per caso l’espressione del boss. Anche le sue labbra erano piegate in un lieve accenno di sorriso e i suoi occhi brillavano di interesse.
Sarah distolse lo sguardo, confusa.
Nemmeno lei poteva immaginare ciò che sarebbe nato tra loro.
 

 David. 


*WHAWAIEAH!!
Ritorno da scuola allucinante, con test di chimica che mi ha fatto impazzire.
Felice, eh?
In realtà sì. xD
Oggi c'è il sole, è una bella giornata, e vorrei tanto dire  FUCK SCHOOL!!!
Essì.
Bene. :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto  e spero siate così gentili da dirmi anche cosa ne pensate...
Sapete che ci tengo molto sia alle critiche che ai commenti positivi, ogni cosa serve a crescere e a migliorare :)
Sotto vi metto un po' di foto, commentate anche quelle ;p
Un bacione,
Kry <3

ORDER OF THE PHOENIX*

 
  Lee.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


Capitolo 7.

«I tuoi capelli.»
«La sua bellissima faccia!»

Kyle. 

Mi guardai allo specchio con aria seccata.
Lo specchio mi rimandava l’immagine di una ragazza con i capelli da vecchia.
Ecco, lo sapevo!
Quella parrucchiera non mi vedrà più, poco ma sicuro!! Trovarne una buona, che sappia trattare i capelli ricci è un’impresa. I miei bellissimi capelli ricci.
Cavoli, che nervi!
Mi giro e mi affretto a prendere borsa e giacca.
Meglio che mi muova o farò tardi. D
evo passare a prendere Amy da casa e ne abbiamo di strada da fare, per arrivare a scuola.
Saluto rapidamente mia madre e scendo le scale due a due.
Sono in strada.
L’aria è fresca, punge la pelle e mi costringe a socchiudere gli occhi, facendomeli lacrimare. È una sensazione bellissima.
Abito in periferia, perciò la mattina presto, quando esco di casa, non c’è quasi nessuno in giro. Posso e
ssere sola con i miei pensieri, a guardarmi attorno, a studiare ciò che mi circonda.
Oggi però sono agitata… questi capelli!
Non sono una persona vanitosa, anzi! In genere non me ne frega niente di niente di trucchi, vestiti, messe in piega, gel….
Ma proprio non posso fare a meno di sfiorarmi i capelli con le dita. La parrucchiera me li ha tagliati drasticamente. Mi avrà tolto almeno cinque centimetri!!
Ma non è la lunghezza il problema, sebbene sia stata molto amareggiata 
 el vedere tutti i miei riccioli sparsi per il pavimento. È ciò che mi ha fatto dopo.
Me li ha tipo stirati, con una specie di ricciolo finale. Sì, proprio uguale ai capelli delle vecchiette, che nervi!!
Sbuffo e affretto il passo, sennò stamattina io e Amy entria
mo alla seconda.
 
***
 
Il professore di educazione fisica ci sottopone a nuovi esercizi masochistici.
Amy bisbiglia esausta: -Ma se li sogna la notte?
Mugugno qualcosa di incomprensib
ile anche a me e lei si dirige verso la fila di fronte a quella dove sto io.
Conto velocemente quante persone ci sono davanti a me e quante ce ne sono davanti a lei e scalo di qualche postazione. Almeno così finiamo in coppia insieme.
Dobbiamo fare dei palleggi assurdi. Insomma, sì, io faccio il palleggio lei afferra la palla e la deve fare rimbalzare sul pavimento in modo che il rimbalzo sia abbastanza alto per permettermi di fare un nuovo palleggio. E nel frattempo dobbiamo correre lateralmente e abba
ssarci senza fermarci quando c’è la rete, a metà campo.
Osservo le persone prima di me. Io ed Amy non siamo granché in educazione fisica. Quando facciamo le partite a volte non prendo la palla perché ho paura di farmi male, o perché non so semplicemente cosa fare, se bagher o palleggio, insomma non sono statisticamente programmata per fare pallavolo. Solo una cosa so fare bene, ed è la battuta. Quella mi riesce sempre per fortuna.
Amy invece è tutto il mio opposto. Quando c’è una palla si butta a capofitto senza pensarci e i suoi bagher sono così potenti che volano in alto e poi ripiombano n
el campo avversario. Non so come faccia ad uccidersi in quel modo le braccia. A lei però le battute non escono sempre. La palla se ne vola di lato o altro.
Insomma, non siamo esattamente le prime scelte, ecco. Sarah è molto più in gamba.
Arriva il nostro turno e Amy fa rimbalzare la palla sul pavimento.
La prendo col palleggio, cercando di indirizzarla lateralmente, di modo che nel frattempo possiamo correre.
Insomma, non so dove sbaglio ma già il primo palleggio è uno
 schifo.
Amy ed io facciamo tutto l’esercizio ridendo o per un mio sbaglio o per uno suo.
Ci scambiamo di posto e rientriamo nelle file.
Dietro di me c’è Kyle.
Inizia a sfottermi, ma cerco di ignorarlo.
Mi perseguita anche ad educazione fisica, fa di tutto per mettersi a fare gli esercizi con me. Quanto lo odio. 
Meno male che io ed Amy abbiamo organizzato
 questo sistema per finire sempre insieme in coppia, sennò davvero non so cosa succederebbe se perdessi la pazienza.
Avverto una strana sensazione.
Mi pulsano le tempie, il respiro si fa più corto e le guance bollenti. Mi sento sudare tutta.
-Si è fatta proprio un taglio da giovane, Evelyn…- sussurra con scherno Kyle ad un’altra mia compagna, dietro di me.
L’ochetta ridacchia. Me la immagino che si appoggia a lui mentre mi guarda malevolmente e sogghigna.

-Oh, Kyle! Non si insultano le persone!- esclama di rimando, continuando a ridere. La sua voce mi risulta falsa anche se sussurrata a mezza voce, anche se io ipoteticamente non dovrei sentire ciò che dicono.
Stringo forte i pugni e mi mordo l’interno del labbro inferiore, fortissimo. La vista mi si annebbia dalla rabbia per un momento e quando inizio a distinguere le immagini c’è Amy davanti a me, sorride
nte.
Mi sforzo a mia volta di farle un sorriso e faccio rimbalzare la palla sul pavimento.
 
***
 
Più tardi in classe, racconto tutto a Sarah e ad Amy.
Sarah ha un’espressione seria e attenta, gli occhi più scuri del solito, come se le nuvole avessero coperto il sole. Amy invece ha la bocca tutta storta e un’espressione disgustata.

-Che coglione.- commenta, lanciandogli un’occhiatina inviperita.
Lui non la vede, per fortuna. –Ma quanto mi stanno sulle palle ‘ste ochette, qua!- dice poi.
-Ma proprio!!- esclama invece Sarah ad alta voce. –Si credono CHISSA’CHI e invece non sono nessuno.- scandisce bene le parole, in modo c
he loro le sentano.
Sospiro, affranta.
Mi chiedo se questa persecuzione senza senso avrà mai fine.
Quando alzo gli occhi vedo Amy col viso appoggiato sul palmo aperto della mano, che fissa dietro di sé con gli occhi che brillano.
Seguo il suo sguardo e… sta fissando Kyle!!
Cos..?
-Ha un volto così bello
 quando ha lo sguardo perso nel vuoto e l’espressione seria….- sospira. –Cosa darei, per potergli fare un ritratto!
Sorrido.
-Peccato che non puoi, farlo!- Sarah la riporta bruscamente alla realtà.
 Amy si riscuote, amareggiata. –Lo so. Già. Peccato.-
Ha il viso leggermente imbronciato, come quando le si nega qualcosa che le piace terribilmente. Vedo che le dita le tremano leggermente e si mette le mani in tasca. Poi mi guarda e mi sorride apertamente. –Non trovi anche tu che ha un v
olto perfetto per essere ritratto?- mi chiede.
Posso percepire il suo entusiasmo. È quasi tangibile. Gli occhi le brillano, ed è tutta agitata. Fa sempre così quando deve iniziare un nuovo disegno o un nuovo dipinto.
Annuisco.
-Sì. Peccato solo che sia così stronzo.
Amy si rabbuia e annuisce. –E chi non lo è?
 Evelyn.




*WHAWAIEAH!
 So che è piccolino, ma spero vi piaccia ugualmente :) 
Fatemi sapere tutto, ogni cosa che pensate e sparatemi consigli, tanti, tantissimi se ne avete, perchè ne ho bisogno!! :3
Bene, solo se volete, potrei pubblicarvi anche il prossimo capitolo se lo desiderate, dal momento che questo è abbastanza piccolo :)
non so, fatemi sapere, ditemi voi! :)
Grazie per la vostra presenza, un bacione!!
Kry <3
PS: Che ne pensate delle immagini?? *_______________*

ORDER OF THE PHOENIX* 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare. ***


Capitolo 8.

«Vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».

 
Stiamo andando a scuola e si può dire che la nostra non è propriamente una mattinata allegra. Siamo esauste, lo studio in questi giorni è davvero troppo ed è da poco iniziato il secondo quadrimestre. I professori non hanno pietà.
In questo dovrebbero prendere un po’ di spunto da quel tocco di Dante, che sveniva per la pietà addirittura!
Invece no. Noi abbiamo letteratura italiana con quello sgobbone di Petrarca, letteratura latina con quello sgobbone di Cesare che si è sposato quattro volte con quattro donne che hanno quattro nomi assurdi. Poi greco, ovviamente, l’immancabile versione d’autore di sedici righe e crem de la crem, chimica. Il terrore di noi poveri studenti del classico. Soprattutto, se si ha una prof assurdamente sadica che ama torturare i poveri studenti. L’ansia è l’arma più potente di cui dispone.
-Sentite un po’!- esordisce Sarah. –Io mi sono proprio stancata di studiare dettagli della Divina Commedia inutili. Della serie: che me ne importa se Dante ha scritto venia al posto di giungea? Non ha senso! Non importa a nessuno! Non mi servirà a passare gli esami di medicina!!
Io e Evelyn annuiamo convinte.
Sarah ed Evelyn vogliono andare a medicina. Sarah vorrebbe diventare pediatra, anche se secondo me ha un talento fuori dal comune per il teatro, mentre Evelyn vorrebbe diventare chirurgo.
Io no. Io sono più il tipo che frequenta quegli ambienti per fare volontariato, per far sorridere la gente.
Non mi piace nemmeno l’idea di dover infilare un bisturi nelle costole di qualcuno o di dover trapanare il cranio per evitare chissà quale soffocamento del cervello.
Nah. Non fa per me.
Io prenderò belle arti.
Sceglierò il mio mondo, una strada dove sentirsi al sicuro, dove poter creare tutto ciò che vuoi. Pensare è potere.
Far fluire i tuoi pensieri sulla tela, mescolarli ai colori, ai profumi, agli odori.
Un quadro può trasmetterti tutto questo e anche di più.
Far fluire i tuoi pensieri come una scarica di energia pura lungo la mina della matita, creare linee e sfumature su un foglio di carta bianca.
Le mie dita iniziano a tremare per la voglia di sfiorare una matita e dar spazio ai miei pensieri. Senza l’arte non potrei vivere.
Morirei soffocata in un mondo grigio e senza colori.
Sarebbe la mia fine.
Ficco le mani in tasca per fermare il tremore e mi concentro su Sarah.
-Dante ci insegna una cosa, bisogna dire alla prof.- riprende lei. –“Dicerolti molto breve. Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. Quindi io, carissima prof, ho guardato e ho passato avanti!- Sarah storce la bocca in un espressione saccente che fa scoppiare a ridere me ed Evelyn contemporaneamente.
Oddio, ma si può ridere per cose così stupide?
Stiamo davvero messe male. 
Maledetta scuola!
Raggiungiamo i gradini e saliamo con calma, mentre la campanella suona. Guardo il portone scuro e imponente e mi immagino una scritta impressa con fiamme roventi.
LASCIATE OGNE SPERANZA, VOI CH’INTRATE.
Rabbrividisco e mi stringo nel giubbotto, affrettandomi a raggiungere Sarah ed Evelyn.
Ora ho anche le allucinazioni.
Dante is everywhere!!!
 
***
 
Storia dell’arte.
Non ho mai assistito ad una lezione più pallosa di questa.
A me che piace, l’arte. Ma in questi momenti credo proprio di odiarla. Guardo il resto della classe e non mi sembra che sia messo molto meglio di me.
Siamo tutti in uno stato di veglia vegetativo.
Della serie che se stavamo a casa almeno il letto era morbido. Qui invece dormiamo sui banchi.
Sarah scrive sul suo banco “Qui si muore” e io mi esprimo in quello che vorrebbe essere il mio miglior sorriso disperato. In realtà ho così sonno che credo sia riuscita solo a tirare un angolo della bocca all’ingiù.
Inizio a disegnare alcune lapidi.
Una è tonda, grande e vecchia, tutta scheggiata e sopra ci sono iscritti i nostri nomi.
“QUI GIACCIONO
AMY, EVELYN E SARAH,
MORTE SUI LIBRI, COME PETRARCA.”
Sarah ridacchia e aggiunge, accanto a Petrarca, “-DIMONIO CON OCCHI DI BRAGIA”, mentre io disegno una composizione floreale accanto alla lapide.
Pensieri molto felici, devo dire.
Sarah continua ad infierire sul povero Francesco, scrivendogli che “Laura non c’è, è andata via…”.
Liceo classico.
Secondo me, tra qualche anno scopriranno che studiare troppo fa male. Allora, prenderanno qualche persona a caso e scopriranno che chi ha fatto il liceo classico ha tendenze suicide. Allora, gli faranno una tac al cervello e chiuderanno tutti i licei classici esistenti, scoprendo che tutti quei poveri martiri che li hanno frequentati non hanno più senso della ragione.
Non che io voglia lamentarmi, no.
Ma davvero, non ne possiamo più!
Il professore inizia a spiegare le volte a crociera.
Ma che me ne frega!
-La crociera, quella che voglio fare io in questo momento!- ridacchia Sarah.
Evelyn disegna una crociera che va a picco sul mio banco e Sarah ne disegna una con un omino a prua (o è la poppa?)  che sembra stia per suicidarsi. L’omino urla “Jack! M’illumino! Ah no, è un iceberg!”.
Oddio mio, ma che abbiamo fatto di male per ridurci in questo stato?
Scoppio a ridere e il professore si gira verso di me.
Tossisco forte, cavoli, mi alzo ed esco dalla classe sotto gli occhi di tutti.
Solo quando sono nel corridoio mi stringo lo stomaco e mi asciugo le lacrime.
Siamo casi disperati.
Il bidello nullafacente non alza nemmeno gli occhi dal film porno che sta guardando.
Mi chiedo se finirò a fare la bidella in una scuola.
Poco probabile.
Una volta fatta l’università non voglio più mettere piede in una scuola.
È molto più probabile che io vada a fare compagnia ai barboni sotto i ponti.
Aspettative di vita eccellenti.
 
***
 
Le mie giornate ormai vanno avanti così: la mattina a scuola penso alla marea di compiti che dovrò fare il pomeriggio, il pomeriggio, non vedo l’ora che arrivi la mattina seguente, così almeno non devo fare i compiti.
È un ciclo infernale.
Mando un messaggio ad Evelyn e a Sarah: “A’ Dante!! Dicerolti molto breve: ma tu e ‘sta cazza di selva non potevate rimanere nell’oscurità celata?”
Subito dopo mi arriva la risposta di Sarah: “No, LUI sta tingendo il mondo di sanguigno, non quella povera di Francesca! E, dicerolti molto breve alla prof: è inutile che chiede i per chi e i per come dei singoli versi; VUOLSI COSI’ COLA’ DOVE SI PUOTE CIO’ CHE SI VUOLE, E PIU’ NON DIMANDARE!”
Scuoto la testa e riprendo il mio studio matto e disperatissimo.
Mi stendo sul letto e sfoglio il libro di matematica, alla ricerca degli esercizi da svolgere.
Mi addormento quasi subito.
Sogno vie scure e passi dietro di me.
Non so perché, ma sto correndo. Sto scappando da qualcuno.
La paura si insinua viscida su per la schiena, mi sento risucchiare via tutta la vita, tutte le emozioni, lasciandomi sola in preda al terrore.
Sento un suono e mi sveglio di soprassalto.
Il mio primo pensiero è quello di aver schiacciato un tasto sul telefono e di aver tolto il silenzioso. Ma poi realizzo che quello è il suono che fanno i messaggi in arrivo quando qualcuno mi sta chiamando.
Ancora scossa dal sogno, giro il telefono verso di me e guardo lo schermo.
La scritta prende lentamente forma sotto i miei occhi e quando le lettere assumono significato per il mio cervello, butto il telefono dall’altra parte del letto e mi rannicchio tutta su me stessa, il cuore che batte a mille, aspettando che la chiamata termini.
È Tate.
Sta diventando un incubo.
 
***
 
Prima.
 
I messaggi da parte di Tate non tardarono ad arrivare.
Amy aveva vissuto tutto quel tempo in agitazione. Non sapeva cosa fare, cosa pensare e non aveva nemmeno il coraggio di guardare lo schermo del telefono. Quando poi il cellulare si era illuminato, l’aveva preso, esitante.
Non poteva tirarsi indietro, ormai c’era dentro sino al collo.
Si scambiarono messaggi per molto tempo. Per ore, fino a tarda sera.
Tate faceva molte domande, anche stupide, per tenere attiva la conversazione. Amy rispondeva sempre, cercando di essere gentile, anche se molte volte le fumavano i coglioni per quanto personali fossero le domande. Lei non faceva avvicinare nessuno alla sua vita, figurarsi uno appena conosciuto le cui intenzioni erano chiarissime.
Era quello che la agitava così tanto. Non sapeva come rapportarsi, non voleva dare false speranze a quel ragazzo, ma non era ciò che aveva fatto accettando di dargli il suo numero?
Si rigirò nel letto tutta la notte.
Si sentiva oppressa, non riusciva a respirare.
Ecco cosa accadeva quando qualcuno le arrivava troppo vicino. Le sembrava che volesse annullarla, invadere la sua privacy, respirare la sua aria.
E a lei non andava giù.
Il giorno dopo andò a scuola con le occhiaie e con un’ansia palpabile. Sarah ed Evelyn si accorsero subito che qualcosa non andava.
-È successo qualcosa?
Amy si passò una mano tra i capelli. –Ho paura. Mi sembra uno stalker, mi manda in tilt! Non lo so ho un brutto presentimento e poi ci prova ad ogni messaggio, è troppo mellifluo, accondiscendente, lecchino di merda! Io dico A e lui concorda. Lui dice C e io dico D e lui subito si rimangia tutto ed è d’accordo con me sulla D. È assurdo. Non riesco a respirare. Stanotte non ho chiuso occhio. Il problema è che qualunque cosa gli dica per cercare di fargli capire che: tra noi non potrà mai esserci niente, potremo solo essere amici, non ci conosciamo bene per capire se tra noi nascerà qualcosa e comunque non nascerà nulla perché lui a me non piace; beh, qualunque cosa gli dica, lui non la capisce! Continua imperterrito! E stamattina altri messaggi!! Per non parlare del fatto che mi chiama cucciola, che mi dice quanto sono “diversa dalle altre” e bla, bla, bla! Sembra tutta una cosa forzata! Io non sono diversa dalle altre e poi lui che ne sa? Quando gliel’ho chiesto mi ha risposto che le altre al  complimento che lui mi ha fatto – sei carina- avrebbero risposto: lo so; mentre io ho risposto: grazie sei gentile, ma solo perché siete state voi a dirmi di essere gentile! Io gli avrei mandato un bel “ma vaffanculo, prenditi un paio di occhiali!!”.  Per non parlare di quando gli ho detto che mi piace leggere. Perché dovevo fornire del mio materiale top-secret, con tutte quelle domande che mi faceva. Da allora alterna “lettrice” a cucciola. Ma dico, un nome ce l’ho cazzo! No, niente. Nulla da fare.- Amy era distrutta. Non riusciva a trasmettere tutta la sua irritazione e raccontare tutto era troppo, troppo lungo e imbarazzante. 
Deglutì rumorosamente.
-Senti, se è così da incubo devi inviargli un messaggio e scrivergli chiaramente che a te lui non interessa e che hai scelto di dargli il tuo numero solo per amicizia.- disse Evelyn, mentre Sarah annuiva, lo sguardo serio.
-Sì ma cosa gli dico?
Amy sembrava smarrita. Le amiche non l’avevano mai vista così.
-Senti, facciamo una cosa… appena usciamo gli scriviamo un bel messaggio e si sistema tutto. Dev’essere un piacere messaggiarci, non un’angoscia!!- sorrise Evelyn, rassicurante.
Amy annuì, sperando che le cose si sarebbero risolte.
 
***
 
“Senti, Tate, io non vorrei che tu fraintendessi ciò che sta succedendo tra noi.” Gli inviò.
Qualche minuto dopo arrivò la risposta e Amy, Sarah ed Evelyn, la lessero in un silenzio quasi sacro.
“Perché, cosa sta succedendo?”
Silenzio.
-Ma questo è tonto o cosa? Sentite, non è possibile che sia io quella che ha frainteso!! Insomma, era evidentissimo dai messaggi!! Uno non ti chiama cucciola solo per amicizia!!!- la voce di Amy era disperata. Guardava il cellulare come se fosse un congegno infernale, qualcosa che andasse oltre la sua comprensione.
Digitò velocemente: “Niente, volevo semplicemente dirti che tra noi non potrà esserci nient’altro che amicizia.”
-Speriamo che capisce…
Sbuffi impazienti.
Nuovo messaggio.
“Ah. Ma non ci conosciamo nemmeno, magari poi conoscendoci qualcosa potrebbe cambiare…”
Amy alzò gli occhi al cielo. “No, sono sicura di ciò che dico.”
Iniziò a mordicchiarsi nervosamente le labbra.
Non amava fare soffrire la gente e non le piaceva essere così dura con quel ragazzo, ma se avesse seguito il suo impulso a quell’ora quel poverino era già morto stecchito per lo spavento. Perciò ci voleva una via di mezzo. Né troppo gentile, né troppo dura.
Concisa. Precisa. Secca.
“Va bene… :)”
-Visto?!!? Che vi avevo detto? È un lecchino!!- sbottò Amy esasperata, ma sollevata al tempo stesso. Almeno ora poteva dormire in pace.
 
***
 
Amy non aveva mai avuto ragazzi.
E questo a Tate l’aveva detto. C’erano moltissime cose che gli aveva detto e di cui poi si era pentita.
Si era illusa che tra loro potesse esserci solo amicizia.
Ma si era sbagliata.
Almeno tre volte al giorno Tate le chiedeva se lei l’avesse pensato. Lei rispondeva in modo evasivo e lui ricambiava dicendo che il pensiero di lei l’aveva fatto andare avanti tutta la giornata.
Le chiedeva se provava qualcosa per lui, sempre in maniera indiretta, e lei rispondeva che erano sulla strada per diventare buoni amici. Niente di più.
Una sera, andarono al cinema a vedere Lo Hobbit.
Amy non vedeva l’ora di vedere il film e Tate aveva insistito moltissimo per andare con lei a vedere qualcosa al cinema.
In precedenza erano usciti un paio di volte per “conoscersi meglio”. Amy non aveva avuto il coraggio di dirgli di no.
E puntualmente quando erano usciti si era annoiata mortalmente.
Lui la riempiva di troppi complimenti e lei si riempiva di sorrisi e cercava di reprimere la parte aggressiva e impulsiva di sé, con frasi gentili.
Ora quell’uscita al cinema.
Il solo pensarci le faceva venire la nausea.
Chiamò qualche amica per cercarne qualcuna disposta ad andare al cinema. Da sola, con lui, non aveva nessuna intenzione di andarci.
Alla fine, Victoria acconsentì e tutti e tre se ne andarono al cinema.
A circa metà film, qualcosa prese a sfiorarle languidamente le dita della mano. Amy sgranò gli occhi senza staccarli dallo schermo e, senza fiato e col cuore che batteva a mille, chiuse la mano a pugno. Dopo qualche istante, avvertì le sue dita sfiorarle la mano. Amy la ritrasse bruscamente, spostando il braccio dalla parte di Victoria.
Ti prego, fa che la smetta. Fa che la smetta, ti prego.
Tate iniziò a sfiorarle la gamba con le dita, questa volta con più insistenza delle precedenti.
Adesso basta. Amy avvampò, sollevò la gamba e la accavallò sull’altra, spiaccicandosi il più possibile contro Victoria, che la guardò incuriosita per un momento.
Amy sentiva le parti sfiorate del suo corpo in fiamme, percorse da un fastidioso formicolio. L’adrenalina iniziava a scorrerle per le braccia, gli occhi erano più lucidi, i sensi più all’erta.
Toccami un’altra volta e giuro che ti tiro una pizza in faccia.
Tate non la sfiorò più quella sera.  

 
*WHAWAIEAH!
Ho pensato di interrompere qui il capitolo perché si faceva un po’ lunghino e poi avrei dovuto raccontarvi tutti i fatti ora.
Naahh.. ;p
Comunque vorrei sapere cosa ne pensate di questi “angoli del passato” :)
Devo approfondirli o vi va bene una lettura così, senza scendere nei particolari o nei dettagli?
Dopotutto sono ricordi…
Come preferite voi, comunque, fatemi sapere e vi accontenterò xD
Stile genio della lampada.
:)
Bene. Io andrei a nanna… :C
Domani my mother mi metterà ai lavori forzati: rendere presentabile la mia stanza.
Sarà un’impresa titanica.
Auguri di buone palme a tutti!! <3
PS: quando dicevo se volevate che approfondissi, intendevo anche la situazione tra Tate ed Amy.
Vale a dire cosa prova esattamente lei o altro…
Tipo descrivere minuziosamente (cosa si dicono, cosa fanno, dove vanno), le sere in cui sono usciti.
Boh, non lo so mi sa tanto di sciapito questo capitolo…
Fatemi sapere.
Un bacione,
Kry <3 :)
Purtroppo non riesco a mettere immagini.
Fuck.
 
ORDER OF THE PHOENIX*

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. He is back. ***


Capitolo 9.

He is back.

Sarah.

 
Picchietto nervosamente le dita sul piano del tavolo, mentre guardo lo schermo del cellulare. Sospiro.
Metto una caramella in bocca e digito velocemente un messaggio. “Lee, mi è arrivato un messaggio anonimo qualche giorno fa.”
Invio.
Mi faccio la coda, nervosa, e poi spazzolo via le briciole dai vestiti.
Il telefono vibra e io premo le labbra l’una contro l’altra, mentre leggo il messaggio.
“Che diceva?”
Ora è il pezzo difficile. Ma non posso tirarmi indietro. E poi devo sapere lui cosa ne pensa. Dopotutto, Lee e lui erano migliori amici.
“Ti amo ancora, ma tu hai smesso di farlo.”
Invio.
I miei polpastrelli tamburellano nervosamente sul piano lucido del tavolo.
Mi costringo a tenerli fermi.
Sospiro.
Nuovo messaggio.
“È tornato, vero?”
Rimango lì impalata a fissare la risposta di Lee.
Anche lui pensa che sia tornato.
Anche lui pensa che sia lui.
 
***
 
Prima.
 
-Cosa c’è, Alice?- Sarah aveva la testa gettata all’indietro e il sole le batteva sulla pelle e sul corpo. Era appena iniziata l’estate ed erano tutti lì, al mare, sotto il sole allegro di giugno, tra la sabbia dorata e le acque limpide del mare, tanto sognate durante l’inverno.
-Ho una notiziona per te!- esclamò l’amica, con un entusiasmo che costrinse Sarah a rivolgerle uno sguardo incuriosito.
-David ti vuole.- gli occhi di Alice, brillavano entusiasti.
-CHE COSA?- Sarah era sconvolta.
Quel presuntuoso… la voleva?
-Shh!- intimò Alice, guardandosi attorno. –Non lo sa nessuno!!
-Ma tu come lo sai, scusa?
-Oh, beh… qui viene il bello!- disse Alice ammiccante, mettendosi comoda. –Io e Lee avevamo deciso di fargli uno scherzo telefonico, per sapere se volva qualcuna, ecco. Allora, con il numero di mia cugina, ho finto di essere una ragazza molto presa da lui.- Alice fece una pausa teatrale, guardando trepidante l’amica e proseguì. –Gli ho detto che lui mi piaceva moltissimo, che però ero timida e non mi ero mai presentata a lui, insomma, che mi piaceva molto! Abbiamo messaggiato per un po’ e poi lui mi ha detto che gli dispiaceva, ma al momento era preso da un’altra ragazza. Molto preso da un’altra ragazza.- aggiunse guardandola ammiccante. Sarah la guardò come se fosse impazzita.
-Allora gli ho chiesto di farmi una classifica delle ragazze che gli piacevano di più e lui ha messo me al terzo posto,- disse fiera, -Emily al secondo e…
-Eh…?- chiese Sarah sulle spine.
- E te al primo!!-esclamò Alice su di giri.
Sarah strabuzzò gli occhi, il cuore che prendeva a batterle velocemente.
-Ma non è possibile!- protestò. Il rapporto tra lei e David era molto migliorato nell’ultimo periodo, lei continuava a giudicare alcuni suoi atteggiamenti un po’ “dispotici”, ma tutto sommato era un ragazzo dolce e gentile.
Aveva anche una situazione familiare un po’ disastrata e più volte Sarah si era ritrovata ad ascoltare i suoi sfoghi e a consolarlo, a distrarlo, a ridere con lui.
Senza contare che quando giocavano a beach volley lui voleva sempre lei in squadra. Erano una coppia invincibile, battevano sempre tutte le altre squadre.
Insomma, il loro rapporto era diventato molto più intenso e confidenziale nell’ultimo periodo, contro ogni previsione.
E Sarah sapeva di non poter nascondere nemmeno a se stessa l’attrazione che provava per lui. Il problema è che c’erano molti impedimenti.
Innanzi tutto, Emily. Perché, come il rapporto tra lei e David si era intensificato, così era stato anche quello tra lei ed Emily. Tant’è che si erano ritrovate ad essere non solo amiche, non solo confidenti. Erano migliori amiche.
E ad Emily era sempre piaciuto David, le diceva ogni cosa, le spiegava come le batteva forte il cuore quando lo vedeva e anche Sarah aveva notato il modo in cui le brillavano gli occhi quando lo guardava.
Insomma, era una situazione piuttosto spinosa, ecco. Sarah non voleva ferire Emily, ma d’altro canto non poteva nascondere di provare qualcosa per David.
Guardò davanti a sé, lo sguardo perso tra le onde cristalline e brillanti.
-Allora?- chiese Alice, impaziente.
Sarah si riscosse. –Allora cosa?
-Allora? A te lui piace?
Sarah sospirò. Era il momento della verità. Ma non poteva semplicemente mentire? Non poteva nascondere i suoi sentimenti? E se poi fosse diventato qualcosa di insostenibile? Se lui davvero la voleva? Ma se non era così? Dopotutto poteva anche aver inventato tutto o era una semplice statistica delle ragazze che riteneva più simpatiche. Sospirò di nuovo, indecisa e si morse le labbra, attenta a non incrociare lo sguardo di Alice.
-Oh. Mio. Dio.
-Cosa?- chiese Sarah con aria noncurante, rivolgendosi verso l’amica.
-Oh mio Dio!!- ripeté Alice, con gli occhi che brillavano e la voce un po’ più stridula. –Anche a te lui piace!!
-Cos…? No!- esclamò Sarah punta sul vivo. Possibile che il suo viso fosse un libro aperto? Possibile che le sue espressioni fossero così evidenti?
-Oh, sì!-esclamò Alice eccitata. –E chi l’avrebbe mai detto! Proprio tu che non potevi sopportarlo, che gli hai dato quell’enorme stangata, all’inizio! Proprio tu!
Sarah sbuffò.
La verità era che da quella volta lui l’aveva sempre trattata con gentilezza. Quando Marcus la insultava lui la difendeva sempre, arrivando persino a scannarsi col gracilino pur di fargli rimangiare ciò che aveva detto.
Una volta Marcus l’aveva insultata in una maniera che l’aveva fatta rimanere senza parole, cosa che non accadeva mai.
Di solito lei sapeva difendersi benissimo da sola. Anzi, fino a quel momento l’aveva sempre fatto.
Ma quel giorno…
Marcus le fece tremare l’anima. Le veniva da piangere. –Ma sta’ zitta, che tu vai sulla strada a lavorare! E ti piace pure!!
Rimase senza fiato nei polmoni, incapace di inalare altra aria. Era l’insulto peggiore che le era mai stato fatto e detto con una cattiveria che le faceva ancora tremare le gambe. Rimase lì, impalata, incapace di dire nulla, con gli occhi che le pizzicavano per le lacrime.
-Cosa hai detto?- David intervenne.
Sembrava una furia, era arrabbiatissimo.
-Niente.
-Rimangiati subito quello che hai detto e chiedile scusa!- gli intimò. Ricordò l’asprezza nelle sue parole, tanto che anche Marcus ne rimase scosso.
-Queste cose non devi dirle nemmeno alla peggiore delle ragazze che tu possa conoscere! È chiaro?- riprese lui.
Marcus non si muoveva, così David lo afferrò per il bavero della camicia e lo strattonò, il viso arrossato dalla rabbia.
-O- okay. Scusa.- balbettò poi Marcus.
David lo lasciò andare e Marcus si voltò e andò via a gambe levate. In quel preciso istante, Sarah ebbe la sensazione di essersi di gran lunga sbagliata sul conto di David.
-Grazie.- mormorò, guardandolo negli occhi, per la prima volta senza astio o senza sfida.
David accennò un sorriso, poi riprese la sua solita aria da superiorità. –Questioni di normale ordinanza.- disse serio.
Sarah aggrottò le sopracciglia. –Ah sì? Beh non scomodarti più la prossima volta!- esclamò arrabbiata, girandosi e camminando velocemente per allontanarsi da lui.
David la guardava con un’espressione confusa sul volto.
Quel presuntuoso…pensò.
Seguirono altre serate, scherzi tra amici, uscite la sera con il gruppo, qualche discorso serio capitato così tra loro. E poi confidenze, partite di beach volley. E ora questo….
Cosa significava?
Col tempo Sarah aveva capito che David era una persona onesta, brava e gentile, ma che mascherava il tutto sotto un’aria di sufficienza e superiorità.
La verità era che aveva un gran bisogno di amici, come tutti. Aveva bisogno di sfogarsi, di mostrarsi debole con qualcuno, qualche volta.
E Sarah si era sempre trovata al suo fianco. Lui aveva sempre scelto lei per raccontarle i suoi tormenti e lei non l’aveva mai tradito.
Pian piano aveva imparato a rispettarlo per ciò che era, non per ciò che mostrava, che interessava tutte le ragazze del gruppo.
E forse anche lui aveva visto qualcosa in lei.
Sarah vide David avvicinarsi a lei, i bermuda a vita bassa che gli mettevano in risalto il fisico asciutto e atletico e gli occhi azzurri che spiccavano sulla pelle abbronzata.
Le regalò un sorriso aperto e luminoso, un sorriso affettuoso, quasi.
-Partita insieme?- domandò.
Sarah lo guardò per qualche istante, poi annuì, ricambiando il sorriso, e afferrò la mano che lui le porgeva, per alzarsi. Quando le loro dita si sfiorarono avvertì una scarica di energia positiva, un contatto che trasmetteva più di qualsiasi altra cosa.
E in quel momento capì che non solo le piaceva, ma che era pronta a qualcosa di più. A qualcosa che andasse al di là dei sorrisi timidi e delle partite vinte a beach volley. A qualcosa di più profondo.
David le sfiorò il fianco con una mano per un attimo e i loro occhi si incontrarono, come a voler leggere l’uno i pensieri dell’altra.
Poi continuarono a camminare, verso la rete.
Soffiò il vento e Sarah si chiese cosa avrebbe portato insieme alla sabbia. Se profumo di novità e d’amore e sapore di dolci serate tranquille, col cuore in armonia con la musica del mondo.


David.
 



*WHAWAIEAH!
Vi piacciono le immagini?? *_________*
Rieccomi qui.
Ho appena finito di scrivere questo bellissimo capitolo e sono le 22:49.
Inutile dire che sono distrutta.
Perché mi riduco di notte a scrivere, visto che ho carenza di sonno e non faccio altro che sognare materasso e cuscino, cuscino e materasso tutto il giorno?
Perché è l’unico momento in cui posso farlo.
Nuova novità (che poi una novità è sempre nuova -.-): ho la labirintite.
Mai sentita, eh?
Sfigata eh??
No, sono solo i compiti super-tantissimi! Senza contare i test e tante altre cose che fanno paura… D:
meglio non pensarci.
I’m afraid.
Ho bisogno di soldi.
Ho bisogno di una gira tempo.
Ho bisogno di qualcuno che faccia i compiti al posto mio.
E con compiti intendo di tutto, non solo quelli scolastici.
Così avrei più tempo per me, per fare tante cose!
Tipo scrivere ad orari normali ed evitare, così, che i capitoli escano ‘na mezza cagata!
Ho bisogno anche di pareri e consigli.
Mo mo è più lungo il whawaieah che il capitolo.
Merda.
Ajciewsflbaipajdhsuikraft.
Love it.
Sparo frasi senza senso.
Perdonatemi.
Posso scrivere tutto un capitolo solo di scleri in *WHAWAIEAH*?
Mi rilassano e poi posso scrivere tutte le minchiate che voglio!!
Occhey, ci do un TAGLIO!
Allora, spero vogliate rispondermi e non vi spaventiate per tutto ciò che sto sparando.
Inoltre vorrei consigliare alcune storie.
Vale a dire Until di Aniasolary (della quale mi sono innamorata! –Non di Ania, della storia…-), Sinfonia Fantastica di Niniane Cullen (se non volete iniziare una long vi consiglio comunque di farvi un giro nel suo account e spolliciare… :) scrive cose davvero molto belle e piacevoli).
E poi, l’immancabile Margaret, alla quale devo solo rimproverare di non aggiornare mai niente in questo periodo!!
Fate un giro anche da lei, c’è tanto su cui sclerare, ve l’assicuro ;p
And infine (?), Aspasia, una nuova aggregata ad efp ma che dimostra di avere molto talento.
Sosteniamola! :D
Vi ringrazio tutti per le recensioni che mi lasciate e spero davvero che questa storia non vi annoi e nemmeno i miei commenti ancora più scleranti.
Bene, un bacione a tutti, buenas noches
Kry <3 <3 <3
 
ORDER OF THE PGOENIX*
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. Il Medaglione ***


Sei romantico come... un camionista analfabeta.



Capitolo 10.

Il Medaglione.

 


-Che bella, è di madreperla?- Amy indica incuriosita la mia collana.
-Sì,- sorrido. È una collana normale, con un laccio nero di caucciù e una specie di guscio piatto in madreperla, che ricorda una conchiglia.
Stiamo parlando quando ecco che Kyle si avvicina a noi come una calamita.
Ti pareva….
Non appena lo vede Amy alza gli occhi al cielo, visibilmente scocciata e incrocia le braccia al petto, aspettando che Kyle ne faccia una delle sue.
Infatti, non appena arriva… -Svegliaaa!- urla.
Io ed Amy gli lanciamo un’occhiataccia.
Sono decisa ad ignorarlo, perciò mi rivolgo in direzione di Amy, ma Kyle mi afferra la collana, svelto e la tira verso di sé, esaminandola.
Sono costretta ad alzarmi, perché quando ha tirato la collana è schizzata nella sua direzione anche la mia testa.
-È di madreperla?- mi chiede, sollevando lo sguardo.
Caramello fuso, pagliuzze dorate che luccicano dei riflessi del sole del primo mattino.
Annuisco.
-Seee…- avverto una nota di impazienza dietro di me.
Amy.
A quanto pare Kyle ha deciso di tirarla per le lunghe.
Esamina il guscio, rigirandolo da parte a parte con la faccia stupita come quella di un bambino piccolo.
-È un medaglione!- esclama poi. –Dammelo.
Pianta gli occhi nei miei e sembra non voglia toglierli di lì per nessuna ragione al mondo. So che il modo più rapido per levarmelo di torno è dargli ciò che vuole.
Perciò, con un sospiro, mi sfilo la collana da sopra la testa e gliela porgo.
Incredibile quanto riesca a stupirmi questo ragazzo.
Si è messo la collana e ora vaga per la classe facendo gesti sconci. Ma è nato così scemo?
-Io non gliel’avrei data…- mormora Amy schifata mentre Kyle si struscia la collana sul culo.
Mi giro dall’altra parte proprio mentre entra il professore.
Ci sediamo e iniziamo la lezione.
Un nuovo inferno.
E come se non bastasse, c’è il pensiero della mia collana nelle mani poco sicure di Kyle.
 
***
 
La giornata passa quasi in fretta.
Se vogliamo non contare tutte le noiose spiegazioni riguardanti cose noiose ed un Kyle assillante che mi chiama ogni dieci minuti per far dondolare la collana a destra e a sinistra.
-Ehi, Evelyn! Kyle ti sta chiamando.- sussurra dietro di me un’ochetta.
Vorrei tanto non girarmi ma so che se non lo faccio sarà infinitamente peggio. Kyle attirerà l’attenzione su di sé in un altro modo che preferisco non immaginare.
Mi volto verso di lui e, con un sorriso perverso, si mette il guscio della collana proprio lì davanti. Mi si rivolta lo stomaco mentre fa il gesto di strusciarsela tutto intorno e imita un’espressione di estasi che è imparagonabile persino a quella di “Che bella giornata” di Checco Zalone.
Nemmeno i rutti di Amy mi fanno così schifo.
Mi giro verso la professoressa, fumante di rabbia.
Potrei vomitare in questo stesso istante. Le gambe mi tremano, vorrei alzarmi andare lì da lui e tirargli una bella pizza in faccia, riprendermi la collana e urlargli sopra che è solo un maleducato vigliacco, schifoso e presuntuoso!
Ma sto ferma.
E, soprattutto, sto zitta.
Suona la campanella e si alzano tutti in piedi. Vedo Kyle sfilarmi davanti senza la collana.
L’avrà lasciata e probabilmente sta andando a trovare la sua ragazza nella classe accanto. Sinceramente non so se voglio riaverla a questo punto.
Sto per alzarmi, quando Ray mi porge la collana e mi lancia uno sguardo d’intesa.
-Non darla mai più a Kyle, chiaro?
Gli sorrido e annuisco. –Grazie.
Al mondo esiste ancora qualcuno capace di essere gentile.
Guardo Ray andarsene e infilo la collana nella borsa.
Quando Kyle rientra e non trova il “medaglione” mi lancia un’occhiata penetrante. Non so se mi piace.

 

Sì. Questo è Kyle. Perchè è troppo figo.


*WHAWAIEAH!
Scusate scusate scusate scusate la brevità.
Ma oggi proprio è nada, nisba, nada de nada, insomma.
Nada ispiration.
Che ne dite di commentare questa schifezzuola?
Grazie tante.
Non voglio implorarvi né costringervi ma sarei molto felice di leggere una vostra opinione che vada dal: davvero molto bello, al: che cagata, puoi gareggiare ai concorsi di chi affonda meglio nella merda, vinci sicuro come scrittrice pessima.
Ecco, potete anche dirmi questo.
In queste condizioni… posso accettare di tutto.
Ormai…
Vorrei subito catapultarvi nell’azione del racconto cavoli, ma dovrete aspettare almeno un altro capitolo.
Almeno…
Va bien, lovvo la pizza e tutti voi!!
:*
Basci.
Kry <3 <3 <3
 
ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. Sorrisi nell'oscurità. ***


Capitolo 11.

Sorrisi nell’oscurità.

 
È tardi e i miei passi scivolano il più silenziosamente possibile sul marciapiede.
Oggi sono uscita con le altre ed è vergognosamente tardi, mio padre mi ammazza.
I Green Day smettono di cantare all’improvviso, e capisco che l’mp3 è morto.
Palle.
Mi levo gli auricolari e svolto in una stradina buia.
Sebbene la mia casa sia in centro, la via è sempre molto vuota. Non mi capita quasi mai di incontrare qualcuno, anche solo per caso. Inoltre è tutto molto buio, perché non ci sono molti lampioni funzionanti.
L’aria è fredda, mi avvolgo meglio nella sciarpa e sospiro.
Il mio respiro si condensa in una nuvoletta di vapore.
Continuo a camminare.
Giro la testa verso destra e mi pare di vedere un’ombra muoversi dietro di me. Sento una forte morsa alla bocca dello stomaco.
So cos’è.
Paura.
Guardo di nuovo davanti a me.
Devo raggiungere casa. Voglio raggiungere casa.
Improvvisamente il pensiero di mio padre incazzato non è più così terribile.
Accelero il passo.
Il cuore inizia a battermi veloce, il respiro è più affannoso e sento un formicolio fastidioso lungo tutta la nuca. Deglutisco più volte,  cercando di rimanere lucida.
Sento l’adrenalina crescere, i muscoli tendersi ad un solo comando del cervello.
Posso correre, posso essere più veloce, più agile, più forte e più scaltra di lui.
Perché ho paura. E se uso la paura come un’arma con la quale difendermi, nessuno potrà anche solo sfiorarmi.
Cerco di darmi una controllata, dopotutto poteva essere anche solo un riflesso della mia immaginazione.
Rallento e provo ad ascoltare cosa c’è intorno a me.
Clacson in lontananza, tintinnio di posate, il rumore di qualche televisione accesa sintonizzata sulla rai.
E passi.
Passi dietro di me, silenziosi, che cercano di accordarsi con i miei in modo che io non me ne accorga.
So di non essere tremendamente forte.
Ma una cosa posso usarla.
Ed è il cervello.
Raggiungo con calma il cerchio di luce del lampione e mi fermo, fingendo di allacciarmi una scarpa.
Sento i passi fermarsi, a poco spazio da me.
So che chiunque mi stia seguendo può guardarmi tranquillamente senza che io lo veda.
Guardo nella direzione dove intravedo una sagoma indefinita. Faccio vagare gli occhi avanti e indietro, per far capire che non so che qualcuno mi segue.
Mentalmente conto i passi che ci separano: otto.
È solo un’approssimazione, ma spero che basti.
Mi alzo, le tempie che mi pulsano, il cuore che è solo un muscolo in azione, l’adrenalina che è sangue che scorre nelle mie vene.
Proseguo verso casa mia e lentamente conto i passi.
1, 2, 3…
Spero che funzioni.
4, 5, 6…
Un battito di cuore.
7, 8.
Mi giro.
Lui è lì, sotto il cerchio di luce del lampione, la luce che gli illumina il volto.
Rimango agghiacciata dalla paura.
Mi sorride, guardandomi negli occhi e poi viene inghiottito nuovamente dall’oscurità.
Per stasera non mi seguirà oltre.
Rimango ferma per qualche istante ancora, poi mi giro e corro, velocissima, come non ho mai fatto.
Rivedo il suo sorriso, gli angoli della bocca che si piegano con malignità, lo sguardo che si illumina, cattivo, come a voler dire: non hai via di fuga. Io sono qui.
I muscoli si tendono, i passi riecheggiano accompagnati dalle risate di qualcuno.
Paura, è questo che sento.
Perché so che la situazione è degenerata.
Paura che mi invade la gola, la testa, le gambe le braccia.
Spalanco il portone e lo chiudo dietro di me, salgo in fretta le scale, spalanco la porta ed entro in camera mia.
Mi rannicchio in un angolo, tremo tremo tremo tremo.
La mia mente rivede quel sorriso.
Io sono qui.
 
Tate.
 
***
 
Prima.
 
Non ti abbandonerò mai, ecco cosa diceva.
Ma non nel senso che intendeva Amy. Intendevano sempre le stesse cose, ma in maniera diversa.
A volte Amy lo trovava snervante, troppo appiccicoso e accondiscendente.
“Cosa vuoi fare da grande?” le aveva chiesto per messaggio, una volta.
“La fumettista.”
Quando erano usciti, lui aveva iniziato a dire di quanto fosse colpito del fatto che lei volesse fare la fumettatrice. Amy non aveva detto nulla e aveva continuato così per molto tempo.
Era imbarazzante.
Finalmente aveva capito che lei non provava niente per lui e la cosa era andata bene per un paio di giorni.
Poi vuoto.
Non si era fatto più sentire.
Amy ci aveva creduto.
Aveva creduto che potesse esserci una bella amicizia alla base di tutto.
Perciò, quando si fece sentire, dopo mesi, lei gli rispose in maniera molto brusca. Dopo, decise che non gli avrebbe più risposto.
Sarebbe stato meglio per lei, senza l’assillo costante di un ragazzo che non capiva cosa volesse, e meglio per lui, che l’avrebbe dimenticata e si sarebbe presto invaghito di un’altra.
Punto, fine della situazione.
Ma non era così semplice.
Lui aveva continuato a mandarle messaggi, a cercarla, a chiamarla.
All’inizio Amy le ignorava semplicemente, anche se si sentiva un po’ in colpa per non degnarlo nemmeno della spiegazione.
Poi le chiamate erano diventate metodiche.
I messaggi uguali.
E quando usciva, Amy aveva sempre il terrore di incontrarlo.
Di essere fermata bruscamente da lui che la intimava di dirle perché non rispondesse.
I suoi incubi erano perseguitati da mani che la afferravano, domande senza risposte, chiamate non ascoltate.
Era come un sesto senso.
Come quando il giorno prima di un’interrogazione sai che il professore chiamerà te, lo sai e basta e il giorno dopo succede.
Ecco com’era.
E forse, il suo sesto senso non si era affatto sbagliato.



*WHAWAIEAH!
Ciao a tutti, sarò breve perchè sono raffreddatissima e non riesco a capire nemmeno ciò che penso. x_x
Allora: Spero vi sia piaciuto il capitolo (come sempre I hope), insomma, è una nuova svolta e si può ben dire che inizieranno a susseguirsi molti eventi che spero vi colpiscano.
Cosa ne pensate di tutto questo?
Insomma, Tate che la segue, la reazione di Amy... ve lo aspettavate?
E cosa credete che succederà, ora?
Insomma, trasmettetemi le vostre emozioni e i vostri consigli!
Un bacio a tutte,
come sempre!!
Kry <3 <3 <3 (:

PS: Vi è piaciuto il banner??? *_________*

ORDER OF THE PHOENIX*

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. Katherine ***


Sei romantico come... un camionista analfabeta.



Capitolo 12.

Katherine

 
 
Katherine è una ragazza dolce e tranquilla.
Una cascata d’oro le accarezza la schiena ed il cielo sembra essere riflesso dai suoi occhi.
Ama sorridere, essere gentile, le sue parole sono come una melodia affabile in uno spartito stonato, sono sempre calme, limpide e tranquille, anche se la situazione è spinosa.
Katherine è un fiore che sboccia al mattino e si richiude tranquillo la sera, uguale, immutato, senza che il suo stelo venga mai strappato dalle raffiche di venti impetuosi, che non vedono l’ora di portare via quel piccolo bocciolo così splendido e colorato.
Acqua pura e vento che soffia la sera, risata chiara e profumo di libri, fantasia, immaginazione, sapore di una libertà celata.
Katherine è acqua e Amy fuoco in eruzione.
Come in quel momento.
-Non me ne frega un cazzo! Kat, sul serio non so che fare!- la voce di Amy le arrivava energica alle orecchie, agitata e soprattutto irritata, arrabbiata.
-Su Amy, rilassati. Vedrai che andrà tutto bene!- cercò di rassicurarla lei.
-Bene un corno, bene! Dio, se solo quella lì sapesse quanto ci ammazziamo ogni giorno! Eh  no, dice pure che il nostro studio è superficiale!! Superficiale una minchia, dico io! Ho studiato come una bestia per quel compito e non accetto insufficienze e nemmeno uno stupidissimo sei! Minimo sette! O giuro che quel compito glielo ficco su per
-Sì, sì, ho capito.- intervenne Katherine prima che Amy desse sfogo a tutti gli insulti che conosceva. –Hai ragione, in effetti. Ma sta’ tranquilla, vedrai che andrà tutto bene. La scuola è stressantissima, è vero neanche io ce la faccio più. Ma supereremo anche quest’anno, vedrai!
La voce di Katherine era limpida, dolce e sicura.
Amy sospirò alla gentilezza dell’amica e sorrise dall’altro capo del telefono, la rabbia improvvisamente sbollita.
-No, Kat. Quella che ha ragione sei tu. Non riesco proprio a capire come fai a sopportare ogni volta i miei scleri e le mie lamentele…. Sei davvero una persona splendida, troppo gentile. Mandami a quel paese quando esagero, te ne do l’autorizzazione!!
Tutte e due scoppiarono a ridere, l’aria improvvisamente leggera come bollicine di champagne.
Quando la risata si smorzò Amy sentì le sue bollicine scoppiare e dissolversi completamente. Forse doveva parlarne con qualcuno. Forse Katherine avrebbe capito tutta quella sua ansia, quella sua paura, forse le avrebbe detto cosa fare o come comportarsi.  
-Ehi Kat, io…
-Sì?
-No, niente. Devo andare. Ci sentiamo più tardi, okay?- Amy chiuse gli occhi e si lasciò scivolare contro il muro. Che grande cazzata.
-Okay.
Katherine si morse le labbra sovrappensiero. C’era qualcosa che non andava. Amy era così… spenta. O meglio, verso la fine lo era stata. Non era da lei.
Scosse la testa e si affrettò a vestirsi, per uscire con alcune sue compagne di classe.
In realtà non le andava proprio di passare una serata come tutte le altre quando usciva con loro. Ma non era una persona cattiva e proprio non ce la faceva a dire di no quando le chiedevano di uscire.
“Uscire” era un eufemismo. Tecnicamente quello che facevano era: passare di vetrina in vetrina, ammirare criticare commentare vestiti, borse, giacche e accessori e parlare di ragazzi e delle coppiette come se fossero stati l’ultima novità sul mercato.
Katherine le sopportava a stento, ma mascherava tutto dietro qualche sorrisino timido. Non le piaceva ferire la gente e infondo, molto infondo, erano persone buone anche se un po’ frivole.
Meno male che c’erano Amy e le altre. Sebbene Amy fosse più piccola di lei di un anno, aveva abbastanza grinta per tutte e due messe insieme e la sua gioia di vivere e l’energia con la quale affrontava ogni situazione era qualcosa di estremamente affascinante. A volte desiderava avere un po’ della sua forza d’animo. Desiderava essere un po’ più menefreghista, un po’ più come lei, capace di sparare parolacce per tre minuti consecutivi senza respirare.
Scese le scale e camminò a passi lenti verso il luogo dove si doveva incontrare con Marianne. Sicuramente avrebbe ritardato, come sempre.
La vide avvicinarsi in lontananza, i lunghi capelli castani perfettamente ordinati, il rossetto steso sulle labbra carnose, la borsa di Prada sottobraccio, come le gran signore. Katherine sorrise spontaneamente mentre Marianne si chinava dall’alto dei suoi tacchi e le sfiorava le guance con due baci leggeri, come quelle ragazze altolocate dei film vecchio stile facevano. Fu sopraffatta da un profumo dolcissimo, che per poco non le fece lacrimare gli occhi.
Marianne sorrise. –Allora, ho due buone notizie, una per me e una per te.
-Dimmi prima la tua.
-Sai, non capisco proprio perché non sei uscita in questi giorni, sono successe così tante cose!- esclamò lei eccitata. –Allora, la mia bella notizia è che sabato scorso mi sono baciata con Brad e ci siamo messi insieme!
-Grandioso!- esclamò Katherine come sapeva si sarebbe aspettata Marianne. A dire la verità quel Brad era proprio antipatico. Non molto alto, spalle larghe e un sorriso che sembrava quello del “Grinch”, quel mostro verde e cattivo di un film di natale. Da paura.
Marianne annuì le labbra che si curvavano ancora di più, come quando aveva uno scoop bollente da comunicare. Katherine capì che si aspettava che lei dicesse qualcosa. –E poi?
-E poi… beh, poi Logan ti vuole, ecco.
-CHE COSA?- Katherine sbiancò. Si sentiva mancare l’aria e tutt’attorno i suoni si erano attutiti, come se l’avessero rinchiusa in una boccia di vetro. Ecco il perché dell’amicizia su facebook, il perché di quelle imbarazzanti battute squallide per cercare di attirare la sua attenzione. E lei che non ci aveva mai fatto caso!
Che schifo!
Oddio no oddio no oddio no. Non. Può. Essere. Vero.
-Katherine, ti senti bene? Sei bianca come uno stracchino!
-Non è vero, vero?- gli occhi della ragazza la imploravano speranzosi.
Marianne sembrava non capire. –Cosa? Certo che è vero! Insomma, è un ragazzo così carino! E poi è messo davvero bene a soldi, può farti dei regali costosissimi!
-Ma non mi interessano i suoi soldi!- protestò Katherine.
Lei con quel tipo non voleva averci nulla a che fare. Era un ragazzo come tutti gli altri, non lo conosceva, uscivano solo insieme e non l’aveva mai colpita in maniera particolare, se non quella volta quando le aveva dato una manata per sbaglio.
Stop, punto, fine della storia.
Lei non era attratta da lui.
Le sembrava così superficiale e privo di uno scopo, così… , detestava anche solo pensarlo, insignificante.
Non voleva né illuderlo né accontentare nessuna di quelle ragazze con cui usciva che non aspettavano altro: un nuovo scoop, una nuova coppia sul mercato.
No, non l’avrebbe mai fatto.
Katherine scuoteva la testa, in maniera risoluta. –Torno a casa.
-Cosa?- Marianne sembrava sconvolta. –No, Katherine ascolta. Tu esci con noi. Devi dargli almeno una possibilità. Devi farlo.
Io non devo fare proprio niente.
Gli occhi di Marianne la fissavano minacciosi. Non l’avrebbe fatta tornare a casa, ne era sicura. L’avrebbe costretta a fare quello che diceva lei.
Katherine pensò ad Amy.
Voglio la sua forza la sua forza la sua forza.
-No.- si girò e iniziò a camminare verso casa, il cuore che le batteva forte. Non poteva accettare di uscire con loro, non voleva accettare di farlo.
Lei era libera di fare quello che voleva.
Marianne la tirò per un braccio e le si parò davanti. –Ascoltami bene, Katherine. Tu gli darai una possibilità. È questo ciò che farai. Uscirai con noi qualche volta e ci parlerai. Non puoi non farlo e poi nessuno ti obbligherà a mettertici insieme. Ma non puoi semplicemente scomparire, non sta bene nei suoi confronti. E poi non usciresti più con noi, insomma! Non puoi farlo, non te lo lascerò fare.
Scommettiamo?La faccia di Amy con un sopracciglio sollevato e uno sguardo di sfida, la incitava.
La stretta di Marianne si fece più forte.
Katherine deglutì e abbassò la testa.
-Su, Katherine. Sarà solo per stasera. Vedrai che non accadrà niente di brutto.- Marianne le sorrise e un’ondata di gelo la travolse.
Si incamminò con lei, sperando che almeno le sue parole, a differenza del suo sorriso, fossero vere. 


*WHAWAIEAH!
(:
Ciao! :))
Niente scleri che non si capiscono today.. sarà che domani ho compito di inglese e latino e oggi ho fatto 3 ore di ripetizione di chimica e un sacco di schemi di filosofia e un sacco di esercizi di inglese... -.-  = sono uccisa.
Ooocchey! :D
Vi voglio bene!! :)
Che ne pensate del capitolo??
E di questo nuovo personaggio?
E dei suoi problemi, del suo camionista??
E del banner?? :)
Non vedo l'ora di sentire i vostri pareri!! <3 <3 <3 :*
Un bacione,
Kry <3 <3 <3

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. Non esistono casi disperati e nulla che non possa essere cambiato. ***


Sei romantico come un camionista analfabeta.



Capitolo 13.

Non esistono casi disperati e nulla che non possa essere cambiato.


 

 
Suona la campanella della seconda ora. Oggi è il 19 marzo 2013 e proprio in questo istante, tutti gli alunni della 3^ E si preparano ad una morte lenta e dolorosissima.
I risultati del compito di matematica.
-Non lo voglio vedere non lo voglio vedere non lo voglio vedere non…
-Oh, ma la smetti?- mi dice Amy scocciata.
È un po’ che è nervosa e scostante.
Sarà per lo stresso dovuto alla scuola.
-Prima ce lo togliamo davanti e meglio è. – La osservo mentre aggrotta le sopracciglia nel suo sguardo serio, tipico di quando dice un’emerita cosa risaputa.
-Sì, sì, insomma è vero, però, ecco, magari se… sì beh, insomma se se litieneforseèanchemeglioperchènonlovogliovederenonlovogliovederenonolovogliovedere!- esclamo nervosa, scuotendole ripetutamente il braccio.
Amy ciondola da una parte e dall’altra e quando smetto di strattonarla mi lancia un’occhiataccia.
-Andrà bene, vedrai.- mi dice, nel vano tentativo di tranquillizzarmi.
Ma è tutto inutile.
Sono troppo nervosa, sovraeccitata, da schizofrenia insomma!
In tutti i compiti ho collezionato una serie di 4 e mi sembra di non riuscire a togliermeli di dosso, cavolo!
È per questo che io e più della metà della classe non vogliamo vedere i compiti. Perché sappiamo, o meglio, abbiamo paura di avere un’insufficienza!
La prof fa il suo ingresso nella classe e io prego tutti i santi che conosco, San Pietro, San Giuseppe (visto che oggi siamo pure in tema) e la mia fedele madonnina. Speriamo che vada bene!
L’insegnante posa i compiti sulla cattedra e io sudo freddo, mangiandomi le unghie.
Ho il cuore che batte a mille.
Per favore…
La prof ci scruta con i suoi occhietti divertiti, la bocca piegata in un sorriso di chi la sa lunga.
Inizia a spiegarci dove abbiamo sbagliato, cosa potevamo fare e bla bla bla, sono solo parole, insomma ce li devi fare vedere quei compiti? Allora muoviti!!!
Inizia a chiamare i nostri nomi e una fila di ragazzi va  a ritirare il suo compito.
Sarah Evans.
Mi ha chiamato.
Mi ha chiamato. Okay. Calma, è tutto apposto.
È tutto apposto.
Mi alzo e vado verso la cattedra, con passo da marcia funebre.
La prof mi porge il compito.
Per qualche istante fisso i suoi capelli cotonati, poi di nuovo il foglio bianco.
Non so se voglio prenderlo.
Lo sguardo interrogativo della professoressa mi riscuote e afferro il compito.
Mi mordo l’interno del labbro.
Socchiudo gli occhi e con mano tremante giro il foglio.
Sbircio il voto.
7.
7, 7, 7, 7, 7, 7!!!!!
-Sìììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììì!!!!- urlo spalancando le braccia e mettendomi a saltellare.
Il sorriso si allarga sulla mia faccia non riesco a trattenerlo è troppo troppo troppo bello che potrei piangere e ridere al tempo stesso.
Sento la risata della professoressa alla mia reazione seguita da quella di tutta la classe.
-Quanto hai preso?- chiedono delle voci.
-SETTE!- urlo sprigionando tutta l’energia che ho dentro.
Se mi mettessi a correre shizzerei via come una scheggia, l’adrenalina mi fa tremare e non riesco a smettere di ridere.
Mi siedo e sono troppo felice.
Continuo a martoriare il braccio di Amy, giusto per non perdere l’allenamento e per scaricare la tensione.
La vedo sorridere sebbene le stia dando una serie di pugni abbastanza forti.
So che è felice per me.
Perché io lo sono.
 
Per Evelyn ed Amy non è andata molto bene.
Amy ha preso cinque e mezzo, ma non si lamenta sebbene si veda che sia piuttosto giù.
Evy invece è inconsolabile.
È lei che è andata a ripetizione, lei che ci ha spiegato come svolgere gli esercizi, lei che ha detto: ce la possiamo fare, ragazze. Ci siamo impegnate.
Amy sta cercando di consolarla, sul banco di Evelyn ci sono un mucchio di fazzoletti stropicciati, ma lei non ne vuole sapere.
-In culo! Ho preso cinque! Non so più come devo fare! Vado a ripetizione, studio, mi esercito! No, non serve a niente.- Evelyn si rinchiude di nuovo nel suo silenzio e prende un altro fazzoletto.
È incazzata e si vede.
Con se stessa, con la professoressa, con la matematica.
E io la capisco. E credo anche Amy.
Le stringo forte un braccio.
Un po’ mi sento in colpa per aver esultato così apertamente quando Evelyn ha preso quel voto ed è così disperata.
-Su dai.- le dico in un sussurro, ma lei scuote la testa, i riccioli che saltano da una parte all’altra.
Amy nel frattempo prende il suo compito e lo esamina.
-Senti Evelyn…- io ed Evelyn ci giriamo a guardarla, mentre esamina il compito.
–Sul foglio ci sono solo due esercizi e sono corretti. Sei sicura che abbia corretto anche questi altri?- chiede tirando fuori la fotocopia dove erano scritti gli esercizi.
Sul retro Evelyn ha risolto la parametrica ed un problema e non c’è nemmeno un segno di correzione.
Evelyn si scansa, scocciata. –Non lo so, penso di sì! Sennò non mi avrebbe messo quel voto!
Amy continua ad essere seria.
-Senti per me dovresti andare a chiedere. Che ne sai? Potrebbe non averli visti! Qui hai fatto due esercizi in più ed è chiarissimo che non li ha corretti perché accanto non ha nemmeno scritto il punteggio. Veglielo a chiededere, che ti costa?- Amy non stacca gli occhi da quelli di Evelyn, che sbuffa irritata.
Alla fine però cede e va dalla prof a chiedere.
Io ed Amy non le stacchiamo gli occhi di dosso.
La professoressa osserva il foglio e dice qualcosa.
Drizziamo le orecchie. –Ma no, non l’avevo proprio visto! L’ho tirato fuori e non l’ho corretto, ho guardato direttamente il foglio protocollo!
Evelyn sorride e noi tiriamo un sospiro di sollievo.
Quando torna a sedersi è raggiante.
-Sei e mezzo!- esclama sorridente, rispondendo alle nostre mute domande.
-Hai visto?- le dico, sorridendo a mia volta.
-Mi devi un voto e mezzo!!- esclama Amy, facendo l’imbronciata. Poi fa una linguaccia e scoppiamo tutte a ridere.
Ah, come sono felice! Credevamo che sarebbe stata una catastrofe questa giornata e invece… invece no!
La professoressa riporta l’attenzione della classe alla realtà e ritira i compiti. –Mi dispiace per le persone che hanno avuto un’insufficienza. Ma in molti casi, ragazzi, io credo che siano dovuti alla mancanza di un metodo. Ad esempio, tu Ray, che ti sei barricato là dietro con tutti gli amici tuoi! Perché non vieni avanti? Se stai là e continui a distrarti, non sto scherzando, tu vieni bocciato quest’anno. Eh, datti una regolata, figlio mio!- esclama la professoressa, gesticolando animatamente.
Ray annuisce e abbassa il capo.
Quando suona la campanella siamo tutti in piedi, come sempre.
Ray ci si avvicina e guarda Evelyn con occhi supplicanti. –Ti prego, Evelyn fai cambio di posto con me? Io vengo davvero bocciato quest’anno se mi distraggo.
Evelyn scuote il capo,dispiaciuta. –No, Ray non me lo chiedere, ti prego. Se vado lì infondo mi distraggo io, non riesco a seguire…. Mi dispiace.
Ray continua a guardarla implorante ma Evelyn continua a scuotere la testa. –Ti prego!! Vedrai che non è così male stare là. Accanto hai Kyle che non parla mai, quel bastardo! Per favore!
Evelyn sbianca e getta una rapida occhiata verso il posto di Ray. Kyle è in piedi a parlare con un altro ragazzo.
Evelyn si gira di scatto verso Ray. –Non se ne parla proprio!
Ray guarda Amy, ma la ragazza scuote il capo, irremovibile. –Ray, ma tu sai i voti che ho io, nonostante stia al primo banco? Tutti cinque e cinque e mezzo, almeno nelle materie scientifiche. Se vado in quel buco è sicuro che non riemergo più.
Ray sbuffa, si passa le mani nei capelli e si allontana, lamentandosi.
-Un po’ mi dispiace, ma credo che se chiedesse alla Gates di essere spostato lei potrà accontentarlo.- dice Amy, mentre Evelyn annuisce. La Gates era la loro coordinatrice di classe e sapeva disporre gli alunni nei banchi come se fossero pedine di una scacchiera.
Sorrido, incapace di trattenermi.
Oggi è una giornata felice, c’è il sole, c’è profumo di primavera.
-Ah, la felicità!- canticchio.
Amy sorride e imita la voce di Peter Cincotti –Oh, I need you back!
Sì, oggi è decisamente una giornata felice.
 
Prima.
 
Era una sera fresca e piacevole e tutti erano riuniti in giardino.
I portoni dei palazzi erano aperti e alcuni ragazzi salivano a casa per prendere qualcosa da mangiare e portarla agli altri.
Sarah era inquieta.
Dopo che Alice le aveva detto tutte quelle cose, su David, su di lei, su Emily, non era più riuscita a guardarlo nello stesso modo.
Provava un’innegabile attrazione nei suoi confronti, sebbene si sforzasse di nasconderla, a se stessa e agli altri.
-Su idioti, si mangia!- urlò Lee con la sua immancabile allegria.
-Senti chi parla, il genio rosso!- gli urlò di rimando lei. Lee le fece una linguaccia e lei rispose allo stesso modo, mentre si sedevano tutti attorno ad un tavolo improvvisato. C’erano panini, focacce, torte e frittelle. Insomma, una bella festicciola in giardino, una festa estiva tra amici.
-Iniziamo?- domandò Alice.
-Ma mancano ancora Marcus, Emily e David!
-Vado a cercarli.- Lee si alzò e fece qualche passo prima di essere travolta da una Emily in lacrime.
-Non è vero!- urlò. –Non ci credete, non è vero!!
La povera Emily singhiozzava senza fermarsi, tutta rossa in viso.
Sarah le si avvicinò.
-Shh, tranquilla Emily.- mormorò accarezzandole i capelli. Tranquilla… che è successo?
-Non… non…
-Lo spiego io, cos’è successo!- disse Marcus con un ghigno sul volto, mentre si avvicinava tranquillamente. Emily iniziò a singhiozzare ancora più forte e Sarah la strinse a sé con le braccia.
-Nessuno ha chiesto il tuo parere, mi pare.- sputò fuori acida. Marcus era senza dubbio la persona che odiava di più al mondo. Era cattivo.
Il ragazzo si bloccò, fingendosi sorpreso. In realtà tutti morivano dalla voglia di sapere cosa fosse successo, le ragazze erano tutte in piedi, immobili, aspettando che qualcuno dicesse qualcosa e l’assenza di David non faceva che incuriosire ancora di più tutti quanti.
-È successo,- riprese con nonchalance ricominciando a camminare, -che la nostra Emily è una persona piuttosto intraprendente, non è vero, Emily?
Emily si rannicchiò ancora di più tra le braccia di Sarah, iniziando a tremare. –N- non è vero!- cercava di dire, ma i singhiozzi soffocavano le sue parole.
Marcus scoppiò a ridere. –Che c’è, Emily, non ti sei divertita abbastanza, prima?
-Oh, dacci un taglio, stronzo!- sbottò Sarah. La rabbia le stava salendo al cervello, avrebbe volentieri picchiato quel gracilino di merda! Ma come si permetteva!! Era cattivo, ci godeva a far star male le persone!
Marcus sogghignò. –Okay, okay, Sarah. Ma sta’ calma… Insomma, Emily ha invitato David nel portone di casa sua per assaggiare qualche frittella e si sono baciati. Emily gli è praticamente saltata addosso.
Le braccia di Sarah scivolarono lungo i suoi fianchi.
Il respiro le si mozzò in gola, il freddo le ghiacciava le vene.
Come aveva potuto credere che David provasse qualcosa per lei?
Era stata un’illusa.
Marcus continuava a sogghignare, mentre tutte le ragazze guardavano male nella direzione di Emily. Sarah voltò lentamente il viso e incrociò gli occhi di Lee, preoccupati. Non stava guardando Emily, che singhiozzava contro il suo petto.
Stava guardando lei.
E con gli occhi le chiedeva se andasse tutto bene.
Sarah abbracciò nuovamente Emily, distogliendo lo sguardo.
Come faceva Lee a sapere sempre cosa non andava in lei? Come faceva a leggerle dentro a quel modo?
-Non è vero, Sarah! Non è vero!- singhiozzò Emily contro la sua spalla.
Le braccia di Sarah la strinsero ancora di più. –Shh. Lo so, Emily. Lo so.
In realtà avrebbe voluto crederci davvero. Ma ciò che sentiva era solo amarezza. Delusione. E si dava della stupida per essere stata così ingenua.
I mormorii si zittirono e Sarah sollevò il capo.
Due occhi azzurri la guardavano, sembravano volerle dire qualcosa, volerle trasmettere qualcosa ma lei non sentiva niente.
Solo un enorme vuoto.
David.
-È vero? È vero che tu ed Emily vi siete visti nel suo portone?- chiese Lee.
David non staccò gli occhi dai quelli di Sarah. –Sì.
Una pugnalata al cuore.
Gli occhi le si riempirono di lacrime ma le trattenne.
Non doveva piangere, lui non l’avrebbe vista piangere, lei era più forte, era forte.
Si morse la lingua fino a sentire il sapore del sangue e le lacrime sparirono.
David la stava ancora guardando, sembrava quasi dispiaciuto, come se le volesse chiedere scusa di qualcosa.
Ma scusa di cosa?
Non doveva chiederle scusa per niente.
Era libero di fare ciò che voleva, non gliene fregava proprio niente.
E perché avrebbe dovuto fregargliene qualcosa, poi?
Non stavano insieme, non erano niente, non erano nemmeno così amici.
Afferrò un piatto e ci mise dentro alcune cose da mangiare. Poi prese per mano Emily e si allontanò da tutti, si allontanò dagli altri, portando lei ed Emily dove avevano bisogno di stare.
In un altro posto, lontano da tutti.
Da sole.
 
 
-Tu mi credi, vero?- le chiedeva Emily ripetutamente. Stando alla sua versione dei fatti tra lei e David non era successo davvero nulla. Lei lo aveva invitato a mangiare una frittella, avevano parlato, ma nulla di più.
Era gracilino che si era inventato tutto, come sempre.
“Se lo prendo lo ammazzo.”pensò Sarah, incazzata. Credeva ad Emily, ma nonostante tutto, si sentiva profondamente ferita.
Era stupida, David non aveva fatto nulla e soprattutto non doveva rendere conto a lei di niente.
Ma quell’episodio la faceva riflettere.
Perché se la prendeva tanto?
-Sarah io voglio tornare a casa.- Emily aveva lo sguardo basso e sbriciolava con le unghie la patatina che teneva tra le dita.
Sarah annuì e la accompagnò al portone.
Prima di chiudersi la porta alle spalle, Emily guardò Sarah, sorridendole. –Grazie, Sarah. Per avermi creduto.
Sarah abbozzò un sorrisetto. –Di nulla.
 
-Sarah! Aspetta!
-Cosa c’è, Lee?- Sarah si voltò, seccata. Voleva andarsene a casa ad ascoltare la musica, voleva dormire e dimenticarsi quella giornata assurda.
Gli occhi azzurro-grigi di Lee la scrutavano preoccupati.
-Devi venire con me.
-Non voglio stare a sentirti.- Sarah si voltò e continuò a camminare.
-Sarah, ti prego! Sono il tuo migliore amico!
Sarah si fermò, maledicendosi. Era vero, lui era il suo migliore amico. Non l’aveva mai tradita, le aveva sempre confermato la fiducia che lei aveva in lui. Si morse le labbra e si girò verso Lee, lentamente.
Subito le sue braccia l’avvolsero e Sarah sentì le sue labbra morbide posarle un dolce bacio sulla fronte. –Vieni con me.
Sarah annuì, buttando fuori l’aria e lo seguì per il giardino.
Lee procedeva pochi passi davanti a lei, i ricci rossi che sobbalzavano nell’oscurità, le spalle sicure a cui si era aggrappata tante volte, inconfondibili nel buio.
Si fermò davanti al garage e le fece cenno di entrare.
Sarah lo guardò con aria interrogativa.
-Fidati di me.
Sarah non seppe opporsi all’intensità del suo sguardo, agli occhi seri di Lee.
Abbassò il capo ed entrò nel garage, avvolto dall’oscurità.
-C’è qualcuno?- chiese titubante. Sentì dei passi alle sue spalle e due braccia grandi la avvolsero, tenendola stretta. Sarah sentiva un petto ampio e scolpito contro la sua schiena, un profumo di menta mista a sale, dolce, profumo.
Il cuore iniziò a batterle forte.
Per lo meno non era il gracilino.
-Chi sei?- chiese, col cuore in gola.
Deglutì più volte, il respiro spezzato. Sapeva chi era, riconosceva il suo profumo, riconosceva il suo abbraccio come quello che le dava ogni volta dopo una partita.
David.
David.
Due mani la fecero voltare e Sarah sentì palmi freschi posarsi sul suo volto, sulle sue guance. –Non è successo niente tra me ed Emily. Devi credermi.
Sarah socchiuse gli occhi, le lacrime che le pizzicavano le ciglia. –Non sono affari miei. Non mi importa di quello che fai.- sussurrò flebilmente.
-Davvero non ti importa?- la voce era leggermente delusa, quasi ansiosa.
Sarah annuì e le mani che le tenevano il volto tremarono per un attimo. Poi, improvvisamente, le labbra di David accarezzarono le sue, dolcemente. Le mani di Sarah si fecero strada tra i suoi capelli, mentre il bacio diventava più profondo, le labbra calde incollate le une alle altre, le lingue che si sfioravano in una dolce e lenta danza.
David si staccò da lei.
-E adesso?- le chiese, col fiatone. –Non ti importa, adesso?
Sarah riuscì a scorgere i suoi occhi brillare, nell’oscurità.
Il cuore le batteva a mille.
Le sfuggì un singhiozzo e David la strinse ancora più forte a sé. Sarah si lasciò cullare dalle sue braccia e dal suo profumo.
Si alzò sulle punte dei piedi e sfiorò le labbra di David con le sue. –Sì.- rispose. –Mi importa tantissimo.
 
 

 

*WHAWAIEAH!
Ciao!! :)
Spero vi sia piaciuto…  Vi ringrazio per le recensioni ricevute per lo scorso capitolo, non ho avuto tempo di rispondere a tutte ma mi farò sentire presto!!
Che ne pensate del capitolo e del banner?? *_*
Attendo un vostro parere e  scleri multipli con le ipotesi più disparate!!! ;p
Un bacione!!
Kry <3 <3
ORDER BOF THE PHOENIX*

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. Palle, spade e vagine. ***


Capitolo 14.

Palle, spade e vagine.


 *Occhey, il titolo può sembrare un po' equivoco, forse lo è davvero, chi lo sa xD Ma continuate a leggere, non vi scoraggiate! ;p*


Educazione fisica.
E ti pareva che non dovevo finire in squadra con Mr. Sonotuttod’unpezzo.
Che nervi!!!
Lo sanno tutti che non sono brava a pallavolo.
E invece no, eccomi davanti Kyle che mi guarda come se si aspettasse chissà quale miracolo da me. Se, aspetta e spera!
Almeno io ed Amy stiamo nella stessa squadra.
Davvero magra consolazione visto che siamo entrambe sotto pressione.
-Ehi, non dormire!- si raccomanda con Amy, senza staccare gli occhi dai suoi. Amy gli fa una smorfia e lui si gira. Poi mi regala uno sguardo della serie: chiaro?
Quelli con il sopracciglio sollevato e la pupilla ridotta ad un puntino nero invisibile annegata nel caramello.
Distolgo lo sguardo, scocciata.
La partita inizia, giochiamo.
Arriva il mio turno di battuta.
Kyle mi si avvicina. –Allora, prendi la palla e sfoga tutta la tua rabbia. Deve essere una bomba, colpiscila col pugno più forte che puoi.
-Ma se la prendo col pugno va storta!- protesto.
Kyle mi guarda come se fossi pazza. –Non importa. Vai col pugno. Deve fare Boom!
-Che?!- chiedo incredula. Questo si è fatto una canna.
-Boom!
Incontro lo sguardo scioccato di Amy.
Anche lei crede che sia pazzo.
-Boom.- mormoro.
-Sì, sì, BOOM!
Che palle!
Scuoto la testa e mi metto in posizione di battuta.
Mi vengono i brividi, Kyle è così vicino a me.
Dio, che fastidio!
Prendo fiato.
Ho tutto il tempo.
Porto indietro il braccio e colpisco la palla.
-BOOOM!- grida Kyle nello stesso istante, facendomi sussultare. La palla se ne vola storta e non colpisce nemmeno la rete.
Che...
Mi guarda male. –Dovevi colpire più forte.
Lo guardo male. –Te l’avevo detto che andava storta, col pugno!!
Mi guarda seriamente, della serie: “Come ti permetti, pivella?”
Coglione.
L’altra squadra segna un paio di punti prima che noi ne mettiamo a segno uno.
Tocca ad Amy battere.
Prende la palla, la fa palleggiare un po’ sul campo.
Ultimamente le battute le escono molto bene.
Sorrido.
Poi faccio una smorfia.
Kyle si sta avvicinando a lei, forse per darle uno dei suoi tanti consigli su come fare una battuta “esplosiva”.
Amy sta per mettersi in posizione quando lo vede e alza le braccia in aria, indietreggiando. –NO, non hai capito niente! Allontanati, tu!- gli urla contro.
Kyle rimane stupito e immobile per un momento, poi ritorna al suo posto. –Mi raccomando, deve fare Boom!- le mormora, con sguardo di intesa.
Amy lo guarda male e poi fa la battuta.
Non le esce.
Cavoli.
La faccia di Kyle è tutto dire. Scocciata.
L’altra squadra batte, la palla diretta in direzione di Amy, che si prepara per uno dei suoi potentissimi bagher. La palla scende di velocità, quando all’improvviso Kyle le si para davanti e la prende al posto suo.
Amy gli regala un’occhiata di fuoco, ma Kyle è troppo impegnato a giocare al posto degli altri per poterla notare.
Facciamo punto e ruotiamo.
Amy è incazzatissima, si vede a d un miglio di distanza ma Kyle è troppo tonto per capirlo e le si avvicina.
Oh Dio, non voglio vedere!
Stasera Amy si ciberà di polpette thailandesi di Kyle!
Ci manca solo che si metta a ringhiare!
-Oh, e non dormire!- le dice Kyle con tono di rimprovero.
Trattengo il respiro.
Amy stringe e rilascia i pugni un paio di volte, poi esplode.
-SE TU NON TI METTESSI DAVANTI QUANDO IO DEVO PRENDERE LA PALLA E NON ROMPESSI IL CAZZO QUANDO UNO DEVE BATTERE, FORSE E DICO FORSE, POTREMMO ANCHE GIOCARE TUTTI E BENE. BOOOOOM!- urla lei puntandogli l’indice contro.
Non ci credo.
Gli ha urlato veramente contro.
Stima profonda per la mia amica.
Kyle è rimasto impalato per un lungo istante, con gli occhi sgranati.
Questo rimarrà sicuramente tra i momenti topici della mia vita!
Poi, come un pirla, si gira e inizia a ridere indicando Amy.
Stavolta tocca a me sgranare gli occhi.
Ma si diverte davvero tanto a dare fastidio alla gente?
Kyle indica Amy come se non ci credesse, ma secondo me la batosta è stata proprio forte. Ad Amy non piace urlare contro persone che non conosce, soprattutto poi, se deve frequentarle in ambito scolastico. Quindi credo proprio che Kyle non se lo aspettasse.
Dio, quanto è scemo questo ragazzo.
Guardo Amy che è tutta rossa in viso mentre cerca di trattenere la rabbia.
Poi guardo Kyle.
Scuoto la testa.
Povero ragazzo.
Ebbene sì, Kyle Anderson, ho pena per te.
Perché da oggi sei sulla lista nera di Amy McCanzie.
 
Abbiamo l’ora di fisica.
La prof è la stessa di mate, la Fairbrother.
E, sfortuna delle sfortune, deve consegnare i compiti di fisica, appunto.
-Ragazzi,- esordisce dopo averceli distribuiti –ma è possibile che facciate certi errori? Non ridevo così da quando due anni fa non avevo le ore subito dopo quelle delle professoresse di latino e greco. Ed ogni volta era una risata quando i ragazzi facevano i compiti in classe. Un giorno, la professoressa aveva appena consegnato i compiti corretti ed era disperata. Appena entrai, mi guardò e disse: “Jane, ma le donne andavano in battaglia?”. Io ovviamente risposi di no e lei mi chiese: “E che tu sappia, camminano sulle mani e con le gambe aperte?”. Risposi ancora di no e lei mi chiese: “Ma sono le donne che hanno la vagina?”. E io risposi di sì. E lei, ancora: “E sai tu che hanno scritto loro? Gli uomini, nel mezzo della battaglia, estraevano le spade dalle vagine!! Mi spieghi come si fa a scrivere una cosa del genere e a non capire che è sbagliata? A non rivederla?”. Ecco, così fate voi! Vedete che i problemi non hanno senso e passate avanti. Come si fa a dire che uno slittino procede a 600000 km al secondo? Nemmeno un razzo è così veloce!
Stiamo tutti ridendo per il racconto delle vagine.
Ommiodio, ma è assurdo!!
Sarà l’aria della primavera che fa impazzire tutti.
Una collaboratrice scolastica bussa e dice alla prof che deve salire in segreteria.
Non appena esce, si solleva un boato di urla.
Insomma, siamo o non siamo al liceo?
Aereoplanini di carta che volano, tiro a bersaglio con il cassino, foto al cellulare e… danze afroamericane?
Io ed Amy stiamo guardando nella stessa direzione.
Steve e Ryan si abbracciano in una maniera piuttosto scabrosa, mentre ridono come dei trogloditi.
-Ma si stanno inculando?
La perplessità nella voce di Amy mi fa ridere.
Come dicevo, è la primavera a fare quest’effetto.
Amy che risponde a tono a quel demente di Kyle, racconti di vagine, spade e palle che esplodono quando le colpisci, sbandamento totale.
Insomma, fate finire quest’inferno e regalateci la nostra estate!

 



*WHAWAIEAH!
Ehi (: sono un po’ così in this period.
Insomma, non so che dire, scrivere e ho finito di leggere Clockwork Princess in inglese.
Da pazzi, I know.
Salvatemiiii. Voglio la mia estate.
Per di più i ragazzi mi fanno impazzire in questo periodo.
Insomma, sì, c’è un tipo che mi vuole da un sacco di tempo e non ha ancora capito, sebbene io sia stato MOLTO CHIARA a riguardo, che non è ricambiato.
Ma per niente proprio.
Non voglio essere cattiva ma mi sa che tra un po’ sarò costretta a gridarglielo in faccia.
OMG!
E poi… beh, in chiesa con me viene un ragazzo carino… (:
insomma, sì di quelli super dolci, suona ed è troppo tenero.
Insomma, mi piace, ecco.
Però non ho il coraggio di rivolgergli la parola né niente… D:
avete qualche consiglio da darmi?
Non ho ancora una cotta per lui (sono una che cerca di evitarle… inizio a pensare che amo sognare l’amore ma ne voglio stare alla larga… boh!), ma è il tipo di ragazzo con cui ti vedresti abbracciata, con il quale sai di essere al sicuro, a casa perché è dolcissimo cazzarola!
E poi io lo compenso con le mie sgrezzate da scaricatrice di porto… xD
Non lo trovare romantico?? *________*
Ooocchey, no non lo è.
Ma insomma… se avete consigli sono qui che vi ascolto. C:
ditemi che ne pensate di quest’emerita schifezza di capitolo per favore.
Il whawaieah mi sembra più lungo della storia stessa… -.-
Fuck.
Un bacione belliiiissime!
Siete grandi! <3
Kry :)
 
ORDER OF THE PHOENIX*
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. Puoi andare in capo al mondo, io ti troverò. E ovunque, sarai mia per sempre. ***


Capitolo 15.


Puoi andare in capo al mondo, io ti troverò.
E ovunque, sarai mia per sempre.

 
 
 
Ma si può sapere perché la scuola dev’essere così pallosa? Noiosa? Stronza?
No, voglio saperlo, cazzo.
Mi devono dare una motivazione valida, ne ho tutto il diritto! Ho tutto il diritto di sapere perché la mia vita deve vertere attorno ad un abominio del genere!
Sbuffo sonoramente mentre mi accascio sul banco.
Oggi la giornata è nera.
Del nero più scuro e assoluto, minchia.
Mi fumano come se le stessi grigliando!
―Buongiorno! ― sorride Sarah allegramente.
Grugnisco e mi giro dall’altra parte.
Oggi non sopporto la felicità. Potrei uccidere qualcuno se lo vedessi sorridere.
―Accidenti, che smorfia! Il cane ti ha mangiato i biscotti e pisciato nelle ciabatte? ― mi giro scettica verso di lei, che ha un sorriso innocente stampato in faccia.
Ma come si fa a non volerle bene?
Mi metto a ridere, le nuvole scompaiono in un attimo. ―Questa da dove l’hai presa? Manuale per battute squallide?
Il mio sarcasmo uccide. Oh yeah.
Sarah rovescia gli occhi all’indietro e mi guarda male. ―Ti ha fatto ridere se non erro.
Alzo le mani in segno di resa e guardo in basso con fare rassegnato. ―Hai vinto. Il cane non ha pisciato da nessuna parte ma se oggi non scanno qualcuno non mi sento felice.
―Gesù disse: Porgi l’altra guancia. ― dice con fare filosofico e mi mostra la guancia tutta arrossata di Evelyn, che è appena arrivata, tutta trafelata.
Sollevo le sopracciglia come a sottolineare l’evidente. ― Se le do un ceffone io, col cavolo che me la porge l’altra guancia! E poi tu spirito di sacrificio alle stelle, vero?
Evelyn ci guarda senza capire. Ha il respiro ansimante, le guance tutte accaldate e gli occhi lucidi per la corsa. Povera vittima sacrificale.
Sarah mi rivolge un sguardo di superiorità. ―Certo che ne ho di spirito di sacrificio!
―Sì, per gli altri però. ― ridacchio indicando Evelyn con un canno del capo.
―E ci mancherebbe! ― Sarah ridacchia a sua volta strizzandomi un occhio.
Evelyn che ci guarda senza capire niente è una tentazione troppo forte.
Mi avvicino al suo viso, avvicinando i miei occhi ai suoi. ―Svegliaaaa! ― le urlo facendola sobbalzare.
Sono soddisfatta.
In queste giornate no adoro fare la cattiva e bistrattare le persone.
Ed Evelyn, purtroppo per lei, è un soggetto adattissimo quando sembra così intontita.
Mi sento una dea a fare la bulla.
Mi giro, un sorriso tranquillo stampato sul volto e incontro lo sguardo divertito di Kyle, che sembra aver approvato il mio comportamento.
Mi sorride divertito, una luce maliziosa che gli brilla negli occhi.
Tutto ciò che gli regalo è la mia smorfia migliore prima di girarmi dall’altra parte.
Io, e solo IO ho diritto a bistrattare le mie amiche.
Chiunque altro si permetta, lo appendo per le palle e gli solletico i piedi con la fiamma ossidrica, cazzo.
E poi Kyle ha un posto in prima classe riservato ai trattamenti speciali.
Riduco gli occhi a due fessure, brividi di piacere maligno mi pervadono tutta.
Me la pagherà.
Oh, yeah.
 
―Guardate! Il mio banco si alza da solo! ― esclamo fingendo stupore mentre con le gambe lo sollevo in aria.
Nooo! ― dice Evelyn aprendo la bocca e portandosi le mani al viso. ―Ma come fai?
―Ad essere così irresistibilmente figa? Non lo so, è un dono di natura immagino. ― sorrido angelicamente, socchiudendo gli occhi.
―Che hai detto? ― chiede Sarah sgranando gli occhi, un’espressione sconcertata sul viso, come se avessi detto un’eresia.
Eh no, eh!
Che cazzo! Voglio dire, va bene che non sarò Belen Rodriguez però sbatte melo in faccia in questa maniera … ho dei sentimenti anch’io, porca paletta e secchiello da mare!
―Che. Sono. Figa. ― sottolineo l’ultima parola, giusto per rimarcare il concetto.
―No, prima! Cosa hai detto prima? ― continua a chiedere lei, col fiato trattenuto.
―Ehm… “Guardate, il mio banco si alza da solo”? ― ma cos’è un terzo grado? Manco fosse un segreto di stato….
―Ah! ― Sarah sospira di sollievo e solleva gli occhi, accennando un sorriso.
―Che avevi capito? ― chiedo, sentendo profumo di gossip.
, potrei essere la nuova gossip girl! Che figata.
―Ehm… no, niente! ― liquida un po’ troppo in fretta Sarah, le guance rosse per l’imbarazzo. Distoglie subito lo sguardo e finge di prendere appunti per inglese.
Ma scherziamo?
Chi prende appunti ad inglese?
Nessuno!!
Nemmeno la Pimpa ci cascherebbe.
Eh, no. Tu ora mi dici tutto.
Sorrido maliziosa. ―Cosa?
Sarah sembra comprendere che non la lascerò in pace sino a quando non mi rivelerà ogni cosa. Potrei essere una Spy Girl.
― Niente, avevo capito un’altra parola al posto di banco, ma non te la dirò mai! ― dice lei con fare risoluto.
―Non ne sarei tanto sicura… ― lascio la frase in sospeso e faccio gli occhi cattivi, cattivi.
Sarah mi smonta in due secondi rivolgendomi un’occhiata storta, come per dire: Ma che cazzo dici?
Senza il cazzo però perché lei non dice tante parolacce.
―Metti al posto della B la P e al posto della N la C. ― sospira voltandosi dall’altra parte.
B, P, N, C… ma che cazz?
Paco? E chi è?
Ah!PACCO!
Sogghigno maliziosamente. ―E poi sarei io, la pervertita!
Sarah mi rivolge uno sguardo difensivo. ―Iniziavo a dubitare della tua femminilità! Insomma, e se avessi avuto un’altra cosa al posto della… ?
―Patata? ― dico anticipandola, mentre ridacchio. Quanto mi sento perfida. ―Perché, in quel caso avresti voluto fare un giro sulla giostra? ― chiedo ancora, ammiccando.
Sarah fa una faccia schifata e si gira dall’altra parte, mentre io continuo a ridere come una scema.
 
Merda di un mare del cazzo!Penso mentre cerco di riprodurre un’onda il più possibile simile al reale.
Il risultato è una linea scura con una striscia bianca sopra. Mi sembra un involtino di melanzana uscito male.
Sì, e quella bianca è la mozzarella filante.
Cazzo.
Quanto può esprimere questa parola, rifletto.
Sbuffo sonoramente. A me e a tutte le cose difficili che voglio fare!
È il mio primo quadro ad olio e come soggetto mi scelgo un figo moro a petto nudo piegato su uno scoglio col mare in tempesta e la pioggia che gli batte sui bicipiti.
Scegliere una cazza di normalissima pera no, eh?
Maledetta me!
―Basta ci rinuncio!- sbuffo lasciando il pennello.
Max, il maestro, si avvicina e cerca di consolarmi. ―Sai che Leonardo disse che le cose più difficili da fare sono il mare, le nuvole e i capelli?
Riproduco quello che deve essere sembrato un sorriso storto non tanto convinto e Max si lascia andare ad una serie di spiegazioni sulle nuvole, sull’acqua eccetera eccetera.
Altro che consolazione! Bravo a Leonardo che l’aveva capito, ma il quadro sempre una mezza cagata rimane. Cerco di non sembrare totalmente abbattuta e vado a mettere dei nuovi colori nel piatto. Bianco zinco, blu oltremare, nero carbone….
Mi giro, la testa bassa ad osservare se la quantità è giusta o meno, quando qualcuno mi viene addosso.
―Mierda! ― urlo imbestialita osservando la miscela di colori sulla mia maglietta bianca.
Ma tu vedi la sfiga che altro mi doveva giocare! Mia madre mi scanna quando torno a casa.
Qualcuno mormora delle scuse ma io lo spingo a fanculo con la forza del pensiero. Non mi va di essere volgare dappertutto, almeno qui ho la faccia da ragazzina beneducata. Più o meno.
Abbandono tutto e inizio a mettere a posto.
Tanto mancano dieci minuti alla fine della lezione e non riuscirei a fare niente ugualmente.
Momenti in cui vorrei essere Picasso.
Quello non faceva bene nemmeno una cacca di capra, eppure il suo estro è stato rappresentato come geniale.
Non posso fare lo stesso pure io?
Fare un mare di merda, magari pure marrone, così rendo meglio l’idea, e diventare famosa? Tanto il mare qui da noi fa schifo comunque.
Quindi non sarei presa per una pazza totale.
Cerco di smacchiare la maglia, ma peggioro solo la situazione, facendo spandere il colore.
Che cavolo!
Dovrò uscire per forza senza giacca, sennò si macchia pure quella da dentro.
Afferro il giubbotto, saluto e me ne vado, infilando gli auricolari nelle orecchie. Almeno gli Evanescence mi danno la forza adatta per affrontare a testa alta le occhiate divertite di chi mi vede e il freddo che mi fa rabbrividire.
Oggi devo allungare un po’ di più la strada per andare a prendere le chiavi a casa di mia nonna, così non devo aspettare i miei sotto al portone.
Appena vede la mia maglietta, mia nonna mi fa una serie di domande inconsulte su come sia capitato, come mai, quando, dove, come, perché ….
Aaargh! Vorrei poter urlare.
Do un bacio a mia nonna e scappo via, prima che mi imprigioni con le catene e mi punti un faro da interrogatorio negli occhi.
Appena svolto nella strada buia di casa mia sono attraversata dai brividi e non posso fare a meno di guardarmi attorno.
Sospiro di sollievo nel constatare che tutte le ombre che incontro sono persone sconosciute, che hanno altro da fare che inseguirmi. Inizio a pensare che sia stato tutto un incubo o che abbia capito e la smetta di importunarmi.
Apro il portone di casa e salgo in ascensore, tranquilla.
Mi chiudo la porta alle spalle e getto la giacca sul divano, procedendo verso il telefono che lampeggia nell’oscurità. Schiaccio il tasto per ascoltare i messaggi sulla segreteria telefonica. I primi tre sono vuoti, silenziosi.
Mi stringo nelle spalle e ascolto il quarto mentre mi porto un pezzo di cioccolata alle labbra.
“Oh, Amy, dovresti stare più attenta. Quando ti ho visto con quella maglietta tutta sporca avrei voluto aiutarti a toglierla per poterla lavare. O gettare via….”
Le parole diventano un ronzio costante nella mia testa, le orecchie fischiano, non riesco a respirare, mi appoggio al muro, faccio qualche passo e cado a terra.
La stanza gira attorno a me, sempre più veloce, sempre più veloce.
Urlo.
Prendo il telefono e lo scaglio con violenza contro la parete di fronte a me, sento un rumore forte e so che l’ho rotto.
Le ultime parole sussurrate riecheggiano nella stanza, o forse solo nella mia testa.
Ovunque, sarai miaper sempre.
Più tardi, i miei mi trovano così.
Seduta a terra, le guance rigate da lacrime secche, gli occhi rossi e la faccia sporca di cioccolato.
Il telefono rotto.
Che è successo?
Cosa hai fatto?
Stai bene?
Mutismo è la mia miglior risposta.
Poi apro la bocca. Loro devono sapere.
Loro hanno diritto, dovere di sapere.
―Sono…. ― la mia voce è un impasto rauco, mi raschia la gola per uscire e fa male. ―Sono caduta e ho battuto la testa. Mi sono fatta male. ― dico con un po’ di difficoltà.
I miei sembrano crederci ma sono un po’ titubanti. E perché mai dovrebbero pensare che io sono soggetta a stalking? Non gli ho mai nemmeno parlato di Tate.
La sentenza è tre mesi di punizione.
Non andrò più a dipingere, considerato anche lo stato della mia maglietta.
Mi fingo addolorata e incavolata mentre vado in camera mia.
Ma la verità è che così mi sento più al sicuro. Almeno, non potrà più seguirmi quando esco dalla Bottega del Disegno.

 


*WHAWAIEAH!
Ehilà! (:
Spero che questo capitolo vi abbia trasmesso ciò che doveva trasmettervi.
Paura, angoscia, magari? Lo spero proprio.
Ditemi se sono riuscita a rendere la situazione, per favore, sono un po’ in pena.
E che ne pensate di Amy in generale?
Di tutto ciò che le sta accadendo e di come reagisce?
È un argomento un po’ delicato, lo so, e spero di riuscire a trasmettervelo al meglio.
Giusto a titolo informativo: Amy non aveva mai detto a Tate che andava alla Bottega del Disegno un giorno alla settimana, né tantomeno gli aveva detto il giorno e l’ora. Né gli aveva dato il suo numero di casa.
I nervi di Amy stanno cedendo, tuttavia lei insiste con il non rivelare a nessuno ciò che le sta capitando.
È testarda. Stupida, lo so.
E non ama essere aiutata.
Vuole essere forte e vuole che anche gli altri la vedano così: un muro indistruttibile.
Ma il muro è fatto d’argilla e si sta sgretolando… :(
Spero che la storia vi piaccia… <3 un bacione!
Kry <3
 
ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. Bye bye Mister Parfume. ***


Capitolo 16.



 

Bye bye Mister Parfume.

 
Siamo al castello, seduti sulle panchine verdi che ci offrono una vista panoramica a dir poco favolosa.
Sospiro.
Odio questa situazione, mi trovo intrappolata, come un insetto nella tela di un grosso e brutto ragno peloso. Qui i ragni però sono tanti, sono troppi e hanno un sorriso falso che luccica con tutti i colori diversi di quei rossetti profumati.
Marianne mi guarda incoraggiante.
Da quando ho accettato di uscire con loro quella volta, non me ne sono più liberata. Ogni volta si sono verificate scene imbarazzanti nelle quali cercavano di farmi sedere vicino a lui, lui che cercava di attirare la mia attenzione con frasi volgari.
Eccoci qui, dunque, un gruppo misto di ragazze e ragazzi che non aspettano altro.
Vogliono uno scoop. Le ragazze per poterne spettegolare all’infinito, i ragazzi per scommettere entro quanto lui “se la farà”. Beh, può aspettare anche in eterno.
―Allora, ― squittisce Claire con una vocetta stridula, ― giochiamo a obbligo verità!
Subito si solleva un coro di .
Ma io non voglio giocare!
Faccio una faccia scocciata e cerco di protestare, ma mi ignorano alla grande. So che è stato tutto progettato, non potrebbe essere altrimenti.
Gli sguardi delle ragazze si incrociano, complici, mentre i ragazzi si danno qualche spinta e danno persino un piccolo schiaffo a Logan che ovviamente esplode con la sua solita eleganza.
Claire, i capelli biondi ricci e corti, si volta con un movimento rapido verso Logan. ―Obbligo o Verità?
―Verità. ― risponde con la voce bassa e profonda. Rabbrividisco e mi stringo nel cappotto di lana.
―Sei innamorato? ― cinguetta Claire lanciandomi un’occhiatina veloce. Ma pensa davvero che io non me ne accorga? Solo perché non protesto mai? Solo perché non dico mai niente vengo presa per stupida?
Logan abbassa un attimo lo sguardo. ―Sì.
―Che canzone la descriverebbe? ― gli chiede ancora.
―Albachiara. ― non posso fare a meno di rabbrividire nuovamente. Sento gli sguardi di tutti puntarsi su di me.
Quant’è stupido questo gioco.
Il giro va avanti e tocca a me.
―Obbligo. ― scelgo.
―Dai un bacio a Logan. ― mi dicono tutte insieme. Strabuzzo gli occhi, Logan sembra impaziente, mi guarda come se davvero si aspettasse qualcosa da me.
Il cuore aumenta i battiti. ―No.
Mormorii delusi percorrono il gruppo, ma stavolta sono irremovibile. Mi allontano. ―No, ho detto di no. ― finalmente sembrano arrendersi al fatto che io non bacerò nessuno e adesso tocca a me fare una domanda a Logan.
―Obbligo o verità? ― sospiro.
―Obbligo. ― Logan non stacca gli occhi scuri dai miei e io non so che dire, la situazione è imbarazzante.
―Stringimi la mano. ― sussurro.
Logan abbozza un sorrisino e tende verso di me una mano tutta tremante. La afferro, premendo le labbra una contro l’altra per evitare qualunque espressione disgustata. Ha la mano tutta sudata, bleeeahhhhhh!
Lo guardo mentre le nostre mani si lasciano, la sua si stringe a pugno mentre le labbra si stirano in un sorriso soddisfatto. La mia, scivola verso i jeans e faccio un grande sforzo per non strofinarla contro la stoffa per togliermi di dosso tutto quel sudore appiccicaticcio.
 
Siamo ad una pizzeria e la tortura continua.
Mi sento come se tutti sapessero qualcosa che io non so. E non mi piace.
Le occhiatine, alcune risatine sfuggenti, spinte, ammiccamenti.
Vorrei scomparire.
Sprofondare sottoterra, diventare invisibile, volare via a cavallo di una scopa.
―Tieni. ― Logan interrompe i miei pensieri. In mano ha una vaschetta di patatine e me la porge, gli occhi accesi di una luce amichevole.
Deglutisco piano. Non voglio niente da lui. ―G- grazie, ma non posso prenderle. Posso comprarle anche da sola. ― tento un sorriso ma lui non ritira la mano con la vaschetta.
―Oh, ma io non le voglio. Prendile, per favore. ― non so cosa fare, mi guardo un po’ intorno ma tutto quello che vedo sono gli sguardi in attesa dei miei amici.
Afferro la vaschetta, sopprimendo un sospiro di frustrazione. Bene.
Camminiamo ancora un po’ e getto la vaschetta vuota nel cestino. Logan mi viene dietro, come se scrutasse ogni mio movimento, come se in qualunque mio gesto lui potesse capire ciò che io provo per lui.
Vorrei scomparire.
Ci fermiamo ad un bar, ed eccolo uscire con una tazza di carta in mano e me la porge, il sorriso non più timido, ma steso, come se in qualche modo io stessi già agonizzando d’amore per lui. ―Tieni. ― mi dice per la seconda volta.
Guardo il liquido all’interno del bicchiere con un po’ di sospetto. ―Cos’è?
Mi risponde con un nome impronunciabile. Lo guardo senza capire.
―Un liquore. ― spiega. Wow.
―Io non bevo. ― tento di rifiutare. Ed è vero. Non ho mai toccato un goccio d’alcol in vita mia.
Il suo sguardo è un po’ perso, imbarazzato quasi, ma il bicchiere è sempre lì, nella sua mano tesa verso di me.
Marianne mi tira un calcio negli stinchi e  mi giro verso di lei. ―Ahia.
Prendilo. ― mi sussurra con un sorriso perfido.
La odio.
Con le lacrime agli occhi, afferro il bicchiere e non appena nessuno guarda, lo svuoto per terra. Quando Logan si gira verso di me, gli sventolo davanti il bicchiere vuoto con un sorriso. ―Mhmm, buono!
Sembra soddisfatto. Mi sorride e poi si gira verso i suoi amici.
Vorrei morire.
Non capisco a cosa debba portare tutto questo. È assurdo io non voglio nulla del genere e Marianne, Claire e tutte le altre sembrano non capirlo.
O meglio, lo capiscono ma non vogliono ascoltarmi.
Loro vogliono solo che io mi fidanzi con Logan e mi viene da piangere al solo pensiero. Loro non vogliono l’amore, loro non credono nell’amore. Tutto ciò che conta è che il tuo ragazzo sia okay, abbia soldi a palate e sia bravo a fare sesso e ad organizzare party quando i suoi genitori non sono a casa.
Questo è ciò che cercano.
E l’hanno trovato.
Ma io voglio di più. Non voglio Logan per i suoi soldi, vorrei amarlo ma non lo amo.
Non è il ragazzo giusto per me per il semplice motivo che io da lui non cerco nulla. Io non lo amo.
E sapere che lui è innamorato di me e che si masturba sette volte al giorno pensandomi, mi fa solo schifo!
Ma alle altre ragazze questo non interessa. Loro vedono in Logan un buon partito, tanti soldi profumati, una grande casa tutta a disposizione.
Cose che io non voglio.
Una mano mi sfiora il braccio, facendomi trasalire.
Logan mi guarda con una strana espressione. Gli altri si sono allontanati e noi siamo soli, ci fronteggiamo faccia a faccia.
Rabbrividisco. Siamo vicino a scuola, il posto è un po’ buio perché non ci sono tanti lampioni.
―Volevo regalarti questo. ― mi dice porgendomi una bustina.
Lo guardo con un misto di esasperazione, sperando che capisca.
Non mi conquisterà mai con dei regali perché io non ne voglio.
―Non posso accettare. ― dico con voce ferma.
Logan mi guarda, agitato. È chiaro che se torna dagli amici con ancora quella bustina in mano ci farà la figura dell’idiota.
Un altro motivo per non accettarla.
―Ti prego. L’ho scelta solo per te. Mi piacerebbe che tu la tenessi. E magari la usassi. ― lo guardo come se l’ultima cosa che voglio al mondo è usare qualcosa che lui mi regala. E in effetti è così. ―Solo se vuoi usarla, ovviamente. Non sei obbligata. ― aggiunge in fretta.
Continuo a scuotere la testa, risoluta. Chissà quanto gli è costata. ―No, mi dispiace. Non posso accettarla, davvero.
―Katherine, per favore. È solo un regalo. Da amici. ― il suo tono è implorante, muove la gamba per scaricare il nervosismo, così, con un sospiro, afferro la busta. Logan sembra sollevato ma non accenna a muoversi.
È chiaro che voglia che io la apra.
Così lo faccio e all’interno c’è un profumo al cioccolato.
L’unico messaggio che questo regalo mi manda, non è per niente buono. ―Bello. ― dico.
Logan sorride, sicuro che mi sarebbe piaciuto. ―Sai, Marianne mi ha aiutato a sceglierlo.
Ah, bene…
La mia faccia deve aver fatto trapelare una strana espressione, perché subito Logan mi dice: ―Ho fatto qualcosa di sbagliato?
Scuoto la testa e accenno un sorriso. ―Senti, Logan io torno a casa. Salutami gli altri.
―Torni a casa? Ma sono solo le undici! ― protesta.
―Sì lo so, ma non mi sento troppo bene.
―Vuoi che ti accompagni? ― chiede con uno scintillio malizioso negli occhi.
No!
―No. ― la sua faccia è preoccupata.
―Grazie ― aggiungo, prima di voltarmi e iniziare a camminare verso casa.
Quando torno, mia madre è piuttosto stupita di vedermi così presto.
―C’è qualcosa che non va? ― mi chiede.
―No, mamma, non preoccuparti.
―E quello cos’è? ― domanda scrutando la bustina che ho in mano.
―Oh, un regalo per te. ― sorrido. ―Da parte di Marianne. Sai, per ringraziarti di quella torta che le offristi la scorsa settimana.
Mia madre si porta le mani al volto, stupefatta. ―Oh! Ma… ma non doveva!
―Già. Ho provato a rifiutare, ma si sarebbe offesa. Perciò ho dovuto accettarlo. ― mia madre scarta il profumo e se ne spruzza un po’ sul palmo.
―Mhmm, cioccolato! ― esclama portandoselo al naso.
Potevi anche leggerlo sull’etichetta, mamma....
―Chissà quanto le sarà costato! ― le sento dire mentre mi avvio verso la mia camera a testa bassa.
―Già. ― mormoro. ―Chissà.
 
 
 
 
 
Cara Katherine,
ho mentito. Quel regalo non era tra semplici amici, per me. Per me tu sei più di un’amica, tu mi piaci, mi piaci davvero tanto.
Sei una persona meravigliosa, bellissima!
Sei diversa dalle altre, sei semplice, bella, gentile….
Mi piaci molto sia fisicamente che caratterialmente. Mi hai colpito dal primo istante in cui ti ho visto e vorrei tanto vederti, conoscerti meglio, perché per me sei davvero importante, sei unica, diversa da tutti e non sei come nessun’altra.
Ti prego, accetta questa lettera e accetta il mio invito.
Logan.
 
Leggo la lettera tutta d’un fiato e appena l’ho finita faccio una morfia. La busta mi bruciava nella tasca della giacca nel mio ritorno da scuola, ma in realtà prima di aprirla ero molto indecisa. Potevo cestinarla e poi dire di averla persa. Ma avrei risolto qualcosa?
No. Così, con mani tremanti mi sono costretta ad aprirla, leggerla e ora… non posso fare a meno di tremare. Logan non mi pice, Marianne, Claire e le altre dovrebbero aiutarmi a farglielo capire, non incoraggiarlo! Le detesto.
Mi stanno rovinando l’esistenza, Marianne che diceva di avere capito che non mi piaceva e invece è andata con lui a comprare il profumo!
Ma da che parte sta? Dalla loro, ovviamente.
E ora questa lettera!
Mi passo le mani tra i capelli e mi mordo le labbra, nervosa.
Marianne me l’ha recapitata questa mattina a scuola, dal momento che ho preso la saggia decisione di non uscire più con loro e accampo una montagna di scuse pur di non vederli. Ma a scuola non si può evitare.
E così, eccomi con carta e penna davanti, cercando di pensare ad una possibile risposta da dargli.
Essere gentile, primo punto.
Devoessere gentile, perché nonostante tutto è pur sempre un ragazzo, anche lui ha dei sentimenti e non posso ferirlo. Un brivido viscido mi sale su per la schiena mentre penso alla frase che mi ha scritto “mi piaci molto sia fisicamenteche caratterialmente”. Ovviamente ha messo il fisicamente prima.
Ho voglia solo di urlare, piangere e strappare questa lettera in mille pezzi.
 Per una volta vorrei essere cattiva, perché sono spaventata e vorrei solo chiudermi a riccio e pungere chiunque mi si avvicini.
Ma non posso farlo.
 
Caro, mi costringo a scrivere, Logan.
Le tue parole sono molto dolci e gentili e ti ringrazio.
 
Tamburello con la penna sul tavolo e mi passo una mano sulla fronte.
Cosa potrei scrivergli? Come potrei fargli capire che deve smetterla, senza però essere troppo cruda?
 
Grazie per tutti i complimenti che mi hai fatto, sono molto lusingata delle tue attenzioni.
 
Bugiaaaaa! Voreri urlare.
Ma mi limito semplicemente a mordermi le labbra a sangue e a tortuarare una ciocca dei miei capelli.
 
Tuttavia, non ricambio i tuoi sentimenti, e acconsentire ad uscire con te servirebbe solo a darti una speranza inutile. Mi dispiace moltissimo doverti scrivere che non sono interessata a te, ma se ti dicessi il contrario ti illuderei solamente e non voglio illuderti, perché non lo meriti. Spero tu possa incontrare un’altra ragazza ed innamorarti di lei profondamente. E spero con tutto il cuore che lei ricambi e che siate felici.
Con affetto,
Katherine.
 
Sono pochi righi ma per scriverli ci ho impiegato un’eternità. Odio deludere la gente, vorrei essere gentile con tutti e non ferire nessuno. Spero che Logan non se la prenda e capisca. Spero che continui la sua vita e non pensi troppo a me.
Dopotutto è solo un’infatuazione, no?
Spero gli passi presto.
Piego il foglio e lo inserisco in una busta. Lo darò domani mattina a Claire, così potrà consegnarglielo.
 
 
 
 
 
In classe, sorrido sinceramente dopo tanto tempo a Claire e Marianne. Finalmente questa situazione finirà e io potrò riprendere a vivere seneramente.
—Allora? — chiede Marianne.
—Hai risposto alla lettera? — chiede Claire.
Annuisco e tiro fuori la piccola bustina e la porgo a Claire.
—Allora… — comincia lei, —Non la leggiamo… — dice lisciando la busta con le dita. Osservo le due ragazze, i sorrisi stampati sui loro volti, gli occhi che brillano, le osservo aspettare, trepidanti.
È ovvio che vogliono leggerla.
Così annuisco. —Potete leggerla, se volete. Tanto non ho segreti per voi.
Non aspettavano altro.
Vanno al loro posto e vedo Claire aprire la busta e spiegare il foglio. Rivolgo il mio sguardo altrove, felice e leggera come una piuma. Finilmente tutto finirà… è la cosa migliore per entrambi. Lui si innamorerà di un’altra ragazza e io potrò trascorrere la mia vita tranquillamente, senza la paura che possa regalarmi qualche altra cosa, o interessarsi a me in alcun modo. Finalmente…
—TU NON PUOI FARLO! — Claire mi si piazza davanti, gli occhi azzurri che mandano scintille, le labbra strette in una lunga linea dura, il volto arrossato per la rabbia. Non capisco.
—Perché?
—COSÍ LO UCCIDI! — esclama con rabbia per poi mostrarmi il foglio che ho scritto con tanto impegno. Me lo tiene sospeso davanti agli occhi e poi, senza distogliere lo sguardo dal mio, lo strappa. Lentamente.
Prima uno, poi due, poi tanti pezzettini di carta.
Infine, Claire si volta e va via.
Il mio cuore è stato strappato insieme a quel foglio di carta.
Avevo pensato così tanto a cosa scrivere e a come sembrare il più gentile possibile. E lei ha distrutto tutto! Il cuore mi batte veloce per la delusione, per l’umiliazione.
Ancora una volta mi sono sbagliata.
Credevo che fossero mie amiche, che stessero dalla  mia parte.
E invece stanno solo dalla loro.
 
 
 
 
―Che cosa??? ― Amy mi urla praticamente nell’orecchio.
Sono su facebook e navigo tranquillamente su internet, senza paura che Logan mi contatti, perché qualche giorno fa mi ha cancellata dai suoi amici.
Credo che abbia capito che io non sono interessata a lui. Dopo il profumo non sono più uscita e su facebook ho ignorato appositamente tutti i suoi messaggi, i suoi commenti, ogni cosa. Credo che si sia stufato alla fine.
Meglio così.
―Davvero? ― mi chiede Amy con voce più tranquilla. ―Ti ha davvero regalato una bustina con dentro un profumo e ti ha detto che gli sarebbe piaciuto se tu la usassi?
―Mh-mhm. ― annuisco, tenendo il telefono in equilibrio tra l’orecchio e la spalla, mentre rispondo ad un messaggio in chat.
Finalmente mi sono decisa a dirlo a qualcuno. All’inizio non riuscivo nemmeno a realizzare cosa stesse accadendo, vivevo un incubo e non riuscivo a fare niente.
Ora però avevo bisogno di dirlo a qualcuno. Ed Amy è la persona giusta per me in questo momento.
Una carica di peperoncino esplosivo, anche se non troppo elegante.
―Io quella busta l’avrei usata per soffocarlo!! ― grugnisce incavolata all’altro capo.
Sorrido. Chissà perché non ci ho pensato io!
Non posso fare a meno di trattenere un risolino.
Amy sembra davvero arrabbiata. Con Logan, Claire, Marianne.
Dice che i veri amici non si comportano così e so che ha ragione.
―A che gusto era il profumo, hai detto? ― la sua voce ha una vena d’ironia, adesso.
―Al cioccolato ― sospiro, mentre gli angoli della bocca si sollevano all’insù. Oddio questa pazza, chissà cosa dirà adesso!
―Mhmm… manda un messaggio molto chiaro. ― commenta con la voce che usa quando deve fare una di quelle battute sconce e maliziose.
Mi metto a ridere. ―Quale?
―È ovvio. Se l’avessi messo, gli avresti trasmesso questo comunicato: mangiami.
Scoppio a ridere. ―Tu sei pazza!
―Cosa? Pazza? Certo che no! ― ha una voce indignata. ―Tu non lo mangi il cioccolato? Dio, io vado in estasi al solo pensiero, cazzo! Insomma, se il mio ragazzo, se solo ne avessi uno, si mettesse un profumo al cioccolato passerei tutto il tempo a sniffarlo!
Rido, senza riuscire a trattenermi. Sniffarlo? Oddio.
―Sì, certo. Anche se fosse Tate? ― mi aspetto una risposta ancora più indignata, schifata magari, con una mandata a quel paese per il poverino. Ma dall’altro capo c’è solo silenzio.
Forse è caduta la linea.
Il sorriso mi si spegne sulle labbra. ―Amy? Amy?
Nessuna risposta.
Guardo il display del telefono, ma la chiamata non risulta interrotta.
―Amy, ci sei? ― adesso la mia voce è preoccupata.
Che sarà successo?
―Sì. ― la risposta arriva e io tiro un sospiro di sollievo. ―Senti, Kat, io devo andare adesso. Ci sentiamo. Ciao. ― non ho nemmeno il tempo di dire ciao, che riattacca.
Ma che è successo?
 
 
 
 
 
 
 
Cara Katherine,
è passato tanto tempo da quando ci siamo sentiti l’ultima volta. Mi dispiace che sei sparita a causa mia, ma ho capito. Non ho mai ricevuto risposta alla mia lettera, né mi hai risposto su facebook. Sebbene tu sia ancora nel mio cuore, cercherò di dimenticarti, perché ho capito che io non ti piaccio.
Avrei voluto che tra noi nascesse qualcosa.
Avrei voluto che il nostro rapporto andasse al di là dell’amicizia.
Ma è evidente che tu non vuoi la stessa cosa. Sono molto triste, tu mi piaci davvero.
Ma non posso aspettarti in eterno. Avrei voluto che le cose andassero diversamente ma tu non sei della stessa opinione.
Perciò, questo che ti scrivo, è un addio.
Addio, Katherine.
Logan.        
 
Mentre leggevo la lettera i battiti del mio cuore rallentavano pian piano. Sono felice che abbia capito, anche se avrei preferito che avesse una mia risposta piuttosto che aspettare e aspettare invano. Ma la risposta non sarebbe mai giunta a destinazione e ogni volta, su facebook, non mi sembrava mai quella giusta. Non riuscivo a ritrovare le parole per dirgli quello che volevo dirgli.
Ora, con un sospiro di sollievo e leggerezza, so cosa devo fare.
Accendo il computer, decisa a rispondere a questa lettera in un modo o nell’altro.
Me l’ha recapitata Marianne, come l’altra del resto, ma ho capito di non poter più fare affidamento su di lei, né, tantomeno, su Claire. Se devo fare una cosa, è sempre meglio farla da sola.
Degli altri non c’è da fidarsi.
Vado sul profilo di Logan e clicco sull’icona messaggio.
Bene.
Eccoci allo scontro finale.
Tu e io.
Caro Logan, sono felice della tua lettera.
Mi dispiace molto per ciò che è accaduto, ma non sapevo come dirti ciò che non provavo per te. Mi dispiace che tu abbia dovuto capirlo in maniera così lenta e dolorosa, mi dispiace davvero.
Spero che mi dimenticherai di me. Del sentimento che provavi per me.
Spero che ti innamorerai di un’altra ragazza e che quest’ultima ti ami alla follia, e spero che voi due siate felici insieme.   
Grazie per aver capito, grazie per il tuo addio.
Addio,
Katherine.

 
 



*WHAWAIEAH!
Tadàààà! :D
Ed ecco Katherine alle prese con il suo camionista. (:
Ho preferito darvi tutto in una botta, senza dilungare troppo il brodo, anche perché ho tanti progetti in mente per il quartetto dell’apocalisse.
Quelle ragazze vivranno, oh sì che vivranno!! ;D
Voglio sapere ogni vostro pensiero su Kat, ogni impressione.
Esatto voglio.
Sono diventata egoista, eh?
Dalla solita lecchina imploratrice a sovrana indiscussa.
Ma perché devo dire certe cose??
E se poi non mi rispondete? O.o
Altro che indiscussa, poi!
Vah Beh.
Lasciamo pierdere.
Speroche vogliate dirmi cosa ne pensate (‘:
Thaaaaankssss!
Spero che non mi prendiate per stupida, cattiva ed egocentrica.
Oh, no.
È solo un momento.
Perdonatemi.
I’m confused.
*scuote la testa con un’espressione idiota stampata sul volto*
Oooocchey, vado prima di scrivervi un capitolo di whawaieah, anche se so che in realtà ne andate pazzi! (?) ;p
Ci vediam!
With love,
Kry <3 :)
ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. Party ***


Capitolo 17.




Party.

 
 
 
Accendo il computer, decisa a cercare qualcosa di interessante. Che ne so, qualche notizia dal set di squadra anti mafia – Palermo oggi, per la quinta serie, o magari potrei vedere una puntata di Grey’s Anathomy. Mi connetto e vado su facebook.
Tra le notizie importanti c’è n’è una postata da circa cinque minuti.
La leggo, mentre le mie labbra si stendono in un ampio sorriso.
 
 
 
 
―Ragazze ho una novità bomba per voi, sempre che non la sappiate già! ―dico saltellando appena entro in classe.
Amy ed Evelyn mi guardano, aspettando che io continui. Non hanno proprio un aspetto… rilassato. Amy ha lo sguardo di una che non dorme da giorni e mi guarda scocciata, come se già sapesse che la cosa che sto per dirle non le interesserà minimamente.
Ma so che si sbaglia, oh, sì che lo so! Mi ringrazierà, poi.
―Siete andate sul gruppo classe, ieri?
Entrambe scuotono la testa, in segno di negazione.
Come immaginavo.
―Domani sera c’è una festa. Partecipa gran parte della scuola ed è invitato chiunque voglia andare, insomma. Il festeggiato non lo conosciamo è di un’altra scuola immagino, ed è in discoteca, quindi si balla, si mangia qualcosina, si balla e poi…
―Si balla? ― chiede Amy con un sorrisino storto.
Le rispondo con una smorfia.
―Allora? Ci state?? ― chiedo nuovamente, sperando vivamente che dicano di sì.
―Sì! ― squittisce Evelyn, gli occhi luccicanti.
Entrambe ci rivolgiamo verso Amy. ―Perché no. Dopotutto passiamo tutti i giorni a studiare, un po’ di svago non fa male a nessuno. E poi volevo andare a ballare da un bel po’ di tempo!! ― esclama facendo un occhiolino.
Ah, ragazzi questa sì che è vita!
Finalmente pensare a qualcosa di diverso che non siano solo i libri i compiti.
Mi siedo al mio posto, sollevata.
Non vedo l’ora che arrivi domani sera!!! E so già che il tempo non smetterà mai di scorrere.
 
 
 
“Quanto costa la festa?” rivolgo un’occhiata scocciata al cellulare e schiaccio sul tasto rispondi.
“Tre euro.”
Invio.
Come al solito i genitori di Amy fanno un po’ di storie per mandarla.
“Occhey.”
“Che ti hanno detto?” digito velocemente.
“Oggi è la mia giornata fortunata! Mi hanno detto di sì a tutto!”
Esulto mentalmente, prima di darmi ad una danza scomposta davanti all’armadio aperto.
Sbatto l’alluce contro il piede del letto e lancio un urlo, piegandomi in due dal dolore.
―È successo qualcosaa? ― urla mia madre dall’altra stanza.
―No! ― cerco di urlare di rimando, ma mi esce solo un grugnito soffocato.
Cavoli…
Mi siedo sul letto e mi massaggio il piede.
Lo sguardo mi cade sul cellulare appoggiato accanto a me.
Lo prendo, le unghie che sfiorano le lenzuola morbide e fresche. Premo il tasto al centro e scorro tra i messaggi fino ad arrivare a quello anonimo.
Rimango impalata a fissare lo schermo, senza aprire il messaggio per leggerlo.
Da quando mi è arrivato non faccio nient’altro che pensare al passato, pensare a lui, a David. E nonostante tutto il tempo passato da quell’episodio, il mio cuore sanguina ancora. In questi giorni ho capito che quella che mi ha inferto, non è una ferita chiusa e cicatrizzata, ma ancora aperta, ancora sanguinante e sofferente. E io non riesco a fare nulla per cicatrizzarla.
I fantasmi di un passato insensato e doloroso continuano a tormentarmi, sebbene tutte quelle belle giornate piene di sole, sebbene tutte quelle risate e quei ghiaccioli al limone dopo le partite.
Il mio cuore perde un battito mentre ricordo l’intensità dei suoi occhi azzurri. È sempre sembrato una creatura bellissima, perfetta, un angelo. E quell’angelo era talmente umano dietro le apparenze…. Era vero, non era una finzione. In lui c’era moltissimo e i pezzettini del suo ricordo, della sua persona, sono disseminati nella mia memoria, nel mio corpo. Le mie labbra ricordano la morbidezza delle sue, il mio cuore le palpitazioni quando lo vedevo, il leggero imbarazzo e il continuo formicolare della spina dorsale e delle dita. E centinaia di leggeri battiti di farfalla nel mio stomaco.
Ogni sensazione è limpida, dentro di me.
Ricordo perfettamente ogni cosa.
Anche il dolore dopo, anche il dolore che lui mi ha instillato, la crudeltà con la quale mi ha trattata, l’amaro, dopo il dolce.
E i sogni infranti, la melodia di una musica dolcissima spezzata.
Come il mio cuore.
Le mie dita serrano la presa sul cellulare.
Lo scaglio sul materasso con rabbia e mi alzo dal letto, andando verso l’armadio.
Lui è passato.
Lui non esiste più.
Lui è uno stronzo.
L’unico modo per superare il passato è guardare al presente.
E io ora ho questioni ben più importanti a cui pensare.
Spalanco ulteriormente le ante dell’armadio e mi ci catapulto rabbiosamente dentro, scostando magliette e calze. Devo trovare un bel vestito da mettere alla festa.
Perché ho voglia di rivalsa sul passato, su chi mi ha trattato male, su chi ha pregiudizi su di me senza nemmeno conoscermi, sul male che mi hanno fatto, su me stessa.
Io voglio vincere.
E domani, voglio essere una stella che brilla.
Domani voglio sentirmi donna, bella, importante e libera.
Domani non sarò calpestata da nessuno, domani guarderò tutti a testa alta, una sfida celata nel mio sguardo, nei miei sorrisi.
Perché io sono carne, sangue e sentimenti.
E nessuno ha il diritto di distruggermi.
 
 
Il sole tornerà a splendere.
E stavolta, le nuvole saranno spazzate via per sempre.
 

*WHAWAIEAH!
Ohi! Sono distrutta, il capitolo è mini lo so ma non ho potuto fare di meglio... Ragazze ho un serio bisogno di un bagno di educazione!
Sì, avete capito bene, educazione.
Ho fatto una figura di MERDA. 
Come non detto.
So che i fatti miei vi interessano moltissimo ma fa niente.
Ero in gita. Acquazzone potente, sono bagnata fradicia.
L'hotel dove stava faceva cagare i ratti, pensate un po' ed era pure a 4 stelle! Mah...
Comunque la chiave della stanza come al solito non funzionava. Scendo per farmela riattivare e sto la ad aspettare le ore, tutta bagnata. Finalmente il coglione mi fa la grazia di ascoltarmi e mi riattiva la chiave. Salgo a piedi (sì a piedi perchè pure gli ascensori erano cagati e ci mancava solo rimanessi bloccata dentro D: ) e appena sbuco nel corridoio in un eccesso di folle rabbia urlo: QUEI BASTARDONI DEL CAZZO!
Insomma, sintesi: la prof e i ragazzi della mia classe mi hanno sentito, la prof scandalizzata e io che me la filavo rossa per la vergogna... ma si può essere più scemi?? Dio, avrei voluto fustigarmi in quel momento!! Cavoli.
Senza contare che poi la prof è venuta in camera e mi ha detto: E tu? Che sembri tanto tranquilla e poi quando stai incacchiata dici tante parolacce e pure pesanti??
E io: Vabbè, prof erano solo due, non erano tanto pesanti e poi era un momento di rabbia, non stavo bene...
Prof: Beh, allora che Dio ti mandi tanta salute!!
E io che non ho fatto altro che farmi seghe mentali per tutto il resto del tempo e penso che me le farò per il resto della vita... Deus, salvamis... D: xD
Comunque non vi dico dell'altra novità, vale a dire ho fumato e ho scoperto di essere una fumatrice nata... O.o e già. Non ho tossito e il fumo mi usciva pure dal naso.. e quegli allocchi dei miei amici che mi guardavano stile "Oh, my God da dove sei scesa?" 
Oh yeah.
Vi lascio prima di trasformare questo capitolo in una pagina di diario xD
Vi amo,
basci
Kry <3 (:
ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. Evelyn vs. Kyle ***


Capitolo 18.


Evelyn vs. Kyle.

 
 
 
―Vai Evelyn! ― dice Amy porgendomi la palla. ―Pensa “Boom del cazzo!” e colpisci quella palla più forte che puoi! Gliela faremo pagare a quel coglione di Kyle! Ricorda che è nella squadra avversaria e dobbiamo stracciarlo. Anzi pensa che quella che hai in mano è proprio una delle palle di Kyle e gliela devi ridare indietro. Solo che tu la colpirai talmente forte che la spappolerai e lui non potrà più riprodursi, ahah! La pagherà il bastardo! Eccome! Mi raccomando, mi raccomando, fai finta che sia la sua testa o il suo pene o qualunque altra cosa che ti istighi a picchiarlo e sferra il colpo più forte della storia a quella palla di gomma come il suo culo molliccio, avanti! Questa è la tua occasione, ficcagliela in cu
―Amy! ― urlo. ―Ho capito! ― Dio, se va avanti mi metterò a vomitare qui in mezzo al campo. Il pene di Kyle? E che discorsi sono?
Amy annuisce e torna al suo posto.
Di solito non è così aggressiva durante le partite di pallavolo.
Avevo ragione a temere il peggio per Kyle, si è proprio cacciato nei guai con la scenata dell’altra volta. Poteva almeno risparmiarsi di ridere come una iena. Ora Amy ha una vaga fissazione per lui. E non è per niente positiva! Vuole farlo fuori, umiliarlo e ci si è davvero messa d’impegno. E con impegno intendo che ci mette davvero foga, è come se fosse il suo punto di sfogo, non pensa quasi ad altro.
Aggrotto la fronte e scuoto la testa, facendo rimbalzare la palla a terra un paio di volte.
È un po’ che è strana, ma non riesco a capirla.
C’è qualcosa di diverso, in lei.
Mi metto in posizione di battuta, la gamba sinistra piegata, quella destra tesa.
Sono un fascio di nervi.
Siamo 7 a 3 per la squadra avversaria e davvero non vedo come potremmo recuperare e vincere visto l’assortimento delle squadre. In sintesi: noi schiappe, loro vincenti.
E Kyle è davvero forte a pallavolo.
Schizza da una parte all’altra del campo e prende palle impossibili direzionandole anche in maniera strategica nel campo avversario, con la mira di un cecchino professionista. Mi inumidisco le labbra.
Respiro profondo.
Posso farcela.
Quando corre da una parte all’altra del campo sembra Edward Cullen.
Se lo dicessi ad Amy vomiterebbe seduta stante. Lei odia Edward. E poi direbbe: “Quel vampirla del cazzo! Una volta era un maghetto mediocre che ha tradito Harry passando alla parte dei succhiacazzi come quella Bella Svenevole e vomitevole. Bleah!!
Mi scappa un sorrisino, ma cerco di mantenere la concentrazione.
Posso farcela.
Eh già, Amy adora Harry Potter e detesta Twilight.
Porto la mano destra indietro, calcolando la forza con cui devo colpire la palla, la direzione che devo cercare di impostarle.
Alzo un attimo lo sguardo e intravedo Kyle dall’altra parte della rete, che sta ridendo con qualcuno.
E non posso fare a meno di pensare che stia ridendo di me.
Serro la mascella e porto indietro il braccio, colpendo la palla con tutta la forza che ho.
Punto.
 
 
 
 
 
―Cavoli, Ev, sei stata davvero fenomenale! A quale delle tante ipotesi che ti ho proposto stavi pensando? ― mi chiede Amy.
Praticamente ho fatto vincere la partita alla mia squadra.
Tutte le battute mi uscivano e la palla andava esattamente nei punti in cui volevo io. Mi sono persino buttata per prendere una palla impossibile e stavo quasi cadendo a terra per riuscirci. Credo sia stata la rabbia a fare tutto.
Non ero più io, ero un’altra persona.
Livida, nera, colma di rabbia bollente e corrosiva.
E davvero vedevo tutto rosso.
Ero incavolata, perché nessuno ha il diritto di ridere di me.
E quindi, come dice Amy, credo proprio di avergliela messa in quel posto la partita a Kyle.
Dopo che le prime due battute hanno fatto strage, Kyle ha smesso di guardarmi come se fossi una cretina che dice cose stupide.
No.
Mi ha guardato dritto negli occhi, pronto ad accogliere la sfida.
Peccato solo per lui che abbia perso.
Mi sento… Radioattiva.
Come non mi sono mai sentita.
Per la prima volta ho davvero mandato a fanculo qualcuno e quel qualcuno guarda caso è proprio Kyle.
Ora capisco cosa prova Amy tutto il tempo.
È come se fosse costantemente incazzata con il mondo, con il tempo, con tutti. Tranne con me e Sarah.
Con noi sa essere dolce, tenera e affettuosa.
Credo che sia il suo modo di approcciarsi, di farci capire che ci vuole bene.
Qualcuno mi sbatte da dietro mentre ritorniamo in classe e vedo Kyle superarmi.
Ommiodio, non avrei mai creduto di riuscire a farlo incazzare.
Mi ha anche dato una spallata!
Lo guardo, pochi passi avanti a me.
Si volta e mi guarda dritto negli occhi.
Per la prima volta nei suoi occhi non c’è scherno, non c’è quello sguardo divertito che mi rivolge sempre.
Per la prima volta, mi sta guardando con uno sguardo cupo, tempestoso.
È incazzato con me.
È incazzato con me non perché ho fatto vincere la mia squadra, ma perché mi sono dimostrata molto più di quello che lui credeva.
L’ho sorpreso.
E lui ha capito di avermi sottovalutato.
Ha capito che sotto ciò che vede, ragazzina timida e impacciata, c’è tanto, tantissimo e lui non poteva nemmeno immaginarlo.
Mi guarda incazzato, ma stranamente il suo sguardo non mi fa rabbia.
Mi fa sentire una sua pari.
Una che può tenergli testa e rinfacciarglielo liberamente quando e come vuole.
Sollevo il mento e accenno un sorriso di superiorità, un sorriso di sfida, di sfida a trattarmi ancora come ha fatto fin’ora, di sfida a dirmi o a farmi qualunque cosa.
Uno sguardo da: Visto?
Apro anche le braccia, come per dire: Avanti, vieni! Vediamo cosa hai da dire adesso.
Kyle serra la mascella e si gira, continuando a camminare.
―Uh-uh, a qualcuno la sconfitta brucia, eh? ― urla Amy, per farsi sentire da Kyle.
Ha in faccia un sorriso cattivo, da vincitrice.
Scuote la testa e mi guarda, passandomi un braccio attorno alle spalle.
Poggia la testa sulla mia e mi sorride guardandomi di traverso.
―Sono fiera di te. Sei fortissima. Ricordalo. Nessuno può distruggerti e se qualcuno ci prova, tu lo distruggi prima che possa anche solo pensarci una seconda volta. ― mi fa un occhiolino e si allontana saltellando.
E quindi, non solo io ho avuto la mia rivincita, ma anche Amy la sua vendetta. E l’ha avuta come voleva.
Voleva che io mi imponessi su Kyle, perché solo così lui ne sarebbe rimasto “colpito”. Non voleva essere lei a tranciargli le gambe, ma voleva che fossi io a farlo e improvvisamente mi sento più leggera.
Perché sapevo da sempre cosa dovevo fare, sapevo che dovevo farmi sentire in qualche modo e Amy l’aveva capito. Mi ha dato l’opportunità di urlare e io l’ho fatto.
Ho urlato a squarciagola, ho urlato e mi hanno ascoltato, ho urlato e ora nessuno mi parla da sopra.
Sorrido anch’io, felice.
Gridare è la cosa più bella del mondo.
Soprattutto se quello che senti di risposta è l’eco delle tue parole, l’eco del tuo cuore, l’eco della tua libertà dalle catene che ti impongono.
Dalle catene che ho appena spazzato.
E ora volo libera come una aquila, librandomi nel vento, le ali stese a respirare.
E guardo il punto in cui Amy è appena scomparsa.
È questo che fa? Lottare per liberarsi da tutte le catene? È questo che ama fare, è questa la sua lotta continua, è per questo che è sempre in guerra con il mondo?
Perché si sente imprigionata?
E quali sono le sue catene?
Quante ne è riuscite a spezzare e quante ancora deve romperne per poter urlare?
 
 

 








*WHAWAIEAH!
Ehilààààààààààààààààààààààààààààààààà!!!!!!!!!! :D
Sono a casa di Sarah!! C: l'avreste mai detto?? 
Non ditemi che ho tralasciato il piccolissimo dettaglio che TUTTI o quasi tutti i personaggi di questa storia sono veri! xD
Ahah.
Qui c'è Sarah che sbircia e mi blocco a scrivere le mie cacchiate sovralunari.
E anche sublunari, dice Sarah... mah.
Ditemi ASSOLUTAMENTE che cosa ne pensate del capitolo e mi raccomando!! Compimenti a profusione!!! xD
La scuola sta finendooooooo!!! Aieah! ;p
Piccolo problema: Taaaaante interrogazioni ancora da dare D:
Sarah mi ha promesso che domani verrà con me all'attacco del ragazzo della chiesa! :D ^^
Oooookay, vado via, perchè la mia vena pazza è esaurita.
Un bacio
Kry :) <3

ORDER OF THE PHOENIX*

 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. Fuck to the new age. ***


Capitolo 19.

 

 

Fuck to the new age.

 
 
 
 
―Esco! ― urlo prima di sbattermi la porta alle spalle. Scendo le scale a piedi anche se sono quattro piani, mentre cerco l’mp3 nella borsa.
Sono le quattro del pomeriggio e ho detto a mia madre di andare a casa di Evelyn per fare una cosa di scuola. Ovviamente è una bugia.
Non ho sentito Evelyn oggi, dopo scuola.
Sospiro mentre gli Imagine Dragons iniziano a darmi la carica con Radioactive. Adoro questa canzone.
È quello che vorrei essere adesso.
Vento, energia pura, che investe chiunque voglia farmi del male, che sa colpire e graffiare prima ancora di essere graffiata.
Faccio un sorriso storto, mentre mi incammino per le strade assolate.
Non c’è nessuno in giro.
Forse non dovrei fare tutto questo, forse non dovrei uscire di casa e andarmene in un luogo deserto a quest’ora, visto il risvolto che ha avuto la mia vita in quest’ultimo periodo.
Ma io sono fatta così.
Forse sono stupida, ma non ce la faccio a stare chiusa in casa. Prima di tutto perché so che è il primo posto in cui Tate può raggiungermi, poi anche perché dopo i miei “incidenti” a casa non posso proprio più starci.
Guardo il punto del pavimento dove caddi quella sera come se dovesse inghiottirmi o dovessi cadere da un momento all’altro.
Come se potesse risucchiarmi.
E ho terrore del telefono.
Alzo il volume al massimo e mi sembra di vivere con la musica.
È una sensazione bellissima.
Amo la musica proprio per questo.
La scegli tu, non ti obbliga nessuno ad ascoltare ciò che non vuoi e in qualche modo ti rappresenta.
In questi momenti, il sole sul viso, il vento tra i capelli, la musica è il battito del mio cuore e mi isola, mi sento finalmente me stessa o quello che vorrei essere.
Libera.
Come se da un momento all’altro dovessi librarmi, dovessi spiccare un balzo e volare via, nel cielo azzurro, facendo mille piroette nell’aria.
Libera.
La mia casa è diventata una catena, l’ennesima che vorrei distruggere, voglio superare i miei limiti, voglio superare le mie paure.
Ecco perché ora vado al castello, il Simposio di Platone ficcato nella borsa con la sana intenzione di leggermi qualcuno dei suoi miti per filosofia.
Magari mi distraggo un po’ cercando di capire il suo “piano delle idee”.
Sorrido e sospiro di nuovo.
Dovevo fare qualcosa che nessuno prevedeva, qualcosa di diverso dalla rutine, qualcosa che trasgredisce le regole della mia vita, seppur in piccola parte.
Ho mentito a mia madre; vado in un luogo deserto così presto; non sto rispondendo ad Evelyn e Sarah; Tate non saprà dove vado dal momento che trovo poco probabile l’idea che sia qui ora.
Sfido me stessa, la mia coscienza, il mio istinto, sfido Tate.
Perché non sono una che sta ad aspettare.
Sono una che la vita se la sceglie, che decide da sola cosa fare e non vuole stare a sentire niente e nessuno.
E se Tate crede di riuscire a condizionarmi la vita, beh, si sbaglia di grosso.
Ho paura, questo è vero. L’idea che possa seguirmi, controllarmi, starmi addosso, aggredirmi, mi spaventa tantissimo. Ma non è da questo che io mi lascerò condizionare.
Il castello si staglia davanti ai miei occhi.
Tutto il paesaggio è sommerso dal sole del primo pomeriggio e questa città non mi è mai piaciuta come ora.
Appena arrivata, mi tolgo scarpe e calze e lascio che i miei piedi affondino nell’erba umida. Gli steli mi solleticano le dita dei piedi e io sto qualche minuto a godermi la sensazione del tepore del sole sulla pelle, dell’umidità dell’erba tra le dita dei piedi, del vento fresco e piacevole che mi accarezza.
Poi mi incammino verso un albero e mi siedo ai suoi piedi, aprendo il libro di Platone.
Pian piano il libro mi scivola dalle mani e socchiudo gli occhi.
Non mi addormenterò… non mi addormenterò… non…
 
 
 
Mi sveglio di soprassalto,  portandomi la mano al petto.
Qualcuno mi ha pestato il dito, cazzo!
―Stronzo! ― urlo con tutto il fiato che ho in gola al coglione che mi ha appena fatto fuori il medio.
Il ragazzo si stava allontanando tranquillamente, perciò sussulta prima di girarsi nella mia direzione, chiaramente urtato per l’appellativo. Un lampo di sorpresa gli attraversa gli occhi azzurri. Chissà chi credeva che fossi.
Solo la cogliona a cui ha appena spalmato per terra un dito, ecco chi sono!
Incrocio le braccia al petto e lo guardo in cagnesco. ―Sì, dico a te, stronzo! ― ripeto.
Il ragazzo si gratta la nuca imbarazzato, i capelli scuri che gli ricadono sulla fronte gli conferiscono un aspetto innocente.
Probabilmente crede che io sia pazza. Ma non mi frega il pirla!
―Dici a me, scusa?
Ma è demente?
Non c’è nessun altro!!
Fingo di guardarmi attorno e poi punto nuovamente lo sguardo su di lui. ―No, scusa! Dicevo al cane di stocazzo!
―Ah, okay. Salutamelo, allora! ― dice con un sorrisino prima di girarsi e di riprendere a camminare.
Spalanco la bocca nella mia migliore espressione stupefatta. Ma che… ?
―Ma sei completamente rincoglionito? Cos’è, il tuo mono-neurone si è messo a ballare la dirthy dance e l’hanno mandato a fanculo?
Il tipo si gira con un’espressione seriamente divertita.
No, dico.
Io questo lo ammazzo.
―Okay, ho capito. ― dice avvicinandosi. ―Ce l’hai con me. Che ti ho fatto? ― ormai ci separano solo pochi centimetri e posso vederlo chiaramente in viso.
È uno dei ragazzi per cui io e Evelyn passiamo a sbavare tutto il tempo.
Capelli scuri mossi che gli ricadono disordinatamente sulla fronte, occhi azzurri, alto, spalle larghe e sorriso obliquo, di quelli che ti fanno perdere la testa.
Sintesi: è bono.
Ma perché penso a queste cose?
Lo osservo meglio, le ciglia lunghe e scure che mettono in risalto gli occhi chiari, la giacca di pelle che gli ricade sul fisico asciutto e dinoccolato, l’angolo destro delle labbra piegato in un sorriso… da stronzo.
Mi risveglio, maledicendomi e gli punto un dito sul petto, velenosa. ―Stavo dormendo sotto quell’albero e tu mi hai pestato il dito!!
―Scusa. Mi dispiace, non l’ho fatto a posta. Non me n’ero nemmeno accorto!
―Certo che non te ne eri accorto, cos’hai al posto degli occhi le palle di tuo fratello?
Si porta una mano al viso, nel vano tentativo di non scoppiarmi a ridere in faccia, ma si vede benissimo che si sta trattenendo. Ma sembro una cogliona che non capisce niente?
Inetto mongoplettico del c….
Qualcosa nel mio sguardo gli fa subito cambiare espressione. Credo che abbia capito che se non la smette di sogghignare lo incenerisco con un lanciafiamme.
―Mi dispiace. ― dice serio. Mi guarda dritto negli occhi per farmi capire che davvero è dispiaciuto. ―Mi fai vedere il dito? ― chiede poi, titubante.
Ceeerrto! ― gli alzo il dito medio proprio davanti agli occhi, quasi sbattendoglielo in faccia.
È tutto rosso, gonfio e pesto, mi fa un male cane. C’è anche l’impronta di quella specie di carro armato che porta al posto delle scarpe.
―Accidenti! ― mormora imbarazzato, passandosi una mano sulla nuca. Adesso sembra davvero dispiaciuto. Prende la mia mano tra le sue ed esamina il dito. ―È messo davvero male!
Strabuzzo gli occhi. Cos’è, adesso gli faccio pure compassione? La povera vagabonda dal dito spezzato?
―Beh, potrei dire che ci hai messo proprio del tuo meglio nel ridurlo ad una frittatina! ― ribatto, acida.
Gli angoli della bocca gli si sollevano in un sorrisetto furbo.
―Beh, sono molto bravo anche in altre cose…. ― gli occhi sono attraversati da un lampo malizioso.
Scrollo via le sue mani viscide dalle mie e faccio un passo indietro, indignata.
―Pervertito del cazzo! ― schifoso maniaco…
―Beh, del cazzo non proprio… preferisco altro, diciamo. ― l’indignazione mista allo schifo stampata sulla mia faccia sfiora il sublime.
Mi giro e inizio a camminare dall’altra parte.
―Scusa! ― urla da dietro.
Questo è proprio coglione.
L’ho detto, io!
Per tutta risposta alzo entrambe le mani e mostro il medio.
Rimango così fino a quando non svolto l’angolo, poi mi ficco le mani in tasca e mi avvio verso casa. Sono passate due ore e le ho passate praticamente a dormire e a litigare con un pervertito che mia spappolato il medio, che è una delle dita che uso di più, tra l’altro.
Deficiente.
Meglio che mi affretta, così posso prepararmi per la festa. E speriamo che almeno quella vada bene.
 
 
 
Quando torno a casa, trovo mia madre in tenuta da battaglia.
Ovvero: è pronta per uscire.
Jeans coco―nuda aderenti, felpa con la bandiera dell’Inghilterra stampata sopra e piumino rosa confetto che non potrebbe non dare nell’occhio. Senza contare l’enorme borsa (sempre dell’Inghilterra) che si porta dietro e l’altra color verde pitone dove all’interno si può trovare di tutto.
E poi dice a me di essere disordinata….
La supero di pochissimo, ecco.
―Stavo per uscire, per fortuna sei tornata. Allora, per stasera? ― mi chiede.
―Alla festa vado con Sarah ed Evelyn per quanto riguarda il ritorno andiamo tutte a dormire a casa di Sarah, te l’ho detto. ― sorrido angelicamente.
―Ah, già. ― mia madre fa una faccia storta.
Non so davvero come abbia fatto a convincerla, quella volta.
Mi ha detto di sì alla festa, ad andare con Sarah ed Evelyn e ad andare a dormire a casa di Sarah, cosa che non mi avrebbe mai fatto fare.
Chissà che le è preso.
La guardo e noto che mi sta sorridendo, una luce calda nei suoi occhi scuri.
Ricambio anch’io, con un improvviso tuffo al cuore. Sono davvero una figlia ingrata.
Non le ho detto niente di Tate, la escludo costantemente dalla mia vita, potrei impegnarmi molto di più a scuola…. Oh, quanto mi dispiace, mamma!
―Va bene… divertiti! ― mi scocca un bacio sulla guancia e mi sorride dolcemente. Poi apre la porta e si gira, per andarsene.
―Mamma! ― la chiamo.
Lei si gira e io mi tuffo tra le sue braccia, stringendola a me.
Rimaniamo abbracciate per un po’ di tempo, io che inalo il suo dolce profumo, lei che mi accarezza i capelli, proprio come quand’ero piccola e le rubavo il pigiama per tenerlo stretto a me, per sentire il suo profumo intrappolato nella stoffa e per averla sempre vicino.
Le do un bacio sulla guancia e le sorrido a mia volta.
Andrà tutto bene.
Lo so.
Chiudo la porta e corro a farmi una doccia, decisa a levarmi di dosso tutta questa sensazione di panico, tutta questo soffocamento.
 
 
 
―Oddio, Amy!
―Stai benissimo!
Sarah ed Evelyn continuano a complimentarsi con me. Faccio un sorrisino sufficiente e alzo il mento. ―Grazie. Ah! Anche voi non siete male comunque! ― dico rivolgendo loro uno sguardo veloce.
Poi le faccio una linguaccia e scoppiamo tutte e tre a ridere.
Che sceme.
Osservo le mie amiche, mentre ci destreggiamo sui tacchi come meglio possiamo. Per quanto mi riguarda mi sento proprio un’oca. Non sono abituata a portare scarpe alte e, tralasciando il fatto che le indosso solo da cinque minuti e ho già i piedi a pezzi, non credo di saper proprio camminare.
Evelyn è quella che se la cava meglio.
Schiena dritta, portamento da figa… oddio, stasera siamo proprio bone!
Ridacchio tra me e me.
Ogni tanto non fa male….
Osservo Evelyn, che non ama i vestiti e indossa dei pantaloni eleganti ed una maglietta che lascia le spalle scoperte. I capelli ricci le ricadono giù in morbidi boccoli profumati, le labbra carnose rosse di rossetto, gli occhi truccati leggermente dalla mia mano esperta.
Modestamente.
Poi rivolgo il mio sguardo su Sarah. Indossa uno dei suoi abiti eccentrici e colorati, scarpe alte e i capelli neri sono acconciati in maniera disordinata, alcune ciocche che le sfuggono sulla nuca, gli orecchini che illuminano il suo sguardo. La cosa più bella, secondo me, è il suo sorriso.
Quella cosa così fantastica che non perde mai.
A volte la invidio.
Vorrei poter ridere sempre, essere sempre positiva.
Come lei.
Ma non è una delle caratteristiche che mi presentano meglio, no.
Io sono così, io esprimo il mio stato d’animo in tutto, trucco, vestiti….
Anche stasera.
Indosso un vestito nero aderente a bretelline che termina poco sopra il ginocchio, calze di pizzo nere, giacca di un grigio tempesta.
Trucco scuro e pesante sugli occhi, lucidalabbra. Semplice e pesante. Semplice e tetra.
A volte mi scambiano per una emo da come mi trucco.
Ma non lo sono. Cazzi, sarò anche depressa ma di certo non al punto da vedere tutto nero, non al punto da tagliarmi le vene! Io i colori li vedo. Sono una delle cose più belle che esistano.
Color cielo, color sole, color sabbia, color sangue…. ce ne sono tantissimi, si possono sfumare e io mi sento solo un ombra al loro confronto, perché loro sono bellissimi e io sto qui a guardarli, a cercare di farli miei. Come se dovessi sbocciare anch’io in uno splendido colore e stessi scegliendo la tonalità che più mi si addice.
Azzurro come il cielo o blu come il mare?
Grigio tempesta o rosa tramonto?
Arancione brillante o verde bottiglia?
Ancora non lo so. Quindi rimango sul neutro.
Il nero è il mio colore.
Camminiamo ancora per un po’ e inizio a dubitare di arrivare tutta intera alla festa. Potrei anche perdere un piede e non accorgermene tanto mi fanno male.
Svoltiamo in un angolo e ci ritroviamo di fronte una piazzetta, più in là la discoteca, dalla quale proviene un rumore attutito di musica.
Dio, il cuore inizia a battermi a mille!
Che bello.
Automaticamente ci affrettiamo verso il locale, scambiandoci sorrisetti complici e sguardi d’intesa.
Spalanchiamo la porta e la musica ci investe.
Eccola, l’adrenalina. Mi scateno in una risata e lascio andare indietro la testa.
Qui si balla, ci scateneremo come delle pazze!
Lasciamo le giacche e saliamo su per una scaletta, che conduce alla sala dove si tiene la festa. Osservo l’interno, stracolmo di gente…. Saremo almeno trecento persone.
Il posto è grandissimo.
―Ciao, ragazze! ― ci viene incontro Eliza, una nostra compagna di classe.
―Venite, vi presento il festeggiato!
La seguiamo sino all’ingresso della sala, la musica ora è altissima e sovrasta ogni cosa.
Un gruppetto di ragazzi è fermo e probabilmente in mezzo a loro ci sarà anche il festeggiato. Appena ci avviciniamo, infatti, vedo un ragazzo che ci da le spalle, stringere la mano ad un paio di persone.
Poi si gira verso di noi e sento il sorriso scomparire dal mio viso, la musica mi sembra si sia abbassata di parecchi toni.
Anche la sua espressione è sorpresa all’inizio, poi il suo viso si apre in un sorriso aperto e spontaneo, mentre i suoi occhi azzurri non si staccano dai miei.
―TU?!? ― riesco solo a dire. 




*WHAWAIEAH!
Allora, iniziamo con uno dei miei annunci spettacolari: è iniziata l'ESTATEEEE!!! 
Non riesco a crederci. 
Comunque vado un po' di fretta perchè ho pochissima connessione e non so come farò a sopravvivere!
Un bacio a tutti, fatemi sapere di questo capitolo un po' whawaieah come me xD
:*
Kry <3
ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 20
*** Capitolo 20. Climax ***


Capitolo 20.



 

Climax.

 
Amy fissava il ragazzo con un’espressione sbalordita.
Che figura di merda!pensò rivedendo la scenata di quello stesso pomeriggio.
Amy arrossì violentemente. Se solo avesse saputo che il festeggiato era…
―Jordan ― disse il ragazzo porgendo una mano verso di lei.
Amy posò lo sguardo prima sulla sua mano, poi sul suo viso e si sentì colpire da una punta di stizza. Jordan era bello, molto bello, e aveva stampato sul viso il sorriso più bello del mondo indirizzato proprio a lei, Amy.
Il problema, Amy lo sapeva, era che lui l’aveva riconosciuta e come aveva fatto quel pomeriggio, anche adesso stava facendo uno sforzo colossale per non scoppiare a ridere.
Dovrei fare il clown, cazzo!Amy lo guardò dritto negli occhi, sorridendo leggermente e lo sorpassò, spostandogli via la mano.
Jordan rimase a guardarla allontanarsi, la mano ancora tesa in una stretta che non c’era stata.
Ma che aveva quella ragazza di così irresistibilmente… affascinante?
Era carina, una ragazza come tante che si confondeva con la gente e probabilmente non l’avrebbe nemmeno notata se quel pomeriggio lei non gli avesse rovesciato addosso una quantità assurda di parolacce.
E che carattere, per la miseria!
Qualcuno gli diede uno spintone e Jordan si riscosse, sorridendo alle altre due ragazze che erano in compagnia dell’amica.
Si strinsero le mani un po’ imbarazzati ed impacciati per ciò che era appena avvenuto, loro due che guardavano in direzione dell’amica per capire cosa fosse accaduto, lui che lo faceva per semplicissima curiosità infrenabile.
Sarah ed Evelyn si affrettarono a seguire Amy nella calca di gente. Farsi strada era davvero difficile ed Amy sgusciava via attraverso i corpi delle persone con estrema facilità infilandosi in un buco libero e facendo scorrere veloce il suo corpo minuto tra le figure agghindate della sala.
Quando Evelyn e Sarah la raggiunsero, era dall’altro lato della sala, che guardava avanti a sé in cagnesco.
―Co ― tentò Sarah ansimando. ―Cosa stavi facendo?
―Scappavo.
―Quello l’avevamo capito anche noi, guarda! ― disse Evelyn guardandola sottecchi e sedendosi accanto a lei. ―La domanda è: perché?
Amy spostò velocemente lo sguardo dall’una all’altra e poi abbassò la testa, contrita. Ora avrebbe dovuto raccontare dello stronzo di quel pomeriggio, e del perché era uscita così presto e cosa ci faceva al castello da sola sotto un albero.
―Lo conosci? ― riprese Evelyn, i capelli ricci che le ricadevano sul volto, gli occhi scuri che cercavano di capire cosa stesse passando Amy.
Amy si massaggiò le tempie, socchiudendo un attimo gli occhi, poi annuì. ―L’ho incontrato oggi pomeriggio.
―Cosa? Come? E perché non… ?
―Ve l’ho detto? ― chiese Amy rivolgendo il suo sguardo su Sarah. ―Che ne so! Non sapevo nemmeno chi fosse, non sapevo che fosse lui il festeggiato! Altrimenti…
―Altrimenti cosa? ― chiese Evelyn.
―Altrimenti questo pomeriggio avrei evitato di chiamarlo stronzo e di riempirlo di parolacce! O per lo meno oggi non sarei venuta alla festa! Anzi no, lo avrei comunque preso a parolacce perché mi aveva pestato il dito e sarei comunque venuta alla festa per fargli dispetto ma… non lo so, cazzo! ― Amy scosse la testa, frustrata.
―Ti ha pestato il dito? ― chiese Sarah con un sopracciglio sollevato.
―L’hai chiamato stronzo e nemmeno lo conoscevi? ― esclamò Evelyn incredula.
Amy le guardò con occhi sgranati.
―Ma insomma, che vi prende! Sì, l’ho chiamato stronzo e nemmeno lo conoscevo ed è stato per legittima difesa! Ed è stato un trauma ritrovarselo qui alla festa, come festeggiato! ― la ragazza sbuffò e chiuse gli occhi per un attimo.
―Va bene, dai. Andiamo a ballare! ― esclamò Evelyn, decisa a non perdersi nemmeno un attimo della serata.
Amy accennò un sorrisino e si buttarono nella calca.
 
 
 
Amy era seduta al bancone del bar, un bicchierino di vodka lemon già vuoto davanti a lei, uno pieno nella sua mano.
Le piaceva credere di essere brava a reggere l’alcol ma in realtà non aveva la più pallida idea di quali erano i suoi limiti. Forse quella sera era intenzionata a scoprirli.
Evelyn e Sarah erano da qualche parte in mezzo a tutta quella gente. Lei aveva sentito il bisogno di scappare via per un momento. Di respirare.
Ed eccola lì, seduta da sola al bancone del bar, tutta sudata e accaldata. Le casse sparavano musica assordante e iniziava a sentirsi stordita e disorientata. Sapeva che l’alcol avrebbe solo peggiorato la situazione ma non le importava. Non in quel momento.
In quel momento voleva solo annullarsi.
Svuotò il secondo cicchetto e ne chiese un terzo al barista.
A giudicare dallo sguardo che le rivolse non era la prima volta che serviva da bere ad un’adolescente minorenne e sapeva come sarebbe andata a finire. Ma tutti erano pronti a trasgredire la legge per un po’ di soldi e ad ogni cicchetto Amy tirava fuori una moneta e la porgeva al barista. Guardò il liquido nel bicchiere. Sarebbe potuta benissimo passare per acqua e invece era uno degli alcol più forti che aveva mai assaggiato. Se i suoi avessero saputo che stava bevendo, se i suoi avessero anche solo saputo che lei beveva l’avrebbero rinchiusa in un convento per il resto della vita.
Sospirò, facendo vagare il suo sguardo sulla sala. Al centro, sotto tutte quelle luci accecanti, stavano ballando un sacco di persone.
Le ragazze, strizzate in abitini minuscoli, si strusciavano contro i ragazzi che facevano scorrere le loro mani su tutto il loro corpo.
Bleah…
Fece ruotare lo sguardo attorno alla sala e si soffermò su una figura conosciuta. Kyle.
Era in un angolo appartato con la fidanzata e stavano parlando animatamente. Amy distolse lo sguardo, sospirando. Sicuramente avrebbero trovato un posticino appartato per fare sesso.
Andava a finire sempre così a quelle feste.
Praticamente tutte le coppiette riuscivano a trovare un posto dove appartarsi e sbattersi a vicenda. Magari nelle macchine per chi aveva già la patente, o nei bagni. Tanto nessuno controllava mai, i gestori dei locali chiudevano sempre gli occhi. Se avessero dovuto correre dietro a tutte le coppiette ci avrebbero messo un’eternità.
―Allora, me lo dici il tuo nome? ― una figura la sorpassò e si sedette di fronte a lei. ―Sono ore che ti cerco.
―Mhmm. ― Amy alzò il bicchiere in direzione del nuovo venuto e lo svuotò tutto d’un fiato. Poi fece un gesto al barista che le portò un quarto bicchiere. ―Se vuoi scopare non sono dell’umore giusto. E poi potresti uccidermi accidentalmente proprio sul più bello. ― disse continuando a non guardarlo in volto.
―Mi credi davvero così viscido? Non mi faccio mica tutte le ragazze che mi capitano a tiro senza nemmeno conoscerle!
―Ah no? Strano. Cos’è che hai detto, stamattina? “Sono molto bravo in altre cose; amo la patata più della mia stessa vita”… sì, cose così, diciamo. ― Amy svuotò il quarto bicchiere e lo sbatté sul tavolo. Poi guardò Jordan negli occhi. L’alcol iniziava a renderla più audace e si sentiva più vivace, ma allo stesso tempo pensare le costava fatica.
―Non ho detto che amo la patata più della mia stessa vita! ― protestò indignato Jordan.
―Ah no? ― Amy lo guardò seriamente sorpresa, mentre il barista le porgeva un quinto bicchiere. ―Strano mi ricordavo che
―Dovresti smetterla di bere. ― la interruppe Jordan cercando di bloccarle la mano mentre si portava il bicchiere alle labbra.
―E lasciami! ― Amy si liberò con uno scrollone e mandò giù il bicchiere senza staccare gli occhi dai suoi. Poi lo sbatté sul bancone e gli lanciò uno sguardo di sfida. ―Non sei mio padre. Prova a fermarmi se ci riesci!
―Ovvio che non sono tuo padre. E credo anche che sia impossibile convincerti o costringerti a non fare qualcosa. Perciò costringerò lui. ― Jordan le lanciò uno sguardo penetrante prima di rivolgersi al barista. ―Non le dia più da bere, sono stato chiaro? È minorenne.
―Ehi, ma che? Ma che fai? Non ne hai nessun diritto, ehi scusi! ― urlò in direzione del barista. ―Non lo ascolti!
―Mi dispiace signorina. ― rispose quello scocciato. ―Non sapevo fosse minorenne, non posso darle altro da bere se non un bicchiere d’acqua o un thè. O magari una coca.
―Oh, andiamo! ― urlò Amy alzando un braccio nella sua direzione, per richiamarlo. ― Lo sapeva benissimo che ero minorenne, avrebbe anche dovuto chiedermi la carta d’identità e non l’ha fatto! Continui a fare il suo lavoro e mi serva da bere.
―Subito. ― il barista le porse un bicchiere.
―Ma è acqua! ― protestò Amy.
―Sì. E si beve. Scusatemi. ― il barista si voltò e scomparve dietro una porta.
―Non ne avevi alcun diritto! ― protestò acida rivolgendosi verso Jordan. Il ragazzo si strinse nelle spalle e le rivolse un sorriso angelico. ―L’ho fatto per il tuo bene.
―Fottiti! Per quello ci sono i miei genitori e cazzo, tu non hai mai bevuto alle feste? Smettila di starmi appiccicato, potresti farmi morire schiacciata da un lampadario. Sei un pericolo ambulante, porti sfiga, tu!
―Mi vuoi dire come ti chiami sì o no? ― chiese nuovamente Jordan sull’orlo dell’esasperazione.
Amy gli sorrise e lui credette di avercela quasi fatta. ―Ascolta bene, perché non te lo ripeterò un’altra volta. Fanculo. Ecco come mi chiamo. E guarda caso è anche la direzione in cui ti mando adesso. C. I. A. O. ― poi guardò il bicchiere che aveva in mano. ―Ah, e questa puoi anche bertela tu! ― disse svuotandoglielo in faccia. Jordan socchiuse gli occhi e si passò una mano sulla faccia bagnata. Vide Amy che saltava giù dallo sgabello e si allontanava verso la pista da ballo senza voltarsi indietro. Di certo lui non le interessava minimamente. Ma era determinato a farle cambiare idea. A metà strada la ragazza si chinò e si tolse le scarpe, proseguendo scalza in mezzo a tutta la gente. La vide parlare con una delle ragazze con cui era arrivata e sorrise.
L’avrebbe rivista presto. Ne era sicuro.
 
 
 
 
―Ragazze esco un attimo a prendere un po’ d’aria… ― disse Evelyn asciugandosi il sudore dalla fronte. Le amiche annuirono e lei si fece strada verso l’uscita. Lì dentro non si respirava. Riuscì ad allontanarsi dalla sala affollata e si avviò verso l’ingresso, avvolgendosi una sciarpa intorno alla gola per non raffreddarsi.
Spalancò la porta del locale e si guardò attorno. L’aria era fredda e in giro non c’era nessuno. Pochi passi più avanti c’era una panchina, così la raggiunse e si sedette.
Sospirò, mentre l’aria della notte le raffreddava il sudore e le faceva volare i ricci in tutte le direzioni. Cercò di domarli in qualche modo e finalmente riuscì a tenerli fermi con una forcina.
Diede uno sguardo al cellulare.
Era stanchissima.
La musica l’aveva stordita e aveva i piedi a pezzi e le gambe distrutte. Un po’ di pace le serviva proprio.
Socchiuse gli occhi e reclinò la testa all’indietro, i muscoli della schiena che gioivano per il riposo e i piedi che le pulsavano all’interno delle scarpe.
―Ehi. ― Evelyn sussultò, spaventata e guardò attorno a sé, per vedere chi avesse parlato. Una figura si sedette accanto a lei ed Evelyn riuscì a distinguere i tratti marcati del volto di Kyle, le labbra piene, i ricci disordinati, il caramello dei suoi occhi che sembrava ancora più brillante del solito alla luce della luna.
―Mi hai spaventata. ― ribatté Evelyn scostandosi leggermente. Qualunque cosa fosse venuto a fare Kyle, lì fuori, non prometteva nulla di buono.
―Scusa. ― il ragazzo non distoglieva gli occhi dai suoi. Stettero qualche minuto a fissarsi, Evelyn sempre più imbarazzata per la situazione.
―Che vuoi? ― esplose alla fine.
―Mi sto innamorando, Evelyn… ― Evelyn strabuzzò gli occhi e lo guardò di traverso. ―Che vuoi dire?
―Davvero non lo capisci? ― le chiese lui, avvicinandosi ancora di più. Evelyn sentì il suo profumo. Era dolce e frizzante, qualcosa che ti metteva su di giri. ―Fai un piccolo sforzo… ― sussurrò ancora nella sua direzione, il suo viso che si avvicinava pericolosamente, l’alito che puzzava di alcol.
Evelyn indietreggiò ancora. ―Kyle. Hai bevuto.
―Solo un po’. ― Kyle fece scivolare le dita lungo il braccio di Evelyn, facendole risalire sino al volto, sino alle labbra, per sfiorarle leggermente con la punta del pollice.
―Non era una domanda. ― replicò Evelyn scostandogli la mano dal viso. ―Smettila. Torna dentro.
Gli occhi di Kyle si scurirono e il sorriso languido, che aveva preso posto sul suo viso, scomparve come se non ci fosse mai stato. Per un attimo Evelyn ne ebbe paura. Cosa avrebbe fatto ora? Cosa…?
Ma non ebbe il tempo di pensarci perché le mani calde di Kyle la afferrarono per le braccia e la strinsero contro il suo petto. Kyle la baciò con foga, immobilizzandola contro il suo corpo. Le schiuse le labbra con la lingua, baciandola aggressivamente, mentre Evelyn cercava in tutti i modi di liberarsi.
Sentiva l’adrenalina a mille, il cuore in gola e desiderava solo che Kyle la smettesse, che la lasciasse andare. Le dita di Kyle le sfiorarono la pelle nuda sotto la maglietta, le sue mani si fecero strada attraverso la stoffa, salendo sempre più su, stringendole i fianchi con forza. Una mano scese verso i suoi glutei mentre l’altra la teneva stretta a lui. Evelyn gli morse le labbra con tutta la forza che aveva e Kyle si ritrasse, portandosi una mano alla bocca. I suoi occhi incontrarono quelli di Evelyn in un attimo di lucidità e lei vi lesse dispiacere e dolore.
Evelyn sentiva l’adrenalina pulsare dentro di lei, era ferita, si sentiva calpestata. Non avrebbe mai pensato che Kyle potesse arrivare a tanto. ―Evelyn io…. Mi dispiace. ― mormorò lui abbassando lo sguardo.
Gli occhi di Evelyn si riempirono di lacrime mentre tentava di aggiustarsi la maglietta. Non disse niente, era troppo sconvolta, troppo agitata. I pensieri si confondevano l’uno con l’altro, non riusciva a respirare. Si passò una mano sulla bocca, schifata, e fece per voltarsi e ritornare in direzione della sala, quando cambiò idea e si fermò. Si girò verso Kyle, che la guardava confuso, senza capire, e si incamminò con passo deciso verso di lui. Arrivata ad un passo da lui, sollevò la mano e lo colpì in viso con tutta la forza che aveva.
Lo schiaffo le bruciò sulla mano, sulle dita, ma non le importava. La guancia di Kyle si arrossò per il colpo ricevuto ed Evelyn rimase ferma per un attimo, indecisa se dargli un altro schiaffo e riempirlo di parolacce o andare via senza dire una parola.
Ma conosceva i suoi limiti.
Si girò e si incamminò verso l’entrata del locale, mentre le lacrime iniziavano a scorrerle lungo il volto.
Che intenzioni aveva Kyle? Per chi l’aveva presa?
Per una poco di buono che gli avrebbe lasciato fare tutto? Era questa la sua vendetta per averlo sfidato pubblicamente?
Non lo credeva una persona così bassa e meschina. Così viscida….
Una mano la afferrò per un braccio, costringendola a voltarsi, ed Evelyn si protesse il viso con le braccia, per impedirgli di fare qualsiasi cosa, mentre scoppiava a piangere. ―Lasciami!
―Evelyn, davvero, mi dispiace! ― la voce di Kyle la raggiunse da lontano, mentre realizzava che la stava abbracciando e le stava accarezzando lentamente i capelli. ―Non volevo…. ― qualcosa nella sua voce, la convinse a guardarlo in faccia.
Scostò le braccia tremanti dal viso e sollevò piano lo sguardo su di lui. Stava piangendo.
Evelyn corrugò lo sguardo e cercò di asciugarsi gli occhi come meglio poteva, spandendo il mascara lungo tutte le guance.
―Oddio… mi sento così… un verme…. ― il pianto di Kyle da sommesso iniziò a farsi più violento. I singulti gli scuotevano il petto ed Evelyn iniziò a credere che quello davvero ferito, fosse lui.
La stretta dell’abbraccio di Kyle si fece più forte e lui tuffò il volto nell’incavo tra il viso e la spalla di Evelyn, in mezzo a tutti quei soffici ricci scuri e profumati. ―Lei… ― cominciò, ―Mi ha lasciato.
Evelyn rimase impietrita per un attimo, prima di capire ciò che Kyle le stava dicendo. La sua ragazza l’aveva mollato, lui aveva bevuto e in un attimo di frustrazione, sbandamento e disperazione l’aveva baciata a quella maniera.
Pian piano, anche le braccia di Evelyn circondarono il corpo di Kyle, cercando di consolarlo.
 
 
 
Sarah si guardò intorno, scocciata.
Evelyn era via già da un po’ ed Amy l’aveva appena abbandonata per scappare in bagno perché si sentiva male.
Che bellissima festa.
Sbuffò, scocciata, dirigendosi verso le poltroncine discostate dalla pista da ballo. Si accoccolò su una di esse e lasciò correre lo sguardo lungo tutta la pista. Le luci erano accecanti e la musica iniziava ad essere davvero estenuante.
Era esausta.
Chiuse per un attimo gli occhi e il viso di Lee prese posto nei suoi pensieri.
Subito le sue labbra si stesero in un sorriso aperto e spontaneo. Lee le faceva sempre quell’effetto. La faceva sorridere, faceva uscire fuori la parte migliore di lei, quella più giocosa ma allo stesso tempo sincera, splendente.
Prima di incontrarsi con Evelyn ed Amy l’aveva incrociato in giardino, sotto casa sua, e aveva provato una strana sensazione nel vederlo.
Un po’ di imbarazzo, cosa che tra loro non c’era mai stata, e una stretta piacevole e calda alla bocca dello stomaco.
L’aveva guardata come se fosse la prima volta e le aveva sorriso, come al suo solito. “Sei uno schianto.” aveva detto. E lei si era messa a ridere.
Ma se fosse stato vero? Se davvero lui credeva che lei fosse uno schianto?
Sarah aprì gli occhi di scatto e si morse le labbra.
Quei pensieri erano strani, stranissimi. Perché avrebbe dovuto provare piacere al pensiero che Lee la trovasse attraente?
Lui era il suo migliore amico.
Giusto?
Lo era sempre stato.
La musica iniziò a confondersi con i suoi pensieri e la testa di Sarah iniziò a girare, e girare e non la smetteva.
Tutte quelle luci… si mescolavano tra loro, la accecavano e non capiva più niente.
Lee, festa, amici, amore, luci, schianto, piacere….
Sarah aprì gli occhi di scatto, sconvolta, e si alzò per andare a cercare Amy, quando qualcuno la afferrò per un braccio.
Si voltò e sussultò per la sorpresa quando vide chi le stava davanti.




*WHAWAIEAH!
Ohi, gente! (:
Estateeeeeeeeeeeeeeee!!!
Ok, ok, stop. 
Non avete sicuramente voglia di sentire una rompiballe come la sottoscritta... :3
Però ditemi cosa ne pensate di questo capitolo così mi tirate un po' su :)
Glaaaaaaziee!! xD
Non ho sclerate da fare, vi rendete conto?? D:
Oh, no!
Va bien, un bacione :*
Kry

<3 <3 <3

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 21
*** Capitolo 21. Messages ***


Capitolo 21.

Messages.

 
 
Amy si gettò sul materasso che avevano trascinato lei e Sarah fin nella sua camera.
Il letto rimbalzò sotto il suo peso e la ragazza affondò il viso nel cuscino, stringendo gli occhi per la stanchezza.
L’alcol le aveva fatto passare un po’ di tempo in bagno ma per fortuna non aveva vomitato. Si sentiva solo un po’ stordita.
Qualcuno le si buttò addosso da dietro e ad Amy si mozzò il respiro in gola. ―Casso. Togliti di messo mi strossi. Non respiro!
Evelyn si rotolò su di lei, ridendo, facendola diventare tutt’uno col materasso ed Amy la maledisse mille volte mentalmente mentre qualcosa la colpiva tra le costole facendole uscire fuori gli ultimi residui di aria rimasti.
Finalmente Amy riuscì a scrollarsi di dosso Evelyn, facendola atterrare dolorosamente sul pavimento.
―Merda, Evelyn mi hai ficcato un piede in culo! ― protestò la ragazza massaggiandosi le natiche.
Evelyn ridacchiò, ma il suo sorriso si spense subito.
Le due ragazze si stesero a pancia in su, ciascuna nel proprio giaciglio, ciascuna immersa nei propri pensieri segreti.
Evelyn continuava a pensare a Kyle, a quello che le aveva detto, a quello che aveva fatto. E a come avesse capito che quel ragazzo aveva un disperato bisogno di amici.
Di amici veri.
Lei che si era sempre sentita fuori posto, che aveva sempre creduto di non avere tanto e che aveva sempre guardato Kyle e tutti quelli come lui con un misto di curiosità, perché in loro vedeva qualcosa di interessante, qualcosa di trasgressivo e fuori dagli schemi rispetto alla sua solita vita monotona.
E invece si era sbagliata.
Non aveva saputo comprendere come una persona del genere potesse essere talmente fragile, potesse essere talmente debole. Era sempre e solo tutta apparenza.
Guardò Amy, distesa sul suo letto. Aveva gli occhi chiusi, le labbra contratte e la fronte corrugata.
Cosa stava pensando?
Un rumore la distrasse e sollevò lo sguardo. Sarah era entrata in camera con un ampio sorriso stampato sul volto, la faccia tutta sporca di dentifricio.
―Ommiodio, Amy ma che ti sei messa? ― esclamò a voce alta puntando su Amy uno sguardo sconvolto.
Amy aprì malvolentieri gli occhi e senza cambiare espressione e scomporsi di un solo millimetro, disse: ―Ti consiglierei di guardarti allo specchio prima di giudicare l’abbigliamento degli altri.
Sarah corse a sciacquarsi il viso tra le risate generali e quando tornò, guardò Amy in cagnesco.
―Ommiodio, Amy ma che ti sei messa? ― ripeté, imitando la stessa espressione di poco prima.
Amy balzò in piedi sul materasso e imitò una di quelle espressioni che assumono le modelle sulle riviste di abbigliamento, labbra arricciate, sguardo perso nel vuoto, mani che si tuffano nei capelli….
Evelyn e Sarah stavano morendo dalle risate.
Poi Amy iniziò la sua camminata da modella, stendendosi il pigiama di quattro taglie più grande di lei addosso.
―Questo è un nuovo modello di ‘big people have big bosom’ ― e così dicendo si fece scorrere le mani lungo tutto il corpo, facendole arrestare ai fianchi. Poi si mise in posizione fotografica, prima da un lato e poi dall’altro e ritornò sul suo letto.
―Tu sei matta! ― esclamò Sarah gettandosi di peso sul suo.
Amy ridacchiò e per un attimo vi fu un momento di silenzio.
Poi sentirono un telefono vibrare.
Le ragazze si guardarono l’un l’altra, il cuore di Amy che accelerava i battiti mentre non accennava ad alzarsi. ―È il mio, credevo di averlo spento. Dev’essermi arrivato un messaggio.
Sarah ed Evelyn la guardarono, ma Amy non sembrava volersi alzare dal materasso.
―Rispondi o no? ― chiese Evelyn scrutando fisso Amy. La ragazza aveva uno sguardo strano, rivolto nel punto in cui aveva lasciato il telefono.
Sembrava aspettare, temere qualcosa dal cellulare. Evelyn si alzò e si diresse verso il telefono, aprendolo.
―Non guardare! ― urlò Amy scattando in piedi, nel vano tentativo di strapparle il telefono dalle mani. Ma fu tutto inutile.
Evelyn scappò saltando agilmente sul letto di Sarah e lesse il messaggio, mentre Amy la guardava impaurita.
― "So che ti sono mancato, piccola. Ma nella mia agenda c'è scritto che questi minuti sono solo per te. Il tuo dito medio è apposto? No perché ho capito come sei, e so che lo alzeresti proprio adesso" ― Evelyn sollevò lo sguardo cercando inutilmente di trattenere una risata. Lei e Sarah scoppiarono a ridere rotolandosi sui materassi, mentre il viso di Amy era un misto tra sollievo e sorpresa. Un attimo dopo era corrugato in un’espressione furente, la fronte corrugata, i denti digrignati per la rabbia. Gli occhi erano due pozze scure di collera, mandavano scintille.
Amy si avvicinò ad  Evelyn con passo marziale. ―Adesso ti faccio vedere io, cazzone dei miei stivali!! ― le strappò il telefono di mano e lesse il messaggio febbrilmente, digitando velocemente una risposta degna dell’idiozia di quel ragazzo. “Chi minchia ti ha dato il mio numero?” premette il tasto invio mentre Evelyn e Sarah si guardavano ridacchiando.
La risposta arrivò quasi subito. “Sarah, la tua amica… ma non hai ancora risposto alla mia domanda… il tuo dito?”
Amy rivolse il suo sguardo verso Sarah, fulminandola. ―Hai dato il mio numero a quel mongoplettico? Ma come cazzo hai potuto farlo senza chiedermelo prima?
Il sorriso si spense sulle labbra di Sarah. ―Scusa, credevo di farti un piacere. Insomma, mi è sembrato molto simpatico e determinato. Perché non avrei dovuto darglielo? È un bravo ragazzo e…
―Bravo ragazzo? Che ne sai tu dei bravi ragazzi, Sarah? Che ne sai? Potrebbe essere un maniaco e noi non lo sappiamo nemmeno! E come al solito quella che ci va di mezzo sono io!
―Andarci di mezzo? Che vuoi dire, scusa? ― Sarah scrutò l’amica con aria interrogativa.
Amy tremava per la rabbia, per la paura e lo odiava, sì. Odiava quel demente di Jordan, ma in realtà odiava Tate che le impediva di farsi una vita normale senza paranoie. E odiava Sarah, che aveva fatto quel colpo di testa senza dirle nulla! ―Niente. ― mormorò. ―Non voglio dire niente. ― abbassò lo sguardo e serrò la presa sul cellulare talmente forte che le nocche sbiancarono e la plastica le lasciò dei segni profondi sui palmi. Doveva calmarsi. ―Scusami, Amy, ma mi sembra che tu stia esagerando. Insomma, un maniaco! ― iniziò Evelyn, cercando di riportare il clima sereno di poco prima, equilibrando le parti.
Gli occhi di Amy si puntarono su di lei, pieni di lacrime, la faccia rossa nell’evidente sforzo di trattenerle, sangue che cola da una ferita ancora aperta.
Amy scosse la testa, cercando di dire qualcosa, qualunque cosa. Poi guardò Sarah, il volto dispiaciuto e si sentì in colpa per averla aggredita a quel modo.
Insomma, come potevano Evelyn e Sarah sapere ciò che accadeva se lei le teneva fuori da tutta quella faccenda?
―Scusate! ― disse voltandosi e correndo in bagno. Si chiuse la porta alle spalle, accasciandosi sul pavimento.
Iniziò a piangere senza nemmeno accorgersene. Il respiro le si mozzò in gola, il cuore accelerò i battiti, la mente proiettata nel buio, passi, passi, passi, occhi che la scrutavano, acqua gelida che le paralizzava gli arti per la paura.
Il respiro si fece più accelerato. Chiuse gli occhi e iniziò a tremare convulsamente. ―Amy tutto bene? ― la porta si spalancò spostandola senza fatica. Sarah fece capolino e il sorriso le morì in gola per la seconda volta in quella serata. ―Oh, mio Dio, Amy che hai? ― Si chinò su di lei e la abbracciò forte, cullandola piano, abbracciandola col proprio corpo. ―Shh… tranquilla. Respira piano. Piano.
Amy cercò di seguire i consigli dell’amica, abbandonandosi tra le sue braccia morbide e profumate. Per i primi momenti non avvenne nulla, poi il respiro le si mozzò di nuovo in gola e fu come se un catenaccio gelido si spezzasse e permettesse al suo cuore di ricominciare a battere normalmente.
―Shh… ― mormorò Sarah accarezzandole i capelli. Amy cominciò a piangere senza fermarsi, abbracciando l’amica. ―È passato. Hai avuto solo un attacco di panico, non preoccuparti.
Amy alzò lo sguardo verso Sarah. ―Scusami per prima.
L’amica annuì, scrutandola attentamente. ―Ne vuoi parlare?
Amy scosse la testa e si asciugò gli occhi. Poi si costrinse a sorridere. ―No. No, andiamo. Prometto che non farò più scenate. ― un respiro, due. Ancora tutto apposto. ―Andiamo a rispondere a quel deficiente.
Si alzò e si sciacquò il viso come se nulla fosse accaduto, mentre Sarah la osservava stranita. Cosa stava succedendo? Aveva notato da un po’ un atteggiamento strano da parte di Amy ma non gli aveva dato molto peso. Ne doveva parlare con Evelyn, più tardi. Dovevano capire cosa stava accadendo, anche se Amy si ostinava a  tenerle fuori da qualunque cosa la stesse tormentando. Ma si vedeva che soffriva. E quello sfogo di poco prima, quel terribile attacco di panico che aveva avuto servivano solo a confermare ciò che aveva già notato. Anzi, aggravavano ciò che lei aveva stupidamente creduto come una fase momentanea dell’amica.
Amy la superò, entrando nell’altra stanza e Sarah si costrinse a seguirla. Uscì un barattolo di nutella per alleggerire la tensione e lo pose al centro del cerchio che avevano formato sedendosi vicino.
Amy prese il telefono e cercò di ignorare le occhiate silenziose che si scambiavano Sarah ed Evelyn. Prima era stato terribile.
Le sembrava di affogare, di soffocare, le sembrava che l’aria fosse fatta si vetro, che le tagliasse i polmoni, le graffiasse il cervello, la ferisse. Deglutì. Se Sarah non fosse stata lì con lei, in quel momento…. Dio, che stupida era stata! Debole, debole, debole! Ora come poteva far finta di niente con loro? Come poteva fingere che la sua vita continuasse indisturbata come sempre, senza problemi? Come poteva tener fuori da quell’orribile situazione le sue migliori amiche?
Non voleva che anche la loro vita diventasse grigia a causa sua.
Sospirò e lesse il messaggio che le era arrivato alcuni minuti prima. “Sarah, la tua amica… ma non hai ancora risposto alla mia domanda… il tuo dito?”
Se non fosse stato per quest’altro deficiente, non sarebbe accaduto niente!
“La mia ex-amica a partire da ora, grazie a te. Sentiti in colpa, verme. Il mio dito sta benissimo ma fossi in te mi preoccuperei più per i gioielli di famiglia perché la prossima volta che ci incontriamo ti assicuro che li farò a pezzi.”
Amy affondò con rabbia il dito nella ciotola della nutella, ficcandoselo in bocca. Ovviamente la rabbia per Sarah era sbollita, ma non poteva sopportare quel Jordan, cazzo! Perché proprio lei?
Le aveva quasi amputato un dito, l’aveva tormentata per tutta la serata, che altro voleva?
Il cellulare vibrò, illuminandosi. Amy guardò lo schermo con diffidenza prima di schiacciare ok e prepararsi all’ennesima cavolata sparata dal tipo.
“Prenderò le mie precauzioni, piccola. Ma lascia fuori la tua amica da questa storia… dopotutto eravamo destinati a conoscerci… ;)”
―Mo mette pure gli occhiolini? Cretino!
“1. Chiamami ancora una volta piccola e al posto di farti le palle a pezzi, quando ti vedo la prossima volta te le faccio sbranare dal cane di mia cugina. 2. Giusto, tra coglioni ci si intende. Tu coglione perché lo sei di natura e non puoi farci niente, io perché non ti ho preso a calci in culo la prima volta che hai cercato di uccidermi. 3. Cos’è hai chiuso un occhio perché il mio sputo virtuale l’ha centrato in pieno? Deficiente!”
Amy si passò una mano tra i capelli, incazzata come non mai. Alzò lo sguardo sulle sue amiche, le labbra arricciate sempre nel solito broncio irritato. Sarah ed Evelyn la stavano guardando incuriosite. ―Che ti ha detto?
―Che gli hai scritto?
Amy volse lo sguardo dall’una all’altra. ―Ma vi siete rincoglionite anche voi? Gli sto rispondendo per legittima difesa a ‘sto cretino!
―Ma no! ― si affrettò a dire Evelyn.
―Noi volevamo soltanto… ― lo sguardo di Sarah si posò sull’amica.
―Sapere che succedeva! ― concluse Evelyn annuendo solennemente.
Amy le guardò di sottecchi, il sopracciglio sospettoso sollevato. ―Se, se… comunque se proprio ci tenete dopo ve li faccio leggere….
Evelyn e Sarah ridacchiarono eccitate. Il cellulare vibrò ancora e tutte e tre si sporsero per leggere la risposta. “Sei adorabile, piccola. Nessuno mi aveva mai rivolto parole tanto dolci…. Sono rimasto un po’ deluso però quando alla festa non mi hai detto il tuo nome…”.
―Venitemi a dire che non è un rompiballe destinato a morire! ― inveì Amy mentre le sue amiche si scambiavano occhiatine di intesa.
“Ah ah! E non lo saprai mai per quanto mi riguarda!”
Seguirono attimi di silenzio imbarazzato e Amy non si accorse che Sarah si stava rosicchiando le unghie nervosamente. Quando il cellulare vibrò, Amy aprì il messaggio con un sorriso vittorioso stampato in faccia che pian piano scomparve dal suo volto mentre lo leggeva. “Ah ah! Non c’è bisogno che sia tu a dirmelo… tanto lo so già! T.V.T.T.T.B! xD”
―Sarah… ―  cominciò Amy corrugando la fronte. ―Cosa vuol dire che sa già il mio nome?
Sul volto di Sarah apparve un sorrisino colpevole. ―Scusa… ?
Amy alzò gli occhi al cielo, soffocando un grugnito.
“Minchia ridi. F.U.C.K!”

 

*WHAWAIEAH!
Ehiiiiiilàààààà! ;D
Io son quaaa! Che ve ne pare?
Solita cagata?? :/
O va un pochino meglio?? (:
Pareri, pareri, pareriiii!!
Vi aspetto al varco! ;p
Bieeeeen! :D
Basci,
Kry <3 of
ORDER OF THE PHOENIX*

PS: Aiutatemi a sconfiggere la mia scurrilità... mi hanno detto che è una malattia incurabile ma non voglio demordere xD

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22. Incontri. Due capriole nel paese di Fanculo. ***


Capitolo 22.


Incontri.
Due capriole nel paese di Fanculo.


―Il campanello suonaaa! ― urlò Sarah dal bagno.
Amy grugnì, assonnata. ―La casa è tuaaa!
―Amy, ti prego, vai ad aprire! Non posso uscire nuda dal bagno! ― protestò Sarah nel vano tentativo di convincere l’amica.
―Asdbfpaoijdpaif. ― disse Amy affondando il viso nel cuscino.
―Cosa? ― urlò Sarah.
―Tecnicamente non c’è nessuno che te lo impedisce! ― le urlò lei di rimando, cercando di ignorare il campanello della porta che suonava insistentemente.
―Amy!
―E va bene, vado! ― brontolò, alzandosi e scalciando le coperte. ―Non capisco proprio perché non possa andare Evelyn! È affogata nel cesso?
―Non tentarmi, Amy! Non mi esce! ― urlò Evelyn dall’altro bagno.
―Ah, Evy, ma che SCHIFO!
Amy uscì dalla stanza, i piedi nudi che incespicavano sul pavimento freddo, i capelli corti tutti arruffati sulla testa.
Aprì la porta con uno sbadiglio, mentre si grattava il capo. ―Sì?
―Sembri un panda. ― Amy strabuzzò gli occhi, mettendo a fuoco la persona che le stava davanti.
Jordan, in tutta la sua figaggine le sorrideva ammiccante dall’altro lato della porta e lei stava là a fissarlo come una perfetta idiota, il pigiama di quattro taglie più grande addosso, i capelli tutti arruffati e le pieghe del cuscino stampate in faccia. Amy rimase impalata per qualche istante prima di lasciare che la porta scivolasse nuovamente sui cardini. Jordan iniziò a bussare insistentemente. ―E dai, Amy! Apri!
―SCORDATELO! ― urlò lei guardandosi allo specchio appeso di fronte alla porta. Dio santo, sembrava davvero un panda! Aveva i residui del trucco della sera prima tutti impiastricciati sul viso, i capelli corti sparati in mille direzioni diverse e il pigiama immenso che la faceva sembrare ancora più minuta. ―Amy ti prego! Non me ne vado di qua sino a quando non apri!
―E io chiamo il telefono azzurro, coglione!
―Quelli portano via te! ― disse Jordan ridendo come un pazzo. Amy sbuffò infastidita e riaprì la porta. ―Mi hai svegliato.
―Scusami. ― Jordan cercava di apparire serio, ma non poté fare a meno di farsi scappare un mezzo sorriso.
Amy sbuffò e gli fece spazio per entrare. ―Sei proprio un cretino. Che altro vuoi?
Jordan sollevò un sacchetto bianco di carta e sorrise. ―Colazione!
Amy arricciò le labbra, annusando l’aria. ―Cornetti…― constatò con una punta di ammirazione. Poi alzò la testa di scatto e lo guardò negli occhi con aria seria. ―Non saranno mica avvelenati?
Jordan rise ancora ed Amy digrignò i denti. —Senti, per quanto io voglia credere che tu sia davvero dispiaciuto per ciò che mi hai combinato, sappi bene che non sono per niente disposta a fidarmi di un matto come te!
Jordan annuì serio mentre seguiva Amy verso la cucina. —Perché sei qui?
—Per farmi davvero perdonare. — rispose lui come se la cosa fosse più che ovvia.
—Sì, come no. Insomma, per uno strano caso fortuito hai capito dove fossi oppure, ipotesi più probabile, ci hai seguite ieri e sei rimasto appostato tutta la notte per essere sicuro che non uscissimo di casa. E poi ci hai portato cornetti avvelenati, così puoi ucciderci tranquillamente! Per caso vendi organi? — Amy lo scrutava sospettosa dal basso della sedia e Jordan le si sedette accanto, guardandola dritto negli occhi.
La sua voce era terribilmente seria. —Uno. Non sono uno stalker. E questa sarà la prima e ultima volta che te lo dico, Amy. Ti tartasso perché mi hai colpito. Poche persone hanno il coraggio di dire ciò che pensano e tu lo fai. È per questo che voglio che tu mi dia una possibilità. È per questo che non mollerò sino a quando tu non me l’avrai data.
—Che cosa? Ma sei pazzo?? Ommiodio, esci da questa casa o sveglio i vicini!! Tu vuoi la mia PATATA?? E credi davvero che io te la dia così, come se nulla fosse? Vade retro, pervertitus! La patata va conquistata, via! — Amy balzò in piedi sbraitando come una matta mentre Jordan rideva come un pazzo.
—Ma si può sapere che cacchio ti ridi? — Amy si sedette fumando di rabbia, mentre Jordan cercava di ridarsi un contegno. —Dio, Amy, con te non si può fare mai un discorso serio! Non mi riferivo alla patata! Ti pare che su questo argomento io possa essere così diretto?
Amy lo guardò scettica, come a sottolineare il concetto.
Il ragazzo fece un colpo di tosse e recuperò il contegno perduto. —Comunque fammi finire e non interrompermi. Ti stavo dicendo che mi hai colpito e ora, potrei sbagliarmi, potrebbe non nascere nulla tra noi se non una bella amicizia, come invece potrebbe succedere di tutto. Ma ti tartasso perché voglio provare a vivere con te Amy. E quando dico vivere, intendo vivere delle vere emozioni perché questo è quello che fai tu. Non ti tiri indietro e mi sembri una persona che ama mille volte dire ciò che pensa piuttosto che starsene zitta a subire. E questo mi piace di te. Vorrei provare le tue stesse sensazioni, capisci? Dammi una possibilità. Prometto che farò di tutto per non ucciderti.
—Mhmm… — Amy lo squadrava dall’alto in basso, gli occhi azzurri di Jordan che attendevano una risposta, ansiosi.
—Quello che dici è… molto profondo, Jordan. E anche molto impegnativo. Ma, vedi, a volte le persone non sono ciò che sembrano. E io sono una persona davvero molto problematica. Tanto. Non so, forse ti conviene di più vivere una vita normale, fidati.
Gli occhi di Jordan cercavano inutilmente quelli di Amy che era tutta impegnata ad aprire il sacchetto di carta alla ricerca del suo cornetto. Le posò una mano sul braccio ed Amy sussultò, tirandosi indietro di scatto. —Fammici provare.
Gli occhi di lei lo guardarono un istante, cercavano una via di fuga, Jordan glielo leggeva dentro. E questo lo feriva. Non era mai stato rifiutato ma era anche per quello che Amy lo interessava. Era l’unica ragazza che lo aveva colpito a tal punto da fare quelle piccole pazzie che, nonostante le avesse dimostrato attenzioni, non lo degnava di uno sguardo. Non era da lui parlare in maniera tanto aperta, esporsi a tal punto al pericolo ma con lei sembrava non esistere mai un modo giusto per dire le cose.
Era una ferita costantemente inflitta, che si apriva ogni volta che i suoi occhi cercavano di sfuggirgli, ma non poteva arrendersi.
Quella ragazza era qualcosa di diverso e voleva capire chi fosse prima di lasciarla andare, forse.
Era tutto un forse, con Amy.
Non capiva più dove fosse il sopra e il sotto ma era tutto confuso e mescolato e nemmeno lui sapeva il motivo del suo interesse, di ciò che lo spingeva ad andare dietro ad una ragazza che non lo voleva e che gliel’aveva ribadito chiaramente più volte.
Qualcuno tossì ed Amy tirò un sospiro di sollievo per essersi tolta l’incombenza di rispondere ad una domanda del genere.
Sarah ed Evelyn entrarono nella stanza e si sedettero a tavola, sorridenti.
Jordan riacquistò il buonumore e la tensione si alleggerì notevolmente. Appena le ragazze notarono i cornetti li strapparono dalle mani di Amy e ringraziarono Jordan, che ringraziò smodatamente Sarah per l’invito che gli aveva fatto.
Amy intanto fumava di rabbia e guardava l’amica in cagnesco, che tuttavia era abile ad evitare i suoi sguardi.
Appena finito di mangiare, Sarah ed Evelyn si alzarono in piedi. —Noi andiamo a prepararci, così usciamo. Jordan devi aspettare un pochino se vuoi uscire con noi, purtroppo abbiamo fatto tardi.
—Che cosa? — saltò su Amy. —Uscire con noi? Ma non se ne parla proprio! Insomma, cosè un homeless? No, no, no, ha una casa e può andare lì. Io in giro con noi, non ce lo voglio!
Tutti gli occhi si puntarono su di lei. —Ma Amy, che dici! Ci ha portato la colazione, è venuto sino qui, non possiamo mandarlo via così! — protestò Sarah.
Amy sentì il cuore accellerare le pulsazioni e si aggrappò al tavolo, respirando profondamente. “Non ora. Non qui. Non davanti a lui. Non di nuovo.”
Le braccia le tremarono ed Amy strizzò gli occhi, ricacciando indietro le lacrime. Poi sollevò la testa, drizzò la schiena e si diresse a testa alta nell’altra stanza, senza dire una parola, ignorando gli sguardi preoccupati di Sarah ed Evelyn e quello perplesso di Jordan.
 
 
***
 
 
Non voglio uscire con lui.
Non voglio essere costretta a farlo, cazzo!
Io non lo conosco e questa non è una semplice uscita! Da quando ho conosciuto Tate per caso, nulla va più come dovrebbe.
E se anche lui fosse come Tate?
Dio, dovrei denunciarlo, non è vero?
Ma come faccio? Come?
Apro il borsone e tiro fuori biancheria intima e maglietta pulita. È tutto troppo complicato.
La cosa giusta da fare sarebbe denunciare Tate, ma servirebbe a qualcosa? Sino a quando non mi succede niente la legge italiana non può fare nulla per proteggermi. E i miei genitori mi starebbero solo più addosso del dovuto, cosa che proprio non mi serve, ecco.
Ma il problema rimane.
Non ne parlo con nessuno e covarlo mi fa troppo male, perché la paura uccide.
Mi sciacquo la faccia con l’acqua fredda e inizio a lavarmi.
Da una parte Jordan mi piace, ecco.
È piuttosto intraprendente e deciso e questo mi piace. Poi anche fisicamente è una piacevole visione.
Ma non sono pronta a fidarmi.
Non voglio fidarmi di lui perché non so chi è.
E cosa potrebbe fare.
No, non lo so.
E la paura vince il mio interesse per lui.
Mi rinchiuderei da qualche parte in un posto irraggiungibile pur di vivere senza il pensiero costante che qualcuno possa farmi del male.
Ma servirebbe?
Non sbarrerei ugualmente la porta di casa nel timore che la notte possa raggiungermi?
Ah!
Mi sembra solo di non avere scelta. Proprio a me, che piace scegliere, proprio a me che piace avere più possibilità.
Devo essere costretta ad imboccare l’unica strada percorribile….
Sbatto la porta del bagno alle mie spalle, decisa a non farmi più seghe mentali del dovuto.
Dobbiamo uscire con Jordan?
E sia.
Ma non avrà alcuna chance.
 
 
***
 
 
Sarah ed Evelyn camminavano qualche passo avanti, intente a confabulare chissà cosa.
Amy fumava rabbia nera nei loro confronti.
Era stato tutto organizzato nei minimi dettagli.
Eccola lì, a discutere civilmente con Jordan del più e del meno.
―Ma tu non ti stanchi mai di essere mandato a fanculo? ― Amy guardò Jordan con espressione infastidita.
―Non quando sei tu a mandarmici, piccola. ― rispose lui facendole un occhiolino.
Amy gli tirò una gomitata nelle costole che gli mozzò il fiato in gola. ―La prossima volta che mi chiami piccola sarà indirizzata nelle tue palle. ― un sorriso angelico le si dipinse sul volto mentre Jordan riprendeva fiato annuendo.
―Certo.
Amy scoppiò a ridere e Jordan la guardò con un’espressione stupita.
―Cosa c’è? ― chiese lui, guardandola senza capire.
―No, è solo che… ― Amy rideva e si asciugava le lacrime, senza riuscire a respirare.
―Solo che? ― chiese Jordan impaziente.
―Hai fatto una faccia… ommiodio, terrorizzata!! ― Amy rideva senza riuscire a fermarsi mentre Jordan accennava un sorriso. Stava per dire qualcosa quando si sentì lo squillo di un telefono. ―Scusa ― mormorò Amy ridacchiando. ―Pronto?
Jordan la guardò incuriosito mentre il sorriso piano piano le si spegneva sul viso.
La mano che reggeva il telefono prese a tremare ed Amy si guardò attorno, le immagini che si confondevano, le persone che sembravano tutte diverse e tutte uguali al tempo stesso, i colori, l’aria, troppa aria.
Chiuse il telefono con mani tremanti e si guardò attorno terrorizzata.
―Amy! ― chiamò Jordan ma la ragazza non diede segno di riconoscerlo. ―Amy! ― esclamò più forte, prendendola per le spalle e scuotendola. Gli occhi della ragazza lo misero a fuoco, la paura che li colorava, li adombrava. ―Amy che succede? ― le chiese, senza ottenere risposta. Sarah ed Evelyn si erano fermate ed erano tornate indietro, senza capire cosa stesse succedendo e con uno sguardo preoccupato.
Amy scosse la testa per un momento e strinse gli occhi in un’espressione di dolore. ―Lasciami! ― urlò poi a Jordan liberandosi dalla sua stretta. Un momento dopo correva via veloce, senza possibilità di essere raggiunta scansando persone e oggetti, macinando metri e metri, senza voltarsi indietro, mentre l’eco delle parole più spaventose che avesse mai udito la perseguitava: “Ti vedo”  
―AMY! ― urlò Jordan, ma solo il silenzio gli diede una risposta.




*WHAWAIEAH! 
Ciao a tutti!! :)
Spero che questi capitoli vi coinvolgano molto... mi scuso per non aver ancora risposto alle recensioni (cosa che farò subito xD) ma come credo abbiate capito internet ha deciso di farmi i dispetti già da un po'. Perciò, ringraziamo la linea dei vicini che, seppur involontariamente, mi stanno permettendo di pubblicare xD
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Grazie mille!!
Kry <3 <3 <3 c:

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Capitolo 23
*** Capitolo 23. Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce. Parte 1 ***


Capitolo 23.

Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce.
Parte 1.

 

I passi riecheggiavano ritmici sull’asfalto, mescolandosi al rumore del traffico e al cicaleccio della gente. Evelyn si sistemò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, immersa nei suoi pensieri. In quei giorni Amy non era venuta a scuola e aveva evitato accuratamente ogni tipo di contatto.
Evelyn era preoccupata per lei. Ne aveva parlato con Sarah ma era una via senza sfogo, non capivano che cosa avesse o cosa le stesse capitando in quel periodo. Ed era quella la cosa più brutta.
Solo Amy sapeva ciò che stava passando e non lo rendeva accessibile a nessuno.
Lei e Sarah si sentivano impotenti, erano sempre state molto unite e tutte le cose importanti erano sempre sempre sempre state dette.
Non c’era stata una volta in cui non si fossero confidate, loro tre, non avessero chiesto pareri o consigli di qualunque genere.
Oh, quanto avrebbe voluto risolvere tutta quella situazione!
Anche Jordan si era accorto che qualcosa non andava e aveva chiesto loro spiegazioni. Non sapevano cosa rispondergli e alla fine gli avevano detto semplicemente ciò che erano riuscite a capire anche loro: Amy era strana in quel periodo. Null’altro.
Ed era più che frustrante.
Lei e Sarah erano rimaste in contatto con Jordan ma dopo un po’ anche lui aveva mollato la spugna.
Amy non rispondeva né alle chiamate né ai messaggi, era scomparsa. Avevano cercato di chiamarla anche a casa ma ogni volta la madre diceva che si stava riposando o che non poteva parlare.
Niente, ogni tentativo di contatto era stato inutile.
Cos’era che la spaventava?
Aveva ricevuto quella telefonata e subito dopo aveva cominciato a comportarsi in modo strano…. E anche a casa di Sarah, quando lei le aveva preso il telefono Amy era terrorizzata dal fatto che potesse leggere i suoi messaggi.
Che collegamento c’era tra il telefono e lo stato….
―Ciao, Evelyn! ― la ragazza alzò lo sguardo, sussultando e si ritrovò faccia a faccia con Kyle, che aveva accostato con il motorino proprio davanti a lei. Il suo sorriso era spontaneo, per una volta privo di malizia o ironia e d’un tratto ad Evelyn tornarono in mente i suoi di problemi.
―Oh! ― arrossì ―Ciao Kyle.
Il ragazzo la guardò per un istante. ―Vuoi un passaggio?
Evelyn sobbalzò nuovamente, sorpresa da quella proposta inaspettata, e guardò con sospetto la moto di Kyle.
Il ragazzo notò il suo sguardo preoccupato e si lasciò andare ad una risata sincera. ―Su, non ti mangia, andiamo! E giuro di essere un ottimo guidatore! ― Evelyn riportò lo sguardo su di lui, l’espressione un po’ incerta. ―Speriamo… ― mormorò non troppo convinta. Quindi si affiancò alla moto e trattenne il respiro mentre sollevava una gamba per issarsi su.
―Sicuro che non è un problema? ― chiese una volta sopra, ma le sue parole furono inghiottite dal rombo della moto. Un attimo dopo partiva con uno scatto in avanti e sfrecciava velocissima per le strade. ―Ommiodio, mi avevi giurato di essere un guidatore provetto! ― disse Evelyn terrorizzata, aggrappandosi con tutte le sue forze alla maglietta di Kyle.
―COSA? ― urlò lui di rimando, il vento che gli scompigliava i capelli, la faccia rivolta di lato, per capire cosa stesse dicendo la ragazza.
Evelyn gemette per il terrore. ―GUARDA LA STRADA!
Kyle si mise a ridere, portando nuovamente il suo sguardo lungo la striscia nera asfaltata che si srotolava davanti a loro. ―DOVE TI PORTO? ― Evelyn incassò la testa tra le sue spalle mentre Kyle ignorava uno stop ed evitava le macchine che stavano per tamponarlo. ―DEFICIENTE!! ― urlò Evelyn aggrappandosi a lui ancora più forte. ―O RALLENTI O MI FAI SCENDERE IMMEDIATAMENTE!
Kyle si lasciò andare ad una risata ancora più fragorosa delle precedenti. ―MI DISPIACE MA NESSUNA DELLE DUE OPZIONI È REALIZZABILE!
―COSA? KYLE NON SCHERZAREEE! ― Evelyn abbassò nuovamente la testa mentre Kyle affrontava una curva improvvisa inclinando la moto alla pari di un motociclista provetto. ―TI CONVIENE DIRMI IN FRETTA L’INDIRIZZO O SARAI COSTRETTA A GIRARTI TUTTA LA CITTÁ IN QUESTA MANIERA!
Evelyn digrignò i denti, arrabbiatissima, mentre mormorava imprecazioni che Kyle non poteva sentire. ―VIA ROMA 43!
―TIENITI FORTE! ― urlò allora Kyle, facendo rombare nuovamente la moto.
―Cosa? KYLE NOOO! ― ma Evelyn non aveva nemmeno finito di parlare che la moto balzò in avanti più veloce di prima. Alla ragazza veniva da piangere. Ma perché si era fidata di un deficiente del genere?
―Oh madonnina santa aiutami tu! Ma vedi se proprio oggi dovevo morire perché mi sono fidata ciecamente di un cretino! Siamo anche senza cascoo! Oh, per favore, risparmiami! Non voglio morire! Non voglio…
―MA LA SMETTI CON QUESTA LITANIA? POTREMMO FARE UN INCIDENTE SE CONTINUI A RIMBAMBIRMI!
―OH, MIO DIO NO! PER CARITÁ!! ― Evelyn strinse forte gli occhi, facendo le corna all’ingiù, per allontanare la malasorte. In queste occasioni l’influenza di Sarah si faceva sentire.
Kyle nel frattempo rideva come un matto, scansando macchine, pedoni e altri veicoli come se stesse dribblando giocatori in un campo da calcio.
Arrivarono dopo qualche minuto ed Evelyn nella fretta di scendere da quella moto infernale, quasi non cadde a terra. Le tremavano le gambe e si sentiva la testa incredibilmente leggera. Per non parlare dello stato dei suoi capelli, che sicuramente erano ormai ridotti ad una massa informe stile paglia destinata agli animali.
Si prese la testa tra le mani, cercando di ritrovare il suo baricentro ed un equilibrio che sembrava essere volato molto lontano. Buttò lentamente fuori l’aria, cercando di rilassare il suo corpo e di far defluire tutta quell’adrenalina e quel terrore che l’avevano investita in quegli istanti. Non appena ebbe riacquistato un po’ di lucidità, alzò lo sguardo e vide Kyle che scendeva con eleganza da quella bellissima moto. I ricci biondo grano gettavano ombre sensuali sul suo viso, mettevano in risalto il luccichio degli occhi scuri, gli zigomi marcati, le labbra piene stirate in un sorriso divertito.
Evelyn fece qualche passo avanti nella sua direzione e gli mollò uno schiaffone sul viso. ―Così ti impari, cretino!
Kyle si portò una mano alla guancia rossa e la guardò con stupore. ―È la seconda volta che mi dai uno schiaffo.
―Ed è la seconda volta che tu abusi di me senza permesso! ― ribatté Evelyn con sguardo truce. Kyle era più alto di lei di un bel po’, ma la più grande, tra i due, sembrava proprio lei.
Kyle esitò, non sapendo cosa rispondere. Lui ed Evelyn avevano due concezioni completamente diverse della vita e del divertimento, questo già lo sapeva, ma solo in quel momento si rendeva veramente conto del distacco che c’era tra i loro due mondi.
―Il distacco lo crei solo tu, Kyle. ― mormorò Evelyn con una punta della bocca sollevata in un sorriso amaro. Kyle la guardò sorpreso, mentre Evelyn si girava per andarsene. Rimase fermo per un istante. ―Aspetta! ― protese una mano verso di lei, come nel tentativo di afferrarla, ma all’ultimo si fermò.
Poteva davvero afferrare Evelyn? Non gli sarebbe sfuggito sempre qualcosa, mentre lei sembrava sapere tutto di lui?
La ragazza si voltò verso di lui e Kyle abbassò lentamente la mano. ―Sono davvero così facile da leggere?
Evelyn sorrise e si avvicinò lentamente a lui. ―Non è poi così difficile, sai? ― il suo sorriso era dolce e i suoi occhi scuri brillavano, la luce della città riflessa tutta dentro, come in uno specchio. ―Quelli come te, Kyle, hanno sempre pensato che tra noi e voi vi fosse un muro, hanno sempre pensato che vivessimo in due mondi separati ed opposti. Ma è proprio qui il vostro sbaglio. Viviamo tutti in uno stesso mondo e il fatto di atteggiarvi come fate, di evitarci o di considerarci di basso livello, ci fa solo capire quale bassa considerazione abbiate della vita, dei valori e dell’amicizia. Parole a te quasi totalmente sconosciute credo. Come hai appena dimostrato. Magari può sembrarti stupido, magari lo è davvero, ma la libertà di una persona finisce quando inizia quella di un altro. ― Evelyn si avvicinò a lui con espressione concitata. ―Bisogna rispettarsi a vicenda, avere in alta considerazione l’opinione di chi ti circonda, di tutti quelli che ti circondano. Personalmente ho una paura matta di correre in moto senza casco e senza leggere i segnali stradali! ― Kyle si toccò la nuca, a disagio. ―E se tu vuoi rischiare di morire schiacciato da un autobus fai pure! Ma quando c’è qualcuno con te, che non ha alcuna intenzione di suicidarsi, ti prego di ascoltare e rispettare la sua decisione, per quanto stupida e noiosa possa sembrarti! ― Evelyn si passò le mani tra i capelli e guardò Kyle. Quello che stava per dirgli, quello che gli aveva detto fino ad allora, la stavano mettendo completamente in gioco. Stava scoprendo tutte le sue carte e se Kyle avesse continuato a comportarsi come aveva sempre fatto, l’avrebbe distrutta. Avrebbe distrutto il suo orgoglio e la sua persona. Ma Evelyn sentiva che bisognava dargli una possibilità.
Forse tutto ciò che gli diceva, tutte le parole che gli rivolgeva gli sarebbero sembrate vuote e prive di senso, ridicole addirittura. Ma andava tentato. ―Senti Kyle… perché ti stai avvicinando a me? ― lo guardò dritto negli occhi, imprigionandolo, voleva una risposta, voleva delle risposte. Erano a pochi passi di distanza e lui avrebbe potuto benissimo voltarsi e montare su quella stupidissima moto per andarsene e non farsi più vedere.
Era un suo diritto.
Ma era anche un suo diritto sapere, capire e se necessario aiutare.
Kyle la guardò come un bambino, sperduto, quasi. ―Evelyn io… non lo so. Ho solo sentito questo bisogno, staccarmi da tutto ciò che era mio per un momento e andare via. Tutto quanto aveva perso significato era tutto troppo uguale e troppo monotono. Era tutto diventato stupido e privo di significato. E tu mi sei sembrata la prima stella che brillasse in quell’oscurità. Mi sei sembrata… vera.
Evelyn sorrise e gli posò una mano sul braccio, senza staccare gli occhi dai suoi.
―Tu stai scappando, Kyle. Come hai intenzione di continuare?
―Io… non so. Non so ciò che mi va di fare, lo faccio e basta quando mi va. ― gli occhi di Kyle si sollevarono per cercare quelli di Evelyn, che gli sorrise, affabile.
―Io sono qui. Quando vuoi. Ma la prossima volta vieni senza moto! ― disse prima di girarsi e correre verso il portone. La risata di Kyle le giunse alle orecchie seguita subito dopo dal rombo della moto.
Quando si voltò, Kyle era solo un puntino nero in lontananza.
 
 
 
―Katherine?
―Sì, ciao Sarah, sono io. ― perfino dall’altro capo del telefono Sarah poteva immaginare il sorriso dolce e buono dell’amica.
―Che succede? ― la voce gracchiò scura all’altro capo.
―Niente, volevo chiederti se sapessi che fine ha fatto Amy. Non mi risponde più a telefono, non riesco a contattarla in alcun modo. Ho fatto qualcosa e ce l’ha con me, per caso? ― a Sarah veniva quasi da piangere per quell’ipotesi assurda.
―Oh, no, no, Katherine! Non ce l’ha minimamente con te, non preoccuparti! ― si affrettò a chiarire. Quell’animo troppo buono che era Katherine si preoccupava troppo troppo troppo. Ed erano le stesse cose che diceva Amy.
Katherine era buona come il pane, dolce più dello zucchero filato e si preoccupava sempre per tutti, si sentiva costantemente in colpa anche se lei non c’entrava niente di niente con ciò che era accaduto.
―E allora cos’è successo? ― la voce era preoccupata, ma anche un poco sollevata.
―Oh, non lo sappiamo. L’ultima volta che ci siamo viste è scappata via dopo una telefonata e da allora non l’abbiamo più vista né sentita. Sono molto preoccupata, non capisco cosa possa esserle successo. ― Sarah snocciolò tutti gli avvenimenti che erano accaduti e che sembravano avere qualcosa a che fare con la strana vicenda di Amy.
Katherine sembrava abbattuta come loro. ―Forse è solo una fase momentanea di smarrimento. Magari è successo qualcosa in famiglia, le è morto un parente o sta avendo problemi con i genitori ― ipotizzò, mentre Sarah toccava ferro dopo aver sentito la parola “morto”.
―Spero non sia nulla di grave. Senti ma come dobbiamo fare per aiutarla? Vorrei tanto farle capire tutto il bene che le voglio! Non voglio che si senta sola e abbandonata! Gli amici servono proprio nel momento del bisogno e se lei non vuole che l’aiutiamo deve almeno permetterci di starle accanto! ― protestò Sarah concitata, sbattendo un pugno sul tavolo con aria decisa.
―Hai perfettamente ragione. Fammici pensare un attimo, ti richiamo tra qualche istante! ― esclamò Kathy decisa, chiudendo la chiamata, come non aveva mai fatto prima.
Sarah si morse l’interno della guancia sino a sentire il sapore del sangue.
Non doveva andare così!
Una soluzione si trovava sempre a tutto che cavolo!
Iniziò a tamburellare nervosamente con le dita, i polpastrelli che sbattevano ritmici sul piano lucido della scrivania. Dopo qualche istante squillò il telefono.
―Sì? Katherine, sei tu? ― la voce trasudava impazienza.
―Sì, sì, sono io. Sarah, hai presente Massi, di notte prima degli esami?
 


*WHAWAIEAH!
(: Eccomi di nuovo qui, con un nuovo capitolo :)
Le domande che vi pongo sono sempre le stesse, vale a dire "cosa ne pensate?" xD
Così come le mie speranze di non aver prodotto una schifezza rimangono immutate... :)
Tengo molto al parere di tutte voi, siete molto importanti per questa storia e per ciò che avverrà.. :) Vi devo porre una sola domanda...
Per voi va bene una pubblicazione a settimana o ne preferireste due a settimana?  Facciamo a votazione, così mi organizzo :)
Un bacione a tutte ;D
Kry <3 <3 <3

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Capitolo 24
*** Capitolo 24. Massi di notte prima degli esami. ***


So di avervi illuso dicendovi che avrei pubblicato martedì, ma ieri ho avuto un piccolo problema, quindi eccomi qui con il motto "meglio tardi che mai" :) I hope you like it.


Capitolo 24.

Massi di notte prima degli esami.

 

In casa McCanzie il telefono squillò con aria lugubre.
Amy vi gettò un’occhiata di freddo distacco, come si era abituata a fare in tutti quei giorni. Erano le nove di sera, la tavola apparecchiata, la famiglia tutta riunita pronta per la cena.
Amy continuava a fissare un punto inesistente nel vuoto, senza vedere, né sentire nulla, all’apparenza.
I genitori la guardarono con aria preoccupata, poi la madre si alzò a rispondere.
―Sono Sarah, non riattacchi per piacere. Può passarmi Amy? ― La donna guardò Amy con una tacita domanda espressa sul volto, ma la ragazza scosse lentamente la testa, senza nemmeno guardarla.  ―Sarah mi dispiace ma Amy…
―Sì, lo so, non può rispondere, oppure è impegnata, o è in bagno, o sta dormendo, ho capito. ― la interruppe la ragazza. ―Può mettere il vivavoce, per piacere? Così almeno può sentirmi.
La donna armeggiò per qualche attimo con il cordless, poi la voce di Sarah invase la stanza, facendo sussultare Amy per la sorpresa, che tuttavia continuava a fissare ostinatamente un punto innanzi a sé. ―Amy so che puoi sentirmi. È inutile che continui a nasconderti. Qui sotto ci sono tutte le persone che ti vogliono bene e che aspettano solo che tu ti faccia vedere. Noi rimaniamo qui sino a quando tu non scendi. ― la voce risoluta fu sostituita dai cupi tuu tuu del telefono.
Amy corrugò la fronte e serrò la mascella, decisa a non prestare attenzione alle parole che aveva appena sentito.
Se le sarebbe scordate.
Quella telefonata non c’era mai stata. Mai.
Voleva proprio vedere sino a quanto avrebbero resistito, lì sotto.
Gli sguardi intorno a lei erano preoccupati e curiosi. La madre mise il telefono al posto e con passi esitanti raggiunse il balcone, spalancandone le ante. Si affacciò alla ringhiera e ciò che vide la lasciò stupefatta.
Tornò dentro con un sorriso radioso. ―Oh, Amy! Dovresti almeno affacciarti a vedere!
La ragazza continuava a guardare davanti a sé.
―Su, Amy! Stanno facendo tutto questo per te. Solo per te, dovresti sentirti felice vai almeno a vedere! E poi deciderai se scendere o meno. Ma vai! ― disse la donna con voce concitata, cercando di convincere la figlia.
Amy stette immobile ancora per qualche istante, poi si alzò con rabbia, trascinando la sedia sul pavimento. Con passo deciso si diresse verso il balcone.
Esitò con la mano, prima di aprire, tremante. Poi fece un passo deciso, stringendo gli occhi.
Una volta fuori, l’aria fresca la investì ma lei non vi fece caso.
Si sporse dalla ringhiera e ciò che vide la lasciò senza parole.
Lì giù, inginocchiati, c’erano i suoi amici. I suoi amici più cari. Le sue amiche.Sarah, Evelyn, Katherine… e anche quel pirla di Jordan.
Aprì la bocca per dire qualcosa ma le parole non le uscirono. Le lacrime si affacciarono e sgorgarono fuori prepotentemente.
Ma che altro avrebbe dovuto fare?
Era tutto così difficile, troppo, troppo per lei. E non era giusto che anche loro ne andassero di mezzo.
Aveva cercato in tutti i modi di evitarli, loro e il pericolo, ma in compenso non aveva fatto altro che ferirli e infliggersi ferite più profonde che a stento riusciva a sopportare. ―MA CHE STATE FACENDO? ― urlò per farsi sentire.
La sua voce era un impasto rauco che le graffiava la gola, chiusa per troppo tempo in una morsa silenziosa. ―SCENDI! ― fu l’unanime risposta.
Amy scosse la testa, cercando di lottare contro di loro, contro se stessa, cercando di opporre tra lei e loro quel poco di resistenza che le avrebbe impedito di buttarsi tra le loro braccia direttamente dal balcone del quarto piano. ―ALZATEVI, SEMBRATE DEI DEFICIENTI!!
Tutte le teste si scossero in senso di diniego ed Amy serrò ancora di più le mascelle.
Respirò a fondo, per prendere l’aria sufficiente ad urlare ancora ―DOVETE ANDARVENE! NON RIMARRETE TUTTA LA NOTTE!
―TU DICI? ― urlò Katherine di rimando ed Amy sussultò, rivolgendo gli occhi su di lei. Katherine che urlava era una novità. Che faceva una pazzia, era una novità. Che le rispondeva così prontamente, con tono così aggressivo, era una novità. Non poté non notare il sorriso sulle labbra di Sarah.
Possibile che si fossero mobilitati tutti là per lei?
Non poteva essere vero, non poteva esserlo e basta. La vita non andava così.
Dieci minuti.
Dieci minuti e se ne sarebbero andati.
Stava per rientrare dentro indispettita quando un movimento attrasse la sua attenzione. Stavano tirando tutti fuori qualcosa dagli zaini che avevano portato. Cos’erano?
Si sporse ancora di più dalla ringhiera, per scoprirlo, incuriosita.
Erano… morbidi, di diversi colori e avevano un’aria più che familiare.
Sacchi a pelo!
Altro che dieci minuti, si erano attrezzati per fare la nottata. Un urlo di frustrazione la fuoriuscì dalle labbra e colse un sorriso vittorioso sul viso di Jordan. Quel…
―ADESSO BASTA! ANDATE VIA, NON VOGLIO VEDERVI! CHIAMO LA POLIZIA, NON POTETE STARE LÍ COME BARBONI È OCCUPAZIONE DEL SUOLO PUBBLICO! ― urlò imbestialita, nella speranza di cacciarli via.
Per tutta risposta i ragazzi stesero come meglio potevano i sacchi a pelo e si accomodarono, spartendosi alcune barrette ai cereali.
―Vaffanculo! ―mugugnò Amy tra i denti senza che loro potessero sentirla. Poi tornò dentro, sbattendo le ante del balcone dietro di sé.
Non aveva intenzione di accontentarli.
Se ne sarebbero andati presto.
Si sedette con rabbia sulla sedia e iniziò a mangiare voracemente, ingoiando i bocconi tutti interi per la collera.
―Ma… Amy, i tuoi amici? ― chiese la madre, guardandola preoccupata e sporgendosi lentamente per cercare di intravedere qualcosa attraverso i vetri del balcone.
―Sono ancora giù ― grugnì lei, mentre affondava i denti nella crosta croccante della focaccia. ―Alla faccia loro! ― mugugnò con la bocca piena, mentre continuava ad ingozzarsi pensando alle loro misere barrette ai cereali.
―Ma non puoi lasciarli lì! Sono venuti solo per…
―Per ME! LO SO! Ma non me ne frega niente. Non possono rimanere lì per sempre, se ne andranno prima o poi. ― la interruppe lei, acida.
―Amy, non puoi lasciarli lì. È una responsabilità…
―Non è una TUA responsabilità, papà. Fregatene! ― protestò Amy rivolgendo i suoi occhi fiammeggianti in direzione del padre. ―Lo fanno apposta. Così che io sia obbligata a scendere e a parlare con loro. Ma se lo scordano!! Non lo farò. Tanto se ne andranno quanto prima o moriranno di freddo.
―Perché sei così cattiva? ― intervenne la sorellina piccola di Amy. ―Vogliono solo che scendi, perché…
―Non ti fai i cacchi tuoi? ― la aggredì Amy, fulminandola con lo sguardo. Gli occhi della piccola si riempirono di lacrime all’istante.
―AMY! ― urlarono i suoi genitori. Il padre sbatté i pugni sul tavolo ed Amy fu costretta a guardarlo negli occhi, sebbene non ne avesse la minima voglia.
―Modera il linguaggio! ― disse aspro. ―E abbi un po’ di rispetto. Tua sorella ha fatto un’osservazione giusta, non devi maltrattarla.
Amy sollevò il viso, fiera.
Non le interessava niente. Le dispiaceva di trattare tutti così male, ma era la sua sola arma di difesa.
Allontanare.
―Ora vai giù dai tuoi amici. E chiedi scusa alla tua famiglia. ― sibilò il padre, una minaccia legata negli occhi scuri.
Amy si alzò in piedi e si sporse verso di lui, appoggiandosi sul tavolo con le braccia tese. ―No. ― soffiò altrettanto lentamente. ―Lo farò solo se mi va e quando mi va.
Lo schiaffo le bruciò improvviso sulla guancia, le orecchie le fischiarono ma rimase impassibile, l’espressione di sfida immutata nei suoi occhi. ―Non lo farò. ― ribadì e si preparò a ricevere un altro schiaffo, la mano del padre già sollevata in aria, l’espressione del suo viso immutata. Non avrebbe ceduto. Mai.
―Adesso basta! ― intervenne la madre, lasciando che quel momento si cristallizzasse. ―Nicholas, siediti, Amy…? ― la frase fu lasciata in sospeso mentre Amy rivolgeva lo sguardo verso la madre. ―Fa la scelta giusta ― sussurrò flebilmente, insicura che la figlia l’avesse sentita. Amy non disse nulla e senza staccare gli occhi da quelli della madre, uscì fuori dalla stanza, diretta nella sua camera.
Infilò le cuffie dell’mp3 nelle orecchie, decisa a dimenticare ogni cosa e si buttò sul letto. La musica coinvolgente degli Imagine Dragons però, non riusciva a distrarla. La curiosità ebbe la meglio e, senza riuscire a trattenersi, Amy sgusciò vicino alla finestra. Scostò lentamente la tenda e guardò fuori.
I suoi amici erano ancora là, seduti al freddo sui sacchi a pelo che chiacchieravano e si spartivano alcune cose da mangiare. Ogni tanto guardavano in su nella speranza di scorgerla, ma ogni volta riabbassavano lo sguardo, frustrati.
Amy sentì una morsa dolorosa al petto e si morse il labbro.
Vide il sorriso luminoso di Sarah, la preoccupazione nei suoi occhi, la determinazione in quelli di Evelyn e soprattutto in quelli di Katherine, la sua dolce, dolce amica, e Jordan.
Ebbe un tuffo al cuore quando lo vide là, seduto con le sue amiche a parlare, a ridere ad aspettarla. Aspettare lei, Amy.
Non poteva e non voleva crederci. Che aveva a che fare lui con lei? L’aveva sempre trattato malissimo, sempre, ma lui non mollava. Aveva degli occhi così belli….
Non riusciva a sopportare di vederli. Richiuse la tenda e diede le spalle alla finestra. Era solo per proteggerli che lo stava facendo. Possibile che non lo capissero?
Tate era capace di tutto, adesso lo sapeva.
Ma non voleva che i suoi amici pagassero per questo.
La sua rabbia avrebbe potuto ritorcersi su di loro e lei non voleva che accadesse. Aveva provato a scomparire dalle loro vite ma non aveva funzionato. Possibile che le stessero così accanto? Che non la mollassero quando era l’unica cosa che lei urlava loro?
Altri venti minuti.
Avrebbe aspettato altri venti minuti e poi sarebbe scesa a cacciarli via a calci in culo.
 
Erano passati solo dieci minuti e ancora non accennavano ad andare via.
―Ma cosa vogliono ancora, un invito scritto? ― protestò andando avanti e indietro nella sua stanza, percorrendo quei pochi metri dalla porta alla finestra, dalla finestra alla porta.
Loro se ne dovevano andare. Non capivano la gravità della situazione, non potevano capirla. ―Coglioni. Solo dei coglioni. ― mugugnò ancora, sfilacciando il bordo della vecchia maglietta del padre che indossava in casa.
Dio, cosa doveva fare?
Dovevano smetterla! Non era più in grado di trovare una soluzione. A stento riusciva a proteggere se stessa, come avrebbe fatto a proteggere tutti loro? Se non fosse scesa che avrebbero fatto?
C’era la scuola, non potevano mica vivere là in eterno….
E i loro genitori li avrebbero sicuramente uccisi.
Ma poteva lasciarli lì, d’altronde? Al freddo e al gelo per tutta la notte mentre lei se ne stava tranquilla a casa? Diede una sbirciatina fuori dalla finestra. Ancora là.
Ma che avrebbe potuto fare?
Non aveva funzionato evitarli.
Trattarli male ci erano già abituati e non aveva fatto la differenza. Continuare a vivere con loro come se nulla fosse? E Tate? Diventare noiosa, pallosa e appiccicosa? Forse avrebbe funzionato e li avrebbe allontanati. Ma quanto tempo ci avrebbe messo? Tradirli? E come?
Si passò le mani tra i capelli scompigliandoli ancora di più.
Basta, era ora che la smettessero.
Senza dire una parola, voltò le spalle alla finestra e aprì la porta della sua camera. Passi decisi, veloci, prima che cambiasse idea. Spalancò la porta e lasciò che le si chiudesse rumorosamente alle spalle. Poi iniziò a scendere le scale.
Una volta arrivata al piano terra, riprese fiato e camminò sino al portone. Lo aprì.
Le teste dei ragazzi si voltarono tutte nella sua direzione, sorridenti, ma Amy non mosse un passo verso di loro. Le braccia conserte, l’espressione astiosa, lo sguardo furente.
Non era lì per una riconciliazione amichevole. Era lì per cacciarli.
―Tornate a casa e smettetela di fare questa pagliacciata. ― disse, la voce così piatta e priva di umore da far paura. ―Almeno la pagliacciata è servita a farti scendere! ― esclamò Evelyn con un ampio sorriso sulle labbra. Amy la incenerì con lo sguardo e tutta la gioia scomparve dal volto dell’amica. ―Ero stanca di urlare. ― sibilò ancora. ―Andatevene. Non voglio ripetervelo. Sono scesa, mi avete vista, sto bene. Adesso filate via se non volete essere presi a calci in culo.
―Ma, Amy, perché … ― tentò di capire Katherine, ma venne interrotta bruscamente dalla ragazza. ―Ho detto: andatevene. ― lo sguardo di Katherine era ferito, sembrava un uccellino dalle ali spezzate, un cerbiatto ferito a morte dalle frecce del cacciatore. Amy si sforzò di non guardarla negli occhi, o non avrebbe retto.
―Oh, andiamo Amy smettila! Chi vuoi prendere in giro con questo atteggiamento? Smettila di sforzarti di essere cattiva! ― la voce di Jordan le arrivò tagliente, arrabbiata. ―I miei calci possono essere molto persuasivi, Jordan. ― disse lei impassibile, senza dare a vedere che il suo tono l’aveva sorpresa, e anche un po’ ferita. Sottolineò il suo nome con disprezzo, per fargli capire che lui non c’entrava niente, che era inutile e che la sua presenza non era richiesta da nessuno. ―Oh, questo non lo metto in dubbio, puoi starne certa. ― replicò lui, tagliente. ―Ma vedi, qui ci sono persone che hanno deciso di mettere in gioco tutto per…
―Sta’ zitto. ― lo interruppe lei, i pugni tesi nella sua direzione, la fronte corrugata. Jordan aveva capito come prenderla, dove colpirla, cosa fare per farla crollare. Se avesse continuato non avrebbe resistito. ―te. ― disse lui imperterrito, senza staccare gli occhi dai suoi. ―Tutti noi ti vogliamo bene, Amy. Perciò smettila di lottare contro te stessa, smettila di farti del male, smettila di…
―STA’ ZITTO! ― urlò lei con le lacrime agli occhi. Sentiva il volto in fiamme, non avrebbe permesso che continuasse, non ci sarebbe riuscito.
―di cacciarci e di respingerci. Tu non sei cattiva, Amy. Tu sei buona, sotto quella scorza dura sei tenera come il burro e questo l’ho capito io anche se ti conosco da poco. Questa tecnica dell’allontanare tutti per proteggerli, per difenderci non funziona! Amy…
―SMETTILA! ― urlò Amy saltandogli addosso. Caddero tutti e due sui sacchi a pelo stesi sul marciapiede, Amy sopra Jordan, che lo tempestava di pugni sul petto come una furia, mentre calde lacrime le rigavano le guance, incapaci di arrestarsi. ―Smettila smettila smettila! ― continuava a ripetere, i pugni che si facevano sempre più deboli mentre lei si arrendeva tra le braccia forti di Jordan, che cercava di tenerla ferma. Alla fine Amy si abbandonò contro di lui, il viso bagnato di lacrime affondato nel suo petto, le mani che si aggrappavano al tessuto della sua camicia. ―Amy… ― le sussurrò lui tra i capelli, accarezzandole la testa, in modo che solo lei potesse sentirlo. ―Amy, noi siamo in grado di difenderci da noi. ― la ragazza tirò su col naso e si aggrappò ancora di più a lui. ―Amy… ― sospirò di nuovo Jordan. ―Chi ti fa paura? Chi ti fa del male?
Con uno scatto poderoso, Amy si allontanò da lui, rimettendosi in piedi. Lo guardò con astio, ma Jordan aveva notato nel suo sguardo, prima che cambiasse, una vena di paura, malinconia, gratitudine anche.
―Andatevene. ― sussurrò con voce rauca, abbassando lo sguardo. Le amiche la guardavano allibite. Poi Sarah si alzò e le andò incontro. ―Amy― disse mettendole le mani sulle braccia. ―Amy― ripeté sino a quando l’amica non sollevò lo sguardo e non la guardò dritto negli occhi. ―Qualunque cosa stia succedendo, qualsiasi, non cacciarci, ti prego. ― Amy guardò Sarah negli occhi scuri, preoccupati. Poi annuì, arrendendosi al suo abbraccio. Non era un granché come combattente.
Mentre si scioglieva dalla presa di Sarah incrociò gli occhi azzurri di Jordan, che la guardavano attentamente. Il suo viso le diceva che aveva fatto la scelta giusta. Anche Evelyn e Katherine si alzarono e corsero ad abbracciarla. L’unico ancora seduto era Jordan. Ma del resto era lei che gli era saltata praticamente addosso e l’aveva abbracciato. ―Mi aiuti ad alzarmi? ― le chiese lui, porgendole una mano con un sorriso. Amy lo guardò in cagnesco. ―Fallo da solo, culopesante! 


*WHAWAIEAH!
Eccomi con il nuovo capitolo, ragazze! :)
Spero proprio che vi piaccia e.. non so, sommergetemi di pareri!! xD 
Un bacione a tutte!
Kry <3
PS: se trovarte stancante la pubblicazione 2 volte a settimana non esitate a dirlo (:

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Capitolo 25
*** Capitolo 25. Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce. Parte 2 ***


Capitolo 25.

Il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce.
Parte 2.

 


L’estate si avvicinava.
Era palpabile, era nell’aria, nella gioiosa aspettativa che si leggeva negli occhi brillanti di tutti i ragazzi.
Tutto era ritornato alla normalità.
Amy era la solita scontrosa taciturna, Sarah l’allegrona della compagnia, Katherine dolcissima come sempre e lei, Evelyn la perenne insicura sulle scelte da fare.
Non aveva detto ancora niente di ciò che era accaduto tempo prima con Kyle alle altre. Non si sentiva pronta, non sapeva se era tutto solo un’illusione.
Kyle aveva smesso di importunarla a scuola e ogni volta che incrociava il suo sguardo, ne leggeva dentro rispetto per lei e una scintilla amichevole.
Mai avrebbe potuto aspirare a tanto, con lui.
Da antipatico egocentrico insopportabile era diventato un… amico. Più o meno, ecco.
Sospirò, e il pensiero di Kyle sfumò come una nuvola di polvere argentata.
Ultimamente si era scoperta più volte a pensarlo.
Era molto… confusa nei suoi riguardi.
Cercò di distrarsi e di pensare ad altro. Rimuginare su Kyle e su come aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti la faceva solo confondere ancora di più.
Pensò ad Amy, sperando che tutto fosse tornato alla normalità come lei diceva. Non aveva più mostrato strani atteggiamenti, ma del resto era bravissima a nascondere ciò che pensava. Tra lei e Jordan non vi era stato più alcun contatto.
Amy evitava sempre l’argomento ed era brava a circuire le domande che le ponevano. Evelyn e Sarah volevano capire se un po’ Jordan le piacesse, ecco, ma lei non dava segni né di capire, né d’assenso.
Evelyn sospirò ulteriormente.
Tutti quei pensieri le mettevano solo una profonda tristezza addosso.
Niente era più come prima, leggero e spensierato.
Era tutto un incubo.
Volse lo sguardo sul comodino, appena in tempo per scorgere lo schermo illuminato del cellulare. Lo afferrò al volo, rispondendo alla chiamata in arrivo.
―Pronto?
―Ciao, Evelyn! Sono Kyle. ― esclamò una voce calda e conosciuta dall’altro capo.
Evelyn strabuzzò gli occhi, mentre il cuore le sobbalzava nel petto. ―K- Kyle? ― chiese insicura, sedendosi sul letto e cercando di inalare ossigeno.
Dall’altro capo giunse una risata forte e divertita. ―Sì, Kyle. Ti disturbo? ― Kyle che chiedeva se disturbava era davvero una novità.
―Oh. Ciao Kyle. No, certo che non disturbi. ― snocciolò lei tutto d’un fiato.
―Ero indeciso se chiamarti o meno oggi.
―Sì? E perché? ― Evelyn iniziò a sudare, un’ansia palpabile la attanagliava. Ma che le era preso?
―Non so. Volevo invitarti a fare una cosa con me oggi pomeriggio, ma poi mi sono bloccato e ho rimesso giù il telefono almeno una decina di volte. ― la sua voce era seria.
―Davvero? ― chiese Evelyn divertita.
―Davvero. ― rispose Kyle, ridendo. ―Poi però mi sono detto che se non ti chiamavo me ne sarei pentito per un bel po’ e allora mi sono dato del fottutissimo fifone e ho premuto il pulsante chiamata.
―Okay! ― esclamò Evelyn ridendo come una matta per quella confessione assurda.
―Okay. ― fu la risposta risoluta di Kyle. Evelyn attese un po’ che dicesse qualcosa ma dall’altro capo era tutto silenzioso. ―Ehm… Kyle?
―Sì? ― la voce arrivò subito, chiara e limpida.
―Allora? Hai detto che volevi invitarmi da qualche parte… ― disse lei, insicura.
―Giusto. ― commentò Kyle, senza riuscire ad aggiungere altro. Dio, che stupido. Era tutto così nuovo e strano, con lei!
―E…?
―Non so, magari… magari potremmo prenderci un caffè, o magari un gelato, o una pizza se preferisci, o…
―Un caffè va benissimo, grazie. ― rise Evelyn alleggerendo la situazione. Kyle impacciato, ma quando mai? Era uno spasso!
―Va bene, allora… alle sette?
―Va bene, alle sette. Dove ci vediamo?
―Vengo a prenderti io, non preoccuparti.
―Cosa? ― l’urlo uscì un po’ stridulo dalle sue labbra. ―Non porterai mica la moto, vero? ― aggiunse terrorizzata.
―No, no, giuro. Niente moto stavolta. ― rispose Kyle ridendo, prima di riattaccare.
 
 
Kyle fu di parola. Passò a prenderla senza moto e sembrava davvero entusiasta di incontrarla.
Quando Evelyn lo vide rimase un po’ spiazzata. Ma era vero? Tutto quanto? Lei che usciva con Kyle?
Se Amy l’avesse saputo avrebbe dato di matto.
Mentre gli si avvicinava sghignazzò al pensiero dell’amica che colpiva Kyle con una raffica di parolacce. ―Ciao. ― sorrise non appena gli fu vicino. Anche Kyle sorrise e la salutò.
Iniziarono a camminare, per i primi istanti in serio imbarazzo.
Nessuno spiccicava parola, perché non sapevano cosa dirsi. ―Allora… ― cominciò lui. ―Eccoci qui.
Evelyn si strinse nelle spalle e fece una smorfia. ―Già.
―Sai, nell’ultimo periodo non esco molto. ― confessò lui, cercando di intavolare una conversazione.
―No? E perché? ― Evelyn lo guardò incuriosita. Il magnifico Kyle, re dei vip che non usciva! Suonava davvero strano.
―Beh, sai com’è… dopo che… insomma, che ci siamo lasciati… ― iniziò, senza specificare il fatto che fosse stata la sua ragazza a lasciarlo, come aveva fatto la sera della festa, ―sì, beh, ecco io… non mi trovo più bene da nessuna parte. Tutto ciò che ritenevo importante ha perso effettivamente importanza e mi sono ritrovato da solo circondato da una marea di persone. Tutte uguali. Ti auguro che non ti succeda mai. ― sospirò affranto.
―Oh, ― esalò Evelyn. Forse aveva fatto male a chiedergli il perché. ―non credo mi succederà. Sai, Amy e Sarah sono uniche, davvero. Non potrebbero mai essere uguali a nessun altro. ― rise prima di capire di aver detto la cosa sbagliata. Di certo questo non l’avrebbe fatto stare meglio. ―Scusa. ― aggiunse subito dopo, mordendosi le labbra.
Kyle scosse la testa, lo sguardo spento. ―Non devi scusarti. ― sospirò. ―Dove andiamo? ― chiese poi con un gran sorriso, pronto a non far morire quel pomeriggio particolare.
Evelyn fece una faccia concentrata. ―Ehm… vediamo… potremmo prenderci un caffè, o magari un gelato, o una pizza se preferisci, o… ― disse, imitando ciò che aveva detto poco prima a telefono.
Kyle scoppiò a ridere, gettando la testa all’indietro. Il sole si intrecciava tra i suoi capelli, facendoli sembrare d’oro.  ―Un caffè va benissimo, grazie!
Si misero entrambi a ridere, camminando lentamente nelle strade semideserte della città. ―Raccontami di te. ― disse all’improvviso Kyle, guardandola con un pizzico di curiosità negli occhi caramello. ―Ho sempre desiderato sapere qualcosa di più sulla schiappa in educazione fisica. ― aggiunse facendole un occhiolino. ―Schiappa a chi, scusa? Vedi che sono davvero molto brava! ― esclamò Evelyn con ripicca, mettendo il broncio.
Kyle rise nuovamente, dandole una spintarella leggera. ―Su andiamo! Avrai pure una vita dietro tutta quell’apparenza, a scuola!
Evelyn sollevò un sopracciglio. ―Apparenza…
―Beh, sì! In realtà sei una gran cattivona! ― disse Kyle ammiccando verso di lei.
―Cattivona? ― rise Evelyn, ― beh, sì in effetti…
―Mhmm… arr! ― fece Kyle, imitando il ringhio di una bestia felina, presumibilmente una pantera o un ghepardo, chi lo sa.
Evelyn si mise le mani tra i capelli, in un gesto disperato, ma non smetteva di ridere. ―Sei tremendo!
―Oh, allora siamo compatibili! ― scherzò lui. ―Non mi hai ancora risposto, però.
Evelyn sbuffò sonoramente. ―Non c’è nulla da dire. Sono Evelyn Berrymoore, sì come il cognome dell’attrice ma con due o. Abito in via Roma 43 e conosci il mio numero di cellulare, dal momento che mi hai chiamato. Capelli ricci indomabili, sorella rompiscatole a cui voglio davvero troppo bene, genitori comprensivi.
―Scommetto che vivi a Little Grace. ― la interruppe Kyle, con uno sguardo eloquente.
―Già! ― esclamò Evelyn fingendo stupore. ―Come fai a saperlo?
―Semplici coincidenze. Adesso che hai finito di darmi le tue generalità, vuoi dirmi qualcosa di te? ― le chiese lui senza il minimo accenno di ilarità nella voce.
―Ho due amiche che mi stanno sempre accanto nei momenti in cui ne ho bisogno e davvero non potrei essere più fortunata. Amy assomiglia ad un doberman, stile scaricatrice di porto ogni volta che apre bocca. Ultimamente è un po’ strana però…
―Amy? ― la interruppe Kyle strabuzzando gli occhi.
―Eh già. La piccola silenziosa Amy in realtà ha un vocabolario infinito di parolacce che batterebbe persino il tuo, Kyle. Davvero, saresti a dir poco sorpreso se ci conoscessi meglio. Ogni persona è diversa da ciò che sembra basta solo starle accanto per scoprire quale tesoro custodisce in realtà. ― Evelyn sorrise. ―Sarah invece è quella che riflette di più, tra noi. Io ed Amy siamo molto impulsive e Sarah ci tira le redini facendoci fermare quando è il caso. Non è un bel paragone ma è così. In molte situazioni ci ha salvate, per così dire. Poi ci sono io, paranoica ed impulsiva. Mi chiedo cosa le altre ci trovino in me e l’unica risposta che riesco a darmi è che loro si fanno la stessa domanda per quanto le riguarda. Siamo amiche e basta. Non ci sono spiegazioni. Non so davvero che altro dirti. Non mi piacciono molto i vestiti, non addosso a me, sono una persona molto problematica, adoro il gelato e i dolci ma mi piace un sacco anche il salato. Ti prego smetti di farmi parlare di me perché non so davvero cosa dirti. Insomma, vivo e questo è tutto. Ognuno lo fa in maniera diversa conta proprio qualcosa che tu sappia come lo faccio io?
―Credo di no. ― mormorò Kyle con un sorriso.
Si sedettero ai tavolini di un bar sconosciuto e ordinarono due caffè. Evelyn si abbandonò contro lo schienale di plastica dura della sedia e lasciò che i suoi occhi vagassero interamente su Kyle. Era bello, certo. Molto, molto carino.
I suoi occhi si soffermarono per un attimo sulle sue labbra piene ed Evelyn distolse subito lo sguardo, sentendo le guance in fiamme per l’imbarazzo.
―Sai Kyle… ― incominciò.
―Sì?
―Beh, se ti andasse di smetterla di fare il lupo solitario e uscire, la schiappa in educazione fisica all’apparenza, ma davvero cattiva nella realtà potrebbe trovare un posticino nella sua incasinatissima agenda piena di impegni anche per te. ― disse tutto d’un fiato, guardando in basso. Non poteva credere di averlo detto. No, no, no e no.
―Oh beh… ― il tono di Kyle le fece alzare gli occhi, titubante. ―tra ragazzi cattivi ci si intende. ― disse strizzandole un occhio.
Non era una vera risposta ma Evelyn sapeva cosa significava. Gli sorrise, incredula di ciò che stava accadendo.
 

 
 


Amy uscì dalla Bottega del Disegno con aria soddisfatta. I suoi le avevano ridotto la pena e adesso era libera di andare in bottega quando cavolo le pareva.
Il quadro era quasi terminato.
Una terribile schifezza comunque, ma perlomeno era quasi finito.
Frugò nella borsa alla ricerca dell’mp3. Ma dove minchia era finito? Quella borsa sembrava un inferno, c’erano matite e fogli sparsi ovunque… ecco! Ecco, forse quello era un auricolare? No, solo una stupida spilla.
Qualcosa travolse Amy, facendola barcollare all’indietro. Migliaia di pacchetti di wurstel e cibo preconfezionato la colpirono prima di cadere per terra. ―EHI!! ―urlò indispettita. ―MA CHE CAZZO HAI AL POSTO DELLA TESTA?
Alzò lo sguardo e rimase immobile. Ma non poteva essere vero, che palle!
Ma ogni volta! ―Dicevo che era una voce conosciuta! ― ridacchiò Jordan con un sorriso felice stampato sul viso.
“Su quel cazzo di viso fottutamente perfetto!”pensò Amy indispettita mentre incrociava le braccia al petto. ―Dicevo che era un coglione conosciuto! ― ribatté acida.
―Oh, Amy, anche per me è un piacere rivederti! ― esclamò il ragazzo senza scomporsi minimamente per il suo comportamento scorbutico. Amy grugnì qualcosa di incomprensibile, incapace di staccare gli occhi da quelli azzurri di Jordan, mentre lui le si avvicinava tranquillamente e si chinava verso di lei. Le sfiorò la guancia con il pollice, senza staccare gli occhi dai suoi.
Amy era incapace di reagire in quel momento, le uniche cose che sentiva erano i battiti del suo cuore che correva e il polpastrello ruvido di Jordan che le infuocava i centimetri di pelle che toccava. Una piccolissima parte lontana del suo cervello le ricordò di respirare, ma Amy non osava muoversi, anzi non credeva di potercela fare.
Jordan si chinò verso di lei ed Amy sentì il suo respiro sul collo e non poté fare a meno di rabbrividire un pochino.  Le sfiorò la guancia con le labbra, in un bacio leggero e veloce. Un sussurro, al suo orecchio. ―Mi sei mancata, piccola.
―Ma ti sei completamente rincoglionito? ― esclamò Amy riprendendosi tutto d’ un colpo e facendo un balzo all’indietro, per allontanarsi da lui. Stupida, stupida, stupida! Che cavolo le era preso?
 Un angolo delle labbra di Jordan si sollevò verso l’alto, in un mezzo sorrisino di vittoria ed Amy gli fece una smorfia orribile. ―Mi aiuti? ― la supplicò lui, indicando le buste della spesa rovesciate sul marciapiede.
Amy sembrò ritornare ancora di più con i piedi per terra. ―Potevi anche guardare dove mettevi i piedi! ― sbuffò chinandosi per aiutarlo a rimettere le cose al posto.
―Scusa tanto se tu eri l’unica al centro del marciapiede mentre io correvo come un matto con le buste della spesa in mano! Le persone con un po’ di senno mi evitavano!
―Le persone con un po’ di senno non erano impegnate a cercare un mp3 fantasma nella loro borsa del caos! ― ribatté lei infastidita.
Rimisero tutte le cose al loro posto ed Amy raccolse un paio di buste. Le porse a Jordan che la guardò supplichevole. ―Ti prego, Amy mi aiuti?
―Cosa ho appena finito di fare, scusa? ― replicò lei guardandolo con un sopracciglio sollevato.
―E dai, Amy! Me lo devi!! Ogni volta che ci incontriamo mi prendi a parolacce e mi tratti di merda! Anche alla mia festa! È il minimo che puoi fare per sdebitarti! ― Jordan cercava di trovare una soluzione. Era la prima volta dopo tanto tempo che la rivedeva e doveva trovare una scusa per starle accanto. Almeno per un po’.
A quanto pare aveva trovato la scusa giusta. La sua festa e il modo in cui l’aveva trattato. Non c’era che dire, i sensi di colpa avevano su Amy un effetto amplificato. Dimostrazione in più che confermava il fatto che lei non fosse una vera cattiva, la cattiveria era solo una copia sbiadita che usava come scudo.
E che odiava.
Amy si morse il labbro inferiore, guardando dappertutto tranne che su di lui.
Già la sua festa. Che cattiva, che era stata.
Sospirò, guardando a terra e mormorò: ―Va bene. Ma facciamo in fretta perché ho da fare. ― detto questo, strappò qualche busta dalle mani di Jordan e iniziarono a camminare.
―Perché andavi tanto di fretta? ― indagò Amy cercando di non apparire curiosa, ma solo scocciata. Jordan sorrise. ―Niente, volevo finire una cosa a casa.
―Ah. ― Amy corrugò la fronte ma non aggiunse altro. Qualunque cosa Jordan volesse finire a casa sua erano fatti suoi e lei non avrebbe lasciato che la sua curiosità galoppasse a briglie sciolte. Avrebbe solo incoraggiato Jordan e non voleva farlo.
Il ragazzo, rimase in silenzio in attesa di una nuova domanda che non arrivò e cercò di reprimere un sorriso. Amy sapeva essere proprio testarda quando ci si metteva.
Camminarono per qualche minuto prima di giungere davanti ad un piccolo portone di legno verde. ―Qua. ― annunciò Jordan, posando le buste sul pavimento ed inserendo le chiavi nella toppa, per aprire.
Amy attese con pazienza che il portone si aprisse e sorpassò Jordan che le teneva la porta aperta. ―Secondo piano. ― disse lui, rispondendo alla sua domanda muta. Amy iniziò a salire la stretta e ripida rampa di scale, mettendo forza nelle braccia per sollevare le buste. Si fermò al secondo piano, con il fiatone e il viso rosso. Quelle buste pesavano un accidente!
―Stanca? ― chiese Jordan con un sorriso passandole davanti, completamente rilassato. Amy lo guardò in cagnesco e cercò di assumere un aspetto disinvolto. Stava davvero entrando a casa di Jordan?
Deglutì rumorosamente e si impose di non pensarci. La parte paranoica di lei, emersa a causa di tutto ciò che era successo, le consigliava di filarsela via di lì il prima possibile. La vecchia Amy, invece, era curiosa, curiosa da morire e si fidava di Jordan. Decise di mandare al diavolo le paranoie.
Era stanca delle paranoie, era stanca di essere paranoica e di vedere in tutto ciò che la circondava un potenziale pericolo. Per una volta voleva fregarsene. E non pensare alle conseguenze. ―Amy? ― la voce di Jordan la riportò bruscamente con i piedi per terra. ―Entri? La porta è aperta da cinque minuti e tu sei lì impalata. ― Jordan la squadrava con un sorriso amichevole, ma Amy riconobbe nel suo sguardo quella vena preoccupata presente anche negli occhi di Evelyn e Sarah ogni volta che faceva qualcosa di strano. Sospirò e spinse di lato Jordan, facendosi strada nell’ingresso. Fece qualche passo, guardandosi intorno con curiosità. Il pavimento era parquet lucido, e dopo l’ingresso si affacciavano due stanze non separate. Amy si diresse verso il bancone della cucina a sinistra, mentre cercava di distinguere qualcosa dell’altro ambiente immerso nell’oscurità. Jordan accese le luci e Amy lasciò cadere per terra le buste, la bocca spalancata per lo stupore. ―Ci sono le uova lì dentro! ― imprecò Jordan correndo verso le buste mentre Amy correva nel verso opposto senza degnarlo di uno sguardo. ―Non ci credo! ― esclamò con una voce così su di giri che Jordan si costrinse a girarsi per essere sicuro di non essersi immaginato niente. Amy era in piedi di fronte ad una pila di suoi videogiochi e se ne rigirava uno tra le mani, guardandolo da tutte le angolazioni. ―Chi è quel genio che gioca a Final Fantasy in questa casa? ― chiese girandosi con un sorrisone entusiasta. Jordan stentava a credere ai proprio occhi e ci mise un po’ a rispondere. ―I- io… ― disse. ―Non ci crederai mai, ma sono io! ― aggiunse con una risata. Non aveva mai visto Amy così spensierata, così aperta. Per la prima volta da quando la conosceva, stava mostrando la vera se stessa, e nemmeno se ne accorgeva! Se avesse saputo subito che la soluzione stava in un videogioco…
―Dio, è il XV! Possiamo provarlo? ― gli chiese con sguardo supplicante.
―Ma tu non andavi di fretta? ― chiese Jordan avvicinandosi a lei. Improvvisamente Amy ritornò con i piedi per terra e guardò Jordan come se lo mettesse a fuoco per la prima volta. ―Io… beh, sì, però… insomma, per Final Fantasy XV posso fare tutte le eccezioni che voglio! ― protestò aggressiva. ―Sfidami, se ne hai il coraggio!!
Mettere Amy con le spalle al muro. Jordan quasi non ci credeva.
―Bene, ti sfido. ― acqua e cioccolato incatenati in un unico sguardo.
 
 
―Cavoli se la grafica non è da sogno!! ― Amy e Jordan erano seduti sul divano uno accanto all’altra e giocavano alla Play Station. Sui loro volti assorti si rifletteva la luce colorata dello schermo, le dita che si muovevano velocemente per guidare i giocatori virtuali all’interno di un mondo pieno di pericoli. ―Non sapevo ti piacessero i videogiochi di ruolo! ― esclamò Jordan senza staccare gli occhi dallo schermo.
―Oh, ci sono un sacco di cose che non sai di me, tesoro!! ― ribatté Amy con aria melliflua. Jordan la guardò con tanto d’occhi dimenticandosi completamente del gioco. ―SÍ! ― esclamò Amy facendo un piccolo saltello. ―Ti ho battuto, ahah!
―Cos? ― Jordan guardò lo schermo. La scritta Game Over capeggiava impietosa. ―Ma non vale!! ― cercò di protestare, puntando un dito contro Amy. La ragazza si esibì in un sorriso di superiorità. ―Prima regola. Mai farsi distrarre da un avversario! ― disse, sollevando un dito verso l’alto. ―Tesoro!! ― Amy gli fece un occhiolino e Jordan quasi cadde dal divano. ―Non ti ho mai vista così… ― mormorò lui, senza credere ai suoi occhi. ―Per Final Fantasy mi venderei l’anima! ― rise lei e dopo poco anche Jordan cominciò a ridere. Amy si rotolò sul divano, senza smettere di ridere, una mano sulla pancia, finendo addosso a Jordan.
Jordan si fermò e rimase a guardare Amy spensierata. Prima che riuscisse a fermarla, la sua mano era tra i capelli di Amy, e li accarezzava dolcemente. Pian piano le risa della ragazza si smorzarono e per un attimo li circondò il silenzio.
―Io ― tossicchiò Amy, ―io devo proprio andare. ― mormorò alzandosi dal divano. La mano di Jordan bruciava, il vuoto diventato improvvisamente troppo, la spalla dove stava la testa di Amy troppo leggera. ―Sicura di non volere un panino? ― le chiese, nella speranza di trattenerla.
Ma Amy stava già raccogliendo le sue cose. ―Mi dispiace è davvero tardi. Devo andare.
Jordan annuì, rassegnato, e la accompagnò alla porta.
―Ci… vediamo. ― disse, ma non era sicuro che Amy l’avesse sentito.
 

*WHAWAIEAH!
Inizio con il dichiarare la mia totale ignoranza in fatto di videogiochi. Non ho mai giocato a Final Fantasy e non so se ci si può battere a vicenda, essendo un videogioco di ruolo... xD
Quindi, se notate qualche errore data la mia ignoranza in materia, vogliate perdonarmi (:
Grazie a tutti voi che mi state recensendo e che state seguendo questa storia con molto entusiasmo! Mi rende davvero fiera e felice :)
Un bacione e a martedì per la prossima pubblicazione,
Kry <3 <3 <3 c:

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 26
*** Capitolo 26. Un cambiamento improvviso. ***


Capitolo 26.

Un cambiamento improvviso.

 



 




Kyle era appoggiato al muro di una casa in fondo alla strada.
Aveva una postura disinvolta, la schiena che aderiva contro il muro, le braccia incrociate, le lunghe gambe distese. Ogni cosa in lui suggeriva scioltezza ma nonostante tutto i muscoli delle sue braccia erano tesi.
―Kyle, Kyle, Kyle… ― una voce ruppe il silenzio e il ragazzo si raddrizzò, i pugni serrati e il corpo pronto a scattare. ―Eric… ― un ringhio gli fuoriuscì dalle labbra. Dall’ombra emerse un ragazzo con i capelli neri e il viso pieno di piercing. Le sue labbra si piegarono in un sorriso sinistro. ―Il nostro patto non sta producendo i risultati sperati. Come dobbiamo fare con te, Kyle?
Eric si avvicinò di qualche passo e Kyle alzò i pugni. L’aria sembrava essersi fatta più fredda, ogni cosa era immobile in attesa di un cambiamento. ―Magari potrei fare una visita alla tua sorellina, che ne dici? ― rise Eric, la voce fredda tagliente come lame di ghiaccio. ―Lascia stare mia sorella! ― Kyle scattò in avanti, prendendo Eric per il colletto della maglietta, il pugno sollevato. Aveva il respiro pesante, il cuore che batteva sordo nelle orecchie.
Eric sollevò le mani, ridendo. ―Calma, calma, Kyle, quanta impulsività!
Dall’ombra emersero altre figure, altri ragazzi che circondarono Kyle ed Eric.
Kyle lasciò andare lentamente Eric e fece un leggero passo indietro, senza smettere di guardarlo negli occhi. ―Bene, vedo che hai capito come funziona. ― sorrise Eric stirandosi la maglietta addosso. ―Il problema, Kyle, è che tu non ti stai impegnando abbastanza. Dov’è la roba? ― gli occhi di Eric si ridussero a due fessure.
―Ancora a casa. ― fu la risposta cupa di Kyle.
―Forse abbiamo sbagliato. ― la voce di Eric era poco più forte di un sussurro. ―Forse non sei tipo da spaccio. Che ne dici di un furto? O magari di un pestaggio. E poi il tuo debito è saldato… o dovremo trovare un’altra soluzione, vero ragazzi? Magari tua sorella può darci una mano. ― dalle figure in ombra si alzarono alcune risate divertite.
―Te lo ripeto. Lascia stare mia sorella. ― disse Kyle alzando un dito verso Eric. ―Non osare toccarla, capito? ― la voce era un ruggito all’erta, i muscoli tesi pronti a scattare.
Eric gli girò attorno. ―Vediamo come te la cavi col pestaggio. ― sorrise. ―Ragazzi? Volete ricordare a Kyle che i patti vanno rispettati? ― le ombre fecero alcuni passi avanti, mentre Eric si preparava a godersi lo spettacolo. 
Kyle non aspettò. Scaricò un montante così violento addosso al primo ragazzo che gli si parò davanti, che quello cadde a terra senza un lamento.
Altri due gli si avvicinarono in fretta, lateralmente. Kyle si girò verso quello più vicino e parò il suo colpo incrociando gli avambracci sul viso. Digrignò i denti per lo sforzo, poi sciolse la presa ed evitò agilmente il pugno dell’altro, scansandosi di pochi centimetri. Lo colpì allo stomaco con tanta forza da farlo piegare su se stesso, spinse da parte il ragazzo dietro di lui e si avventò su Eric.
Gli sferrò un gancio sulla mascella e uno sulla bocca, così velocemente da lasciare Eric stordito per un attimo. Il ragazzo indietreggiò, portandosi una mano alle labbra sanguinanti. Kyle teneva la guardia alta, il respiro pesante e agitato, l’adrenalina che gli correva nelle vene e che lo rendeva attivo.
Eric sputò a terra, guardandolo in cagnesco. ―Mi sa che non hai ancora capito come funziona. ― sibilò.
Due ragazzi bloccarono Kyle contro il muro, tenendolo fermo per le braccia.
Kyle cercò di liberarsi dalla stretta, ma le braccia che lo tenevano fermo erano troppo forti. Eric gli si avvicinò, passandosi una mano sulle labbra insanguinate. ―Io do gli ordini. ― sibilò, vicino, e gli sferrò un pugno nello stomaco. ―Kyle gemette, piegandosi in due per il dolore. Gli mancava il fiato. ―E tu esegui. ― continuò Eric sferrandogli un gancio potentissimo sul viso. Kyle sentì qualcosa di caldo bagnargli il volto, la parte del viso colpita che bruciava di dolore.
Eric tirò indietro una gamba e gli sferrò un calcio, mozzandogli il respiro in gola. Gemette ancora, mentre i colpi provenivano da tutte le parti, senza fermarsi.
Poi, proprio quando le forze lo stavano abbandonando, lo gettarono a terra. Cercò di tenere gli occhi aperti, di vedere cosa avesse intorno, ma la vista gli si oscurava a poco a poco e milioni di puntini colorati volteggiavano nel suo campo visivo.
Inalò aria, ma tossì subito dopo, un dolore improvviso al petto.
Tutto scivolò nell’oscurità. L’ultima cosa che vide, fu il viso di Eric e le sue labbra che si muovevano, dicendo qualcosa di insensato, di incomprensibile.
―Saresti davvero bravo nel pestaggio, amico. Se solo capissi da chi prendere gli ordini.
Poi, il vuoto.
 



Evelyn uscì di casa e si guardò attorno, sorridente. Qualcosa attirò la sua attenzione. Vicino al portone c’era una strana figura accucciata.
Evelyn decise di girarle a largo. Non era sicuro andare vicino agli strani individui, soprattutto se si abitava in una zona decentrata come la sua. Fece qualche passo di lato, sperando di passare inosservata, anche se più guardava la figura e più si convinceva di averla già vista, anzi di conoscerla.
Le voltò le spalle, decisa a dimenticarla e ficcò le chiavi sul fondo della borsa.
Uno strano brivido le attraversò la schiena. Fece qualche passo avanti quando fu costretta a fermarsi.
Il suo nome.
Si girò lentamente.
La figura aveva sussurrato il suo nome.
 
 
Evelyn le si avvicinò con cautela e si accovacciò accanto al fagotto informe. Aveva le gambe distese sul marciapiede e i jeans tutti strappati.
La maglietta bianca a mezzemaniche era sgualcita e sporca di sangue e in alcuni punti anche squarciata. I capelli biondi erano incollati al cranio, tutti sporchi e pieni di sudore, polvere e sangue. Evelyn fu assalita da un brutto presentimento. ―Oh mio Dio…
Titubante, sfiorò delicatamente le braccia che ricoprivano il viso del ragazzo. Le braccia gli caddero inerti lungo i fianchi. ―Kyle! ― la voce le uscì stridula dalle labbra, mentre si portava le mani al viso per non urlare. Gli occhi di Kyle si socchiusero e il ragazzo le accennò un sorriso, che tuttavia sembrava una smorfia orribile a causa della faccia gonfia. Evelyn rimase ferma qualche istante, troppo sconvolta per sapere cosa fare.
Poi si avvolse un braccio di Kyle attorno al collo e lo aiutò a rimettersi in piedi. Si trascinarono sino al portone ed Evelyn lo aprì con un calcio, cercando di non crollare con tutto il peso del corpo di Kyle sulle spalle.
Sbuffò per la fatica mentre salivano i tre gradini per arrivare all’ascensore.
Una volta dentro casa lo fece stendere sul divano e corse verso il freezer, a prendere un po’ di ghiaccio.
―Si può sapere che cosa è successo? ― chiese con voce preoccupata e arrabbiata al tempo stesso mentre gli sistemava il ghiaccio sul viso. Kyle strizzò gli occhi per il dolore, poi si lasciò andare ad un’espressione rilassata dovuta alla piacevole frescura del ghiaccio sulla pelle.
Evelyn gli sollevò la maglietta e vide grossi ematomi sui fianchi. Aveva le nocche sanguinanti e anche il viso non era messo bene. Un labbro era completamente spaccato e tumefatto, così come tutta la parte sinistra del volto. ―Oh, Kyle… ― sussurrò Evelyn spaventata, senza guardarlo negli occhi, ma preoccupandosi delle ferite. Corse in bagno per cercare una pomata adatta e appena la trovò si precipitò verso il divano. La applicò sugli ematomi, cercando di essere il più delicata possibile e infine sulle nocche delle mani. Una volta finito le fasciò con cura con una garza pulita e cambiò l’impacco per il viso, con nuovo ghiaccio.
Kyle sospirò per il sollievo. ―Come stai? ― gli chiese Evelyn stringendogli una mano. Kyle annuì e lentamente scivolò nel sonno.
 
 
 
A risvegliarlo fu il brontolio del suo stomaco e il profumo che proveniva da qualche parte alle sue spalle. Si rigirò contro la stoffa morbida sulla quale era adagiato e aprì gli occhi, mettendo piano piano a fuoco ciò che lo circondava.
Si guardò intorno incuriosito prima di scattare a sedere con un gemito. Riprese fiato, tastandosi il fianco dolorante.
Dove si trovava?
Le ultime cose che ricordava erano molto vaghe e confuse. Lui che si trascinava da qualche parte, qualcuno che lo trovava e aiutava.
Dove si trovava?
―Ah, Kyle! Per fortuna ti sei svegliato! ― la voce familiare di Evelyn lo rassicurò e Kyle si abbandonò sfinito sullo schienale del divano.
―Che ci faccio qui? ― chiese socchiudendo gli occhi. La testa gli faceva un male cane.
Evelyn rise. ―Avrei voluto chiederlo a te. ― Kyle sentì un rumore e capì che Evelyn gli si era seduta accanto. Girò la testa quel tanto che gli serviva per guardarle il volto attraverso le palpebre semichiuse.
La figura di Evelyn era adombrata dalle sue ciglia, ma Kyle sorrise ugualmente, rassicurato dai contorni sfocati della figura della ragazza, dai suoi lunghi ricci castani e dal suo profumo familiare.
Si sentiva a casa.
Evelyn gli porse un piatto di pasta. ―Tieni mangia. ― sorrise.
Kyle guardò per un attimo il piatto, senza prenderlo. Quante premure… per lui. Che l’aveva sempre trattata male, l’aveva sempre derisa. Certo, si era interessato davvero a lei in quell’ultimo periodo, ma lo sorprendeva la facilità con la quale Evelyn l’aveva accolto nella sua vita. A braccia aperte e senza nessun rancore.
―Non ti piace? ― gli chiese lei preoccupata, gli occhi scuri improvvisamente insicuri e seri. Kyle scosse la testa con un sorriso e afferrò il piatto che Evelyn gli porgeva. ―Grazie. ― mormorò affondando la forchetta negli spaghetti.  ―È solo che… mi stai aiutando così tanto. ― gli occhi di Kyle scivolarono alla fasciatura sulle mani. Evelyn si era presa cura di lui.
Spostò lo sguardo sul volto della ragazza, guardandola bene per la prima volta. Lei gli sorrise, un sorriso dolcissimo e rassicurante. ―Non preoccuparti. Mangia adesso. ― e, detto questo, si alzò senza smettere di sorridere.
 
 
―Vuoi dirmi cosa è successo? ― la voce di Evelyn era ancora dolce, priva di inflessioni particolari. Non mostrava né curiosità, né preoccupazione, si stava solo interessando a lui. Aveva finito di mangiare tranquillamente da circa dieci minuti ed Evelyn aveva lavato e asciugato i piatti senza dire una parola.
Gli serviva quel silenzio. Gli era servito per pensare, pensare ad una scusa da rifilarle.
Non era tanto bello da fare, ma non aveva alternative. Lei l’aveva già aiutato abbastanza e non doveva entrare in quella situazione più di quanto non ci fosse già entrata. Ma adesso, adesso che era arrivato il momento di dirle una delle tante bugie così ingegnosamente architettate, adesso non gli veniva nulla in mente.
Vuoto totale.
―Senti, ― riprese Evelyn prendendogli le mani tra le sue e cercando il suo sguardo, ―voglio solo sapere come stai. Se hai bisogno d’aiuto. Ti crederò se mi dirai che la situazione è sotto controllo, perché mi fido di te e so, spero, che tu non faccia niente di stupido. Okay?
Kyle annuì. ―Okay. ― prese un respiro profondo. ―Non è stato niente. Ho litigato con un bullo tempo fa. ― mentì. ―E adesso si è vendicato, tutto qui. Erano troppi per me e mi hanno bloccato.
―Dovresti denunciarli. ― la voce di Evelyn era sicura e decisa, le sue dita delicate strinsero ancora di più la presa sulle mani di Kyle. Lui scosse la testa. ―No. ― alzò lo sguardo su di lei. ―Non ci saranno più episodi del genere.
Evelyn lo guardò negli occhi e annuì.
Per alcuni istanti il silenzio colmò il vuoto delle loro parole. Si guardarono negli occhi, attentamente, cercando di trasmettersi qualcosa a vicenda. La mano sinistra di Evelyn si alzò tremante verso il viso di Kyle, sfiorandone i lineamenti con i polpastrelli freschi. Le sue dita tracciarono un percorso invisibile sino alle sue labbra spaccate e le accarezzarono dolcemente. Kyle socchiuse gli occhi e inspirò a fondo il profumo di Evelyn, assaporò il suo tocco leggero e fresco sulla sua pelle che bruciava, bruciava, bruciava. Le prese la mano e se la portò alle labbra, baciandone il palmo semiaperto. Aprì piano gli occhi e cercò quelli di Evelyn, due pozze scure e calde, dolci e rassicuranti. Avvicinò il viso al suo, posando la fronte su quella piccola di lei. Una mano le accarezzò lentamente una guancia, spostandosi sul suo collo, tra i suoi ricci color caffè. I loro respiri si mescolarono piano, mentre gli istanti sembravano prolungarsi all’infinito.
Poi Evelyn si avvicinò ancora di più a lui, e posò le labbra sulle sue. Le mani di Kyle scesero lungo i suoi fianchi mente Evelyn gli tuffava le dita tra i capelli spettinati. Sentiva il sapore del sangue di Kyle sulla lingua, la morbidezza delle sue labbra, il sussurro del suo respiro. Si staccarono per un momento e si guardarono a lungo negli occhi.
Pian piano si allontanarono l’uno dall’altra. Evelyn si morse il labbro inferiore e Kyle si passò una mano sulla nuca, imbarazzato. ―Provato niente? ― le chiese, cercando di scrutare ogni sua reazione.
Evelyn scosse la testa in senso di diniego. ―No. ― rise, una risata leggera, quasi ironica. ―E tu?
Anche Kyle scosse la testa e poi scoppiarono a ridere insieme. ―Vuoi dire che il mio bacio suadente non ti ha proprio causato niente? Nemmeno un brividino di piacere?
Evelyn rise ancora più forte, tenendosi la pancia. ―Mi sa proprio di no! Non doveva essere granché come bacio di conquista, non trovi?
―Già! ― esclamò Kyle continuando a ridere. ―Allora… ― disse poi, cercando di ritornare più serio. ―Adesso che ci siamo baciati che si fa? Amici?
I suoi occhi brillarono di speranza, nella semioscurità della stanza. Evelyn gli sorrise e annuì decisa. ―Certo! Amici! ― l’aria sembrò rasserenarsi tra i due, che presero a sorridersi felici. ―Anche se non avrei mai creduto di baciare l’antipatico figo Kyle Brown! ― aggiunse Evelyn ridacchiando subito dopo.
―E io non avrei mai creduto di baciare la secchiona /schiappa in educazione fisica Evelyn Berrymoore, che ha il cognome come quello dell’attrice ma con due o. ― ribatté Kyle ridendo.
―Secchiona hai detto? ― protestò Evelyn stizzita, prendendo un cuscino e centrandolo in faccia. ―Così impari! ― disse incrociando le braccia e ridendo sotto i baffi. Kyle gemette, passandosi una mano sul volto tumefatto e Evelyn smise all’istante di ridere. ―Ops, ti ho fatto male? ― chiese preoccupata.
Kyle si avventò su di lei ed Evelyn urlò per la sorpresa mentre soccombeva dal ridere sotto la presa di Kyle che le faceva il solletico.
 
 

 

 
 

Era un pomeriggio caldo, con un venticello leggero che rinfrescava l’ambiente e rendeva il tepore del sole più che piacevole. Amy si accoccolò ai piedi di un albero nei pressi del fossato del castello, un antico bastione risalente all’epoca normanna. Tirò fuori dalla borsa il suo album da disegno e fece scorrere le canzoni sul suo mp3, facendo partire la playlist che più la ispirava in quel momento.
Lasciò vagare la mente in posti lontani, in mondi sconosciuti e tra creature mai viste prima. Lasciò che la matita volasse leggera sulla pagina, accarezzando il foglio bianco con linee sinuose e morbide, marcate e ben definite. La matita correva come il flusso dei suoi pensieri, volava leggera sulla pagina intrecciando punti e linee, dando forma alle figure immaginarie della sua mente.
La musica era l’unica cosa che sentiva e le immagini che rappresentava le uniche che vedeva.
Una mano le si poggiò sulla spalla e Amy sobbalzò, spaventata, la matita che aveva tracciato una lunga linea spessa per tutto il foglio. ―Oh no… ― mormorò guardando afflitta ciò che restava del suo disegno. Fece cadere le cuffie dell’mp3 e si voltò a guardare chi le aveva causato tutto quel disastro. Il blocco da disegno le cadde dalle mani e i fogli si sparpagliarono sull’erba. ―Non è possibile. ― riuscì solo a sussurrare, gli occhi prima afflitti e poi ridotti a due fessure ricolme di rabbia. Jordan le sorrise dispiaciuto. ―Scusa. È che avevi le cuffie e non mi sentivi. Volevo solo dirti che eri molto brava. ― balbettò, indietreggiando, mentre Amy gli si avvicinava con un dito puntato contro. ―Non ci credo. ― sibilò, senza cambiare espressione. ―Non ho nemmeno parole per descriverti o per insultarti. La mia immaginazione è fottuta con te! Ogni volta che ti incontro succede sempre qualcosa! Prima mi pesti il dito, poi mi impedisci di bere, poi mi investi con le tue stupidissime buste della spesa facendomi piovere addosso scatolette di tonno e wurstel e adesso… questo! ― ruggì, sventolandogli il disegno rovinato davanti agli occhi. ―Ma si può sapere per quale caso della sfiga tu debba causarmi simili problemi? Perché ti incontro sempre? E perché ogni volta la sfiga che ti accompagna si ripercuote su di me?
―Credimi, non era mia intenzione causarti tutte queste disgrazie! ― replicò Jordan sarcastico. ―Solitamente faccio un bell’effetto alle ragazze.
Amy rimase in silenzio per qualche istante. ―Fottiti.
―Parole sante! ― Jordan le si avvicinò di un passo. ―Possibile che ogni volta che ci vediamo tu debba mandarmi sempre a fare in culo? Puoi anche rivolgermi qualche parolina gentile di tanto in tanto, non mi offenderei! ― ribatté, il volto rosso e gli occhi azzurri illuminati per la rabbia.
Amy si portò le mani al viso, fingendosi mortificata. ―Oh, scusami, scusami tanto Jordan caro! Ti dispiacerebbe fotterti per favore?
Jordan fece un altro passo avanti, spazientito. Amy non si spostò di un millimetro, ben salda sui piedi, piazzando le mani sui fianchi e sollevando il viso verso quello di Jordan, un’espressione di sfida incancellabile sul volto. ―Dico sul serio, Amy. Mi dispiace se ogni volta combino qualcosa di sbagliato, ma come vedi non è morto nessuno fin’ora, e potresti benissimo sorvolare questi piccoli incidenti e cercare di essere più gentile con me. Non capisco perché fai di tutto per tenermi a distanza, ti ho dimostrato più volte di essere una persona affidabile e mi sono anche fatto battere a Final Fantasy XV per farti felice! ― ma decisamente era la cosa sbagliata da dire.
TU ti sei fatto battere a Final Fantasy XV per farmi felice? ― Amy gli puntò un dito proprio al centro del petto, facendo un ulteriore passo avanti, il viso congestionato dalla rabbia. ―Io ho vinto perché tu non sei stato capace di giocare seriamente e ti sei fatto abbindolare come un allocco! E non cambiare le carte in tavola!
Una folata di vento li investì ma i due ragazzi non si mossero di un passo, scrutandosi rabbiosi. Jordan aprì la bocca per dire qualcosa ma il suo sguardo si posò su qualcosa alle spalle di Amy che lo fece impallidire. ―Amy ― sussurrò flebilmente. ―Dietro di te.
―Oh, no no no no no no no no no, cocco. Non mi freghi, pirla! Non mi girerò per dare la possibilità a te di dartela a gambe! ― ribatté acida. Le mani di Jordan si posarono sulle sue spalle e la scossero per costringerla a guardarlo. ―Amy ascolta. Non è colpa mia. Ti chiedo scusa in anticipo, sappi solo che non controllo gli elementi. ― e detto questo la costrinse a girarsi. I fogli dell’album da disegno, che si erano sparpagliati per terra, ora volteggiavano nell’aria spinti dal vento in direzione del fossato. ―Cosa? ― la faccia di Amy impallidì per il terrore. Si liberò dalla stretta di Jordan con uno scrollone e iniziò a correre e a saltare nella speranza di afferrare qualcuno dei suoi disegni. Il vento cessò e i disegni caddero nel fossato. ―Oh no! ―gemette Amy dimenticandosi completamente di Jordan. Raccolse le sue cose ficcandole tutte nella borsa e iniziò la sua corsa spericolata verso i cancelli che permettevano l’accesso al fossato. ―AMY! ― urlò Jordan iniziando a rincorrerla. ―Aspetta ti aiuto! ― ma era fiato sprecato. Amy non si voltò indietro né diede segno di averlo sentito.
 
Amy non si voltò per aspettare Jordan. Era arrabbiata con lui per la fine che aveva fatto fare al suo disegno, ma in realtà quegli incontri così strani la divertivano. Ultimamente aveva abbassato la guardia. Tutto per colpa di Final Fantasy, ma Amy sapeva che non era del tutto vero.
Jordan le piaceva ed ammetterlo a se stessa era una sconfitta che non riusciva ad accettare. Si era ripromessa di tenere tutti alla larga a causa di Tate ma non ci riusciva. E come se non bastasse Jordan la faceva confondere, era l’unico capace di capire cosa stava provando e cosa passava senza nemmeno conoscerla così bene. Avrebbe voluto fidarsi di lui completamente, ciecamente, ma ancora non ce la faceva. Final Fantasy era stata una scusa per lasciarsi andare, ma non ce ne sarebbero state altre. E forse i tentativi che aveva fatto per allontanarlo stavano finalmente funzionando.
Al solo pensiero una fitta le trafisse il petto e fu costretta a rallentare. Stupida, si disse. Avrebbe dovuto solo essere contenta se Jordan si fosse allontanato.
E invece non faceva altro che pensare e ripensare a lui, non faceva altro che assaporare la felicità che accompagnava quei pensieri.
Jordan la raggiunse ed Amy si diede nuovamente della stupida per aver rallentato e per aver prestato attenzione a dei pensieri così inutili.
―Sai dove andare? ― le chiese lui afferrandola per un braccio. Amy non si girò e continuò a camminare. ―Da bambina ero piuttosto curiosa. ― commentò acida cercando di nascondere il piccolo sorriso che le increspava le labbra.
La mano di Jordan scivolò lungo il suo braccio, le dita che sfioravano la pelle morbida sino al polso. Poi, dopo qualche istante, le afferrò la mano e intrecciò le dita con le sue.
Amy cercò nuova aria per i polmoni, la mente improvvisamente vuota, incapace di dire né di pensare niente. Le dita le bruciavano perché volevano quel contatto, volevano sfiorare la pelle di Jordan, volevano stringergli la mano.
Amy rimase immobile, lo sguardo fisso innanzi a sé, il braccio rigido lungo il fianco, incapace di sottrarsi alla presa, quanto di rafforzarla.
Lei voleva stringere la mano di Jordan e non voleva che lui si stancasse di lei e la abbandonasse.
Si sentiva male al solo pensiero, ma non aveva alternative. Aveva troppa paura per parlarne con qualcuno, aveva troppa paura per poter affrontare l’argomento. Troppa paura ma anche troppo desiderio di poter stare con Jordan.
Si accorse che da quando Jordan le aveva afferrato la mano, erano rimasti immobili senza camminare. Voltò lentamente il volto nella sua direzione. Jordan la stava guardando dolcemente, uno sguardo rilassante che esprimeva tranquillità e sicurezza. Le mise due dita sotto il mento e lo sollevò nella sua direzione, un angolo delle labbra incurvato in un sorriso tranquillo.
Gli occhi di Amy erano lucidi e insicuri. Il cervello era in tilt, il respiro era freddo, la mano di Jordan bruciava e formicolava contro la sua, così come quelle due dita che avevano preso ad accarezzarle la guancia con il dorso. Lentamente anche la sua guancia prese fuoco sotto le dita di Jordan ed Amy avvampò, abbassando lo sguardo.
Jordan la costrinse ad alzarlo nuovamente verso di lui. ―Ehi. ― sussurrò.
C’erano pochissimi centimetri di distanza tra loro. Amy li contò. ―Ehi. ― erano tre.
Jordan sospirò e il suo respiro le accarezzò la pelle, facendola rabbrividire. I centimetri diminuivano. ―Sarà meglio… ― socchiuse gli occhi. Erano due.
―Sì? ―chiese Jordan abbassando gli occhi, la stretta della sua mano un po’ più forte su quella di Amy.
La ragazza deglutì e prese fiato, costringendosi ad aprire nuovamente gli occhi. ―Sarà meglio… ― lo spazio diminuiva, la voce era poco più di un flebile sussurro. Un centimetro. Amy si morse le labbra per non perdere il controllo. ―Sarà meglio scendere a recuperare i miei disegni prima che sia troppo tardi se non vuoi che ti incenerisca le palle con un lanciafiamme. ― la voce di Amy era bassa ed insicura, priva del tono di scherno che accompagnava sempre le sue minacce o di uno sguardo accusatore. Jordan aprì gli occhi e poggiò la sua fronte su quella di lei, chinando il capo per raggiungerla. Sul suo volto apparve un sorriso divertito e stanco al tempo stesso. Per qualche istante i loro respiri si mescolarono l’uno con l’altro. ―Non cambi mai, eh? ― le sussurrò Jordan all’orecchio, facendola rabbrividire.
Amy si impose un po’ di autocontrollo e si staccò da lui con un mezzo sorriso imbarazzato. Iniziarono nuovamente a camminare, le mani ancora intrecciate tra loro.
 
 
 
―Ora devi seguirmi― disse Amy decisa arrivando ad un muro ricoperto d’edera. Jordan si guardò intorno titubante. ―Seguirti dove, scusa? ― ma Amy già non gli prestava più attenzione. Sfilò la mano dalla sua e scostò una parte dell’edera rampicante, scoprendo un buco nel muro abbastanza grande da permettere ad una persona minuta di passarci attraverso.
Jordan strabuzzò gli occhi. ―Amy non passerò mai attraverso quel coso. Sono il doppio di te, quello è un buco per bambini!
Amy lo guardò di traverso. ―Cosa vorresti dire, scusa?
―Niente di drastico! ― si affrettò a dire Jordan, ―Solo che tu hai un fisico minuto mentre io assomiglio più ad un giocatore di football!
Amy sbuffò, palesemente scocciata. ―Oh, avanti! Dov’è finito il tuo senso dell’avventura? Ho costretto ragazzi più grassi di te a passare attraverso questo buco, puoi farcela anche tu!
―Più grassi di me? Che vorresti dire, scusa? ― indagò Jordan con una punta di irritazione nella voce, ma Amy per tutta risposta alzò gli occhi al cielo e si infilò nel buco. La tenda d’edera, ne ricoprì il passaggio subito dopo. Jordan si guardò attorno, a disagio. ―Oh, andiamo! ― sentì dall’altra parte. Scostò l’edera e si ritrovò il viso di Amy a pochi centimetri dal suo. ―Tentare non costa nulla! Su provaci! ― esclamò lei sorridendogli. Jordan tossicchiò, mentre il sangue gli affluiva alle guance e decise di provarci. Infilò prima una gamba e poi busto e testa, dall’altra parte. Amy gli sorrideva raggiante. Credeva di avercela quasi fatta quando, provando ad uscire, si accorse di essersi incastrato. ―Ecco, lo sapevo! ― ringhiò con fare accusatorio verso Amy. Quella alzò gli occhi al cielo sbuffando. ―Oh, su puoi farcela! Spingi, avanti!
Jordan la guardò male ed Amy, spazientita, gli prese un braccio e tirò con tutte le sue forze. L’urlo di dolore di Jordan la costrinse a fermarsi. ―Amy!
―Che c’è? Vuoi rimanere lì incastrato per il resto della vita? ― gli chiese brusca.
―Certo che no, ma non è lussandomi una spalla che riuscirai a togliermi via di qui! ―protestò Jordan con il viso contratto per lo sforzo di mantenersi in equilibrio in quella posizione scomoda.
―Che altro potrei fare? ― chiese Amy imbestialita. ―Se tu non ti fossi incastrato come un ciccione, adesso…
―Io incastrato come un ciccione? ― la interruppe lui, il viso sempre più rosso. ―Tu mi hai detto che ci erano passati bambini più ciccioni! E io non sono ciccione! Mi hai costretto tu, e adesso vedi come sono ridotto!
Io?!? ― chiese Amy infuriata facendo qualche passo nella sua direzione. ―Non ti ho puntato un mitra contro, mentre ti dicevo di seguirmi e poi sei stato tu a causare il volo dei miei disegni!!
―Ti ho già detto che non controllo il tempo! ― urlò Jordan incavolato.
―Ma se tu non mi avessi spaventata e non mi avessi fatto cadere l’album a terra, adesso il mio disegno starebbe a posto e le tue mega chiappone non sarebbero incastrate in quel buco! ― protestò Amy urlando ancora più forte di lui.
Jordan sospirò, affranto. ―Litigare non ci servirà a niente. Aiutami ad uscire fuori di qui.
Amy brontolò qualcosa di incomprensibile, guardandosi attorno e studiando il muro. Non era troppo alto e l’edera rampicante cresceva a metà altezza anche da quella parte. Ne afferrò gli arbusti con entrambe le mani e saggiò la loro resistenza aggrappandosi e tirandoli per un paio di volte. Poi, visto che reggevano, vi si aggrappò e sollevò i piedi, puntellandoli sul muro.
―Amy che stai facendo? ― chiese Jordan preoccupato. ―Potresti farti male.
―Oh, sta’ zitto, per piacere! ― bofonchiò Amy seccata e continuò ad arrampicarsi.
I rovi le graffiarono le braccia e le mani, ma ben presto fu sulla cima del muro. Sollevò le gambe e si lasciò cadere agilmente dall’altra parte.
Si spazzolò le mani e i vestiti e poi volse lo sguardo sulla gamba di Jordan ancora incastrata. La prese con entrambe le mani. ―Appoggia le braccia a terra, così non cadi! ― avvertì prima di cominciare a spingere con tutte le forze. Dall’altra parte provenivano dei gemiti, ma Jordan cercò di soffocarli come meglio poté. Pian piano scivolava dall’altra parte.
Amy si fermò per un momento, esausta,  poi poggiò le mani sul sedere di Jordan e gli diede un’ultima spinta, facendolo capitombolare dall’altra parte. Poi passò anche lei dal varco e si accasciò contro il muro, sfinita.
Avevano entrambi il fiatone e non riuscivano a dire niente. Amy alzò una mano, come per dire qualcosa, ma poi la abbassò, sfinita, e si rimise in marcia. Jordan la seguì prendendo fiato. ―Dì la verità. ― disse poi. ―Non vedevi l’ora di mettermi le mani sul culo vero? ― chiese con un sorrisetto ironico ed uno sguardo malizioso.
Amy lo guardò schifata. ―Vuoi dire quella cosa flaccida e molle che sono stata costretta a spingere perché si era incastrata?
Jordan fece una faccia offesa, ma non se la prese. ―Dai, ammettilo. Non vedevi l’ora di mettermi le mani addosso, eh? ― le fece un occhiolino, ma la faccia di Amy rimase ugualmente orripilata. ―E devi vedere la gioia immensa che proverò quando ti toccherò per spappolarti le palle!
Jordan rimase a corto di parole mentre Amy si rimetteva a capo della spedizione. Non ci misero molto per arrivare ai cancelli. Erano tutti chiusi da un vecchio catenaccio arrugginito. Amy superò un paio di entrate prima di fermarsi davanti a quella che cercava. Qui il catenaccio era molto più allentato rispetto agli altri e bastava tirare le due parti in direzioni opposte per creare un varco sufficiente a passare. ―Prima tu. ― disse Amy guardandolo con aria di sufficienza. Gli tenne il cancello aperto come meglio poté e una volta dentro, si infilò anche lei nella stretta apertura. Iniziarono a raccogliere i disegni in perfetto silenzio, dirigendosi in due direzioni opposte. Una volta terminato, Amy li ficcò tutti nella borsa e si guardò intorno. Proprio non le andava di rifare tutta quella strada per ritornare indietro. Magari riuscivano ad arrampicarsi su per il muro del fossato. Sarebbe stato molto più veloce. Certo c’erano dei rischi, ma del resto lei era un’arrampicatrice provetta ed era convinta che anche Jordan se la sarebbe cavata. Lo guardò di sottecchi, studiandolo.
Sì, poteva decisamente farcela. Aveva spalle larghe e resistenti, braccia forti e muscolose ed un fisico niente male davvero.
Non era vero che era ciccione, anzi! Era proprio figo. E il suo culo non era per niente flaccido e molle, era…
Lo sguardo incuriosito di Jordan la riportò alla realtà. Scosse la testa e riprese a studiare le pareti del fossato. Erano alte più o meno sette metri, e vi erano numerosi punti d’appiglio. Si diresse verso un anfratto all’ombra. Sì, era perfetto.
Jordan l’aveva seguita, pensieroso. ―Che hai intenzione di fare? ― indagò con una vena di preoccupazione nella voce. Amy non si preoccupò di guardarlo ma continuò a studiare il muro e gli appigli che offriva. ―Ci arrampichiamo. ― rispose tranquillamente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
―Cosa? ― la voce di Jordan trasudava incredulità. ―Non credo sia una buona idea. ― aggiunse subito dopo.
―Non ho chiesto il tuo parere. ― continuò Amy in tutta calma. ―E poi sono un’arrampicatrice provetta.
―Oh, questo non lo metto in dubbio. ― rispose freddo lui. ―Ma è pericoloso! Insomma, quanto alte saranno queste mura? Più o meno nove metri! Se cadiamo ci sfracelliamo al suolo! Preferisco rimanere incastrato in quel buco per i prossimi sei anni piuttosto che spappolarmi al suolo come un budino!
Amy continuò a non guardarlo, osservando il muro attentamente. ―In realtà le mura sono alte sette metri e dieci centimetri. Hai un pessimo senso della misura. E inoltre, se preferisci andare e rimanere incastrato nel buco fai pure! Io salgo di qua. ― e, detto questo, si sistemò la borsa a tracolla dietro la schiena e iniziò la sua scalata. Jordan imprecò a mezza voce. ―Non posso lasciarti qui a sfracellarti da sola! Perché devi fare queste pazzie? ― urlò nella speranza di farla tornare indietro. Era piuttosto veloce ad arrampicarsi. ―Perché mi diverto! ― urlò lei di rimando. Ecco, ora un pezzo difficile. Amy si tenne aggrappata al muro, cercando di rilassare i muscoli e rimanere tranquilla. Doveva raggiungere un appiglio molto in alto e per farlo avrebbe dovuto reggersi con una sola mano.
Deglutì e decise di farsi coraggio. “Forza, Amy. Forza.”
Lasciò che i piedi le penzolassero nel vuoto e con uno sforzo sovrumano si sollevò con l’unico braccio aggrappato al muro e afferrò il nuovo appiglio. Sorrise e sospirò, alleviando la tensione. Spostò il piede destro più in alto e contemporaneamente con la mano sinistra cercò un nuovo appiglio. Si reggeva al muro solo con una mano ed un piede. Guardò a sinistra per focalizzare il nuovo appiglio, ma fece un errore. Condusse automaticamente il piede dove credeva ci fosse l’appoggio, ma lo mancò e scivolò verso il basso. Il contraccolpo le fece perdere la presa sugli altri attacchi ed Amy precipitò nel vuoto, urlando.
―Ti prendo io! ― urlò a sua volta Jordan, cercando di intercettare il punto in cui Amy sarebbe caduta. Destra, sinistra, lo sguardo puntato in alto verso il corpo di Amy che cadeva velocemente e le braccia distese nel tentativo di afferrarla al volo come facevano i principi in quei cartoni della Disney.
Come aveva detto Amy poco prima, Jordan aveva un pessimo senso della misura. La mancò di parecchi centimetri e al posto di finire tra le sue braccia, Amy gli finì praticamente addosso. Caddero entrambi nel manto erboso, il tonfo attutito dall’erba e alcuni gemiti sommessi. Rimasero immobili per parecchi lunghi istanti, senza avere il coraggio di muoversi. Amy era caduta di schiena e sebbene l’atterraggio fosse stato morbido, l’impatto le aveva tolto il fiato. Jordan giaceva supino sotto di lei, le braccia distese come se fossero state ali e le gambe piegate in posizioni innaturali. ―Beh ― disse Amy ridendo. ―Almeno ho fatto un atterraggio morbido! ― girò il volto in modo da poter vedere quello di Jordan ma il movimento fece solo gemere il ragazzo. ―Che hai detto, scusa? ― chiese Amy, che non aveva capito.
―Parla per te. Mi sei caduta sopra. ― disse Jordan in un sussurro strozzato. ―Non respiro. ― aggiunse poi, come a puntualizzare la cosa. Amy si guardò intorno e capì di doversi spostare, solo qualche istante dopo. ―Oh. ―Si sollevò e immediatamente Jordan riprese a respirare regolarmente, portandosi le mani al petto e piegando le gambe. Amy si lasciò cadere accanto a lui, il sorriso che non si spegneva dal viso. ―Forse avevi ragione. ― Jordan posò su di lei i suoi occhi azzurri colmi di incredulità. ―È stata una stupidaggine. ― commentò ridendo. ―Ed anche pericolosa.
―E te ne accorgi adesso? ― chiese lui, spalancando gli occhi in un misto di incredulità e rabbia. Amy si strinse nelle spalle e fece una faccia così buffa che un momento dopo stavano ridendo tutti e due come dei matti. ―Sei incorreggibile! ― esclamò lui sconfitto, con un sorriso stanco sulle labbra.
―Pericoli a parte… è stato divertente! ― esclamò Amy ridendo. Jordan la guardò di traverso. ―E dai! ― insistette lei. ―Sono pronta a scommettere che non ti eri mai incastrato nel buco di un muro, prima d’ora!
Anche Jordan si mise a ridere. ―Lo ammetto. E mai nessuna ragazza mi aveva palpato le chiappe in maniera tanto evidente!
Amy gli diede una gomitata nelle costole, ma non disse niente. Jordan le aveva stretto la mano, poco prima che si incastrasse. Ed era stata una bella sensazione. Lui doveva aver pensato la stessa cosa, perché Amy sentì nuovamente le sue dita premere gentilmente nel palmo della sua mano. Con un sorriso, Amy lasciò che Jordan le stringesse la mano e non poté fare a meno di arrossire.
―Sei sexy quando diventi rossa… ― le sussurrò all’orecchio.
Il cuore di Amy prese a battere ancora più velocemente.   




*WHAWAIEAH!
Mi scuso per la lunghezza del capitolo e posso solo sperare che vi sia piaciuto.
Ora, abbiamo un pestaggio ed un rapporto con Kyle e dei tipi loschi... chi saranno?? Lo scopriremo in seguito... Poi il bacio tra Evelyn e Kyle... vi aspettavate questo risultato?? xD
Ditemi cosa ne pensate ;p
Ed infine abbiamo una Amy sempre scontrosa, burbera e scurrile ed un Jordan che è stanco di essere preso a pedate in culo e cerca di farsi rispettare... E qualche scena tenera... (:
Allora... vi ho reso felici sì o no??
Aspetto una caterva di pareri, anche perchè ho bisogno di sapere cosa ne pensiate per poter andare avanti ;D
Spero di avervi colpito.
Un bacione a tutti, ci sentiamo presto!!
Kry <3 <3 <3

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 27
*** Capitolo 27. Tenebre ***


Capitolo 27.

Tenebre.

 

 

Amy camminava lentamente per strada. Che cosa stava succedendo tra lei e Jordan?
Insomma, due giorni fa si erano scornati e tenuti la mano, ma dopo… zero assoluto. Lei non lo aveva cercato e lui nemmeno. Iniziava a chiedersi se tutto il mal di testa che aveva, causato dal rimuginarci sopra  troppo spesso, servisse a qualcosa. Forse avrebbe semplicemente dovuto parlare chiaramente a Jordan la prossima volta che lo avesse visto. Dirgli che non era il caso di continuare quella sceneggiata, che era stato bello tenergli la mano ma  che in realtà non provava niente per lui così come lui non provava niente per lei. Insomma, si sarebbero lasciati in maniera equa… giusto?
Amy si morse le labbra, pensierosa. Ma sapeva che non era vero.
Lei provava qualcosa per Jordan anche se non riusciva a spiegarsi esattamente cosa fosse.
Si tormentò una ciocca di capelli, nervosa. Pensarci non portava a niente. Pensare ad un fottutissimo coglione non portava a niente.
Basta, era deciso. La prossima volta che lo avrebbe incontrato, l’avrebbe preso a parole. Sul serio.
Sospirò, affranta. Il cielo era nuvoloso e in lontananza si sentiva il rombo dei tuoni. Pochi istanti e si sarebbe messo a piovere.
Amy alzò il passo, calciando una lattina vuota che rotolò sull’asfalto scuro. Il rumore riecheggiò per un po’ prima di spegnersi in lontananza.
―Ma quelli sono…? ― Amy voltò la testa di scatto. Abbandonata tutta sola per terra c’era una banconota da cinque euro. Si avvicinò, chinandosi per raccoglierla.
Le dita sfiorarono leggermente la banconota quando qualcuno inciampò su di lei, facendole perdere l’equilibrio. La figura finì lunga distesa per terra.
―EHI!! ― protestò Amy indignata. ―Non sono mica trasparente!
L’altra figura si voltò e le piantò addosso due occhi azzurri increduli. ―Non ci credo. ― mormorarono insieme.
―Ma non è possibile! ― scattò Amy balzando in piedi. ―Renditi conto, questi incontri sfiorano il surreale!
―Strano ma devo darti ragione. ― concordò Jordan senza staccare gli occhi dal volto di Amy.
―E com’è che ogni volta mi cadi sempre addosso? ― indagò l’ultima, fulminandolo con lo sguardo.
―Beh, magari il destino vuole darci una mano… ― ipotizzò Jordan strizzandole un occhio e rimettendosi finalmente in piedi.
―O magari sarebbe ora di farti visitare da un oculista! ― ribatté Amy sulle sue. ―A meno che non ti piaccia cadere sulla gente o investirla o che so io, l’ipotesi più accreditata è che tu non veda un accidente! Non mi sorprenderebbe se quando torni a casa ti ritrovi con le scarpe piene di merda o con una minigonna al posto delle mutande!
―Oh, andiamo! Ero solo distratto, stavo guardando quel manifesto! ― disse Jordan indicando un punto alla sua destra ed abbassando subito dopo il dito, imbarazzato.
Ma Amy aveva colto la sua reazione e adesso era curiosa. ―Quale manifesto? ― chiese, cercando di sbirciare da dietro le spalle di Jordan che si frapponeva tra lei ed il punto indicato poco prima.
―Niente! Niente. ― Jordan si muoveva avanti e indietro, a destra e a sinistra, per impedire ad Amy di osservare la locandina. Amy si fermò indispettita, con le mani sui fianchi sospirando di frustrazione. ―Fammi vedere, Jordan. ― disse, decisa.
―No. ― rispose lui altrettanto deciso.
―Perché no?
―Perché no.
―Insomma, cosa hai da nascondere? ― sbottò Amy mettendosi in punta di piedi ed allungando il collo, nel tentativo di sbirciare sopra la sua spalla.
―Niente. ― rispose Jordan risoluto, tendendo le braccia in avanti per allontanare Amy il più possibile. ―E allora fammi vedere! ― protestò lei liberandosi dalla stretta e sgusciando velocemente alle sue spalle.
Si fermò con gli occhi spalancati davanti al manifesto. ―Oh. ― fu il suo unico commento. ―Oh. ― ripeté poco dopo, girandosi lentamente verso Jordan. Il ragazzo si toccava la nuca imbarazzato. ―Beh, ecco, era lì davanti e… insomma, mi è capitato involontariamente di gettare lo sguardo… ― Amy annuiva per nulla convinta di ciò che stava dicendo Jordan. ―Capisco. ― disse, girandosi nuovamente verso la locandina. ―Sei malato, Jordan? ― chiese poi, il tono più duro di quanto avesse voluto.
―Cosa? N- no ― balbettò il ragazzo.
―Secondo me lo sei. ― ribatté Amy, girandosi nuovamente verso di lui. ―Non eri tu che dicevi che non eri pervertito? ― chiese sollevando un sopracciglio ed indicando con il pollice il manifesto dietro di lei. La locandina ritraeva una donna seminuda con indosso solo un perizoma luccicante e con una bottiglia di birra in mano.
―Mi è capitato involontariamente di posare lo sguardo e poi, insomma, voglio dire, io non cerco quelle cose da vedere su internet per esempio, non lo faccio, no no no! ― Jordan parlava velocemente cercando di convincere Amy che nel frattempo continuava ad annuire senza ascoltarlo davvero. ―Però sono un ragazzo ed ero curioso, insomma, è una cosa che quando la vedi non… oh, Amy ha davvero tanta importanza? Insomma, non sono un malato di sesso o cose del genere… non cerco le donne nude su internet e non mi vedo film porno!
Amy annuì ancora, prima di ricominciare a parlare. ―Ma infatti per me non è importante. Ciò che fai riguarda solo te! Non me ne frega niente! ― Amy riprese a camminare mentre leggere gocce di pioggia iniziavano a cadere giù dal cielo scuro.
―Credevo che dopo l’altro giorno te ne importasse qualcosa… ― mormorò Jordan rimanendo fermo al centro della strada.
―Forse ti sei sbagliato. ― disse Amy senza fermarsi, le ultime sillabe ingoiate dal fragore di un tuono, il volto ormai bagnato dalla pioggia.
 
 
Amy camminava a passo deciso, percorrendo la stradina buia, mentre la pioggia le martellava ritmica sui vestiti, sulla pelle e la bagnava tutta. Non aveva un ombrello e non le andava nemmeno di infilarsi sotto i balconi per evitare i goccioloni freddi. Aveva lasciato Jordan al centro della strada solo da pochi istanti eppure sapeva che non l’avrebbe seguita. Sospirò affranta.
Certo, il fatto che Jordan l’avesse investita perché impegnato a guardare quel manifesto un po’ l’aveva ferita, ma del resto moriva dalla voglia di mettersi a ridere quando aveva visto la fonte delle sue distrazioni.
Le scappò un sorriso amaro. Sì le era venuto da ridere. Perché allora non lo aveva fatto?
Semplice. Non le andava. Si passò le mani tra i capelli bagnati. A volte sentiva addirittura il bisogno di far star male la gente, ma dopo si sentiva peggio di prima. Era come quando ci si intestardisce per qualcosa. Voleva tenere un certo tipo di comportamento e alla fine era riuscita alla perfezione ad ottenere ciò che voleva. Allontanarlo.
Ma era tutto così stupido e confuso, dannazione! Perché lei non voleva allontanarlo veramente!
Alzò lo sguardo avanti a sé. Non vedeva la fine della strada sia a causa del buio, sia a causa della pioggia fitta e scrosciante. All’improvviso, si sentì afferrare da dietro.
Qualcuno la sbatté contro un muro e la schiena urlò di dolore per l’impatto, facendole chiudere gli occhi. All’inizio credette che fosse Jordan. Poi, aprendo gli occhi, la faccia che le si presentò davanti risultò totalmente diversa.
Amy si sentì sprofondare, lo stomaco fece un salto verso il basso. Spalancò gli occhi per la paura. Prese fiato per urlare, ma era come se fosse bloccata, ogni cosa in lei era immobile, ferma, ferma, ferma. I battiti del suo cuore le arrivavano martellanti alle orecchie e la rendevano sorda. Niente. Non riusciva a fare né a pensare a niente.
Tate ghignò, davanti a lei, il viso gocciolante di pioggia. ―E quello chi era, Amy? ― le chiese ringhiando.
Amy rimase immobile, incapace di fare o dire qualsiasi cosa. Tate la sbatté nuovamente contro il muro ed Amy digrignò i denti per il dolore. Le lacrime le appannarono la vista ma le ricacciò indietro battendo le palpebre. Forte. Doveva essere forte. E doveva rimanere lucida e attiva.
―Rispondimi. ― sibilò Tate a pochi centimetri dal suo volto.
―Nessuno di cui ti possa importare. ― sputò fuori Amy, sorpresa lei stessa per la fermezza delle sue parole. Le mani di Tate le artigliarono le spalle e la spinsero nuovamente contro il muro, con più forza, le dita che premevano con forza sulla pelle. Un gemito di dolore le sfuggì dalle labbra. ―Tu sei mia. ― mormorò con più forza.
Amy si costrinse a guardarlo in faccia con aria di sfida. ―Io non sono di nessuno.
Il pugno la colpì fortissimo sulla mascella. Il fiato le si mozzò in gola, mentre il lato destro del volto bruciava per il dolore. Amy non si sentiva più la parte colpita. Un gemito strozzato le fuoriuscì dalle labbra mentre alcune lacrime le bagnavano il volto. Sbatté le palpebre, cercando di scacciare il buio che le aveva oscurato la vista.
―Dillo! ― esclamò Tate strattonandola più forte. ―Dillo!
―C- cosa? ― ansimò Amy.
―Dì che sei mia! ― soffiò a pochi centimetri dal suo volto.
Amy rimase qualche istante in silenzio, gli occhi semichiusi, il fiato ansante, un dolore sordo che le si trasmetteva lungo tutto il corpo, mentre la stretta di Tate si faceva sempre più forte. Lentamente, scosse la testa. ―No. ― sussurrò. ―Mai.
Un attimo dopo, la stretta che sentiva sulle spalle si allentò e Tate la afferrò per la gola. La sollevò di qualche centimetro dal terreno e iniziò a stringere la presa sul suo collo. I piedi di Amy si dibattevano nel vuoto, le mani che graffiavano quelle di Tate nella speranza di scrollarle via dalla gola.
Non sentiva niente. Solo un caldo opprimente nella testa, i muscoli del corpo sempre più insensibili, l’aria che non era mai abbastanza. Ansimò.
Strizzò gli occhi più volte, cercando di scacciare quei puntini colorati che le volteggiavano davanti e che sembravano confondere tutto.
Artigliò le dita scivolose di Tate, ficcandogli le unghie nella carne. La presa si allentò quel poco che le permise di prendere una boccata d’aria. Amy fece forza sulla schiena dolorante e con un colpo d’anche sollevò le gambe all’altezza del busto, colpendo Tate al centro del petto con un calcio poderoso.
Tate barcollò all’indietro, lasciando la presa, ed Amy fu sbalzata sul marciapiede, graffiandosi tutto il corpo e sbattendo la testa contro il muro.
Boccheggiò in cerca d’aria, la pioggia che le cadeva in bocca, mentre cercava di strisciare il più lontano possibile da Tate. Strisciò nelle pozzanghere, mettendo forza nelle braccia e nelle gambe.
Posso farcela, si diceva. Posso farcela.
La testa urlava di dolore, la schiena sembrava un pezzo di carne rigido e bollente, sentiva la gola pulsare. Tossì, respirando a fatica.
Tate fece qualche passo nella sua direzione e le si avventò di nuovo contro. A quel punto Amy aprì la bocca e urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Tate si fermò per un attimo, come disorientato, poi le si scagliò addosso, tempestandola di pugni. Amy incrociò le braccia sul viso, cercando di non farsi colpire nuovamente sul volto, ma ogni colpo era troppo doloroso, le procurava fitte acute e le impediva di respirare. Provò a scalciare, a scostare il corpo pesante di Tate, ma non funzionò. Ad un tratto smise di sentire da dove arrivavano i colpi. Le faceva male dappertutto e le sembrava quasi di essere diventata insensibile alle botte ricevute. Senza forze, abbassò anche l’ultima difesa, le braccia. Forse, era il caso di lasciarsi andare. Nessuno l’avrebbe aiutata. I colpi la raggiunsero anche sul viso, tramortendola. Si accorse di urlare il nome di Jordan solo quando a colpirla non furono altro che gocce di pioggia. Poi, scivolò nelle tenebre. Forse, era davvero finita.
 
 
Aveva già fatto una decina di metri quando sentì l’urlo.
Jordan si fermò un istante, senza capire cosa fosse o da dove provenisse poi, si girò e iniziò a correre nella direzione in cui Amy era scomparsa. La pioggia gli scrosciava impetuosa sul viso, inzuppandogli i vestiti e rendendoli più pesanti.
Non riusciva a vedere molto ciò che aveva intorno, ma in lontananza sentì dei gemiti e cercò di farsi guidare dalla voce. Poi la riconobbe.
Amy lo stava chiamando.
Anzi, stava urlando il suo nome. Con uno scatto poderoso riprese a correre più velocemente, sforzandosi al massimo. Al centro della strada intravide un paio di figure stese per terra e senza pensarci si scagliò addosso a quella più grande. Rotolarono per qualche metro nel fango, senza capire dove fosse il sopra o il sotto, nero mescolato ovunque, pioggia che cadeva dall’asfalto in un mondo rovesciato.
Jordan si rimise in piedi di scatto, i vestiti inzuppati di pioggia e pesanti, l’acqua che gli gocciolava dai capelli. Agguantò per la giacca il ragazzo che aveva travolto e lo strattonò. Spostò un attimo lo sguardo sulla figura accasciata di Amy e una furia cieca lo travolse. Sollevò il ragazzo per il bavero della giacca e con la mano destra gli diede un pugno che lo fece andare nuovamente lungo disteso sull’asfalto.
Gli si avventò ancora contro, colpendolo con un gancio ancora più forte del precedente. Un rumore di ossa frantumate accompagnò il colpo e le mani di Jordan si macchiarono di sangue. Lo colpì ancora e ancora, sino a quando i gemiti del ragazzo non lo costrinsero a fermarsi. Con il fiatone, si sollevò dal suo corpo e corse da Amy. Si accovacciò nel fango e le prese il volto gonfio e sanguinoso tra le mani. ―Amy… ― sussurrò, flebilmente. Le accarezzò il volto piccolo con le mani grandi, la pioggia che lavava via il sangue a poco a poco, diluendolo come se fosse stata acqua colorata. ―Amy! ― chiamò ancora, con voce più forte. Sapeva che non era morta, lo sapeva! Eppure gli veniva da piangere, perché non sapeva quali erano le sue condizioni. Lacrime calde e salate si mescolarono alla pioggia rossa. Jordan tirò su col naso, scuotendo il corpo di Amy.
Ora urlava, chiamando il suo nome. ―AMY!!! Amy, rispondi! ― esclamò dandole qualche schiaffetto leggero sulle guance. Per un attimo credette di aver visto le sue palpebre muoversi, ma pensò fosse stato solo uno scherzo della sua immaginazione. Poi, pian piano, Amy aprì gli occhi.
La vista era sfocata, e la pioggia le colpiva le palpebre, impedendole di mettere bene a fuoco chi le stava davanti. Jordan scoppiò a ridere, per il sollievo. ―Amy! ― continuò, senza smetterle di darle dei colpetti leggeri sulle guance. ―Chi sono? Amy mi riconosci? Chi sono? ― chiese febbrilmente, nella speranza di tenerla sveglia, nella speranza che stesse bene.
Amy sbatté le palpebre un paio di volte prima di rispondere. ―Sei… uno stronzo. ― sussurrò prima di abbandonarsi nuovamente contro di lui.
Jordan scoppiò a ridere per la felicità.
 
 
Amy era stata portata all’ospedale e lì visitata con cura. A parte una costola incrinata e lividi ed ematoma su tutto il corpo, stava benissimo. Aveva anche battuto la testa molto violentemente, cosa che aveva fatto preoccupare molto tutti quanti, ma per fortuna aveva ripreso conoscenza e adesso stava benissimo. Nella sala d’attesa, Jordan, Sarah, Evelyn, Katherine e i genitori di Amy tirarono un sospiro di sollievo quando un’infermiera comunicò loro che era possibile riportarla a casa. Le amiche la salutarono velocemente e Jordan si chinò per sfiorarle le guance con due baci leggeri. ―Ci sentiamo per telefono. ― le sussurrò all’orecchio prima di allontanarsi.
Amy socchiuse gli occhi, lasciandosi trasportare sino all’auto parcheggiata fuori dall’edificio. Era così stanca.
E vuota.
Non era in grado di rimettersi in piedi ma più che per il dolore, ciò era causato dalla stanchezza. Lo scontro con Tate, l’aveva così provata emotivamente, che adesso non sentiva più nulla se non un grande desiderio di dormire per giorni e giorni.
Si lasciò cullare dal lento rombare dell’auto per le strade della città. Era ancora cosciente, troppo confusa per prendere sonno ma allo stesso tempo troppo stanca per pensare a qualsiasi cosa. Si sentiva un fagotto informe nelle braccia del padre mentre la portava a casa e la adagiava sul letto.
Socchiuse gli occhi, abbandonandosi alla freschezza e al profumo delle lenzuola pulite. Com’era bello ritornare a casa!
Inalò il delicato profumo di lavanda del suo cuscino, strofinandoci contro la faccia un paio di volte, ignorando il dolore. I sussurri dei suoi, poco fuori alla porta, le arrivavano a scatti. ―Dici che dovremmo chiederle cosa è successo? Abbiamo solo la testimonianza di quel ragazzo… ― la voce di sua madre era alquanto tesa e preoccupata. E per cosa poi? Lei stava così bene…. Adesso era in paradiso. Nel suo letto. Non voleva nient’altro.
―Il dottore ha detto chiaramente di farla riposare. E la vedi anche tu che non è in grado di rispondere a qualsiasi domanda! Sembra un vegetale!
Questo no, però! Amy ripensò alla voce aspra del padre, sembrava arrabbiato per qualcosa. Si accigliò. Le cose le capiva, non era mica stupida! Lei non era un vegetale!! Un gigantesco sbadiglio le fece spalancare la bocca. O forse sì? Si chiese, prima di scivolare nel sonno.
 
Si svegliò parecchie ore dopo, guardandosi intorno. Era sola.
Improvvisamente tutti i ricordi di ciò che era avvenuto la assalirono. Tate che la picchiava selvaggiamente, Jordan che correva in suo aiuto. Lei che urlava il suo nome.
Insieme ai ricordi riemerse anche il dolore soffocato dagli anestetici. La testa le doleva moltissimo, così come tutte le parti del corpo. Si sentiva il viso gonfio e caldo, una sensazione insopportabile. Cercò di pronunciare qualche parola e si accorse che anche parlare le costava molto  dolore e fatica. Sospirò, affranta, mentre una nuvola di emozioni diverse e contrastanti si faceva spazio dentro di lei. Erano tutte così confuse…. Un odio terribile nei confronti di Tate, una rabbia accecante verso tutti e in primis verso se stessa. Cosa sarebbe potuto accadere se Jordan non l’avesse sentita? Avrebbe potuto essere violentata o uccisa da Tate. Quel fottutissimo bastardo del cazzo!
Amy grugnì di rabbia cupa al pensiero di Tate. Come aveva osato? E soprattutto lei, stupida stupida stupida, come aveva fatto a prendere sottogamba una situazione del genere? Come aveva fatto a non fidarsi di nessuno, a non dirlo a qualcuno, a non chiedere aiuto?
Amy scoppiò a piangere, affondando il viso nel morbido cuscino. Quanto si sentiva stupida e debole e cretina e una bambina…
Pianse ancora più forte, mentre un senso di impotenza le si diffondeva in tutto il corpo. Forti singhiozzi le uscirono strozzati dalla gola, le graffiarono la trachea come se avessero degli artigli, mentre le lacrime bruciavano per la vergogna e per il dolore sulle ferite del viso. Una mano fresca e gentile le accarezzò la schiena.
Amy non si mosse, non smise di piangere perché si sentiva così vuota e stupida, così inutile e fragile.
―Shhh… ― il sussurro gentile le accarezzò la nuca. ―Shhh. ― ripeté ancora, nel tentativo di calmarla. Amy tirò su col naso, smettendo di singhiozzare, senza riuscire, però, a porre un freno alle lacrime che scivolavano giù dagli occhi copiose e  inarrestabili. Si girò, piano, cercando di non gemere per il dolore quando le parti doloranti del suo corpo sfioravano il materasso. Il sorriso dolce e gentile di sua madre la accolse a pochi centimetri dal suo viso. Amy si tuffò tra le sue braccia mentre la mamma le accarezzava i capelli. ―Ne vuoi parlare? ― chiese piano la donna, ma Amy scosse la testa. ―No, mamma. Scusa ma ora… ho bisogno di stare sola. Non voglio parlarne.
La mamma annuì e la aiutò a distendersi. Poi le sfiorò delicatamente la fronte con le labbra e uscì dalla stanza. Amy stette al buio per qualche istante, ad ascoltare il respiro silenzioso della casa attorno a sé. Poi allungò una mano verso il comodino e prese il cellulare, aprendolo. Erano le tre del mattino.
Aveva molti messaggi non letti, tutti delle sue amiche e di Jordan. Lesse solo i suoi, cercando di tenere a freno le strane emozioni che provava per lui. Gratitudine, ma aveva anche una voglia matta di piangere contro di lui, di farsi abbracciare e consolare da lui.
Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, concentrandosi su ciò che le aveva scritto. “Come stai? Riposati.”Oppure “Spero tu stia meglio. Chiamami il prima possibile”o “Se quel bastardo lo prendo lo uccido, non lo risparmio.”o, ancora, “Ti prego, non sparire di nuovo, mi raccomando”,“Non fare altre sciocchezze, ricordati che ti voglio tutta intera per la rivincita a Final Fantasy!”e “Amy, dico sul serio. Appena stai meglio chiamami. A QUALUNQUE ora”.
Chiamarlo. A qualunque ora. Il cuore di Amy iniziò a battere più velocemente mentre con dita tremanti apriva l’ultimo messaggio. “Ti voglio bene.”
Ti voglio bene. Ti voglio bene. Ti voglio bene. Tivogliobene.
Quelle parole iniziarono a mescolarsi confuse nella testa di Amy, che si ritrovò a deglutire più e più volte con il volto accaldato. Si morse le labbra sovrappensiero prima di lanciare un soffocato gemito di dolore. Le labbra erano gonfissime ed intoccabili. Chiamami a QUALUNQUE ora. Poteva farlo davvero?
Erano le tre di notte, sarebbe stato egoista chiamarlo a quell’ora, probabilmente dormiva e lei non voleva disturbarlo.
Mise via e riprese il telefono almeno un centinaio di volte. Poi, sbuffando, si decise a premere il tasto di chiamata. Jordan rispose dopo il terzo squillo. ―Amy? ― la sua voce era un misto di sonno, ansia, felicità e qualcos’altro che Amy non riusciva a comprendere. Tossì. ―Sì.
―Ero preoccupato per te. Come stai? Tutto bene? Dio, vorrei venire lì e stringerti.
Il cuore di Amy prese a battere all’impazzata. Venire lì e stringerla? Sì. Sì sì sì sì sì! Lo voleva anche lei! No…. No. No, che non lo voleva.
―Tu- tutto bene. ― balbettò impacciata. ―Jordan…
―Sì?
―Io… non so che fare. Sono… ― Amy sospirò, un sospiro che le fece salire nuovamente agli occhi le lacrime. ―Sono così confusa! ― singhiozzò.
Anche dall’altra parte giunse un sospiro. ―Devi denunciarlo. ― la voce era decisa dall’altro capo, non ammetteva soluzioni alternative. Amy singhiozzò più forte.
―Su, su, Amy! ― la spronò Jordan. ―Dov’è finita la ragazza tanto forte e determinata che ho conosciuto al castello? Quella ragazza che mi ha riempito di parolacce perché le avevo pestato un dito e che non è crollata ai miei piedi come facevano tutte le altre quando vedevano che ero bello e quando sapevano che ero ricco?
―Io non sapevo che eri ricco… ― lo interruppe Amy in un sussurrò divertito. Jordan rise, dall’altro capo. ―Ecco, vedi? Sei la solita sarcastica, ironica, sfacciata e scurrile ragazza di sempre. Sei Amy. Sei libera e viva. Non permettere che questo episodio ti ferisca o ti faccia cambiare. Sorridi e riprendi ad essere quella che sei. Vivi, fallo per me. Non ti lasciare abbattere. ― la voce di Jordan era poco più di un sussurro ma era forte, calda e decisa a vibrava di energia. Amy tirò su col naso.
Le sue parole erano molto dolci ma… ―Jordan, io non sono la persona forte e determinata che hai descritto. Non lo sono mai stata.
―Cosa?! Ma Amy vuoi scherzare? Ti sei tenuta tutto questo dentro perché avevi paura di coinvolgere le tue amiche in questa situazione e ti ritieni debole? Una qualunque persona sarebbe esplosa molto prima, si sarebbe rinchiusa in casa, non avrebbe fatto più nulla, avrebbe smesso di vivere! Tu invece hai continuato ad andare avanti nella speranza che finisse, ti sei spinta sino all’ultimo e solo perché volevi proteggere chi ti stava accanto. Il tuo muro è caduto più volte ma l’hai sempre rialzato e ricostruito.
―Jordan è stato stupido! Non avrei dovuto fare nulla di ciò che ho fatto! Dovevo dirlo a qualcuno da subito!
―Sì. È stato stupidissimo. Avresti dovuto dire tutto a qualcuno da subito, sì. Doveva essere questo il tuo comportamento. Eppure, hai agito diversamente non per proteggerti ma per proteggerci. Ugualmente stupido, ma degno della mente contorta di una persona forte. ― il ragionamento di Jordan le strappò una mezza risata. Aveva ragione. Era stata una stupida, aveva agito da stupida, incosciente e irresponsabile ma era forte e non aveva nessuna intenzione di chiudersi in un guscio e morire.
Voleva riprendersi la sua vita. Prima, però, l’incubo doveva finire. E per farlo finire doveva fare esattamente ciò che Jordan le aveva detto. Denunciarlo.
―Va bene. ― dall’altra parte del telefono si sentì un sospiro di sollievo ed Amy sorrise, ricordando quando, alla festa, Jordan le aveva detto che non credeva possibile che qualcuno potesse costringerla o convincerla a fare qualsiasi cosa. Beh, lui c’era appena riuscito. ―Jordan? ― chiamò, dopo alcuni istanti di silenzio.
―Sì?
―Vienimi a trovare in questi giorni, okay?
Jordan sorrise, abbandonandosi sul letto. ―Speravo che l’avresti detto.
 
 
 
Amy sedeva sul letto e stava discutendo con i suoi genitori. Aveva raccontato tutta la vicenda dall’inizio alla fine, vale a dire al pestaggio e aveva comunicato ai suoi, la decisione di denunciare Tate. I genitori erano stati d’accordo con lei sull’ultima decisione ma era passato un bel po’ di tempo durante il quale l’avevano rimproverata aspramente. Il suo comportamento era stato stupido e sconsiderato, cosa cercava di ottenere? Poteva succedere di peggio, lo spavento che c’era stato, quel ragazzo maledetto, per fortuna l’avevano trovata….
―Ma ti rendi conto di ciò che poteva succedere? ― le chiese il padre per l’ennesima volta. A stento si tratteneva dal darle uno schiaffone paterno. Si tratteneva perché a ricordargli che la figlia ne aveva già ricevuti molti, c’erano le condizioni pietose del suo viso.
―Lo so, papà. Sono stata una stupida. ― rispose Amy con lo sguardo basso per l’ennesima volta. ―Vi prego solo di una cosa, però. ― aggiunse subito dopo ed entrambi i genitori la guardarono, in attesa. ―Dopo che avremo fatto la denuncia, vi prego di occuparvi della situazione. Io non voglio sapere più nulla, non voglio sapere come si concluderà la storia, non voglio sapere niente. Voglio dimenticare quanto successo il prima possibile e mettere un pietrone su tutta questa storia.
I genitori stettero in silenzio per un po’, poi annuirono.
Era fatta, dunque. Era finalmente finita.
Amy si abbandonò contro le coperte, sospirando di sollievo, come se si fosse tolta un grande peso dalle spalle.
Era finita.
 
 
I giorni di convalescenza furono, per Amy, un vero supplizio. Sarah ed Evelyn andavano a trovarla molto spesso per passarle gli appunti dei compiti e si sentivano altrettanto frequentemente per telefono. Ormai la scuola era agli sgoccioli e i professori si affaccendavano a spiegare gli ultimi argomenti e ad interrogare gli ultimi sventurati.
Amy aveva già dato gran parte delle interrogazioni, fortunatamente, e dal momento che non andava a scuola si gettava a capofitto trai i libri per essere ben preparata.
Sarah ed Evelyn non andavano mai a trovarla per parlare poiché avevano molto da fare a causa della scuola, così come Katherine che si faceva sentire ogni giorno appena finito di studiare. Perciò Amy, per tenersi occupata, cercava di studiare al meglio, ripeteva moltissimo, faceva molti esercizi di matematica e geometria e leggeva molto.
Anche Jordan era stato di parola e le sue visite erano le uniche che non prevedevano lo studio come argomento di cui parlare. Si sfidavano a Final Fantasy o con altri videogiochi, parlavano tantissimo di sport, musica e litigavano quasi sempre su tutto.
―Allora, ― disse lui un giorno, ―mi trovi appetibile adesso che ti ho salvato la vita? Sono improvvisamente diventato affascinante ai tuoi occhi e ti sei segretamente innamorata di me?
Amy rise, spingendolo di lato e facendolo scivolare giù dal letto sul quale erano seduti. ―Ma no! Ho semplicemente deciso che fosse meglio farti entrare tra le mie grazie dal momento che sei ricco! ― gli fece un occhiolino e scoppiarono entrambi a ridere. Jordan le si sedette accanto e la abbracciò. Amy si lasciò cullare dal suo profumo, abbandonandosi contro il suo petto. ―Sono contento che tutto questo sia finito, per te. ― mormorò, sfiorandole la testa con un bacio leggero.
Amy sollevò lo sguardo verso di lui e per un momento rimasero immobili a guardarsi. Jordan allungò piano una mano, e le accarezzò il volto tracciando linee invisibili che andavano dalla tempia destra alla guancia, alla bocca. Lì le dita si fermarono e Jordan prese ad accarezzare dolcemente il labbro inferiore di Amy con il pollice. Ne accarezzò anche lo spacco non del tutto rimarginato, incantato. Amy non riusciva a staccare gli occhi dal volto concentrato di Jordan, non riusciva a respirare. Le dita di Jordan le lasciavano tracce infuocate sulla pelle, che bruciavano dal desiderio di bruciare ancora. Si chinò su di lei, socchiudendo gli occhi ed esitò un attimo ad un soffio dalle sue labbra. Entrambi trattennero un fremito, cercando di non spezzare quel momento. Poi Jordan le sfiorò velocemente le labbra con le sue e la abbracciò. Fu un attimo, troppo veloce per essere gustato appieno, troppo veloce per esserci stato. Non era stato un bacio, solo un tocco leggero di labbra contro labbra così veloce da risultare invisibile, ma che aveva fatto saltare il cuore in gola ad Amy. E adesso si ritrovava tra le sue braccia, tra quelle braccia forti che la avvolgevano così bene, che profumavano così intensamente. Amy tuffò il viso nell’incavo del suo collo e lo abbracciò a sua volta, inalando il suo profumo e stringendosi il più vicino possibile a lui.
Non sapeva ancora cosa fosse, ma era sicura che le cose non erano più come prima, ma erano totalmente cambiate. E sapeva anche che lei e Jordan non erano semplici amici. Provava qualcosa di molto più profondo per lui, qualcosa che andava al di là dell’amicizia o della gratitudine per averla salvata. In quel momento Amy si accorse di volergli davvero bene, nonostante tutti i suoi precedenti sforzi di cacciarlo. Di avergli sempre voluto bene. 


*WHAWAIEAH!
Ciao! Scusate se non ho ancora risposto alle vostre recensioni, provvederò al più presto! :) 
Siete fantastici!!
Occhey, questo capitolo è un po' trauma, mi auguro e spero che vogliate dirmi cosa ne pensate... :)
Un bacione a tutti! <3 (:
Ci sentiremo presto con il prossimo capitolo ho in serbo ancora mooolte sorprese per voi ;p
Ciao!
Kry <3 <3 <3 (:

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 28
*** Capitolo 28. Ospite inatteso. ***


Capitolo 28.

Ospite inatteso.

 

 

Convalescenza finita, tutto era ritornato alla normalità. Mancava davvero una manciata di giorni alla fine della scuola e i ragazzi sentivano quasi di poter sfiorare la libertà con le dita e spezzare quelle pesanti catene che li affliggevano da tanto.
Era stato un anno pesantissimo. Ma così come era ripresa la scuola erano anche riprese le uscite serali. Amy, Sarah e le altre ragazze della comitiva con la quale uscivano attendevano l’arrivo degli altri al luogo dell’appuntamento.
―Insomma, va tutto bene… ― concluse Amy alle domande insistenti di Sarah sul suo stato di salute. La vedeva piuttosto pensierosa e quindi era preoccupata per lei. Un’aggressione non si supera tanto facilmente. Ma Sarah non poteva immaginare che ad occupare i pensieri di Amy ci fosse un altro ragazzo, in quel momento.
Amy si girò per evitare le occhiate preoccupate ed insistenti di Sarah e si ritrovò faccia a faccia con Kyle.
Sorridente.
Amy si accigliò aprendo la bocca per dire qualcosa, quando vide che accanto a lui stava tutta impettita una Evelyn delle più raggianti. Lo sguardo di Amy corse dai volti prima dell’uno, poi dell’altra e alla fine esplose, in direzione di Kyle. ―Che cazzo ci fai tu qui?
Kyle aprì la bocca, tra lo stupito e l’indispettito, ma Evelyn fu più veloce di lui. ―Uscirà con noi, Amy. Fai la brava…
―Cosa? ― gli occhi di Amy erano incapaci di stare fermi più di qualche secondo su una figura in particolare. ―Cosa? ― ripeté ancora, incapace di credere a ciò che aveva appena sentito.
―Evelyn mi aveva detto che eri una piccola scaricatrice di porto, una specie di cane…
―Nessuno ha chiesto il tuo parere, stupido. ― lo interruppe Amy scoccandogli un’occhiataccia. Kyle non aggiunse altro, coprendosi la bocca con le mani per non riderle in faccia.
Amy si indispettì ancora di più, mettendosi a braccia conserte e guardandolo dal basso verso l’alto. ―Cosa c’è, ti faccio ridere solo perché sono piccola ma dico parolacce?
Evelyn intervenne, prima che la situazione degenerasse. Amy quando ci si metteva sapeva rendersi insopportabile e scatenare le risse e i litigi più acerrimi. E decisamente Kyle non le andava per niente a genio. Se quel giorno alla festa si fosse trovata lei al posto suo, non l’avrebbe di certo consolato, ma gli avrebbe detto che era ciò che si meritava.
A volte sembrava avere un cuore di ghiaccio, ma la verità era che aveva paura di essere ferita e quello era il suo modo per proteggersi in anticipo. E poi avevano due comportamenti e indoli completamente diverse. Amy era molto aggressiva e se le volevi davvero bene, dovevi imparare ad andare d’accordo con tutti i lati del suo carattere. Senza contare che dopo tutti i dispetti di Kyle, in classe, Amy come minimo lo avrebbe calpestato alla prima occasione. ―Amy. Basta, per favore. Ho invitato io Kyle ad uscire con noi, sta attraversando un periodo difficile e…
―E mi spieghi cosa dovrebbe fregarmene dei suoi periodi difficili? ― chiese Amy puntando i piedi. Evelyn sbuffò sonoramente. ―Senti. Kyle esce con noi e non si discute. Siamo amici.
Amy lanciò un’ultima occhiataccia di ammonimento a Kyle, prima di allontanarsi stizzita. Sarah, con gentilezza, salutò Kyle e prese da parte per un momento Evelyn. ―Cosa vuoi dire che siete amici? Da quanto vi frequentate e perché non ci hai detto niente? ― le chiese quando furono un po’ più appartate.
Evelyn si passò una mano tra i capelli, cercando di non incontrare gli occhi di Sarah. Si sentiva in colpa per non aver detto loro niente, ma del resto non credeva fosse il momento opportuno né voleva rivelare una cosa del genere subitissimo. Aveva bisogno di metabolizzarla da sola, prima. ―In questi giorni ci siamo sentiti un po’ e abbiamo legato molto. Non ve l’ho mai detto perché era una situazione nuova, strana e  avevo bisogno di vedermela da sola per un po’. ― Sarah sembrava delusa, il fatto che le sue amiche continuassero a nascondere alcuni avvenimenti importanti della loro vita, la feriva. Ma non disse niente. ―Lo vuoi? ― chiese invece la voce inquisitoria di Amy, apparsa dal nulla. Evelyn la guardò e scosse la testa. Amy era impegnata a scrutare Kyle dalla sua postazione e a studiarne tutte le mosse, di modo da potergli saltare addosso al primo sbaglio.
Ma per il momento Kyle stava facendo la sua porca figura con tutte le ragazze della comitiva, come prevedibile. Gli occhi di Amy corsero un attimo ad Evelyn e la ragazza fu lieta di non leggervi delusione. Amy capiva perfettamente come ci si sentiva a non dire nulla ai propri amici e non la criticò per ciò che aveva fatto, ma continuava a lanciare occhiate sospettose in direzione di Kyle. ―È davvero un bravo ragazzo, Amy. ― sussurrò Evelyn, all’ennesima occhiata scrutatrice di Amy.
Alla fine Amy annuì, senza sembrare troppo convinta, però. ―Dovrai raccontarci un po’ di cose, però, Evelyn. ― disse tornando a guardarla.
Evelyn fece finta di non capire ed Amy le rivolse uno sguardo furbetto, di chi ha capito, invece, davvero molte cose. ―Dovrai spiegarci come avete trascorso il tempo e cosa è successo. Del perché improvvisamente Kyle è diventato un bravissimo ragazzo, dall’acerrimo nemico ai tempi delle partite di pallavolo.
―Oh. Certo. ― arrossì Evelyn mentre Amy le faceva un occhiolino e saltellava via, divertita. Sarah sospirò, un po’ affranta e seguì Amy all’interno del gruppo.
Una Katherine trafelata li raggiungeva giusto in quel momento. ―Scusate! ― esclamò a voce un po’ troppo alta e con il fiatone. ―Scusate, ho fatto tardi, di solito non sono mai in ritardo ma oggi proprio… mi dispiace! ― ansimò.
―Non preoccuparti. ― Kyle le regalò un caldo sorriso luminoso, a cui Katherine rispose un po’ titubante. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e afferrò la mano che Kyle le porgeva. La sua stretta era calda e trasmetteva energia e sicurezza. ―Sono Kyle. ― Katherine sollevò gli occhi azzurri su di lui, sorridendo.
―Ciao. Io sono…
―Kat! ― esclamò Amy piombando accanto a Kyle e spingendolo via. La stretta di mano si spezzò, scivolando via con Kyle. Amy abbracciò Katherine con molta foga, mentre Kyle riacquistava l’equilibrio cercando di non cadere. La ragazza spinse via Katherine intavolando una conversazione sui funghi di Norcia e girandosi giusto in tempo per guardare Kyle in cagnesco. Per tutta risposta il ragazzo si spazzolò le mani sui pantaloni e la guardò con aria di sfida. Una mano gli si posò sul braccio con gentilezza e Kyle abbassò lo sguardo, incontrando gli occhi cortesi di Evelyn. ―Non te la prendere. Amy è fatta così, non si fida di te e cerca di tenerti a distanza da noi. Ma vedrai che con il tempo inizierà a difendere anche te. È molto buona.
―È insopportabile. ― protestò Kyle guardando in direzione di Katherine e di Amy. Evelyn sospirò, spingendolo a camminare. ―Dalle tempo, è appena uscita da una situazione difficile. Sai che tempo fa non ti avrebbe fatto tutte queste storie?
Kyle le rivolse uno sguardo interrogativo ed Evelyn rise. ―Lei ha iniziato a non sopportarti davvero quando esageravi troppo con me.
―Oh. ―Kyle sorrise, al ricordo. Ma era un sorriso a metà tra il dispiaciuto e il divertito. ―E cosa pensava di me all’inizio? Era innamorata pazzamente?
―Cosa? ― Evelyn scoppiò a ridere, all’idea di Amy che correva dietro a Kyle. ―No, Kyle. Non per offendere la tua immensa bellezza ma non tutte le ragazze che ti vedono si innamorano di te al primo colpo, pur riconoscendo che sei abbastanza carino.
―Abbastanza? ― chiese Kyle sollevando un sopracciglio. Evelyn rise ancora e si affrettò a spiegarsi. ―Ad Amy piace un sacco disegnare. E ha ripetuto un sacco di volte di aver una voglia matta di fare un disegno del tuo volto. Beh, ecco, non è che l’abbia proprio ripetuto un sacco di volte, però quando muore dalla voglia di disegnare qualcosa si ficca sempre le mani in tasca per non fare tremare le dita.
―Davvero? ― la faccia di Kyle era stupita.
Evelyn annuì, sorridendo. ―Lei non sa che io lo so, però. Non prenderla in giro, ora. ― si affrettò a dire. ―Oh, Kyle ti prego non farlo! Amy è distrutta, per favore!! ― Evelyn si aggrappò al suo braccio, costringendolo a fermarsi.
Kyle stette un istante in silenzio e poi annuì.
―Ti ho detto tutto questo per farti capire che Amy non è cattiva come sembra. È la persona più buona che io abbia mai conosciuto.
Kyle si passò una mano sul viso, sospirando. ―Ma è insopportabile. ― aggiunse.
―Solo qualche volta. ― sorrise Evelyn prima di allontanarsi.
  
 
―E dunque… ti chiami Kat. ― disse Kyle poggiandosi sul muro accanto a Katherine. La ragazza sussultò per un istante e poi gli sorrise gentilmente, arrossendo un pochino. ―Oh. ― rise, ―No a dir la verità mi chiamo Katherine. Kat è solo un diminuitivo che mi ha assegnato Amy.
―Mi piace il tuo sorriso. ― Kyle si sporse nella sua direzione, l’angolo destro delle labbra sollevato in un sorriso seducente. Gli occhi caramello brillavano di una luce calda e sensuale e Katherine ingoiò il groppo che aveva in gola, facendo un respiro profondo. Si morse le labbra, insicura. ―Oh, io…
―Devi rispondere: mi piace la tua gran faccia tosta! ― ringhiò la voce di Amy, apparsa all’improvviso com’era sua specialità. Katherine sussultò, imbarazzata quasi, ma Amy non aveva occhi che per Kyle. Lo guardava di traverso, mettendolo alla prova. Kyle dal canto suo non riuscì a trattenersi dallo sbuffare e dall’alzare gli occhi al cielo. ―Non puoi girarmi al largo per due secondi? ― sibilò nella sua direzione.
―Vaffanculo. ― fu l’unica risposta di Amy, prima di girarsi e allontanarsi.
―Di solito non fa mai così. ― constatò Katherine, allibita.
―Io non le sto molto simpatico. ― mormorò Kyle, sconfitto. ―È davvero dura, scrollarsela di dosso. Mi è stata col fiato sul collo praticamente tutta la serata.
Katherine sorrise. ―Forse non le stai molto simpatico. ― asserì ridendo. E dopo qualche istante anche Kyle si mise a ridere.
―Tu sei della nostra stessa sezione, vero? ― chiese poi, con un sorriso gentile. Katherine annuì.
―Già. Ti ho vista da lontano qualche volta. ― ripresero a camminare lentamente, fianco a fianco. ―Cosa ti piace fare quando hai del tempo libero?
―Beh, leggere e scrivere. Mi piace molto. ― sorrise Katherine. ―A te invece cosa piace?
―Beh… ho dei gusti leggermente diversi dai tuoi. ― ridacchiò Kyle. ―Mi piace fare sport e…
―ROMPERE LE PAAALLEEE! ― cantò Amy a squarciagola, sorpassandoli. Kyle si interruppe per un momento, mentre Evelyn iniziava a rincorrere Amy che saltellava come una pazza a destra e a sinistra. Era indeciso. Non capiva se l’affermazione che Amy aveva urlato fosse davvero riferita a lui o stesse semplicemente scherzando con le altre ragazze. Optò per la seconda opzione ma un’occhiataccia velocissima della ragazza lo fece ritornare sui suoi passi.
Forse tutte e due le opzioni erano sensate.
Scosse la testa e sorrise a Katherine che lo guardava incuriosita. Era una bellissima ragazza, Kyle ne era rimasto colpito dal primo istante. Era fresca, ingenua, pura e dolce. Insomma, stava cercando di capirlo ma Amy lo interrompeva sempre sul più bello.
―Fa sempre così? ― chiese indicando Amy con un cenno del capo, per cambiare argomento.
Katherine tentennò, come indecisa. ―La maggior parte delle volte sì. Ma di solito siamo tutte, pazze. Non nella maniera di Amy, ma ognuna di noi esprime la pazzia a modo proprio. Ci si diverte! ― esclamò Katherine ridendo.
I lunghi capelli d’oro sobbalzarono sulle sue spalle, gli occhi azzurri luccicarono felici per un momento e Kyle ne rimase abbagliato. E il suo sorriso era davvero bello, non mentiva, prima.
―E come mai oggi sembra solo lei quella uscita di testa? ― chiese, riprendendosi giusto in tempo per non sembrare uno stupido.
―Beh… ― Katherine gli si fece più vicina, come se stesse cospirando contro qualcuno, e sussurrò: ―Oggi ci sei tu. E le ragazze sono molto più impegnate ad ammirarti e a cercare di dare una bella impressione.
―Oh. ― Kyle si girò, trovandosi circondato da alcuni visi sorridenti. ―Capisco. ― mormorò subito dopo verso Katherine, con un occhiolino. ―Sono davvero troppo figo per loro.
―E sei anche un bel po’ modesto! ― rise Katherine allontanandosi un poco e rivolgendo ad Amy uno sguardo preoccupato.
 
 
 
―Ti piace, vero? ― gli sussurrò Evelyn poco dopo, guardando gli altri camminare avanti a loro.
―Chi? ― chiese Kyle sulla difensiva ma non poté fare a meno di sorridere a sua volta quando vide l’espressione felice di Evelyn. Sospirò, guardandola sottecchi. ―Un po’, sì. Non ti posso proprio nascondere niente, eh?
Evelyn rise. ―Ma se siete stati tutta la serata a parlare! Mi stupirei se i sassi non l’avessero capito, piuttosto!
Anche Kyle si mise a ridere. ―Cosa mi sai dire di lei?
Evelyn sospirò. ―È  molto dolce. E le vogliamo tutte molto bene.
Kyle la guardò, in attesa di altre notizie.
―Kyle, le altre cose dovresti scoprirle tu piano piano. Se ti piace davvero sarà una bella cosa. ― sorrise Evelyn.
Kyle rimase immobile per un attimo, poi annuì.
―E… Kyle. ― chiamò Evelyn come se si fosse appena ricordata qualcosa.
―So che tu sei cambiato, ma potresti adottare alcuni vecchi comportamenti che non vanno bene. Sta’ attento con Katherine e non farla soffrire inutilmente. Ti ritroveresti davvero tutti contro.
―Cosa stai cercando di dirmi, Evelyn? ― le chiese lui avvicinandosi.
―Solo di non fare cose stupide. E di agire seriamente. ― sospirò lei.
Kyle annuì e le fece una carezza. ―Sono cambiato, Evelyn. Me l’hai fatto capire tu. Prometto che non ti deluderò. ― sorrise.
Evelyn annuì e ricambiò il sorriso.
―E comunque ti darò il suo numero. ― aggiunse superandolo.
Sul viso di Kyle si aprì un sorriso davvero felice.
 

 

 *WHAWAIEAH!
Non so perchè ma ho il dubbio che la scritta WHAWAIEAH cambi sempre... Mah, indagherò xD
Risponderò alle vostre recensioni il prima possibile, purtroppo vado di frettissima in questo periodo... Un'altra notizia... Parto, crociera ;p , e non avrete i miei aggiornamenti la prossima settimana... però appena torno saremo come prima!! ;D Spero che il capitolo vi piaccia, lasciatemi un parere, occhey?? (:
Un bacione,
Kry <3 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29. Patti ***


 

Capitolo 29.

Patti.

 



 

Quella sera, Sarah tornò a casa stanca e demoralizzata.
Era molto confusa e provata e si sentiva esausta. Chiuse la porta della sua camera con un calcio e, senza neanche cambiarsi, si gettò sul letto di schiena. Stette ad osservare il soffitto per un po’, mentre i sospiri si susseguivano sempre più stanchi.
Erano avvenute così tante cose ultimamente…. Tate si era rivelato uno stalker accanito, un violento che perseguitava la sua amica senza che lei si accorgesse di nulla! Si sentiva in colpa anche se era consapevole di non c’entrare nulla in quella faccenda. Si portò le mani ai capelli, osservando il soffitto azzurro della sua camera. E adesso ci si metteva anche Evelyn! Come mai non riusciva a capire più nulla delle sue amiche? Perché non capiva cosa stesse loro succedendo? E soprattutto perché si ostinavano a tenersi certi fatti molto importanti per loro?
Si rigirò nel letto, abbracciando il cuscino… si sentiva così inutile…. Come se avesse perso d’importanza tutt’una volta.
 
 
 
Lee rispose alla chiamata senza pensarci due volte. ―David? ― la sua voce trasudava incredulità. Erano anni che David non si faceva né vedere né tantomeno sentire e adesso lo chiamava, come per magia.
―Ciao, Lee… ― la voce all’altro capo sembrava spenta, o forse troppo agitata.
―Cosa vuoi? ― chiese Lee aspramente. I tempi dei convenevoli erano finiti. Se David si faceva sentire dopo tanto tempo, doveva esserci un motivo ben preciso. Anni fa, quando si era trasferito ed era scomparso dalla circolazione aveva ignorato tutti, lui, che era il suo migliore amico, e Sarah, che era la sua ragazza. Non capiva proprio cosa volesse da lui, adesso.
Era sempre stato un tipo piuttosto orgoglioso, quindi non l’aveva certamente chiamato per niente dopo tanto tempo passato a sfuggirgli.
―Devo chiederti un favore… ― la voce di David aveva un che di supplichevole, qualcosa che fece andare Lee fuori dai gangheri. ―Che cosa ti fa pensare che io sia disposto a farti questo favore? ― ringhiò, incurante di qualsiasi reazione da parte dell’ex-amico.
Dall’altra parte, un sospiro. ―Perché riguarda una persona a cui entrambi teniamo moltissimo.
Lee ammutolì, il fiato intrappolato in gola. Sentiva lo stomaco essersi fatto di pietra, duro, duro, duro, che lo trascinava in fondo. Fu costretto a sedersi sul bordo del marciapiede, le mani tremanti. ―Sarah. ― sussurrò, col cuore in gola.
Dall’altra parte, a confermare ciò che aveva appena detto, scese il silenzio. Un silenzio carico di sottintesi.
Lee serrò la mascella, la rabbia che iniziava a scorrergli frenetica nelle vene. ―Che cosa vuoi ancora da lei, David? L’hai fatta soffrire abbastanza!
―Lee, calmati. Ho solo bisogno di parlarle. ― mormorò l’altro.
―Parlarle? ― urlò Lee, incurante delle persone che si voltavano a guardarlo. ―Lei non vuole parlare con te, David. Hai avuto le tue occasioni e le hai sprecate mille volte. Non ti permetterò di farle ancora del male!
―Non le farò del male, Lee, lo giuro! ― anche la voce dall’altro capo adesso era tesa ed impaziente. ―Devi credermi. Io voglio solo incontrarla, mi basta un unico incontro, un’unica volta, ma devo vederla, Lee. Lo capisci?
―Perché hai chiamato me? ― la voce di Lee adesso era poco più di un sussurro. Si passò una mano sulla fronte, si sentiva come se il mondo gli fosse crollato addosso proprio in quell’istante.
―Perché lei non mi avrebbe mai risposto! E io ho bisogno di vederla! ― Lee scosse la testa, stancamente. Non poteva negare a David di vedere Sarah, non spettava a lui decidere. Ma non voleva nemmeno che le infliggesse nuove ferite, non voleva assolutamente che Sarah soffrisse ancora.
E soprattutto sapeva di non volere un nuovo avvicinamento di David a Sarah.
Sospirò. ―Se la fai soffrire, David ― cominciò, con voce grave e terribilmente seria, ―Se la fai soffrire, ti giuro che te ne pentirai.
 
 

 



―Si può sapere dove cazzo mi stai portando? ― chiese Amy imbestialita.
―Aspetta un attimo! Ti assicuro che è un posto bellissimo. ― dichiarò Jordan posandole le mani sulle spalle per guidarla.
Amy si sfregò la pelle sotto la fascia di stoffa che le copriva gli occhi, divertita. Che aveva in mente Jordan?
Si sentiva un po’ inquieta ma anche tremendamente felice e curiosa. Era una strana sensazione alla bocca dello stomaco, che le bruciava di un tepore piacevole.
Era esaltante. Ma non voleva farlo vedere a Jordan.
―Sta’ attento a dove mi fai mettere i piedi! Non ho nessuna intenzione di cadere per terra! ― disse con voce altezzosa.
―Tranquilla. ― rise Jordan. ―Attenta, qui si sale.
Amy inciampò sul primo gradino ma riuscì a riacquistare subito l’equilibrio e soffocò un grugnito. Diede un colpo a Jordan, ricavando l’imprecazione di un passante che non c’entrava nulla. ―Ops! ― si scusò Amy mentre l’altro si allontanava borbottando qualcosa sulla stupidità dei giovani.
La ragazza si girò verso la fonte di alcuni sghignazzi e colpì senza esitazione. Jordan smise subito di ridere. ―Okay. Scusa, non è stato carino.
Amy fece una smorfia di sufficienza. ―Già. Adesso muoviamoci, troglodita.
Jordan sbuffò, divertito, e la fece camminare ancora per qualche passo.
―Eccoci. ― disse infine, facendola fermare. Le sfiorò il volto con le dita, in perfetto silenzio, e snodò la fascia di stoffa. Amy strizzò gli occhi per un istante, accecata. ―Ma che…? ― davanti a lei c’era una distesa erbosa, un albero e, dietro, il castello. Si voltò verso Jordan con uno sguardo interrogativo. ―Mi hai trascinato fino qui solo per farmi ammirare la vista del castello? ― chiese incredula. ―Che ha di tanto speciale questo posto, me lo spieghi? ― chiese ancora, voltandosi verso il castello. Forse non aveva visto qualcosa.
Ma no, quel posto era lo stesso di prima, rimasto immutato.
Si voltò nuovamente verso Jordan, che invece sorrideva felice. ―Vedi quell’albero? ― disse, indicandole l’unico albero in mezzo al prato.
Amy fece cenno di sì, sollevando un sopracciglio.
Jordan continuò a sorridere, gli occhi che luccicavano. ―Lì è dove ti ho pestato il dito. ―disse, annuendo convinto, ad una Amy confusa. ―Non credo fosse il caso di ricordarmelo. ― replicò con una smorfia. ―E lì, ― continuò Jordan indicando un punto poco distante nell’erba, e facendo finta di non sentirla, ―lì è dove mi hai riempito di parolacce per ciò che avevo combinato. ― rise.
Anche ad Amy scappò un sorriso, al ricordo. Jordan le stava vicino, ne sentiva il profumo dolce e avvolgente che tanto aveva amato in quei giorni. Poteva sfiorarlo con le dita se solo lo desiderava. Poteva… era lì, proprio accanto a lei.
Ricordò come quel giorno avesse pensato che era un bel ragazzo e come avesse scacciato via a forza quel pensiero perché doveva rimproverarlo per ciò che aveva combinato al suo dito.
―Io non capivo cosa volessi, all’inizio. Mi sembravi una pazza che voleva solo attirare l’attenzione. ― continuò Jordan ed Amy smise di osservare i punti che indicava e prese a guardarlo con un sorriso sulle labbra.
Il sole gli accarezzava il volto, illuminandone i lineamenti. La curva morbida delle labbra piegate in un sorriso felice, l’azzurro degli occhi rilucente alla luce del tramonto, i capelli castani tinti d’oro, l’ombra degli zigomi, il profilo dritto del naso, la fossetta nella guancia destra. ―Lì è proprio dove ti ho vista disegnare e tu non mi sentivi e io ho cercato di chiamarti più volte prima di posarti una mano sulla spalla facendoti spaventare e… ― Amy si mise in punta di piedi, gli prese il volto tra le mani e lo baciò, interrompendolo.
Jordan rimase stordito per un attimo, il braccio ancora sollevato a mezz’aria per indicare uno dei tanti punti del prato. Poi avvolse le braccia muscolose attorno alla vita di Amy e la attrasse dolcemente a sé, ricambiando il bacio.
Le mani di Amy si fecero spazio tremanti trai i suoi soffici capelli, accarezzandogli la nuca. Fu un bacio appassionato. Prima dolce e lento, labbra premute contro labbra, poi più languido e focoso. Jordan la strinse a sé, stringendole la maglietta sulla schiena, inspirando il suo profumo. Le schiuse dolcemente le labbra, mordicchiandole il labbro inferiore. Amy sorrise contro la sua bocca, senza staccarsi da lui, gli occhi chiusi, i sospiri felici.
―Si può sapere che aspettavi a farlo? ― gli sussurrò contro le labbra.
Jordan le accarezzò i capelli per un momento. ―Non ero sicuro che tu fossi pronta…. Dopo tutto quello che hai passato, volevo darti del tempo per… riprenderti, chiarirti le idee…
―E tu saresti stato disposto ad aspettare tutto quel tempo? ― lo interruppe Amy, sussurrando dolcemente.
Jordan annuì ed Amy lo baciò un’altra volta.  ―Ti do una bella notizia, allora. ― mormorò tra un bacio e l’altro.
―Mhmm?
―Puoi baciarmi tutte le volte che ne hai voglia.
Jordan sorrise.

 

*WHAWAIEAH!
(: Ciao a tutti, rieccomi tra voi!
Cavoli, in vacanza era una pacchia, vorrei tanto tanto tanto essere ancora lì anche se mi siete mancati.. ;) e mi è mancato aggiornare... pubblicare questo capitolo è stata una faticaccia, perchè internet da problemi, forse il pc è infestato da qualche virus D:
Spero che vi sia piaciuto :)
Aspetto con ansia i vostri pareri, un bacione!!
Kry <3 <3 <3

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Capitolo 30
*** Capitolo 30. Gita al mare. ***


Capitolo 30.

Gita al mare.

 

Katherine guardò il cellulare con un’occhiata sospettosa, ma poi decise di rispondere al numero sconosciuto. ―Pronto?
―Ciao, Katherine! Sono Kyle. ― disse una voce entusiasta all’altro capo.
―Oh! ― esclamò Katherine sorpresa. ―Ciao.
―Evelyn mi ha dato il tuo numero…. ― si affrettò a spiegare Kyle.
―Sì… va bene… ― rise Katherine.
―Senti visto che l’altro giorno non siamo riusciti a scambiarci mezza parola per via di Amy, ― cominciò, ―che ne diresti se ci vedessimo noi due, oggi? Sei impegnata?
Katherine esitò, prima di rispondere, il cuore che le martellava il petto velocemente.
―Sono… sono libera. ― disse con voce strozzata. Le guance erano rosse e si sentiva accaldata. Possibile che Kyle le stesse già chiedendo di vedersi? Insomma, loro due da soli. ―Va bene. ― confermò nuovamente, senza sapere nemmeno cosa l’avesse spinta a dire che andava bene.
―Perfetto! ― esclamò con foga Kyle. ―Vediamoci al molo cinque alle sei. Ah! e porta un costume…. ―disse, interrompendo la telefonata.
 

 


―Ehi, Lee! ― esclamò Sarah gettandosi sul letto e stringendo il telefono tra le mani. ―Che succede?
La voce, dall’altro capo, risuonò abbattuta. ―Sarah, è successa una cosa.
La ragazza balzò a sedere, preoccupata. ―Dimmi tutto.
―Mi dispiace dovertelo dire per telefono, ma ora non sono a casa. David mi ha chiamato, ieri.
Sarah rimase in silenzio sentendo rimbombare il vuoto attorno a lei. David. Era tanto che non pensava a lui, erano accadute tante cose in quel periodo. David.
Un’onda di bile la attraversò da capo a piedi, facendola tremare.
―Sarah… ― la voce di Lee era cupa e la ragazza capì che anche per lui doveva essere stato un duro colpo. Tossicchiò, per far capire di essere ancora lì.
―Lui ha chiesto di incontrarti. ― cinque parole pesanti come mattoni. Tutto iniziò a girare vorticosamente, tutto si confuse, come le acque di un torrente torbido e silenzioso.
 
 
Katherine si guardò attorno costernata. Il costume doveva metterlo addosso sotto i vestiti o portarlo a parte?
Si morse le labbra, indecisa, e alla fine optò per la prima alternativa. Non voleva chiamare Kyle per una cosa del genere.
Si vestì velocemente, cercando di tenersi occupata per non pensare alle domande inevitabili che si sarebbe posta.
Alle sei. Al molo cinque. Porta un costume.
Che cosa avrebbero fatto? A che serviva il costume? E perché proprio al molo cinque?
Indossò i pantaloncini, improvvisamente conscia di non essere più sicura di voler andare. Poteva sempre chiamare e dire che aveva avuto un impegno improvviso.
Ma non era brava a mentire, nemmeno per telefono, e non era da lei rimandare un appuntamento.
La parola riecheggiò nella sua testa. Appuntamento.
Era forse un appuntamento quello tra lei e Kyle? Uno di quello tra ragazzi che si sfiorano le dita l’un l’altro e alla fine finiscono per baciarsi appassionatamente?
L’idea le procurò una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Kyle l’aveva colpita sin dal primo istante, ma che sapeva di lui?
La parte razionale di sé le imponeva di fermarsi e pensare a cosa sarebbe potuto capitare, al senso che aveva tutta quella faccenda.
Un’altra parte di lei, invece, non vedeva l’ora di trovarsi con Kyle da sola, di guardare tranquillamente il suo viso perfetto, i suoi lineamenti caldi e sicuri. Di conoscerlo meglio e di parlare con lui.
Guardò l’orologio. Erano le cinque meno cinque e se voleva arrivare puntuale al luogo prestabilito, doveva darsi una mossa.
Casa sua era molto lontana rispetto al molo cinque e aveva voglia di camminare. Anche perché se avesse chiesto al padre di accompagnarla di sicuro avrebbe fatto un sacco di domande.
Scelse una semplice maglietta bianca e la indossò sopra al costume turchese. Poi afferrò la borsa e si decise ad uscire di casa.
 
 
 
Lui ha chiesto di incontrarti.
Era così che funzionava. David chiedeva e otteneva.
Era viziato, viziato, viziato sino al midollo. E lei non poteva fare a meno di pensare che se era diventato così, se non era cambiato, era anche colpa loro.
Loro, di tutti quegli amici che gli avevano concesso troppo.
Troppa fiducia, troppa stima, troppo rispetto, troppa importanza, troppo amore. Decisamente troppo. Troppo per una persona che in realtà non meritava niente.
Non sapeva cosa fare e cosa rispondere.
Lee le aveva spiegato che David era fermamente intenzionato a vederla e che non si sarebbe fermato di fronte a nulla. Ma quello non era vero.
Lui non l’aveva chiamata per paura di un suo rifiuto.
Sapeva che lei lo avrebbe mandato a quel paese prima ancora di lasciargli spiegare alcunché. Perché era stanca dei suoi giochetti e ne aveva abbastanza di lui.
Il suo momento era da tempo tramontato e non c’erano speranze né possibilità che loro due potessero anche solo stabilire un rapporto che sfiorasse la parola civile.
Ma credeva anche che se David era intenzionato ad ottenere qualcosa, prima o poi l’avrebbe ottenuta. E lei non voleva vivere come aveva fatto Amy in tutto quel tempo.
Lei voleva uscire di casa senza guardarsi attorno nervosamente nella paura folle che qualcuno si appostasse nell’ombra.
Che David si appostasse nell’ombra.
Perciò indossò i jeans larghi che erano stati abbandonati sulla spalliera della sedia, mise una maglietta rossa aderente e si precipitò fuori casa, la borsa a tracolla che pendeva dalla spalla.
Avrebbe incontrato David quel pomeriggio stesso.
E dopo, sarebbe stato fuori dalla sua vita per sempre.
 
 
 
Quando Katherine arrivò, non le fu difficile individuare Kyle. Era in piedi su una barca e le faceva cenno di avvicinarsi.
Camminò titubante nella sua direzione, senza cercare di nascondere il sorriso che le si affacciava sul viso. ―Che cos’è? ― chiese una volta vicina a Kyle.
Quello sorrise e si inchinò platealmente. ―Una barca, milady.
Katherine rise, gettando la testa all’indietro, mentre una cascata d’oro scivolava giù dalle sue spalle. ―Oh, sir, voi siete esilarante!
Anche Kyle si mise a ridere, incapace di trattenere la gioia che premeva contro la sua pelle ed il suo corpo per essere liberata. Senza smettere di sorridere le porse una mano per aiutarla a salire a bordo.
Katherine la afferrò con un sorrisino dolce. I palmi delle mani scottarono quando entrarono in contratto e i due ragazzi si allontanarono un poco, imbarazzati.
La barca non era altro che un motoscafo del bianco più limpido.
Katherine la guardò con ammirazione. ―È tua? ― gli chiese, sedendosi e poggiando la borsa sul fondo.
Kyle si passò una mano sulla nuca e si voltò verso i comandi, per evitare di guardarla.
―A dire la verità è di mio zio. Me l’ha… prestata. ― si girò nuovamente in direzione di Katherine, sorridente.
I motori erano già azionati. ―Allora, lo facciamo questo giro in mare?
La ragazza si guardò intorno, incapace di trattenere l’entusiasmo ed annuì, contenta.
Kyle sorrise e si girò verso il pannello di controllo. Un attimo dopo, il vento sferzava loro i capelli e l’acqua spruzzava in mille direzioni. Kyle fece cenno a Katherine di sedersi accanto a lui ed entrambi si sorrisero, felici.
Si sentivano come due bambini.
O meglio, erano ragazzi, ma con la felicità infrenabile tipica dei bambini, quella gioia che è imbattibile, è pura ed infinita.
Ad ogni onda che faceva sobbalzare la barca si sollevavano le risate di entrambi. Ogni scusa era buona per sorridere, ridere e sorridere di nuovo sino a star male, perché sorridere era una cosa bellissima e ad entrambi piaceva vedersi felici.
A volte arrivavano gli schizzi delle onde e li bagnavano, ma quasi non se ne accorgevano per quanto erano presi l’uno dall’altra, dal sole riflesso nei capelli e negli occhi, dal cielo blu che si tuffava nel mare all’orizzonte, dal profumo salmastro dalla distesa d’acqua che li circondava.
All’improvviso, risuonò nell’aria il rumore di una sirena. Katherine e Kyle si girarono. Lei guardò perplessa la nave della guardia costiera che si avvicinava, lui, intanto, impallidiva. 
Al di sopra del rumore del mare e del motore si stagliò una voce. ―Fermatevi! Fermatevi, guardia costiera! Quell’imbarcazione è rubata!
Katherine corrugò le sopracciglia e si girò in direzione di Kyle. ―Non capisco… dev’esserci un errore. ― ma Kyle non rispondeva e guardava la nave della guardia costiera terrorizzato.
Gli occhi di Katherine si spalancarono per lo stupore. ―Hai rubato una barca?
Gli occhi di Kyle incontrarono per un attimo quelli allarmati della ragazza prima di abbassarsi in un’ammissione di colpevolezza. Katherine trasalì, spaventata. ―Ommiodio, Kyle! Fermiamoci subito!
―Cosa? Se ci fermiamo ci prendono! ― protestò il ragazzo con una luce accesa negli occhi.
―E cosa proponi di fare? Continuare ad andare avanti fino a che non ci finisce il carburante? È la guardia costiera, per l’amor del cielo! Quelli ci sbattono dentro o per lo meno ci fanno pagare una multa! ― esclamò Katherine concitatamente.
Il suo sguardo saettava dal viso di Kyle alla nave dietro di loro.
Che situazione!
Sul ponte della nave la ragazza vide un uomo grasso e con una barba grigia sventolare le braccia verso l’alto. Poi, con uno scatto fulmineo strappò il megafono ad uno degli uomini in uniforme e se lo portò alle labbra. ―BRUTTI STRONZI FERMATEVIII! ― risuonò la voce aspra. ―QUELLO È IL MIO MOTOSCAFO!
―Mamma mia, sembra davvero arrabbiato! ― mormorò Katherine stringendosi la borsa al petto. Kyle la guardò, indeciso sul da farsi.  A qualche metro alla loro sinistra c’era un isolotto. Era molto piccolo e vicinissimo alla costa della città. Se riuscivano a raggiungerlo e poi a scappare abbastanza velocemente erano salvi.
Prese Katherine per un braccio e la guardò dritto negli occhi. ―Allora, devi fidarti di me, intesi?
Lo sguardo della ragazza era molto dubbioso, ma alla fine annuì.
―Bene. ― disse Kyle. ―Sai nuotare?
Katherine annuì nuovamente e Kyle la spinse verso il bordo della barca. ―Al mio tre ci tuffiamo. Dobbiamo raggiungere quell’isolotto. ― disse deciso indicando il pezzettino di terra di fronte a loro. Katherine si perse un momento nel caramello dorato dei suoi occhi. ―Stai scherzando, vero?
Kyle scosse la testa e Katherine sentì una brutta sensazione alla bocca dello stomaco. ―Uno.
Inspira, mantieni la calma, deglutisci.
―Due.
Rapida occhiata alla nave. Ancora lontani.
―Tre.
Il vuoto sotto i piedi, il vento attraverso i vestiti, i capelli liberi al vento, l’aria fredda sulla faccia, vuoto in tutti i sensi.
E poi un fragoroso tuffo tutto intorno. Blu, blu, blu, bollicine che vorticavano confuse davanti al suo volto e danzavano furiosamente verso il cielo, mentre lei veniva spinta sempre più in basso.
Si accorse della mano di Kyle nella sua solo quando lui strinse la presa. Katherine iniziò a nuotare sott’acqua, accanto a lei la sagoma sfocata di Kyle. Quando riemersero per prendere fiato fu solo un attimo e poi di nuovo giù, negli abissi blu brillanti.
Ancora qualche braccio, ed ecco uno scoglio profilarsi davanti a loro e poco più in là un piccolissimo tratto di sabbia deserto.
Katherine e Kyle strisciarono sulla sabbia, stendendosi supini ad osservare il cielo e i contorni frastagliati delle alte rocce attorno a loro. Katherine sputacchiò acqua e prese ad ansimare pesantemente, seguita a ruota da Kyle.
Rimasero in silenzio per lunghi istanti. ―Un tipo simpatico tuo zio. ― ironizzò Katherine facendo ridacchiare debolmente Kyle.
―Sì. ― mormorò, ―Ammetto che è un tipo piuttosto burbero.
Toccò a Katherine ridacchiare. Poi fece un sospiro profondo e si tirò a sedere. Aveva i vestiti tutti appiccicati addosso e la sabbia dorata la rendeva più simile ad una cotoletta che ad altro. La maglietta bianca era diventata completamente trasparente e Katherine ringraziò mentalmente di avere il costume, da sotto. Si scostò le ciocche bagnate dei capelli dalla fronte e si affrettò ad aprire la borsa e a controllare che cosa si fosse rovinato.
Uscì fuori il suo cellulare grondante d’acqua, stretto tra l’indice e il pollice della mano destra. ―Addio. ― mormorò afflitta.
La faccia mortificata di Kyle era tutto dire. ―Mi dispiace. Non doveva andare così.
Katherine lo guardò sottecchi. ―E mi spieghi come sarebbe dovuta andare? ― chiese ironicamente. ―Hai rubato una barca. ― ripeté.
Kyle si passò una mano tra i ricci bagnati e guardò il cielo. ―È stata comunque un’esperienza unica, non trovi? ― improvvisò, facendole un occhiolino. ―E poi sei in mia compagnia, il che è tutto dire! ― esclamò gonfiandosi il petto d’orgoglio.
Katherine ebbe un tuffo al cuore. ―Certo. Non vedevo l’ora di buttarmi giù da una barca rubata in movimento, sprofondare vestita nell’acqua, far annegare il cellulare, essere insultata da un vecchio matto ed essere ricercata dalla guardia costiera! ― ribatté, con un tono a metà tra lo scettico e il divertito. ―E poi sono in tua compagnia il che è tutto dire! ― commentò con voce ironica.
Kyle si sgonfiò come un palloncino.
―Ti facevo più dolce. ― mormorò senza nascondere un sorrisetto divertito.
Katherine sorrise. ―Lo sono. Ma a quanto pare l’influenza di Amy si fa sentire nelle situazioni più estreme.
Kyle si mise a ridere, senza specificare che se ci fosse stata Amy lì con lui, probabilmente l’avrebbe affogato con le sue mani già da un pezzo.
―Ti comprerò un nuovo cellulare, promesso! ― esclamò balzando in piedi e porgendo una mano a Katherine per aiutarla ad alzarsi.
Lei la afferrò sorridendo. ―Spero non ruberai anche quello.
Kyle si strinse nelle spalle e, senza lasciarle la mano, cominciarono a camminare. ―Touché.
 
 
 
Sarah arrivò al luogo dell’appuntamento con dieci minuti di ritardo. Non voleva dare l’impressione a quel sociopatico di smaniare all’idea di vederlo.
Lei era lì solo per toglierselo di torno una volta per tutte.
Lo vide in piedi, davanti alla soglia del caffè che guardava nella sua direzione. I capelli biondi illuminati dalla luce del sole, quegli occhi così azzurri che tanto aveva amato in passato.
Era sempre lui era sempre David. Ma questa era una versione più maschile di lui. Anni prima era solamente un ragazzino, il corpo bello e scolpito già da allora, ma adesso, era ancora più bello.
Sembrava l’incarnazione di un angelo, e Sarah si rendeva conto, avvicinandosi, che le era mancato quel volto così sereno, quel volto che sapeva mantenere la calma sempre, quel volto che l’aveva guardata suscitandole emozioni e sentimenti fortissimi.
Ma adesso, tutto ciò che le suscitava era una rabbia cupa, ed un vuoto ancora più cupo e profondo alla bocca dello stomaco. Decisamente non era un buon segno per David.
Non accennò sorrisi né niente quando la vide, perché sapeva che lei non ne avrebbe fatti.
Sarah si fermò a qualche passo da lui, la schiena ben ritta, le gambe salde e il mento alto. Era la resa dei conti.
Davvero David credeva di poter ottenere qualcosa rivedendola? Che lei gli avrebbe dato una seconda possibilità? Di qualunque genere?
―Vuoi sederti? Ordiniamo qualcosa? ― anche la voce era cambiata. Adesso aveva un tono più roco, più profondo e caldo. Qualcosa di innegabilmente maschile e sensuale.
Sarah lo guardò freddamente e con distacco. ―Non ho bisogno di niente. Non sono venuta sin qui per bere un merdosissimo caffè. ― le parole uscirono fuori in una calma glaciale e sorprendente. Il suo corpo non tremò tradendo l’emozione, né il suo sguardo vacillò per un attimo.
Sarebbe stata scurrile solo quanto Amy sapeva fare, in quell’istante.
David annuì, sospirando pesantemente. Fece qualche passo verso di lei e la afferrò per il gomito, trascinandola con sé senza dire una parola, sgusciando tra i tavolini bianchi del bar.
Qualche metro più in là, Sarah si divincolò dalla presa con uno strattone e lo guardò rossa in volto. ―Tu non hai la più pallida idea di ciò che significhi.  ― disse.
―Tutti questi anni passati senza avere tue notizie, solo porte sbattute in faccia ripetutamente. Non hai nemmeno avuto la decenza di dirmi in faccia che tra noi era finita. Non hai nemmeno avuto la decenza di dirmi il motivo per il quale fosse finita. E non intendo solo la nostra storia, ma anche la nostra amicizia. Mi hai trattato come la peggiore delle puttane, come la peggiore spazzatura di questo pianeta! ― sibilò facendo un passo nella sua direzione e allungando un dito contro di lui.
Aveva il volto congestionato dalla rabbia e il respiro affannoso.
David la guardò senza battere ciglio, poi le prese il braccio e la attirò a sé.
In un attimo Sarah si ritrovò tra le sue braccia, avvolta da un’inconfondibile profumo maschile, avvolta da due braccia toniche e muscolose che la stritolavano in un abbraccio senza fine.
Il primo istante di stupore passò in fretta e Sarah prese a divincolarsi come una furia tra le sue braccia. ―Lasciami! ― urlò, allentando di poco la stretta in cui David la intrappolava.  ―Non hai alcun diritto di toccarmi! Non dopo tutti questi anni!
La stretta del ragazzo finalmente si slacciò e Sarah si trovò ferma a pochi centimetri da lui, una furia, un tornado, un vulcano di rabbia.
Lo guardò in quegli occhi azzurri come il mare, brillanti e lucidi di lacrime, digrignando la mascella. ―Non ti perdonerò mai per ciò che hai fatto. ― sibilò. ―Non so nemmeno perché ti sei preso il disturbo di contattarmi. Tu per me sei morto.
David si portò le mani ai capelli, passandosele tra il ciuffo biondo che gli ricadeva spettinato sulla fronte. Si guardò attorno, indeciso sul da farsi, poi prese Sarah per mano e la condusse in una stradina laterale più appartata.
Sentiva che la mano di Sarah ce la metteva tutta per scivolare via dalla sua, ma strinse la presa e una volta nel vicolo si girò in direzione della ragazza. ―Io sono qui perché non ho mai smesso di pensarti. Ogni giorno, ogni giorno a partire da quando me ne sono andato ho pensato a te. Ho cercato di dimenticarti, ma invano. Eri sempre lì, nei miei pensieri, e più io cercavo di allontanarti, più tu ritornavi a tormentarmi insistentemente. ― sospirò. ―So di non meritare alcuna seconda possibilità, ma io sono qui per supplicarti ugualmente di concedermela. Io ti amo, Sarah, ti ho sempre amata e quando me ne sono andato l’ho fatto perché ero stupido e confuso. Avevo paura che tu e Lee…
Sarah lo interruppe con un grugnito, spingendolo via e scrollandosi di dosso le mani che lui le aveva posato sulle spalle. ―Cosa credevi? ― urlò. ―Che io ti tradissi con Lee solo perché era il mio migliore amico? Solo perché avevamo un’intesa speciale? Hai tradito tutti, David. Non solo me, ma anche Lee e tutti gli altri. Dal primo all’ultimo e solo per delle stupide supposizioni!
―Io ho sbagliato! ― esclamò nuovamente David, afferrandole ancora una volta le spalle e attirandola a sé. ―Non sai quanto abbia sofferto in tutti questi anni, non sai quante volte io mi sia imposto di non correre da voi!
―Ed è questo che avresti dovuto fare! ― protestò ancora Sarah, senza cedere, senza abbandonare il suo cipiglio aggressivo.
―L’ho fatto adesso. ― mormorò David con una vivida luce negli occhi. Era una luce di speranza, ma era anche una luce spenta e stanca.
―Adesso. È troppo. Tardi. ― sussurrò tagliente Sarah, marcando l’ultima parola.
David scosse la testa, cercando di non arrendersi. ―Ho sofferto come un cane in tutti questi anni, Sarah… solo perché sono stato uno stupido…
―E  non pensi che questo faccia soffrire me adesso? ― lo interruppe Sarah incenerendolo con gli occhi. ―Dopo che ti avevo finalmente riposto in un angolo della mia vita su cui avevo messo la parola fine. Ho fatto di tutto per te, David. Di tutto. Sono venuta sino a casa tua solo per vedermi sbattere in faccia il portone ripetutamente, Dio solo sa quante chiamate senza risposta ho effettuato, quanti messaggi non calcolati ho inviato. Ti ho fatto gli auguri al compleanno sperando che tu rispondessi. Ho sperato che fossi tu a farmeli gli auguri, al mio compleanno. Tutte speranze vane. Tutti gesti terminati in lacrime. Ho tenuto duro anche quando tutti gli altri avevano rinunciato, intestardendomi, morendo dentro mille volte quando vedevo che tutti i miei sforzi non valevano, non servivano a nulla. E tu hai solo osato pensare che tra me e Lee ci fosse qualcosa? ― disse, spingendolo violentemente contro il muro. La furia era esplosa. ―E sai che ti dico? Te lo saresti meritato. ― sputò sprezzante,  guardandolo con astio.
―So di avere sbagliato, ma sono qui per chiederti scusa, per rimediare in qualche modo! ― protestò David allungando le mani verso di lei. Sarah le scansò, schifata.
―Tu credi che qualunque tuo gesto possa far tornare indietro il tempo? Il dolore vissuto, non si cancella, David. Imparalo. ― sibilò, gli occhi ridotti a due fessure sprezzanti. ―La verità è che ti sono sempre state concesse troppe cose. Sei sempre stato giustificato per tutto, e ti sei solo cullato, fregandotene degli altri.
David scosse la testa. ―Ti prego, Sarah, ti amo! Io ti amo! ― la supplicò, gli occhi traboccanti di lacrime.
Sarah scosse la testa, imperturbabile. Si sentiva fredda e glaciale come una lama di ghiaccio, anche se dentro mille domande la trafiggevano, la assalivano. ―Il tempo dell’amore è finito David. Fi. Ni. To. ― si girò, decisa a porre fine a quel supplizio durato sin troppo.
Si sistemò la borsa sulla spalla e fece qualche passo, ma improvvisamente si sentì tirare indietro, la borsa cadde ai suoi piedi sull’asfalto scuro e lei si ritrovò tra le braccia di David, il profumo inebriante che le riempiva i polmoni. David chinò velocemente la testa sulla sua senza darle il tempo di pensare e la baciò.
Il solo contatto con le sue labbra, risvegliò in Sarah vecchie emozioni messe a tacere da tempo, un languido e caldo tepore all’altezza dello stomaco, una voragine infinita nella quale cadere e lo sfarfallio di mille ali in tutto il corpo. Ogni centimetro di pelle vibrava impazzito sotto il tocco dei polpastrelli di David, sentiva le labbra infuocate contro quelle di lui e il fuoco si propagava dappertutto, sulle guance, vibrava sordo nelle orecchie, le faceva scottare tutte le parti del corpo, facendola impazzire.
David sapeva da sempre che i suoi baci le facevano quell’effetto. E se ancora quell’effetto persisteva, non significava forse che la situazione tra loro non era del tutto risolta? Dopo tutto quel tempo….
David le poggiò una mano sulla nuca e la avvicinò dolcemente ancora di più contro le sue labbra. Sarah inspirò il suo profumo, si perse nella morbidezza di quelle labbra calde e familiari sotto le sue, le gambe che le tremavano minacciando di cedere.
Dopo tutto quel tempo….
Si staccò improvvisamente, poggiando le mani sul petto di David e tendendo le braccia, per aumentare la distanza tra loro.  Le braccia di lui erano ancora allacciate intorno ai suoi fianchi e Sarah rimase in silenzio per alcuni istanti, guardando verso il basso. La pelle smise di bruciare impazzita, le gambe ritornarono salde.
Prese fiato. Un respiro profondo. Due.
Alzò lo sguardo in direzione di David. Il bracciò partì senza un comando volontario e la mano di Sarah colpì il ragazzo con un manrovescio che gli fece voltare il viso dall’altra parte per la forza dell’impatto.
In quello schiaffo era impresso tutto il dolore, tutta la rabbia degli anni passati. E tutta quella che le stava facendo provare in quel momento.
Perché senza che lei lo volesse, David aveva riaperto i giochi.
Si voltò ed iniziò a camminare verso casa, ancora più confusa
di prima.

*WHAWAIEAH!
Allora, gente, rieccomi qui!
Mi scuso se non ho ancora risposto alle vostre splendide recensioni prometto di farlo al più presto ma ora non ho tempo perchè il pc è conteso e ha la batteria scarica (il caricabatteria non funziona! D: ) 
perciò devo lasciarvi piuttosto in fretta... :/ ditemi in molti cosa ne pensate di questo capitolo, mi raccomando!! :)
Non vedo l'ora di leggere le vostre recensioni, 
un bacio e grazie a tutti!!! <3
Kry (: <3 <3

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 31
*** Capitolo 31. Confusione. ***


Capitolo 31.

Confusione.

 



 

Sarah stava stesa sul letto, girata da un fianco ad ammirare le goccioline di pioggia che colpivano la finestra. Era il primo giorno d’estate, qualche giorno prima era terminata la scuola. Guardò le gocce d’acqua scendere lente e trasparenti lungo il vetro, rendendo il paesaggio dietro di esso dai contorni magici e confusi.
Socchiuse gli occhi, accoccolandosi meglio sul materasso.
Da quando David l’aveva baciata non aveva pensato ad altro.
Aveva accuratamente evitato Lee in giardino, al telefono e qualsiasi punto di contatto potessero avere. All’inizio la cercava insistentemente, poi aveva capito e le aveva lasciato un solo messaggio: quando sei pronta per parlarne, io sono qui.
Ma Sarah non era sicura che parlarne fosse la soluzione ideale.
Non voleva affrontare quell’argomento con Lee. Lui le era sempre stato accanto, in passato aveva saputo ogni cosa della relazione tra lei e David. Ma adesso molte cose erano cambiate.
Sentiva che c’era qualcosa di sbagliato nel parlare a Lee di ciò che aveva provato con David quando lui l’aveva baciata. Era assurdo, ma dopo tutto quel tempo, non riteneva che Lee fosse la persona più adatta a condividere i suoi tormenti per David. Era una strana sensazione vedersi lì a confessargli tutto. Davvero strana.
Sarah sospirò sommessamente.
Aveva perso la bussola. Che cos’avrebbe dovuto fare? Da una parte voleva mandare a quel paese David  e non vederlo mai più.
Dall’altra non poteva negare che tra loro c’era stato qualcosa, una sorta di elettricità frizzante nel momento in cui l’aveva baciata. E, cosa che la lasciava ancora più confusa, si chiedeva come mai avesse provato sentimenti tanto intensi per una persona che credeva aver dimenticato.
Aver dimenticato sentimentalmente.
E poi c’era Lee. Un vuoto allo stomaco la assaliva ogni volta che pensava a lui. Anche quella era una strana sensazione.
Sembrava quasi che si sentisse in colpa per aver provato quelle cose per David. Ma non si sentiva in colpa per se stessa o per i suoi principi.
Si sentiva in colpa per averle provate  e se ne accorgeva solo accostando quel pensiero al viso di Lee.
Si girò ad osservare il soffitto, pensosa.
Ogni cosa era troppo strana.

 

 
Amy camminava incurante sotto la pioggia.
Si sentiva una merda. Alzò lo sguardo verso il cielo plumbeo ricoperto di nuvole grigiastre, e socchiuse le palpebre per impedire alla pioggia di entrarle negli occhi.
Calciò una lattina con forza e a stento sentì il rumore che faceva mentre rotolava lontano sull’asfalto.
La musica dell’mp3 rimbombava a tutto volume nelle sue orecchie, rendendola adrenalinica, tenendo impegnato il suo cervello, stordendola quasi, per tenere a freno la rabbia che provava.
Ormai aveva tutti i capelli bagnati e la maglietta nera le si era tutta appiccicata addosso. Non gliene fregava niente.
“Niente”si ripeté con convinzione. Ma più se lo ripeteva, più non riusciva ad ignorare la rabbia che provava ed Eminem non faceva altro che ripeterle tutte le parolacce che avrebbe voluto urlare in quel momento.
Finalmente le era sembrato che un piccolo barlume si accendesse, nella sua vita. Dopo Tate, quando aveva baciato Jordan, si era sentita felice, felice come non lo era da tempo o forse non lo era mai stata.
Aveva osato alimentare quella piccola fiamma di felicità ed eccola lì, in mezzo alla strada, completamente fradicia, senza avere un posto dove andare e con la sola compagnia di Eminem.
“Basta!”si disse. “Questa storia deve finire in fretta.”
Si avviò con passo marziale giù per la strada e camminò senza fermarsi un attimo, incurante del freddo che le gelava le ossa e della pioggia che le scendeva giù per il corpo attraverso i vestiti bagnati.
Arrivata al portone citofonò con insistenza.
―Chi è?
―Amy. ― sibilò furiosamente.
La porta si aprì ed Amy entrò senza aspettare un momento, il cuore che pulsava sempre più forte mentre saliva le ripide scale, ma non per la stanchezza, per la rabbia.
La porta dove doveva bussare si aprì non appena mise piede sul pianerottolo e sulla soglia comparve il volto radioso di Jordan. ―Ciao, Amy! Ma che… ― il tono scese di parecchie ottave vedendo in che stato era conciata.
Grondava acqua da tutte le parti e di certo l’espressione che aveva stampata sul volto non era delle più amichevoli.
Si fece da parte per farla entrare, ma Amy rimase immobile dov’era, gli occhi scuri fissi su di lui.
―Amy, entra. Vieni, ti do qualcosa di asciutto. ― la invitò il ragazzo, ma Amy non si mosse.
Credeva che le avrebbe detto qualcosa, qualunque cosa per ciò che era successo e invece la invitava ad entrare solo perché era bagnata, solo perché lei era andata sin lì. Aveva sorriso, sì. Ma Amy iniziava a credere che il sorriso di Jordan fosse costruito appositamente su di lui.
Era solo l’ennesima persona che prendeva per il culo la gente, lei in particolare.
Che cogliona!
―Qualunque cosa… ― mormorò a voce troppo bassa. Amy abbassò le palpebre per un momento, raccogliendo le forze che le erano rimaste. Prima si sentiva scoppiare di energia, ma in quel momento si sentiva solo vuota. Vuota vuota vuota, tremendamente grigia e priva di colore.
―Qualunque cosa, ― ripeté a voce più alta e alzando lo sguardo su di lui. ―c’è stata tra noi, Jordan, dimenticala.
Il ragazzo sembrò sorpreso da ciò che aveva detto, la faccia si fece improvvisamente seria. La mano appoggiata allo stipite della porta gli scivolò inerte lungo il fianco. ―Che vuoi dire? ― sussurrò flebilmente con lo sguardo corrucciato.
―Quello che ho detto. ― sibilò Amy con rabbia. ―Fa finta che non ci siamo mai conosciuti. Ti ringrazio tantissimo per quello che hai fatto con Tate, per avermi aiutata, quella sera. Ma finisce qui. Non voglio più vederti. ― si girò, i capelli le frustarono il viso mentre scappava via per le scale.
Non voleva che la vedesse crollare, era così arrabbiata e piena di emozioni dentro che sentiva il bisogno di esplodere.
Una mano le afferrò il braccio, costringendola a voltarsi. ―Amy, aspetta. ― gli occhi di Jordan erano a pochi centimetri dai suoi, ed Amy si sentiva in trappola, avrebbe ceduto ma non doveva. Si era innamorata di Jordan come una stupida e non poteva permettersi di soffrire, non voleva soffrire, vista la piega della situazione. Socchiuse gli occhi, inspirando il suo profumo per un attimo. ―È successo qualcosa che non va? ― le chiese lui dolcemente.
Fu quello a farla scattare. Si liberò dalla stretta di Jordan e lo allontanò con uno spintone. ―Fa finta che io non esista. ― disse, piena di rabbia. ―Sarà più comodo per entrambi. ― e, detto questo, infilò la porta e sparì nella pioggia.
 
 
Amy correva senza fermarsi. I vestiti erano appesantiti dalla pioggia e aveva un freddo sempre più opprimente.
Le braccia le bruciavano ancora, lì dove Jordan l’aveva toccata, abbracciata.
Le fuoriuscì un singhiozzo, senza riuscire a trattenerlo, e ben presto si ritrovò a piangere sotto la pioggia torrenziale.
Le faceva male un fianco, ma continuava a correre, le lacrime che le bruciavano sul viso, che correvano senza fermarsi.
Il cuore le martellava nel petto, la pioggia incessante la tormentava, il fiato era troppo poco e veniva succhiato via dai singhiozzi, da quei fottutissimi singhiozzi che non ci dovevano essere.
Arrivata al giardino, pigiò il bottone del videocitofono.
Aspettò solo qualche secondo e poi fu travolta dall’abbraccio caldo di Sarah.
Si abbandonò contro di lei e finalmente pianse. Pianse contro qualcuno che le voleva veramente bene e che la capiva, la abbracciava, le accarezzava i capelli bagnati, incurante della pioggia che scrosciava.
 
  
Amy non aveva smesso di piangere nemmeno un istante da quando era arrivata a casa di Sarah, e anche in quel momento faceva uno sforzo immenso per trattenere i singhiozzi.
Erano entrambe sedute sul pavimento della camera di Sarah, un gigantesco plaid avvolto attorno ad entrambe ed una tazza fumante di cioccolata calda tra le mani.
Amy tirò su col naso e sorseggiò dalla sua tazza, rannicchiandosi il più possibile in se stessa. Avrebbe passato la notte a casa di Sarah e forse più tardi le avrebbe raggiunte anche Evelyn.
―Vuoi dirmi cosa è successo? ― chiese Sarah dolcemente.
Amy tacque un pochino, bevve un altro sorso ed evitò di guardare Sarah negli occhi. ―Ho detto a Jordan che non lo voglio più vedere. ― mormorò flebilmente.
Il silenzio che seguì era pieno di domande, questioni non dette, frasi di circostanza non pronunciate.
―Perché l’hai fatto, se ti fa stare così male? ― chiese Sarah infine, scegliendo accuratamente le parole. Amy si voltò verso di lei, con gli occhi lucidi.
―Io… ho dovuto, Sarah. ― sospirò sommessamente, e abbassò le palpebre per un istante, mentre una lacrima le scivolò giù dalla guancia destra. ―Me ne sono innamorata, credo.
―Non c’è nulla di male in questo. ― sorrise Sarah scostandole una ciocca umida di capelli dalla fronte.
Amy scosse la testa, facendo tremare violentemente la tazza di cioccolata. ―No, tu… io… tu non capisci! ― esclamò alzando lo sguardo su di lei, gli occhi pieni di lacrime. ―Io credevo che… ― singhiozzò, agitata e Sarah l’abbracciò. ―Tranquilla. ―le sussurrò.
―Io l’ho baciato! ― esplose istericamente Amy rovesciandosi un po’ di cioccolata sui vestiti.
―Cosa? ― chiese Sarah, senza nascondere una punta di stupore.
Amy le rivolse uno sguardo sconsolato. ―Mi aveva portato in un posto, insomma l’ho baciato e lui ha ricambiato e mi ha detto di non averlo fatto prima perché aveva paura che con tutto ciò che mi era capitato io non fossi pronta. ― spiegò frettolosamente.
Sarah la guardò senza capire. ―Non capisco. Dov’è il problema, allora? Anche lui ti ama, giusto?
―No… sì… insomma, era quello che credevo. ― mormorò l’altra ragazza abbassando lo sguardo e passandosi una mano sugli occhi. ―Sono passati giorni e non si è fatto sentire. Io non sono una tipa appiccicosa per natura, lo sai, ma… Sarah, sono una ragazza, sono passati cinque giorni e non si è fatto sentire! Non un messaggio, non una chiamata, nemmeno un avviso su facebook! ― l’amica prese a stringerla di nuovo, cullandola tra le braccia.
―Così sono andata a casa sua e gli ho detto di far finta che non ci fossimo mai conosciuti. Mi ha chiesto anche cosa non andasse, capito? Non ci ha pensato in questi giorni, se ne è fregato! Non sono abbastanza per lui, l’ho capito. Forse gli ha fatto schifo il mio bacio, forse non ha avuto il coraggio di dirmi in faccia che non sono tanto importante per lui ma mi ha assecondata solo perché gli faccio pena! E l’ultima cosa che voglio è fare pena a qualcuno men che meno a lui! ― ringhiò arrabbiata.
I singhiozzi presero a scuoterla violentemente, tanto che fu costretta a poggiare la tazza sul pavimento, per evitare di rovesciare tutto il contenuto con le sue mani tremanti.
―Oh, Amy… ― mormorò Sarah cullandola tra le sue braccia.
Capiva come si sentiva e capiva anche che dopo tutto ciò che aveva passato aveva bisogno di sicurezza, di certezze. E Jordan non l’aveva capito.
Amy avrebbe potuto affrontare una situazione del genere splendidamente, mesi prima. Avrebbe sofferto, sì, ma sarebbe stata forte e avrebbe mandato tutti a quel paese, facendo finta di fregarsene.
Adesso non faceva altro che farsi assalire dal dolore, perché dopo che quello stronzo di Tate l’aveva picchiata, e assillata, il suo muro di sicurezza era crollato e l’aveva lasciata completamente allo scoperto.
Le accarezzò la testa, cercando di consolarla in qualche modo.
Sapeva che Amy era forte, che avrebbe fatto finta che non le importasse dopo qualche giorno. Ma sapeva anche che in quel momento stava crollando e che la sua amica stava soffrendo come non aveva mai fatto.
Ripensò agli avvenimenti degli ultimi giorni. Lee che la chiamava per dirle che David si era rifatto vivo, lui che la baciava, lei così confusa. E adesso anche Amy, che  dopo l’aggressione baciava Jordan, poi gli diceva di non farsi più vedere…. E Kyle, che usciva con loro.
Sembrava che ogni cosa accadesse proprio in quel periodo. ―Anche io, devo dirti una cosa. ― disse a bassa voce. Amy alzò lo sguardo su di lei, aspettando che proseguisse, ma Sarah guardava un punto nel vuoto davanti a sé. ―E credo che anche Evelyn debba raccontarci parecchie cose su Kyle.
Amy annuì e, con un sospiro, tornò ad accoccolarsi tra le braccia di Sarah.
Basta piangere adesso.
 












*WHAWAIEAH!
Ciao ragazziiiii!!! :D Sarah mi ha gentilmente prestato il suo pc per pubblicare perchè ho qualche problemino con il mio... xD
Spero che vi piaccia e che vi prenda... comunque, prometto che il prossimo capitolo sarà sensazionale... ;p
Fatemi sapere, ci vedremo al più presto!! (:
Un bacione,
Kry <3 <3 <3

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Capitolo 32
*** Capitolo 32. Stacchiamo la spina. ***


Capitolo 32.

Stacchiamo la spina.

 

―È tutto una bella merda! ― dichiarò Evelyn quando ebbero finito di raccontare ogni cosa.
Sarah aveva detto di Lee, David e del suo incontro con quest’ultimo. Del bacio e della confusione che l’attanagliava. Amy aveva detto di Jordan, di tutto ciò che era capitato. E lei aveva raccontato di Kyle e di ciò che avevano passato insieme.
―Disse quella che aveva baciato il più figo della classe e poi l’aveva respinto dicendo che poteva essere solo sua amica! ― replicò Amy con aria depressa, senza nemmeno guardarla.
―Ehi, anche lui era d’accordo! ― esclamò Evelyn indispettita.
Erano tutte e tre sedute sul pavimento, Sarah ed Amy con il plaid gigantesco avvolto attorno a loro, ed Evelyn seduta di fronte. Erano più o meno le nove di sera e avevano preparato già tutto per andare a dormire, ma nessuna di loro aveva la benché minima intenzione di spostarsi. ―Se solo sapessimo come risolvere tutte queste situazioni… ― mormorò Amy in tono ancora più lugubre mentre Sarah annuiva.
Evelyn scattò in piedi, indispettita. ―Adesso basta con questi musi lunghi! La scuola è finita e non è da noi comportarci in questa maniera così depressa! Usciamo, facciamo qualcosa di divertente! ― Amy e Sarah la guardarono scettiche mentre, a sottolineare la loro espressione, un tuono rombava dalla finestra dietro di loro.
Evelyn sbuffò, guardando in alto. ―E dai! Dobbiamo festeggiare, questo è un momento stellare! A che servono gli ombrelli? E i genitori di Sarah non sono neanche a casa, ergo possiamo ritirarci quando ci pare!! Non ditemi che non volete approfittarne! ― Amy e Sarah continuarono a guardarla, dubbiose.
―Mi sa che Kyle ti ha fatto un brutto effetto. Dov’è finita la Evelyn previdente e attenta ai pasticci? ― borbottò Amy con una strana luce negli occhi.
Il cuore di Evelyn sobbalzò per la gioia nel vedere che l’amica stava reagendo in qualche modo. ―Beh, questa è la parte trasgressiva di me che cerco di tenere nascosta! ― rise, rivolgendo poi uno sguardo supplicante a Sarah.
―In effetti mio padre è fuori per lavoro e mia madre e mio fratello sono da mia zia a Ray. ― constatò, con una faccia pensierosa. ―Perciò credo che potremmo trasgredire senza che nessuno se ne accorga.
Tutti gli sguardi si erano puntati su Amy.
La ragazza si tirò su e agguantò la maglietta e i pantaloni, che nel frattempo si erano asciugati. ―Bene, allora! ― esclamò con disinvoltura. ―Mettetevi in tiro, perché vi porterò nel pub più malfamato di tutta Little Grace.
Sarah ed Evelyn la guardarono con aria interrogativa.
―Volevate trasgredire, no? ― chiese Amy con un sorriso a fior di labbra ed un occhiolino.
Lo sforzo per sembrare attiva era evidente e Sarah ed Evelyn si affrettarono a prepararsi.
 
 
―Con esattezza, com’è che l’hai conosciuto questo locale? ― chiese Evelyn ad alta voce per sovrastare il rumore della pioggia. Camminavano sotto tre ombrelli giganti, sguazzando nelle pozzanghere che avevano invaso tutte le strade.
―Beh… ― iniziò Amy, ―mesi fa venivo da queste parti a disegnare. ― disse indicando con un cenno del capo le strade che si diramavano attorno a loro. ―Mi piaceva perché mi ricordava molto la Londra del 1800. Così ho iniziato ad esplorare queste stradine e un giorno sono entrata in un pub. Sembrava davvero di essere entrati in una di quelle locande del 1800!! L’arredamento era… è spettacolare! ― terminò spiccando un piccolo saltello per evitare una pozzanghera sporca e profonda.
Le strade erano buie e sinistre e la pioggia non faceva altro che aumentare la sensazione sgradevole di trovarsi in un luogo freddo ed ostile. Sarah ed Evelyn rabbrividirono nei loro giubbotti, mentre Amy sembrava perfettamente a suo agio mentre saltava come un grillo da una parte all’altra della strada per evitare di bagnarsi i piedi.
Imboccarono diverse stradine, poi la ragazza che faceva da guida si fermò, indicando con un cenno del capo una piccola porticina con lunghi pannelli di vetro e legno scuro ed una vecchia insegna penzolante che sporgeva dal muro appesa ad un’asta di ferro battuto.
Sarah sforzò lo sguardo nel tentativo di leggere la vecchia scritta scrostata sopra l’insegna.
―C’è scritto “L’occhio del mare”. ― disse Amy notando la sua difficoltà. Sarah si espresse in quello che voleva essere un sorriso contento, ma in realtà non era per niente rassicurata.
Locale malfamato? Ma perché rischiare, diceva lei. E a giudicare dallo sguardo che le lanciò Evelyn, anche quest’ultima non era poi così entusiasta dell’idea.
Amy si godette le loro occhiate insicure, poi con un sorrisone, spalancò le porte del locale. Un’atmosfera allegra e festosa le accolse immediatamente.
Sembrava di essere all’interno di una nave.
I camerieri erano vestiti come mozzi e tutto l’arredamento era inclinato, come se le onde lo sospingessero tutto verso destra. Vi erano corrimano di legno intarsiato, il bancone del bar sembrava lurido come quello di una nave pirata e l’ambiente era illuminato da candelabri antichi e rovinati. In un angolo c’erano dei musicisti vestiti con vecchi stracci che intonavano canzoni del mare risalenti ai tempi della pirateria. Persino i boccali di birra erano scheggiati e si accordavano perfettamente all’atmosfera marinaresca che si percepiva nell’ambiente. In un angolo in fondo alla sala c’erano dei barili impilati l’uno sull’altro dai quali i camerieri riempivano i boccali con birra e vino.
Gli avventori erano totalmente diversi tra loro. Sembrava di aver attraversato un portale e di essere stati catapultati all’interno di un’altra dimensione. In un angolo, seduti ad un lungo tavolo di legno, c’era un gruppo di turisti che si guardavano attorno con ammirazione. Vicino alla porta, invece, diversi tavoli addossati alla parete erano occupati da uomini di grossa taglia con giacche di pelle nera che urlavano e scherzavano tra loro.
―Che meraviglia! ― esclamò Sarah guardandosi intorno ad occhi aperti.
Amy si godette le espressioni delle sue amiche e poi esplose in un’allegra risata.
―EHI, VOI PIVELLE! CHIUDETE QUELLA PORTA O AFFONDEREMO! ― urlò un energumeno con la giacca di pelle alla loro sinistra. Evelyn non se lo fece ripetere due volte e si affrettò a chiudere la porta, mentre Amy si voltava verso l’uomo che aveva parlato. La faccia si espresse in un’espressione stupefatta. ―JACK! ― urlò ridendo.
Sarah ed Evelyn si guardarono perplesse mentre Amy si avvicinava al motociclista incallito con un gran sorriso stampato sulle labbra.
―EHI! ―urlò in risposta l’uomo, mettendo a fuoco la ragazza. ―RAGAZZI, GUARDATE CHI C’È!! ― il resto del gruppo si interruppe per guardare la ragazza e poi dal tavolo si sollevò una serie di ovazioni ancora più forti di prima.
Jack, l’uomo dalla grossa stazza con un paio di baffoni e una bandana rossa sulla testa pelata, abbracciò Amy con foga come se fosse stata sua figlia.
―Cristo santo, Jack puzzi come una fogna! ― si lamentò Amy allontanandosi dall’abbraccio stritolatore. Poi toccò a tutti gli altri membri del tavolo, che la salutarono festanti.
Amy fece un cenno ad Evelyn e a Sarah, che si avvicinarono titubanti. ―Loro sono due mie amiche, Evelyn ― disse indicando la riccia, ―e Sarah. ― concluse indicando l’altra.
Dal tavolo si levarono un coro di ciao e saluti masticati. Evelyn e Sarah sorrisero, impacciate.
―Beh, Amy non ti si vede da un pezzo! ― esclamò Jack con il suo vocione profondo, dandole sonore pacche sulla schiena.
―Sono stata impegnata con la scuola… ― mormorò la ragazza mortificata. Dal tavolo si levò un coro di commenti dispiaciuti e mormorii scontrosi.
―Spero sia andata bene! ― intervenne nuovamente Jack, accompagnando ogni parola con una forte pacca sulle spalle della ragazza. Amy annuì e Jack sollevò il boccale traboccante di birra. ―UN URRÀ PER AMY CHE È ANDATA BENE A SCUOLA! ― urlò, seguito dagli altri membri che sollevarono i boccali e bevvero lunghe sorsate. Amy rise con loro, poi sussurrò qualcosa a Jack che le strizzò l’occhio e la liberò dalla presa, tornando a sedere.
Mentre Amy scortava le sue amiche lontano di qualche passò, la voce di Jack rimbombò nuovamente nel locale. ―EHI, AMY! DOPO MI DEVI UNA DELLE VECCHIE GARE! PER FESTEGGIARE IL TUO RITORNO ALLA TANA!
Amy si voltò sorridente. ―VA BENE, JACK! MA NON BERE TROPPO ADESSO, O DOPO NON REGGERAI, VECCHIO UBRIACONE! ― dal tavolo si levò un coro di apprezzamenti e nuovamente i boccali furono sollevati in alto e portati alle bocche.
Una nuova voce si levò sulle altre. ―CORPO DI MILLE DIAVOLI, JACK! URLA ANCORA E SARÒ COSTRETTO A CHIAMARE IL CAPITANO E A FARTI BUTTARE FUORIBORDO! ― un ragazzo vestito da mozzo si fece strada tra i tavoli e gettò con poco garbo alcuni piatti sul tavolo di Jack e dei suoi amici.
Jack alzò le mani, come arrendendosi e fece un cenno con il capo in direzione di Amy e delle sue amiche.
Evelyn e Sarah non avevano la più pallida idea di quel che stesse capitando, potevano solo osservare la scena in silenzio e dedurre il più possibile. Amy, con un sorrisone stampato in faccia, aveva le gambe divaricate ben salde a terra e le mani sui fianchi e il suo sguardo puntava dritto verso il ragazzo.
Al cenno di Jack, quello si voltò verso di loro e in un attimo anche il suo volto si illuminò in un sorriso. In un lampo corse verso Amy e la sollevò con le braccia, facendola girare più volte, ridendo. Dal tavolo dei motociclisti si sollevò un coro di “Ohh!” e poi la voce di Jack risuonò ancora tra le pareti. ―BRINDIAMO AD AMY E AL SUO MOZZO RITROVATO! CHE L’AMORE POSSA TRIONFARE SOPRA OGNI COSA! ― i boccali si sollevarono nuovamente nell’allegra compagnia.
―OH, PIANTALA JACK! ―urlarono insieme i due ragazzi, voltandosi verso di lui. Ma Jack già non li ascoltava più, impegnato com’era a trovare un’altra ragione per brindare e festeggiare.
Amy e il ragazzo rimasero a guardarsi sorridenti per alcuni istanti. ―Era un sacco che non ti si vedeva da queste parti, Amy. ― disse lui, senza perdere il sorriso.
―Sono stata parecchio impegnata. ― rispose Amy tenendosi sul vago. ―C’è un tavolo per noi? ― chiese poi guardandosi intorno. Il locale era abbastanza pieno, quella sera.
Il ragazzo si guardò attorno e poi le fece un occhiolino, sorridendole. ―Un tavolo per te lo trovo sempre! Seguitemi. ― disse rivolgendo il suo sorriso mozzafiato anche alle altre.
Le ragazze non se lo fecero ripetere e si fecero condurre verso un angolo libero. Sarah ed Evelyn si guardavano intorno ammirate. ―Wow! ― esclamarono, fermandosi ad ammirare alcuni disegni appesi alla parete. Anche il ragazzo ed Amy si fermarono. Quest’ultima sembrava piuttosto imbarazzata, mentre il primo non perdeva quel sorriso luminoso. Guardò Evelyn per un attimo e la ragazza sentì il fiato mancarle. ―Belli, eh? ― chiese, e le due ragazze annuirono, ritornando a prestare la loro attenzione ai disegni che raffiguravano vecchie navi in secca, o preda del mare tempestoso. ―Li ha fatti lei. ― disse lui, indicando con un cenno del capo Amy. Le ragazze non sapevano cosa dire, così il mozzo riprese la parola.
―All’inizio, le prime volte che veniva qui non parlava molto, si sedeva in un tavolo appartato e ogni volta che se ne andava, trovavo sul retro della tovaglietta di carta un disegno. La maggior parte delle volte erano schizzi, ma erano così belli che alla fine il capo decise di appenderli e di chiederle di farne degli altri. Così diventammo amici.
Sarah ed Evelyn guardarono Amy con ammirazione. Quei disegni erano davvero fantastici. ―Amy sono… ― iniziò Sarah.
―Strepitosi! ― concluse Evelyn in un sussurro. Il ragazzo le rivolse un sorriso luminoso ed Evelyn si riscosse, abbassando lo sguardo, imbarazzata.
Amy tossicchiò per alleggerire la tensione. ―Ragazze, ― cominciò con voce solenne, ―lui è il capo mozzo e mio caro amico Chris e loro, ― disse indicando le due ragazze, ―sono Sarah ed Evelyn.
Il ragazzo le salutò con uno dei suoi sorrisi aperti e splendenti. ―Se aspettate un momento vado sottocoperta a prendere un tavolo per voi. ― e, detto questo, sparì scendendo una scala di legno.
Sarah ed Evelyn non sapevano cosa dire e si guardavano intorno meravigliate. ―Perché non ci racconti un po’ questa tua avventura segreta? ― chiese alla fine Sarah. Amy sorrise, ma proprio in quel momento si fece largo Chris con un grosso tavolo di legno. Lo aiutarono a sistemare e poi presero le ordinazioni.
Il cibo era tutto a base di pesce annaffiato con vino, acqua o birra.
Una volta che Chris si fu allontanato, le due ragazze puntarono i loro migliori sguardi inquisitori su Amy.
―Beh, l’inizio lo sapete. Venivo a disegnare da queste parti e poi ho trovato il pub. La seconda parte ve l’ha raccontata Chris, i miei disegni e la mia solitudine persistente. ― commentò con una risatina. Poi, prese un sospiro e continuò. ―Dopo aver fatto alcuni disegni su commissione per il capitano, entrai ufficialmente a far parte della combriccola. Jack e gli altri erano degli avventori frequenti, perciò alla fine finimmo per fare amicizia, visto il carattere allegro di tutti. All’inizio possono sembrare grandi, grossi e pericolosi, ma nella sostanza sono davvero tutti molto buoni. Io e Chris siamo diventati buonissimi amici, insomma abbiamo passato un sacco di tempo insieme. E questo era il mio posticino segreto, nessuno ne era a conoscenza e io mi sentivo protetta qui dentro. ― Amy sospirò e prese a giocherellare con il sottobicchiere di stoffa. ―Poi, ho dovuto interrompere le mie visitine, un po’ per la scuola e gli impegni, un po’ per… per Tate. ― disse, abbassando lo sguardo.
Sarah ed Evelyn si guardarono. ―A che gara si riferiva quel vecchio strampalato? ― chiese poi Evelyn, incuriosita.
Amy scoppiò a ridere. ―Oh! Io e il vecchio Jack  abbiamo fatto delle gare molto speciali. Ma scoprirete tutto più tardi. ― concluse la ragazza mentre Chris arrivava verso di loro e sbatteva sul tavolo le pietanze con malagrazia.
Evelyn sussultò all’ennesimo rumore provocato dal piatto sbattuto sul tavolo e Chris le si chinò davanti, sorridente. Guardandola negli occhi, le sussurrò: ―Fa parte del copione. ― e poi sparì, dopo averle fatto un occhiolino.
Evelyn era piuttosto scossa. Nel notarlo, Amy ridacchiò. ―Chris fa quest’effetto a tutti. È un ragazzo d’oro, aperto, simpatico, sincero. È davvero una persona meravigliosa! ― commentò gettando un’occhiata al ragazzo che le guardava da lontano. ―E direi, ― riprese Amy con un luccichio negli occhi, ―che tu hai fatto colpo! ― sorrise in direzione di Evelyn.
La ragazza deglutì rumorosamente, mormorando frasi scombinate mentre arrossiva come un peperone. Amy rise nuovamente, una risata aperta e gioviale, una risata dovuta all’essere in un luogo sicuro con le persone a cui voleva bene. I suoi occhi erano un po’ tristi, sì, ma per il momento, Jordan giaceva dimenticato in un angolino della sua mente.
―Cosa? Io… non credo che… ― Evelyn si guardò attorno cercando di evitare lo sguardo di Amy.
―Non ci credo! ― esclamò quest’ultima. ―Anche a te lui piace!! ― e si lasciò andare ad una nuova risata, mentre Sarah veniva contagiata da tutta quell’allegria e iniziava a ridere, imitando l’amica.
Dopo poco anche Evelyn le seguì, gettando la testa all’indietro e liberando una delle risate più fresche e felici. A quanto pare era impossibile essere tristi al “L’occhio del mare”.
 
Chris le aveva fatto compagnia per la maggior parte della serata, confermando le ipotesi di Amy. Ogni volta che si avvicinava regalava a tutte il suo sorriso mozzafiato e se aveva un po’ di tempo, si sedeva accanto ad Evelyn ed iniziavano a parlare animatamente.
Pian piano il locale iniziò a svuotarsi, così come i piatti e i bicchieri delle ragazze. Amy aveva ordinato un boccale di birra, mentre le altre si erano accontentate di un bicchiere d’acqua.
―AMY, CORRI, È ORA DELLA GARA! ― si levò sopra tutte la voce di Jack.
Amy si girò nella sua direzione. ―NON SEI ANCORA CROLLATO, VECCHIA PALLA DI LARDO? ― gli urlò contro.
Oh-oh, ora ci sarà da divertirsi! ― esclamò Chris ridacchiando e passando un braccio attorno alle spalle di Evelyn. La ragazza stava così bene e a suo agio che quasi non se ne accorse.
―VIENI QUI SE HAI CORAGGIO, PIVELLA! O LA SCUOLA TI HA RAMMOLLITA? ― gridò il vecchio Jack balzando in piedi sulla sedia. Tutta la sua ciurma di uomini iniziò ad accatastare i piatti su un lato del tavolo, lasciando l’altro libero, e a battere rumorosamente i pugni sul tavolo.
Con un agile salto anche Amy fu in piedi sulla sedia. ―VECCHIO ORSO, A TE LA MANCANZA DI ISTRUZIONE TI HA FOTTUTO QUASI TUTTI I NEURONI! E L’ALCOOL TI HA FATTO ANNEGARE IL RESTO! ― urlò Amy di rimando puntandogli un dito contro.
Sarah guardava la scena con un misto di incredulità ed allegria. In quel posto tutto era completamente rovesciato e i canoni della società e dell’educazione non venivano minimamente rispettati. Era un posto spettacolare proprio per quella caratteristica e non poté fare a meno di essere contagiata da tutta quell’allegria.
Chris nel frattempo rideva come un matto, spostando lo sguardo da Amy al vecchio Jack mentre Evelyn si lasciava avvolgere dalle sue braccia, completamente rapita da ciò che avveniva attorno a lei e da quel luogo così magnifico.
I due litiganti iniziarono a lanciarsi contro improperi e a buttarsi addosso pezzi di cibo avanzato sino a quando tutti i presenti nel locale non batterono i pugni sul tavolo sovrastando le loro voci. Poi, all’unisono, Chris compreso, iniziarono a dire: ―Gara, gara, gara, gara!
Anche Evelyn e Sarah si unirono al coro e il rumore dei pugni sul tavolo divenne ancora più forte, scandendo un ritmo particolare con le parole.
Solo a quel punto Amy e Jack scesero dalle sedie e si guardarono in cagnesco, rimboccandosi le maniche sopra i gomiti.
Amy fece un cenno a Sarah che la affiancò. ―Stai accanto a me e non tornare al tavolo. ― le sussurrò mentre iniziavano a camminare in direzione di Jack. ―Lasciali stare un po’ per conto loro. ― mormorò facendo un cenno in direzione di Evelyn e Chris. Lui le stava dicendo qualcosa con il suo sorriso affascinante e lei rideva, con gli occhi che brillavano.
Sarah annuì con aria complice e seguì Amy che non staccava gli occhi da Jack.
Vicino ai barili, alcuni mozzi si stavano affrettando a riempire i boccali di birra. A mezzo metro di distanza da Jack, Amy si fermò. I pugni cessarono di battere e i due contendenti si guardarono con aria truce. Poi urlarono entrambi con tutto il fiato che avevano in gola, mentre Sarah sussultava per lo spavento e dagli altri tavoli si levava un coro di urla d’approvazione. Poi, Amy e Jack presero i due boccali che i mozzi porgevano loro, li fecero sbattere con foga l’uno contro l’altro facendo cadere un po’ di birra a terra e tracannarono il contenuto tutto d’un fiato. Una volta terminato, si esibirono nel loro rutto migliore, mentre gli uomini seduti al tavolo li imitavano.
Sarah guardava la scena con un misto di incredulità e disgusto, Chris rideva di gusto e dopo un attimo di smarrimento Evelyn lo seguì a ruota, ricordando la maestria di Amy nel fare i rutti.
―Questa è la gara? ― chiese con le lacrime agli occhi. Chris scosse la testa senza smettere di ridere. ―Non è ancora finita. Guarda!
I boccali di Amy e Jack erano già pieni e l’orchestra aveva preso a suonare una ballata violenta e scatenata. I due gareggianti si sfidavano faccia a faccia, cantando a squarciagola mentre i boccali correvano ad intermittenza dalle loro bocche alle mani dei mozzi che si affrettavano a riempirli.
Passarono in questo modo le ore seguenti, una canzone che si susseguiva all’altra, i commensali che ballavano imitando le mosse di Amy e Jack che abbracciati ed ubriachi, ballavano scalzi sul tavolo di legno.


*WHAWAIEAH!
So che lo scorso capitolo non dev'essere stato granchè entusiasmante, ma spero che questo vi tiri su e sia più o meno carino... (:
Lo spero... :/
Perciò ditemi cosa ne pensate o se la trovata fa schifo e ditemi che ne pensare di Chris... :)
Grazie per esserci! c:
Un bacione,
Kry <3 <3 <3

ORDER OF THE PHOENIX* 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33. La vita è uno schifo. ***


Capitolo 33.

La vita è un casino.

 

 

 

Amy si girò stiracchiandosi ed esibendosi nel suo migliore sbadiglio. Strofinò la gamba contro il corpo di qualcuno e si guardò intorno, con la vista annebbiata. Dov’era finita? Di chi era quella stanza?
Lentamente il suo cervello iniziò a collegare varie sensazioni che si andavano piano piano a concretizzare in fatti possibili. La sera prima aveva bevuto ed era ubriaca. Ricordava vagamente di aver ballato con Jack. Non conosceva il soffitto che stava osservando e c’era qualcuno accanto a lei. Si gettò una rapida occhiata addosso e con terrore scoprì di essere seminuda.
La gola le si chiuse in un rantolo. Era andata a letto con qualcuno. E quel qualcuno era… Jack?
Amy sudò freddo, cercando di trattenere la nausea che le attanagliava le viscere.
Con Jack, Cristo Santo!! Come si faceva a stare tranquilli dopo aver concepito un’idea del genere. Lentamente, si voltò verso il corpo disteso accanto al suo. Era andata a letto con… Sarah?
Non avevano mica fatto le cose a tre?
Sperava di no.
Con un mugugno infastidito Amy si alzò a sedere e mise a fuoco ciò che aveva intorno. Si trovava in camera di Sarah e lei e le sue amiche stavano stese sui materassi che avevano preparato prima di andare al pub, la sera prima.
Dio, che mal di testa! Da una parte si sentiva sollevata perché non era andata a letto con nessuno e per fortuna non con Jack! Dall’altra il fatto di non ricordarsi un accidente le dava sui nervi.
Si alzò, prendendosi la testa tra le mani e scalciando le coperte. I piedi rabbrividirono al contatto con le piastrelle fredde, ma fu d’aiuto, perché il cervello divenne un pochino più lucido. Si diresse in bagno, decisa a darsi una ripulita e a mettere ordine nei pensieri.
Aveva decisamente bisogno di caffeina.
 
Quando tornò in camera, anche Evelyn e Sarah si erano svegliate e la guardavano con gli occhi impastati dal sonno ed un sorriso sereno sul volto.
―‘Giorno, ubriacona! Come ti senti? ― proruppe Sarah, a voce un po’ troppo alta. Amy si portò le mani alle tempie, gemendo per il dolore. ―La testa mi batte come un tamburo. ― si lamentò.
―Sono i postumi di una sbornia. ― replicò Sarah con voce un po’ severa. Amy la guardò sottecchi e notò che sorrideva divertita.
―Si può sapere che è successo? Non mi ricordo niente!
―Beh, ti sei presa una bella sbronza e alla fine della gara tu e Jack siete crollati l’uno sopra l’altro, stecchiti. ― intervenne Evelyn ridendo come una matta.
Amy fece un saltello e la guardò serissima. ―Chi è crollato prima? Chi ha vinto la gara?
Sia Evelyn che Sarah scoppiarono a ridere, nel ricordare gli ultimi avvenimenti della serata precedente. ―Beh… ― mormorò Evelyn con le lacrime agli occhi, ―ad un tratto Jack ha fatto un rutto assurdo piroettando su se stesso ed è caduto sul tavolo, steso. Tu ti sei guardata attorno per un po’ non vedendolo poi, appena hai capito che era crollato, hai sollevato il bicchiere rovesciandoti gran parte della birra addosso e hai urlato qualcosa come ‘Ho vinto! Chi è il prossimo a sfidarmi?’. Poi, però, prima che qualcuno potesse rispondere, sei scivolata e sei crollata su Jack, senza dare segni di volerti rialzare.
Amy si mise le mani tra i capelli, non sapendo se ridere o piangere per la figuraccia fatta la sera precedente. ―Almeno ho vinto. ― sorrise alla fine, facendo scoppiare tutte a ridere. ―E poi? Come siamo tornate a casa?
―Poi… ― riprese Evelyn, ―Chris si è offerto volontario per accompagnarti. Gli abbiamo dato l’indirizzo, ti ha caricato in moto priva di sensi e ci siamo ritrovati sotto il portone.
―Nooooo! ― piagnucolò Amy al solo pensiero di Chris costretto a portarla esanime da qualche parte.
Sarah ed Evelyn risero ancora più forte, senza provare il minimo accenno di pietà. ―Poi ti ha preso in braccio e ti ha portato fino qui, scaricandoti sul letto… ― continuò Evelyn ignorando l’amica che si colpiva la fronte per la vergogna, ―e se n’è andato. ― concluse con aria trasognata.
Amy era rossa come un peperone. La domanda successiva la pose in un grugnito roco, senza fiato. ―E i vestiti?
Evelyn e Sarah si guardarono senza che Amy potesse capirci granché. ―Allora? ― chiese, sulle spine.
―Beh, te li ha tolti lui… ― spiegò Evelyn mentre Sarah annuiva con aria seria. Amy sbiancò. ―M- mi ha t- tolto i vestiti? ― chiese in un sussurro appena percettibile.
―Eh sì, erano tutti bagnati e puzzolenti! ― asserì Evelyn mentre Sarah continuava ad annuire.
Amy afferrò il tavolo, le gambe che tremavano come due foglie secche in balia del vento. ―Ditemi che è uno scherzo ― sussurrò con voce flebile.
Sia Sarah che Evelyn scoppiarono a ridere ed Amy le guardò stranite.
―Tranquilla! ― disse Sarah, ―i vestiti te li abbiamo tolti noi!
Amy non poté fare a meno di sorridere, rasserenata, e di abbandonarsi a sedere sul pavimento. ―Accidenti. ― mormorò un attimo dopo, portandosi nuovamente le mani alle tempie. ―Ho bisogno di due litri di caffè. ― si lamentò.
―Vado subito a prepararne tre, allora! ― balzò in piedi Sarah fiondandosi nel bagno, dal quale ne uscì un attimo dopo lavata e profumata.
Amy si mise una larga maglietta bucata di Sarah, che le arrivava alle ginocchia, e corse ad aiutarla, mentre Evelyn si dava da fare a prepararsi.
Mentre raccoglieva la sua roba, per andare in bagno, il suo sguardo cadde sul cellulare di Amy.
Si guardò attorno e, accertatasi che non ci fosse nessuno in giro, prese il telefono e si chiuse in bagno. Il cellulare le scottava tra le mani e il cuore le batteva forte.
Sapeva che non era giusto ciò che stava facendo, ma lo faceva unicamente per Amy, per il suo bene e perché non voleva che passasse un altro brutto periodaccio, dopo Tate.
Vide che Jordan l’aveva chiamata quindici volte e tutte le chiamate erano state deviate da Amy. Lesse anche i messaggi che le aveva inviato, ai quali Amy aveva accuratamente evitato di rispondere.
Ma perché la sua amica si voleva così male? Poteva capire il suo punto di vista e capiva anche cosa aveva provato dopo che Jordan non si era fatto sentire.
Ma se lui adesso la stava cercando in quella maniera, voleva pur dire qualcosa!
Lesse i messaggi, velocemente.
Jordan le chiedeva cosa fosse successo, le diceva che voleva vederla, e tutti gli altri messaggi avevano sempre lo stesso contenuto più o meno.
Evelyn poggiò il telefono sul lavandino e prese a mordicchiarsi le unghie. Cosa poteva fare?
Pensò ancora qualche istante e poi sorrise, improvvisamente colta da un’idea illuminante.
Si affrettò a prepararsi, in preda ad un’improvvisa frenesia. Avrebbe organizzato le cose in grande e con molta cura. Non c’era tempo di crucciarsi in inutili beghe e di intristirsi inutilmente.
Evelyn in quel momento si sentiva invincibile e pronta a tutto. Sarebbe stata una maga, un angelo, una superragazza dai superpoteri!
Uscì dal bagno correndo e si fiondò nella cucina, dove Sarah ed Amy stavano sedute al tavolo sul quale era disposto ogni bendiddio. Ignorò il cibo e sbatté il palmo aperto della mano sul tavolo, richiamando l’attenzione di tutt’e due, più una smorfia di disturbo da parte di Amy.
Fece un respiro profondo e si sedette al suo posto. ―Come stai per Jordan, Amy? ― chiese a bruciapelo.
L’amica trasalì, sgranando gli occhi. ―B- bene. ― balbettò evitando di guardarla.
Sarah colpì Evelyn sullo stinco con un calcio poderoso e  la ragazza trattenne a stento un urlo di dolore. Cercò di indossare nuovamente il suo sorriso spontaneo e insisté. ―Sicura?
Amy sollevò su di lei uno sguardo ansioso. ―Sì, Evelyn. Insomma, non voglio pensarci, ti prego, non parliamone più. ― mormorò abbassando lo sguardo sul suo piatto ricolmo di pancake ricoperti di nutella.
Evelyn intercettò l’altro calcio di Sarah e lo evitò agilmente, facendole sbattere il piede contro la gamba della sedia. Sarah scattò in piedi ululando per il dolore e reggendosi il piede sinistro con le mani. Amy la guardava senza capire, mentre Evelyn le rivolgeva nuovamente un sorriso spacca mandibole.
―Che ne dite se oggi organizziamo una bella festa in spiaggia e invitiamo tutti? ―chiese senza smettere di sorridere.
―Tutti? ― domandarono all’unisono Amy e Sarah.
Evelyn asserì. ―Katherine, le altre ragazze, Kyle, Lee, magari Chris… ― si interruppe, arrossendo e abbassando lo sguardo.
Stavolta toccò ad Amy sorridere. ―Mhmm… sì, perché no… a Chris penso io, non preoccuparti Evelyn!! ― esclamò con un tono di voce mellifluo e pacato.
La ragazza intuì che Amy aveva capito la sua sbandata per Chris e divenne ancora più rossa.
―Lee? ― chiese incerta Sarah tormentandosi una ciocca di capelli.
Sia Amy che Evelyn la guardarono. ―Non preoccuparti, se non vuoi non lo invitiamo… ― le disse Amy rassicurante.
―Oppure invitiamo David, o tutti e due. ― propose Evelyn guadagnandosi un calcio sottobanco di Amy.
Sarah le guardò come se fossero pazze. ―No! David no, vi prego! ― le amiche annuirono, senza dire nulla. ―Lee va bene. Scusatemi è solo che sono molto confusa. ― mormorò sedendosi e prendendosi la testa tra le mani.
Evelyn ed Amy la accarezzarono. ―So come ti senti… più o meno. Non sai dov’è il sopra e dove il sotto e ti sembra tutto troppo insensato e ti da fastidio il fatto di sentirti costretta a prendere una decisione. ― le sussurrò Amy per tranquillizzarla.
Sarah annuì, leggermente rincuorata. ―Va bene. Chi altri inviteremo alla festa? ― chiese poi e sia lei che Evelyn puntarono il loro sguardo su Amy.
La ragazza guardò prima l’una e poi l’altra e si alzò, indietreggiando. ―No no no no no no no no no. Jordan non ce lo voglio! ― protestò decisa, mentre le amiche si scoccavano un’occhiata velocissima. ―Davvero, ragazze. ― mormorò Amy con aria triste. ―Meglio se non lo vedo.
 
 
  
Amy camminava con cadenza scandita lungo le strade di Little Grace. Si era offerta di andare personalmente da Chris a chiedergli di venire alla festa e Sarah ed Evelyn non avevano battuto ciglio. A dir la verità Amy si era aspettata che Evelyn si offrisse di andare con lei, ma l’amica non aveva detto nulla e aveva cominciato a fare una lista con gli invitati.
Il rumore lento e strascicato dei suoi passi la riportò momentaneamente al presente. Aveva in mano alcuni tovaglioli e dentro c’erano i resti della sua colazione. Amy afferrò un pancake decisamente grondante di nutella e gli diede un morso con gusto. Da quando Evelyn le aveva fatto quelle domande su Jordan le era scesa addosso una tristezza indicibile. Non sapeva come si sarebbe dovuta comportare, cosa avrebbe dovuto fare.
No! NO. Lei non doveva comportarsi proprio in nessun modo e fare proprio niente!
Non se ne parlava proprio.
Ingranò la marcia e accelerò, intenzionata ad arrivare al pub prima di sera.
Quando arrivò, vide Chris fuori dal locale che si accingeva ad aprirlo.
Lo chiamò a gran voce e quello si voltò sorridente.
Le sue gambe si misero a correre per raggiungerlo, perché l’unica cosa che sentiva Amy in quel momento era il desiderio di tuffarsi tra due braccia amiche.
Lei e Chris non si erano sentiti molto anzi, addirittura per niente al di fuori del pub. Ma era sempre stato disposto ad ascoltarla, a darle dei consigli su tutto e così lei aveva fatto con lui. L’abbraccio l’accolse profumato e avvolgente come sempre, ma Amy non poté fare a meno di fremere pensando a quanto sarebbe stato bello se le braccia che la stringevano fossero state quelle di Jordan.
Scacciò il pensiero ed indossò il suo miglior sorriso, alzando il viso verso Chris.
Il ragazzo era allegro come sempre, le labbra stirate in quel sorriso luminoso, aperto e spontaneo che lo caratterizzava tanto. Fu allora che Amy crollò.
Le mura che aveva alzato si sbriciolarono totalmente e non poté fare a meno di scoppiare a piangere e di pensare a quanto fosse falso il suo sorriso, mentre quello di Chris era talmente spontaneo che illuminava ogni cosa.
―Amy… ― le sussurrò lui accarezzandole il viso, ―Amy, stai bene? È successo qualcosa?
La ragazza riuscì a stento a scuotere la testa. ―No, ― disse portandosi le mani al viso e asciugandosi le guance, ―No, sto benissimo. ― completò la frase, aggiungendo una risatina stridula che non convinse per niente Chris.
―Vieni, andiamo dentro a parlare. ― mormorò lui serio aprendo le porte del locale.
Amy lo seguì all’interno del ‘L’occhio del mare’ e si sedette ad un tavolo.
Chris le pose davanti un bicchierino con qualcosa di trasparente all’interno, che aveva tutta l’aria di essere vodka.
Amy scosse la testa. ―Chris, non credo proprio che sia il caso, ieri ho davvero esagerato… ― il ragazzo la interruppe scuotendo la testa.
―Non è vodka. ― spiegò con un sorriso mesto. ―Su, bevi. ― la incoraggiò con un cenno del capo.
Amy guardò intimorita il bicchiere e se lo rigirò tra le mani. ―Volevo ringraziarti per ieri… Evelyn e Sarah mi hanno detto che tu…
―Amy. ― la interruppe nuovamente lui. ―Bevi.
Amy prese un sospiro e, rassegnata, bevve il liquido del bicchiere tutto d’un fiato. Era dolcissimo e la fece subito sentire meglio. ―Cos’è? ― chiese, ma Chris le scosse la testa in senso di diniego, sorridendo. ―Una mia invenzione. Ma non ti rivelerò proprio niente. E adesso dovresti finire di mangiare quelli! ― disse, indicando i pancake abbandonati sul tavolo.
Amy sospirò affranta e divorò i pancake in pochi minuti. Non le sembrava ma aveva davvero fame. Una volta terminato, sollevò lo sguardo su Chris, che era rimasto in silenzio tutto quel tempo. Le sorrideva incoraggiante.
Ed Amy gli raccontò ogni cosa.
 
Non aveva menzionato Tate, ma solo Jordan. Di come si era resa conto di esserne innamorata, e di averlo baciato. E di come l’aveva allontanato.
Chris la guardò comprensivo mentre l’imbarazzo l’assaliva. Non aveva mai detto nulla a nessuno, men che meno ad un ragazzo dei suoi sentimenti. La cosa la faceva sentire improvvisamente… nuda. E vulnerabile.
Il ragazzo la guardò con affetto, prima di alzarsi e iniziare a pulire. ―È tipico di noi ragazzi dare molte cose per scontato. ― concluse infine, mentre spazzava i resti del cibo che lei e Jack si erano lanciati addosso la sera precedente. ―Molte volte non pensiamo a come potete prenderla, abbiamo i nostri tempi e pensiamo che voi ci seguiate al passo, non so se mi spiego.
―Mi stai dicendo che dovrei perdonarlo? Lo stai giustificando, in qualche modo? ― chiese lei, con una punta di stizza nella voce.
―No, no. ― si affrettò a spiegare Chris. ―Non so perché non si sia fatto sentire ma questa può essere una soluzione.
Amy si alzò e iniziò a dargli una mano. Non le piaceva stare ferma a guardare mentre gli altri lavoravano.
―Cosa dovrei fare, secondo te? ― chiese allora, sollevando lo sguardo dal pavimento sporco.
―Proprio niente. ― sospirò Chris. ―Cerca di non pensarci e magari tutto tornerà al posto.
Stettero in silenzio per un po’, mentre continuavano a pulire, poi Chris sollevò lo sguardo, incuriosito. ―Ma eri venuta qui per darmi una mano nelle pulizie?
Amy si diede una manata sulla fronte, rendendosi conto di essersi completamente dimenticata di invitarlo alla festa. ―Minchia!
Chris ridacchiò della sua uscita poco femminile, ma oramai si era abituato dopo averla sentita sparare improperi contro il vecchio Jack. ―Interessante. ― mormorò.
Amy lo fulminò con lo sguardo. ―Oggi Evelyn ha organizzato una festa in spiaggia e ha pensato di invitarti. ― assottigliò lo sguardo, cercando di captare eventuali reazioni da parte di Chris. ―Puoi venire? ― aggiunse dopo, vedendo che il ragazzo era rimasto impassibile come una statua di cera.
Quello annuì, riprendendo a lavorare. ―Oggi ho il turno delle pulizie, quindi ho la serata libera ― ragionò. ―Sì, posso venire. ― sorrise infine, con un brillante luccichio negli occhi.
 
 
Amy, Sarah, Evelyn e Chris arrivarono in spiaggia all’apparenza allegri come non mai. Amy nascondeva la sua tristezza dietro un sorriso forzato e le sue solite risposte burbere, Sarah era in preda alla più totale confusione che si mischiava all’euforia provocata dalla festa e gli unici a sembrare davvero felici erano Evelyn e Chris che chiacchieravano senza fine e ridacchiavano allegramente.
Amy sentiva come un grande vuoto mangiarle e schiacciarle il petto. Si morse le labbra mentre i piedi affondavano nella sabbia e si dirigevano verso il grande capanno dove gli altri invitati già stavano ballando o chiacchierando. L’atmosfera prometteva bene, ma Amy era davvero triste e convinta che quella festa non l’avrebbe per niente tirata su.
Piantò con più decisione i piedi nella sabbia, serrando le mandibole. Voleva smetterla di auto commiserarsi, lo faceva da troppo tempo!
Sollevò lo sguardo dalla sabbia e rimase impietrita.
Una figura che conosceva sin troppo bene l’aveva vista e si stava avvicinando a velocità ultrasonica nella sua direzione.
Amy fece rapidamente dietrofront col cuore a mille, trovandosi davanti una Evelyn che sorrideva colpevole.
―Ti avevo detto che non lo volevo qui! ― ringhiò arrabbiata nella sua direzione.
―Avete bisogno di parlare, Amy. Ci vediamo in pista. ― rispose l’amica a muso duro e, afferrata Sarah per mano, la trascinò senza tanti complimenti verso il gazebo.
Amy sentì la presa confortante della mano di Chris sulla spalla e si sentì un pochino meglio. Almeno lui non l’aveva abbandonata.
Si girò nuovamente, trovandosi a pochi centimetri da Jordan. Il ragazzo la guardò incavolatissimo e rivolse uno sguardo ancora più incavolato a Chris, che le teneva una mano sulla spalla. Chris rispose allo sguardo con astio, per nulla intimorito.
―Amy, dobbiamo parlare. ― sibilò aspramente, senza staccare gli occhi da quelli di Chris. La presa di quest’ultimo si fece forte sulla spalla della ragazza, come per darle coraggio.
―Davvero? ― chiese Amy in tono strafottente.
―Davvero. ― sibilò ancora Jordan. Lui e Chris si stavano scambiando una battaglia fatta di sguardi silenziosi. Infine, Chris si chinò verso Amy senza interrompere il contatto visivo con l’altro ragazzo, e le sussurrò a voce abbastanza alta perché anche l’altro potesse sentire. ―Se hai bisogno chiamami. ― poi le strinse un’altra volta le spalle e la sua presa si fece leggera. Amy lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava. Anche Chris l’aveva lasciata in balia del suo destino.
Rivolse nuovamente il suo sguardo su Jordan, sforzandosi di assumere un’espressione di sufficienza.
Lui le si avvicinò ancora e le arpionò il braccio, stringendoglielo forte. ―Tu ora vieni con me. ― sibilò prima di iniziare a trascinarla via.
―Mi fai male, stronzo! ― si ribellò Amy, strattonando il braccio per liberarsi. Ma Jordan lo serrava in una morsa ferrea e non accennò a diminuire la pressione, continuando a camminare nella direzione opposta al gazebo, verso il mare e l’oscurità.
―Smettila di comportarti così. Non inganni più nessuno. ― disse e furono le ultime parole che pronunciò.
 
 
Appena arrivate al gazebo Evelyn e Sarah si separarono. La prima corse a prendere qualcosa da bere, l’altra raggiunse invece le altre ragazze sulla pista ed iniziò con loro uno dei balli folli che stavano inscenando.
Stava ridendo come una matta. Il ritmo della musica la accompagnava e la sua concentrazione era tutta occupata nel seguire i passi e i movimenti delle altre ragazze.
Non aveva tempo né modo di pensare ad altro. Era bello potersene stare senza preoccupazioni, per una volta!
Gambe divaricate, battere due volte il piede destro a terra piroettare su quest’ultimo mentre si battono due volte le mani, prendersi a braccetto con il proprio compagno, battere di nuovo le mani ed infine il piede sinistro e poi tutto dall’inizio. Era un ballo ben strano!
Prese sottobraccio il proprio compagno, ridendo e alla sua risata si unì anche quella del ragazzo al quale stava aggrappata. Sollevò gli occhi, incredula. ―Lee! ― urlò, con la voce strozzata dalla gioia. Era felice di vederlo lì.
Era felice di vederlo e basta.
Il sorriso le si allargò sulla faccia sino a farle male, ma non le importava.
Anche Lee le sorrise e in quel momento sembrò che le stelle si fossero date appuntamento nei loro occhi. Non poterono fare a meno di abbracciarsi.
Sarah si lasciò travolgere dall’abbraccio forte e profumato di Lee, dalla sua risata contagiosa che accompagnava ogni suo gesto e che risuonava anche in quell’istante, mentre la sollevava leggermente da terra.
―Mi concede questo ballo, signorina? ― domandò con un buffo inchino. Sarah rise, allegra, e accettò volentieri finendo tra le braccia di Lee a ballare un lento. Era molto più alto di lei e per guardarlo negli occhi doveva piegare la testa all’indietro, così alla fine scelse di abbandonarsi contro il suo petto e di lasciare che le braccia di lui l’avvolgessero dolcemente in un tocco delicato.
Erano all’estremità della pista da ballo, un po’ discostati dagli altri. ―Allora… ― iniziò Lee stringendola un po’ più a sé.
―Mhmm? ― Sarah strofinò il viso contro il suo petto e chiuse gli occhi.
―Come… è andata con David? ― chiese Lee con aria titubante. Sarah si irrigidì all’istante e spalancò gli occhi, ritraendosi un po’ da lui.
―Non mi va di parlarne. ― disse risoluta, senza accennare a riavvicinarsi. Avevano smesso di ballare e si guardavano negli occhi, seriamente. Le braccia di Lee scivolarono giù dalla vita della ragazza e ritornarono lungo i suoi fianchi. La guardò incerto, le guance che bruciavano per l’imbarazzo. Ma come era potuto essere così stupido? Quel momento era perfetto e lui l’aveva solo rovinato con una domanda stupida ed inutile! La sua curiosità doveva assolutamente scomparire o l’avrebbe rovinato! ―Certo. Hai ragione, scusa. ― mormorò abbassando lo sguardo e guardandosi le scarpe. Stettero immobili ancora per qualche istante, poi Sarah lo abbracciò nuovamente e ripresero a ballare. ―Non è colpa tua, Lee. È solo che… non vorrei rovinare questo momento. ― mormorò contro la stoffa della sua camicia.
Quella volta fu Lee ad interrompere il ballo. Sollevò un braccio e le sfiorò il mento per guardarla dritto negli occhi. Le accarezzò le guance morbide e vellutate. ―Tu non rovini mai niente, Sarah. ― le sussurrò, avvicinando il viso al suo.
 
 
―Beh, insomma, qui non conosco nessuno, devi ritenerti obbligata a stare con me. ― stava dicendo Chris ammiccando in direzione di una Evelyn civettuola come non mai. ―Mi sembra che io stia già con te in questo momento. ― rise lei.
Chris abbassò la testa, sconfitto. ―Ebbene sì, lo ammetto. Hai vinto. Ma vorreste concedere a questo povero mozzo un po’ del vostro prezioso fascino, madame? ― domandò passandosi una mano tra i capelli biondi e facendo scintillare gli occhi color nocciola con un sorriso malizioso.
―Cioè, fammi capire… ― cominciò Evelyn mettendosi comoda ed incrociando le braccia, ―Io dovrei prestare un po’ della mia bellezza a te? ― lo scrutò pensosa. ―Non mi sembra che tu ne abbia bisogno….
―Stai forse dicendo che sono bello come un dio? ― chiese Chris gonfiando il petto come un galletto.
Evelyn alzò gli occhi al cielo e rise e Chris le si fece ancora più vicino.
―Evelyn! ― la ragazza voltò la testa dall’altra parte in cerca di chi l’avesse chiamata. Sorrise nel vedere Kyle avvicinarsi tutto trafelato e gli fece un cenno con la mano.
Appena la raggiunse, anche lui le regalò uno dei suoi sorrisi abbaglianti, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato.
Chris gli regalò un’intensa occhiata di gelo che Kyle ignorò accuratamente. ―Devi aiutarmi. ― mormorò con fare supplicante.
Evelyn si accigliò, diventando subito seria. ―Che cosa è successo?
Kyle le rivolse un’espressione sconsolata. ―Oh, Evie è un incubo! Katherine è circondata da una marea di ragazze e ogni volta che cerco di farmi strada per arrivare da lei vengo circondato da una marmaglia di papere arrapate che mi palpano il sedere! Senza contare che ci sono sempre tre o quattro ragazze che le ballano attorno e non si staccano. ― la faccia di Kyle era così seria e disperata che Evelyn non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
―Bell’aiuto, che mi dai! ― sibilò lui irritato dopo un primo istante di smarrimento.
―No, scusa! ― singhiozzò Evelyn tra le risate. ―È solo che la situazione è davvero molto strana! ― disse, prima di riprendere a ridere.
Kyle sbuffò, ma anche a lui scappò un mezzo sorriso. ―È che mi volevo spicciare dato che Amy non si fa vedere e sicuramente appena mi adocchia mi darà la morte. ― mormorò il ragazzo guardandosi attorno nella speranza di non veder comparire la ragazza.
―Forse ha una buona ragione nel voler darti la morte. ― sibilò con astio Chris, al quale dava davvero fastidio la piega che stava prendendo la serata. Aveva sperato di poter stare solo con Evelyn, parlarle, ballare con lei, magari anche baciarla, ma ora era arrivato quel tipo che strarompeva con i suoi discorsi sulla ragazza bionda che gli avevano presentato prima.
Ma chissenefregava!
Sia Evelyn che Kyle non gli risposero e a Chris la cosa diede non poco fastidio.
Lei gli sorrise dolcemente, ―Non preoccuparti, tra poco te le stacco io di dosso. E approfitta del diversivo! ― e gli fece un occhiolino. Poi lui le sorrise e si allontanò.
Quando Evelyn si girò per parlare con Chris il sorriso le si spense sul volto.
Chris non era più accanto a lei, ma al centro della pista da ballo e sembrava darci davvero dentro con una bionda più svestita che vestita.
Evelyn sentì una morsa al petto e le salirono le lacrime agli occhi. Guardò per un momento Chris che era tutto intento a sghignazzare e a passare le mani su tutto il corpo della ragazza e poi scappò via dal gazebo, scoppiando a piangere nel buio.



*WHAWAIEAH!
:p
Allora?? :) che ve ne pare? Vi è piaciuto???
Vi prego, ho bisogno di pareri e spero proprio che siano positivi xD
Ditemi di Chris, di Evelyn, di Sarah, Lee, Amy, Jordan, Kyle e Katherine! :D
Insomma... :) Sono proprio curiosa di sapere cosa ne pensiate :*
Un bacione e un GRAZIE immenso a tutte voi che ci siete sempre, che mi recensite, mi leggete, inserite questa storia tra le preferite, seguite o ricordate, che rimanete in silenzio ma so che leggete :) Grazie. Perchè un autore, per quanto piccolo ed incapace non potrà mai essere tale se ad appoggiarlo esplicitamente e non, non ci sono i lettori! perciò vi ringrazio davvero tantissimo!!!
Di nuovo un bacio e buon weekend!! ;D
Kry <3 <3 <3

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 34
*** Capitolo 34. Puzzle. ***


 

Capitolo 34.

Puzzle.

 


 

―Tu ora vieni con me. ― sibilò prima di iniziare a trascinarla via.
―Mi fai male, stronzo! ― si ribellò Amy, strattonando il braccio per liberarsi. Ma Jordan lo serrava in una morsa ferrea e non accennò a diminuire la pressione, continuando a camminare nella direzione opposta al gazebo, verso il mare e l’oscurità.
―Smettila di comportarti così. Non inganni più nessuno. ― disse e furono le ultime parole che pronunciò.

 
Amy continuò ad opporre resistenza per tutto il tempo in cui Jordan la trascinò via. Ormai stavano camminando da un po’ ed era anche a corto di parolacce da urlargli, dal momento che  gli aveva riversato addosso tutte quelle che conosceva. Alle loro spalle, non si vedeva altro che spiaggia e intorno a loro non c’era altro che silenzio.
―Adesso basta! ― ringhiò Amy, puntando i piedi e strattonando ancora una volta il braccio. Jordan finalmente si voltò a guardarla.
Era arrabbiato, ma c’era anche qualche altra cosa, sotto.
―Adesso basta. ― ripeté Amy liberando il braccio dalla stretta e facendo un piccolo passo indietro. ―Cosa vuoi fare, Jordan? Perché mi hai portato sin qui? ― non aveva paura di Jordan, non ne aveva. Ma come faceva a capire davvero chi fosse? Cosa volesse da lei? Non riusciva più a capirci niente!
Il ragazzo parve ferito dall’allusione celata nella voce di Amy. ―Sai che non ti toccherei nemmeno con un dito. ― sussurrò. ―Non lo farei mai. ― i suoi occhi azzurri la fissavano sinceri e il suo sguardo era talmente perso e deciso, talmente silenzioso ma desideroso di spiegazioni che Amy fu costretta a guardare da un’altra parte, con le lacrime agli occhi.
―Perché mi hai detto quelle cose, Amy? Perché sei venuta a casa mia a dirmi quelle cose? ― la voce di Jordan era poco più di un sussurro e questo era un colpo ancora più forte, per Amy. Lo era perché se fosse stato arrabbiato magari sarebbe sembrato tutto normale, se avesse urlato sarebbe sembrato tutto normale. Se se ne fosse fregato ancora una volta allora sarebbe stato tutto come si aspettava. Il suo tono sembrava solo… deluso.
Amy girò il viso di scatto nella sua direzione, gli occhi ricolmi di lacrime e il viso congestionato dalla rabbia. ―PER CINQUE GIORNI JORDAN! ― urlò. ―NON TI SEI FATTO SENTIRE PER CINQUE GIORNI! ― le lacrime le rigarono il volto, senza fermarsi. Era arrabbiata, ribolliva di rabbia e delusione nei suoi confronti. Si era aspettata tanto da lui e lui l’aveva solo delusa e tradita. La pietà era una cosa che Amy non desiderava da nessuno. Non voleva essere baciata solo perché faceva pena. Non fu necessario specificare quando Jordan non si era fatto sentire, perché il ragazzo capì al volo e trasalì.
―Amy, io… ― mormorò cercando di avvicinarsi a lei.
―NO! ― Amy stese le braccia davanti a sé e fece un passo indietro, impedendogli di avvicinarsi. ―NON OSARE AVVICINARTI! ―tirò su col naso, cercando inutilmente di arrestare il flusso di lacrime che le bagnavano il viso.
Jordan si fermò immediatamente. ―Ti chiedo scusa, Amy. Non ci avevo pensato, davvero.
―Non ci avevi pensato? ― sibilò, con un tono ancora più spaventoso del precedente. Stavolta fu lei ad avvicinarsi a lui, puntandogli un dito contro il petto. ―Io non ho fatto altro che pensare a quello, invece. Io aspettavo che tu ti facessi sentire. Non sono mai stata una ragazza che esigeva molto, non ho mai chiesto a nessuno di fare cose impossibili per me. Ma dopo cinque giorni Jordan! NEMMENO TUA ZIA DI TIMBUCTÙ LA SENTI COSÌ RARAMENTE! ― Jordan era indietreggiato di molto mentre Amy lo aggrediva, un passo alla volta. ―Non c’è niente di cui parlare, niente di cui discutere. Evidentemente non è stato così importante per te, evidentemente io non sono così importante per te! Perciò, non vedo proprio il fine di questa discussione. ― sibilò. Le lacrime avevano smesso di cadere, sopraffatte da una furia cieca che invadeva Amy dal più profondo. Si girò per tornare sui suoi passi. ―Non voglio la pietà di nessuno. ― sussurrò e si avviò verso il gazebo.
―Amy, aspetta! ― la ragazza ignorò il richiamo di Jordan e continuò a camminare a passo spedito, sollevando la sabbia. Si passò con ferocia le mani sul volto, tentando di asciugare tutte quelle lacrime che trovavano sempre il momento sbagliato per scivolare giù.
Jordan si mise a correre e la afferrò per un braccio tirandola possessivamente a sé. ―Ho detto. Aspetta. ― sibilò incavolato, ignorando il gemito di dolore della ragazza. Prese un paio di sospiri profondi e si passò una mano tra i capelli.
―Amy… ― mormorò stancamente. ―Come devo fare con te? ― poggiò la fronte su quella della ragazza, guardandola negli occhi.
Amy tirò indietro la testa, sebbene non volesse altro che restare tra le sue braccia, restare lì per sempre. ―Non devi fare niente. ― sussurrò, svuotata di tutto. ―Devi solo lasciarmi andare.
Jordan scosse lievemente la testa. ―Ma io… non posso lasciarti andare, Amy. Io non voglio farlo.
Amy non ci capiva più niente. Strizzò gli occhi, in un’espressione molto confusa e poi tornò a guardarlo. Sentiva le lacrime pizzicare, aveva la vista annebbiata e tremolante. Odiava piangere. Scosse la testa e le lacrime scivolarono giù. ―Ma devi. ― sussurrò con voce ferma e decisa. ―Devi.
Jordan scosse la testa, rinsaldando la presa sulle sue braccia. ―Io ti chiedo scusa Amy. Non è come pensi. Non ti ho baciata perché mi facevi pena. Tu non mi fai pena, non mi hai mai fatto pena! ― esclamò con voce concitata.
Amy continuò a scuotere la testa. ―Jordan. Mi dispiace. Ma non ce la faccio più a vivere nell’insicurezza. Io ho bisogno di stabilità. Ho bisogno di sentirmi camminare su un terreno stabile che non traballa. È questo ciò di cui ho bisogno. Di amici veri. Di rapporti veri e non instabili. Mi fa solo male tutto questo. ― disse guardandolo negli occhi.
Lentamente, abbassò le mani di Jordan dalle sue braccia. ―Addio, Jordan. ― mormorò, esitando un attimo davanti a lui. Poi, gli lasciò andare la mano e si incamminò nuovamente.
Jordan rimase a guardarla allontanarsi. Dio, che stupido era stato! Dopo tutto quello che aveva fatto, tutto quello che aveva passato se la stava facendo scappare perché era stato un cretino. Si accovacciò sulla sabbia e si prese la testa tra le mani. Un cretino!
Ci aveva pensato a quel bacio. Non aveva fatto altro. Ma era stato così stupido, aveva esitato troppo senza sapere come comportarsi. Si passò le mani tra i capelli, emettendo un gemito straziato.
Che cazzo stava facendo ancora lì?
Si alzò di scatto e iniziò a correre. La sabbia si sollevava sotto i piedi e piano piano la figura di Amy diventava sempre più vicina sempre più vicina.
Era stato uno stupido, ma una cosa la sapeva: non voleva perderla.
Le si fiondò davanti e la prese nuovamente per le braccia.
―Io ti amo. Ed è l’unica certezza che posso darti. ― disse, prima di chinare il volto sul suo e baciarla appassionatamente.
Amy sgranò gli occhi, stupita, ma non respinse Jordan. Si sentì invadere da una profonda felicità e gli saltò in braccio, allacciando le gambe attorno alla sua vita.
Caddero entrambi nella sabbia, ridendo ed Amy si accorse di avere il viso bagnato di lacrime, altre lacrime però. Erano lacrime felici.
Rotolarono e Jordan si ritrovò sopra di lei. Avvicinò il viso al suo e le asciugò le lacrime con le labbra, le diede piccoli baci umidi sugli occhi, sul naso, sul collo, dappertutto.
―Anch’io ci ho pensato molto a quel bacio. ― sussurrò, sfiorandole l’orecchio con la punta del naso. ―Ma sono stato stupido.
Amy sospirò posandogli un lieve bacio sulla bocca. ―Non esserlo più, ― sorrise. ―Sappiamo entrambi che i tuoi neuroni ballano la dirthy dance senza sosta, ma non puoi permetterti di perderli tutti. Potrebbero servirti un giorno o l’altro.
Jordan rise. ―Credevo di avere solo un neurone. Mi stai rivalutando. ― commentò facendole un occhiolino.
Amy fece una faccia pensierosa. ―Può essere! ― sospirò infine, tuffandosi nuovamente sulle sue labbra.
 



 


Sollevò un braccio e le sfiorò il mento per guardarla dritto negli occhi. Le accarezzò le guance morbide e vellutate. ―Tu non rovini mai niente, Sarah. ― le sussurrò, avvicinando il viso al suo.
 
Le labbra di Lee erano tremendamente morbide. Appena le sfiorò con le sue, Sarah non poté fare a meno di sussultare insieme al suo cuore. Lee le sfiorò le labbra dolcemente, facendola rabbrividire, e quando vide che lei non opponeva resistenza, approfondì il bacio. Le mise una mano sulla nuca per avvicinarla ancora di più a sé e le schiuse le labbra con le sue. Sarah fu sopraffatta dal calore che emanavano e dalla dolcezza con la quale Lee la baciava e le accarezzava la nuca. Un brivido le percorse tutta la schiena e sentì qualcosa ribollire all’altezza dello stomaco, qualcosa che la rendeva leggera, felice, spensierata, come una bolla di sapone. Si aggrappò a Lee, baciandolo, e pensò che forse non aveva aspettato altro, in tutto quel tempo.
Gli mordicchiò le labbra piene e calde, sorrise contro il suo sorriso, sentendo la pelle tendersi sotto la sua e non poté fare a meno di baciarlo ancora e ancora.
 
 
Amy e Jordan fecero il loro ingresso in pista mano nella mano, con le facce sorridenti come non mai. La ragazza si guardò attorno, supervisionando la situazione. Katherine stava ballando in un angolo circondata da alcune ragazze.
Molto bene, pensò. Subito il suo sguardo corse alla ricerca di Kyle, che stava appoggiato contro una colonnina e beveva con noncuranza un cocktail. Amy lo guardò storto, come per dire “ti tengo d’occhio” e quando Kyle la vide, per poco non si strozzò con la bevanda. Amy sorrise e volse lo sguardo altrove.
Con sgomento vide Sarah e Lee pomiciare avvinghiati in un angolo e quella volta toccò a lei strozzarsi, con la sua stessa saliva.
―Amy, tutto bene? ― le chiese Jordan guardandola allarmato.
Amy annuì, tossicchiando. ―Certo. ― riuscì a rantolare. ―Tutto fila a meraviglia.
Prese un respiro profondo e si girò alla ricerca di Evelyn.
Non vide la ragazza da nessuna parte.
Credeva di trovarla con Chris sulla pista da ballo e invece non c’era traccia. Improvvisamente la colse una brutta sensazione.
Individuò Chris mentre ballava con Tania, una bionda tettona che andava in classe con Katherine e che aveva davvero poco a che fare con loro, e intuì ciò che doveva essere successo.
―Aspettami qui. ― disse a Jordan risoluta e si diresse a passo di marcia verso Chris, spingendo da parte le persone che le si paravano davanti.
Guardò con orrore il ragazzo che passava le mani sulla bionda mentre sghignazzava come un troglodita.
Anche Chris si era rincoglionito!
Il sesso maschile era decisamente sopravvalutato.
Amy represse un grugnito e li raggiunse. Mise le braccia tra i due e li separò, facendoli indietreggiare l’uno dall’altra. ―Smamma, troia! ― replicò acida in direzione della tettona e poi rivolse le sue attenzioni a Chris che la guardava con fare annoiato. Ma Amy lo conosceva troppo bene e sapeva che quell’espressione stonava alla grande con il sorriso sempre gioioso dell’amico.
Si preparò a fargli un bel discorsetto quando alle orecchie le arrivò la vocetta stridula e indispettita della biondina. ―Ehi!
Amy si girò nella sua direzione con aria scocciata. ―Hai capito una sola parola di quello che ho detto? Od oltre ad essere troia e bionda ossigenata sei pure stupida?
―Ma come ti permetti! ― protestò la ragazza facendo un passo verso di lei.
Chris le guardò allarmato. Forse era il caso di intervenire. ―Amy… ― cominciò, ma la ragazza lo fulminò con lo sguardo, ―Mantieni il testosterone alla larga da questa conversazione, Chris. ― disse, ritornando a rivolgere le sue attenzioni alla bionda. ―Senti… ― cominciò con aria tranquilla, ―ti conviene smammare e alla svelta. Oppure prenderò a calci quelle tue belle chiappe senza mutandine, filmerò il tutto e lo metterò su youtube. Chiaro?
Tra le due ragazze regnarono alcuni istanti di silenzio, mentre si sfidavano a vicenda con lo sguardo. Poi la bionda girò i tacchi e se ne andò.
―Bene. ― sospirò Amy girandosi e focalizzando la sua attenzione su Chris.
―Che cazzo stai facendo? ― sibilò velenosa.
Chris recuperò la sua espressione annoiata. ―Stavo solo ballando Amy, non ti agitare. Mi hai interrotto proprio sul più bello.
―Il più bello sarebbe infilare una mano sotto la gonna della tettona troia e ficcargliela in mezzo alle cosce? ― ringhiò Amy incazzata.
―Qualcosa del genere. ― sibilò Chris socchiudendo gli occhi con aria di sfida. Si guardarono in faccia per alcuni istanti, soppesandosi a vicenda, poi Amy lo prese per il colletto della camicia e lo trascinò fuori dalla pista da ballo. Stavano decisamente attirando troppa attenzione.
―Dov’è Evelyn? ― chiese studiando attentamente il ragazzo. Chris serrò la mandibola e distolse lo sguardo, soffocando un grugnito. ―Non lo so. ― replicò, ficcandosi le mani in tasca.
―Che cazzo significa che non lo sai? ― urlò Amy, attirando l’attenzione di alcune persone. ―Fatevi i cazzi vostri! ― sibilò nella loro direzione, guardandoli con occhi di fuoco. I poverini si allontanarono.
―Senti è arrivato quel tipo e si sono messi a parlare. Mi ha dato fastidio e me ne sono andato a ballare e a divertirmi! ― protestò Chris con gli occhi lampeggianti.
Amy lo guardò con disapprovazione. ―Quale tipo?
Chris le indicò un ragazzo appoggiato ad una colonnina.
―Kyle. ― disse semplicemente Amy. ―Sei geloso di Kyle. ― riprese, portando nuovamente la sua attenzione su Chris. Il ragazzo fece una faccia scocciata. ―Non sono geloso di Kyle.
―Ah no? ― chiese Amy sarcastica. ―È carino, simpatico addirittura… e hai appena finito di dire che è arrivato Kyle e ti ha dato fastidio che si sia messo a parlare con Evelyn. ― borbottò scimmiottandolo.
Chris sbuffò, evitando di guardarla negli occhi. ―Mi ha dato fastidio perché mi hanno ignorato.
―Probabilmente non hai fatto altro che dire qualcosa di stupido. ― replicò prontamente Amy, con una nota pungente nella voce. Chris abbassò lo sguardo.
―Non posso credere che tu ti stia comportando così, mi sento un agente matrimoniale! Non fare il bambino coglione e corri a cercarla, sicuramente le avrai spezzato il cuore! ― lo rimbrottò Amy. Chris si passò le mani tra i capelli.
―Dio, che stupido. ― mormorò guardandosi i piedi.
―Confermo. Sei proprio stupido perché al posto di correre da lei e chiederle scusa sei qui a scartavetrarmi i coglioni con i tuoi occhietti tristi! Corri! ― ringhiò la ragazza. Chris la guardò per un attimo e poi le sorrise come sempre, abbracciandola. ―Grazie! ― sussurrò prima di mettersi a correre.
―L’ho detto io che devo fare l’agente matrimoniale! ― disse Amy mentre un angolo della bocca le si sollevava in un sorriso divertito.
―Non mi piace quel tipo. ― grugnì Jordan dietro di lei guardando in cagnesco il punto in cui era sparito.
Amy alzò gli occhi al cielo, senza voltarsi. ―Hai origliato tutta la conversazione?
―Non ho potuto trattenermi. ― disse Jordan in tono serio. ―Dovevo controllare che non avesse qualche intenzione con te.
―Oh no. ― Amy si girò. ―Non ti ci mettere anche tu, adesso! ― esclamò prendendolo per mano e trascinandolo in pista.
 



 




 
―Evelyn! ― urlò Chris al buio. Si fermò ansimante, cercando di capire se intorno a lui ci fosse qualcuno. Gli rispose solo il fragore del mare.
Portò le mani a coppa davanti alla bocca e urlò ancora: ―EVELYN!!
Nessuna risposta. Chris si inumidì le labbra e si portò le mani dietro la testa. Dove poteva essere finita?
Corse qualche passo avanti, nella speranza di vederla. Nulla.
Stava per mettersi a correre nella direzione opposta quando sentì qualcosa. Un singhiozzo. Si diresse verso la pozza scura dalla quale l’aveva sentito provenire e pian piano distinse la sagoma di Evelyn accoccolata su se stessa, i lunghi capelli ricci che la proteggevano come una tenda. ―Evelyn. ― sussurrò ancora, scostandole i capelli dal viso. La ragazza non lo guardò in faccia, ma rimase a fissare un punto nel vuoto. Chris le sedette accanto, abbracciandosi le ginocchia con le mani. ―Mi dispiace. ― sussurrò ancora.
Evelyn si portò una mano al viso e si asciugò le guance bagnate, senza dire nulla.
―È solo che… ― continuò, prendendo un grande respiro. ―che non ho capito più niente.
Gli occhi di Evelyn si spostarono su di lui e Chris si costrinse a continuare. ―Quando è arrivato quel… quel… ― deglutì, ―Kyle ― sospirò e cercò di rimanere calmo, ―non ho capito più niente.
Evelyn aveva alzato il volto e adesso lo guardava dritto negli occhi. Chris le posò due dita sotto il mento e glielo sollevò un pochino, avvicinandosi a lei. ―Mi dispiace davvero. ― sussurrò, guardandola negli occhi. ―Sono stato stupido, non ho capito più niente e ho cercato di farti ingelosire, ferendoti.
Evelyn rimase in silenzio per qualche istante. ―Kyle è solo un amico. ― disse infine con voce rauca. ―È come Amy per te. ― aggiunse. ―Solo un amico.
Chris annuì e le accarezzò il volto. ―Scusami. Scusami se ti ho fatto star male. Scusami se sono stato stupido.
Evelyn sospirò, sentendosi più rilassata e più leggera. Tutto il peso e la tensione che aveva avvertito sino ad allora, che aveva sfogato con le lacrime, erano volati via con una carezza.
―Tu mi sei piaciuta subito. ― disse Chris d’impulso facendole sgranare gli occhi per lo stupore. Evelyn si sentì arrossire e abbassò lo sguardo, imbarazzata. Anche lui le era piaciuto subito.
Chris le sollevò dolcemente il volto, per poterla guardare negli occhi. ―Tu sei bellissima. ― le disse, posandole un bacio umido sulla punta del naso.
 
 
Evelyn e Chris stavano ballando abbracciati già da un po’ quando la ragazza si ricordò della promessa fatta a Kyle. Si guardò intorno per controllare dove fossero le sue amiche e notò con piacere che Amy era piuttosto presa da Jordan per preoccuparsi di ciò che faceva Kyle, mentre Sarah non si staccava un attimo da Lee. Quella serata, per strana che era iniziata, stava volgendo decisamente al meglio.
―Chris… ― mormorò al ragazzo che la teneva stretta. ―Devo  distrarre quella marmaglia di ragazze. ― spiegò dopo che l’ebbe guardata. Chris spostò lo sguardo sulle ragazze che si stavano scatenando vicino a Katherine e sospirò. ―Sarebbero le cosiddette ‘papere arrapate’ che palpano il sedere del tuo amico?
Evelyn annuì.
―Aspetta. ― sospirò, ― ho un’idea.
Evelyn lo vide allontanarsi in direzione di Jordan e di Amy e di parlare ad entrambi. Vide che stava confabulando animatamente con Amy e che poi la ragazza rivolgeva uno sguardo assassino in direzione di Kyle. Oh no! Questa non ci voleva.
Poi però vide Amy annuire e dire qualcosa.
Jordan e Chris la raggiunsero. ―Visto che siamo nello stesso gruppo, adesso, ― disse Chris facendo una faccia strana,  ―sarebbe inutile continuare a farsi la guerra in maniera tanto stupida anche perché ci interessano ragazze diverse… ― spiegò più rivolto a Jordan che ad Evelyn. L’altro ragazzo annuì con aria grave.
―Perciò abbiamo deciso di sacrificarci per Kyle, anche se Amy avrebbe preferito farlo stuprare dalle papere sataniche, lì! ― concluse il ragazzo con un cenno alle ragazze scatenate sulla pista.
Evelyn sollevò un sopracciglio. ―Sacrificarvi?
Chris e Jordan si guardarono e con un cenno d’intesa, si tolsero le magliette, rimanendo a petto nudo. Evelyn strabuzzò gli occhi e così gran parte delle ragazze, che iniziarono a ballare in modo sospetto attorno ai due ragazzi. Kyle ne approfittò immediatamente, era rimasto sin troppo tempo appostato in attesa e si fiondò a ballare vicino a Katherine.
Evelyn guardò la scena con orrore, la mandibola completamente spalancata. Credeva che Kyle sapesse ballare bene!
―Oh, mio, Dio. ― disse Amy con un’espressione disgustata. ―Sembra quella di “I love shopping”, gli manca solo il ventaglio in mano!
In quel preciso istante le raggiunse Chris col fiatone, tutto disordinato e spettinato. Si rimise la camicia alla bell’e meglio e poi rivolse un sorriso ad Evelyn. ―Missione compiuta?
Evelyn era incapace di staccare gli occhi da Kyle che ancheggiava e muoveva le braccia come un gorilla.
―Giudica da te. ― rispose Amy indicandogli Kyle, incapace di distogliere lo sguardo.
Il sorriso si spense sulle labbra di Chris. ―Cristo, è davvero malato quel tizio.
Nessuno disse niente, perché la scena si commentava da sola. Kyle stava girando attorno a Katherine ballando quella specie di danza della seduzione. Katherine rideva come una pazza.
―Mi sento svenire. ― mormorò Amy con un fil di voce.
―Chissà perché mi preoccupavo tanto, poi. ― commentò invece Chris cingendo la vita di Evelyn con un braccio.
Amy sembrò riscuotersi. ―Jordan?
―È ancora lì. ― furono le uniche parole di Chris mentre avvolgeva Evelyn con le braccia ed iniziava a ballare un lento con lei, in completa contrapposizione con la musica da discoteca che percuoteva la pista.
―Vado a salvarlo, allora. ― disse Amy sparendo tra la folla di ragazze. Non si risparmiò di pestare piedi e dare gomitate quando lo ritenne necessario e finalmente riuscì a riprendere possesso di Jordan e a farlo uscire dal covo delle stupratrici.
Jordan le sorrise e si rimise la maglietta.
―Non osare rifarlo se non col mio permesso! ― lo minacciò Amy sollevando un sopracciglio.
Jordan rise e la baciò, prendendole il viso tra le mani. ―Certo, capo!
 





 

Kyle stava ballando da un po’ con Katherine. Lei non faceva altro che ridere per il modo strano in cui ballava, ma a Kyle non importava un accidente perché le piaceva come rideva e come le si illuminavano gli occhi.
Si allontanarono un pochino, guadagnandosi un po’ di privacy. Lontano dalla pista la musica era molto meno assordante e il profumo del mare li raggiunse. Katherine si appoggiò alla parete, sorridendo. ―Volevo ringraziarti per la gita in barca dell’altro giorno. ― disse.
Kyle la ricordò con un sorriso.
―Mi sono davvero divertita. È stata davvero… fuori dal comune. ― sorrise.
Kyle si mise a ridere, ricordando tutto ciò che avevano passato a causa sua. ―La prossima volta prometto che farò qualcosa che rientri nella norma!
―No! ― esclamò Katherine divertita. ―Mi piace. Fare cose fuori dal comune, intendo.
Kyle rise e le si avvicinò ancora. ―E se adesso… ― disse poggiandole una mano sul fianco ed avvicinandosi ancora di più a lei, ―E se adesso ti baciassi…
Vide Katherine sgranare gli occhi. Era davvero carina, così timida.
―Dici che sarebbe troppo comune?  ― sussurrò a qualche centimetro dal suo viso. Aveva un profumo buonissimo.
Katherine socchiuse gli occhi e dischiuse le labbra. Kyle si avvicinò ancora di più e socchiuse gli occhi a sua volta e… ―KYLE! ― il ragazzo sussultò riaprendo gli occhi e staccandosi velocemente da Katherine. Anche la ragazza aprì gli occhi di scatto e si sistemò la gonna, imbarazzata, anche se non c’era nulla da sistemare.
―Ti ho visto ballare, sei stato… ― Amy si interruppe per cercare la parola giusta. ―fe no me na le. ― concluse annuendo ad occhi chiusi. ―Già! Non avevo mai visto nessuno ballare… in quel modo. ― pronunciò le ultime parole con un tono così lugubre e minaccioso che Kyle si convinse che quello di Amy non era affatto un complimento.
―Comunque! ― continuò la ragazza indossando uno dei sorrisi più forzatamente dolci che avesse mai visto, ―Vedo che vi state divertendo! ― disse assestandogli poderose pacche sulla schiena. Kyle capì al volo il messaggio implicito “Lascia stare Katherine o ti spacco il culo”. Non riuscì a trattenersi. ―Beh, prima che arrivassi tu mi stavo divertendo eccome! ― sibilò acido.
Gli occhi di Amy si ridussero a due fessure. Prese Kyle per un braccio e lo trascinò qualche metro lontano da Katherine. ―Stammi bene a sentire. ― esplose. ―Katherine non è divertirsi. Sono stata chiara?
Kyle annuì con un’espressione abbastanza feroce quanto quella di Amy. ―Lo so benissimo, Amy. Ma ogni volta tu mi impedisci di fare alcunché con lei. Le prime volte non mi hai nemmeno fatto parlare! ―protestò.
Amy sospirò, serrando la mascella. ―Kyle… ― disse in tono serio e non più aggressivo. ―Ti ho impedito di parlare perché già all’inizio ci stavi provando in maniera spudorata e io non mi fidavo di te. Non so ancora se fidarmi di te. ― proseguì, guardandolo dritto negli occhi. ―Te lo dirò chiaramente: Katherine non deve essere un ripiego personale. Cerca di trattarla con rispetto e vacci piano con lei. Non è come le altre. Non è come nessuna che hai conosciuto sino ad ora.
―Questo lo so. ― disse Kyle abbandonando l’aria battagliera. Si passò una mano tra i capelli. ―Se ti prometto che non la farò soffrire, mi lascerai stare? Mi piace davvero. ― Amy lo guardò per qualche istante, poi annuì.
―Ma Kyle… ― disse, prima di andarsene, ―se solo infrangerai la promessa, sappi che non avrai pace. 



*WHAWAIEAH!
:D ciauuuuu!!! :p
Allora, che ne pensate?? Voglio opinioni dettagliate!! ù.ù
Questo capitolo mi piace molto *modestamente si inchina* e vorrei conoscere anche le vostre inestimabili opinioni perchè ultimamente ci sto andando giù di brutto con l'autostima... xD
Colpa di mia cuggì ;p
Ooocchey, smetto di scrivere cose che non capirete e che non centrano una mazza e vi saluto!! (:
Opinioni "a la cataaaaan" per favore xD
Un grazie a tutti voi!!! Vi adoro, dal primo all'ultimo lettore, recensore, fantasmino che fa il tifo in silenzio per le coppiette felici/infelici!! <3
GRAZIE! (:
Un bascione,
Kry <3 <3 <3 :D ^^ :*

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 35
*** Capitolo 35. Ritorno a casa. ***


Capitolo 35.

Ritorno a casa.

 


 

 
Kyle aveva seguito Katherine fin sotto casa sua, con la moto. Non si era mosso di lì per un momento da quando lei e il padre erano scesi dalla macchina ed erano saliti in casa. Kyle sospirò, scrutando l’abitazione.
Decisamente non aveva mai provato per nessuno ciò che provava per Katherine. Lei era bella, dolce, gentile, era una ragazza semplice e lui non ne aveva mai conosciute così. Di solito le ragazze gli si concedevano facilmente, erano per lui come dei premi da collezionare, non aveva mai trovato l’amore vero.
Poi era arrivata Evelyn e tutto era cambiato. Lei gli aveva fatto capire quanto quella filosofia di vita fosse sbagliata, l’aveva spinto ad andare oltre, gli aveva regalato un’amicizia unica e sincera.
All’inizio aveva creduto di esserne innamorato. Era una sensazione strana, era confuso e decisamente per quella ragazza aveva provato qualcosa che per nessun’altra aveva mai provato. Quando stava con lei era felice, stava bene e allo stesso tempo non sapeva come comportarsi. Evelyn era una persona vera.
Poi, quando si erano baciati, aveva capito che non era quello che voleva da lei. Aveva capito che Evelyn sarebbe stata per sempre solo e soltanto la sua più cara amica.
Per un attimo, dopo il bacio, aveva creduto di aver rovinato tutto.
Ma ancora una volta Evelyn l’aveva sorpreso. Anche lei voleva ciò che voleva lui, anche lei lo vedeva come un caro amico, niente di più.
L’aveva portato a vivere veramente e, doveva ammetterlo, era la sensazione più frizzante ed entusiasmante che avesse mai provato. Nulla era scontato ma ogni minuto, ogni secondo di vita era una novità.
Ed eccolo lì, appostato sotto casa di Katherine e stava per fare qualcosa che non aveva mai fatto.
Ecco, appena aveva visto Katherine, aveva capito che voleva conquistarla. Si era sentito accaldato, con la gola secca, una tremenda fitta allo stomaco e il respiro affannoso.
Era come se qualcuno cercasse di soffocarlo e l’unica a potergli dare aria era proprio lei, Katherine. Per questo non si sarebbe arreso per nulla al mondo.
Ripensò alle parole di Amy e seppe che mai, avrebbe potuto farle del male. Katherine era una persona troppo bella, troppo bella in tutti i sensi per poter essere maltrattata.
Kyle appese il casco al manubrio, scendendo dalla moto.
Si era accesa una luce, dietro una finestra.
Ecco il momento che aspettava.
Si chinò e raccolse un po’ di ghiaia da terra.
 
Katherine si sedette al tavolo della cucina e  stese le gambe sulla sedia accanto a lei. Si sgranchì i piedi, con un’espressione di immenso sollievo. Le gambe le facevano male da morire. Ma era valsa la pena stare in piedi tutta la sera, era valsa la pena ballare insieme a Kyle, guardarlo ballare attorno a lei in quel modo, ed era stato bellissimo quando le aveva offerto il braccio per ballare insieme a lui un lento.
Quel momento era stato… magico. Katherine si sentiva fluttuare tra le sue braccia, era come se stesse costantemente sul punto di cadere, ma le braccia di Kyle la tenevano al sicuro, stretta a lui. E quegli occhi così belli, lucenti e caldi, di quel colore così particolare e… delizioso….
―Cos’è quel sorriso? ― le chiese il padre, osservandola attentamente con uno sguardo che la sapeva lunga.
Katherine si portò le mani al viso. ―Q – quale sorriso? ― chiese, cercando di assumere un’espressione normale. Non si era accorta di sorridere. Pensava solo a Kyle e ai suoi occhi, al modo in cui la guardava, le parlava, le sorrideva, la teneva stretta a sé con quelle mani grandi.
Sentì una strana sensazione alla bocca dello stomaco e le sembrò di sciogliersi.
―Eccolo di nuovo. ― commentò il padre, guardandola divertito.
―Cosa? ― chiese Katherine, cadendo dalle nuvole.
Il padre ridacchiò. ―Il tuo sorriso. ― spiegò. ―È tutta la sera che guardi per aria con gli occhi luccicanti ed il sorriso che illumina a giorno la città.
Katherine si alzò, imbarazzata, e si girò verso il lavello con la scusa di riempire un bicchiere d’acqua. In realtà non riusciva a trattenersi dal sorridere e voleva evitare che il padre le facesse più domande del necessario.
Portò il bicchiere alle labbra e tornò a guardare il padre. ―Dimmi un po’… ― cominciò lui. Katherine si sentì arrossire. ―Non è che ti sei… ― un rumore interruppe la domanda fatidica.
Katherine deglutì rumorosamente e lei ed il padre si guardarono con aria interrogativa. Di nuovo quel rumore.
Sembrava provenisse dalla finestra.
Entrambi si voltarono in quella direzione, incuriositi. Ecco, di nuovo lo stesso rumore.
Sembrava un picchiettare contro il vetro. ―Forse c’è un uccellino. ― ipotizzò Katherine, sviando astutamente il discorso.
Il padre non le rispose nemmeno, stava fissando la finestra, incuriosito. Di nuovo il rumore contro il vetro.
―Va bene… ― disse Katherine. ―Controlla tu. Io vado a dormire. ― e, detto questo, uscì fuori dalla stanza, scappottandosela per un pelo.
Il rumore si ripeté ed il padre di Katherine guardò con aria sospettosa la finestra, indeciso su cosa fare. Poi fece qualche passo verso le imposte, buttando fuori l’aria, spalancò le ante e si affacciò.
Seminascosto dall’oscurità, stava un ragazzo. Ma chi cavolo era?
L’uomo strizzò gli occhi, cercando di metterlo meglio a fuoco. “Maledetta miopia, maledetta presbiopia!” pensò furioso quando comprese che senza occhiali, carpire le fattezze di quel volto era pressoché impossibile.
Decise che era di sicuro uno dei ragazzi del quartiere che andavano a dare fastidio. Erano più o meno le tre di notte!
―Ehi, giovane! ― urlò, al ragazzo che era rimasto impietrito quando lui si era fermato. Quello sobbalzò, ma non si mosse.
Certo che era proprio scemo. Insomma, andava a disturbare la gente con i suoi scherzetti e poi non scappava via a gambe levate? I tempi dovevano essere cambiati sul serio, quando le faceva lui quelle cose non sprecava un secondo e se la filava più veloce del vento.
―Qui c’è gente che vuole dormire! Sparisci e vai a dare fastidio alla tua famiglia! Delinquente! ― urlò ancora prima di chiudere le ante con uno scatto. Certo che fare il genitore aveva la sua parte di divertimento!
Kyle rimase immobile ancora per qualche istante prima di precipitarsi alla moto, indossare il casco e scappare via a tutta birra.
Non si aspettava di trovarsi davanti il viso scorbutico di un genitore imbestialito! Credeva che avrebbe parlato con Katherine, avrebbe fatto il romantico per un po’!
Accelerò, schizzando per i vicoli della città, con il serio terrore che il padre di Katherine lo stesse inseguendo per dargli una lezione.
 
 
 
La serata era stata piacevole e frizzante. Katherine se ne era andata con il padre e subito dopo Kyle era salito sulla sua moto salutandola velocemente.
Amy e Jordan non smettevano un attimo di stringersi e sbaciucchiarsi e gli occhi di Sarah brillavano come stelle mentre stringeva la mano di Lee.
Come sarebbe finita la sua serata, invece?
Evelyn guardò di sottecchi Chris che si era offerto di accompagnarla a casa e lo beccò intento ad osservarla. Entrambi scoppiarono a ridere per essersi beccati a vicenda.
Le strade erano buie e l’aria era umida e appiccicosa. Chris le sfiorò una mano con le dita ed Evelyn arrossì violentemente, guardando per terra. Quando sollevò lo sguardo incontrò gli occhi nocciola di Chris che la osservavano attentamente e con dolcezza.
―Ehi… ― sussurrò teneramente.
―Ehi. ― rispose Evelyn in un sussurro, le guance che bruciavano, rosse per l’imbarazzo.
Il cuore pulsava così velocemente che lo sentiva battere ritmicamente contro le sue orecchie e il rumore era talmente forte che temeva che Chris potesse sentirlo.
Il ragazzo le sorrise teneramente e le sue dita indugiarono nuovamente sulla mano di lei, accarezzandola.
Evelyn deglutì pesantemente. Sarebbe esplosa. Poco ma sicuro. Il suo organismo non poteva resistere alla circolazione del sangue così velocemente, il suo cuore andava troppo veloce, sicuramente sarebbe scoppiato.
Le dita di Chris continuarono a seguire le vene sulla mano di Evelyn, ad accarezzarle, a disegnare linee immaginarie e a sfiorarle sensualmente i polpastrelli delle dita. Un intenso formicolio prese ad infuocarle la mano e poi ogni cosa divenne fuoco, calore, fiamme. Chris le afferrò la mano e continuarono a camminare in silenzio, evitando gli sguardi l’uno dell’altra.
Evelyn si sentiva allo stesso tempo inquieta e tranquilla. Inquieta quando pensava alla mano di Chris allacciata alla sua, quando pensava a cosa sarebbe potuto accadere sotto il portone di casa. Tranquilla, invece, quando non pensava ad altro, quando si lasciava trasportare dal rumore dei loro passi sull’asfalto, quando lasciava cullare le loro mani avanti e indietro, trasportati da una stessa melodia.
Evelyn sbirciò nuovamente Chris e sorrise.
Lui le piaceva.
Era rimasta molto male quando l’aveva visto con un’altra, si era sentita rincuorata e felice quando lui l’aveva trovata e le aveva detto che lei gli era subito piaciuta.
Che era bellissima.
Evelyn sentì qualcosa, un dolore lancinante e piacevole all’altezza del petto ed una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Volse lo sguardo avanti a sé e fece uno sforzo immenso per non fermarsi pietrificata.
A pochi metri da loro c’era il portone di casa.
Ingoiò un groppo amaro.
Cosa sarebbe successo?
Iniziava a sentire il nervosismo, il calore provato poco prima si andava passo passo raffreddando con l’aria della sera, un macigno le sostava improvvisamente sullo stomaco, rendendole impossibile respirare. Pensieri confusi e affollati le premevano contro le tempie, impedendole di pensare alcunché.
―S- siamo arrivati. ― mormorò con un sorriso imbarazzato.
Chris le si fermò davanti e rimasero ad osservarsi per alcuni istanti.
Entrambi sapevano cosa sarebbe successo, cosa era ovvio che accadesse, cosa entrambi volevano avvenisse.
Chris le si avvicinò, posandole una mano sulla vita.
Chinò la fronte su quella di Evelyn e la ragazza alzò lo sguardo, mentre lui socchiudeva gli occhi. Voleva baciare Evelyn.
Lo desiderava più di ogni altra cosa, ma qualcosa dentro di lui gli consigliava di andarci piano con lei. Era una ragazza speciale, bellissima e intelligente e lui voleva che tra loro ci fosse più che qualche semplice bacio e un’uscita ogni tanto.
Si conosceva abbastanza bene da sapere di essere il tipo che si stancava in fretta delle donne. Si stancava perché succedeva tutto molto velocemente.
Le punte dei loro nasi si sfiorarono e Chris aprì gli occhi, accarezzando dolcemente con lo sguardo il viso di Evelyn. I suoi occhi scuri brillavano, Chris non voleva fare altro che baciarli e poi scendere e posare quei baci su quelle labbra così morbide e piene.
Evelyn si morse il labbro e Chris deglutì, distogliendo lo sguardo in fretta. Le posò le mani sulle braccia e le strinse forte.
Si staccò da lei e fece un passo indietro. ―Evelyn io…
―Non ti preoccupare. ― disse lei in fretta, cercando di nascondere la delusione. ―Non importa, sul serio. ― accennò un sorriso timido, ma Chris intuiva che ci era rimasta male.
―Invece importa. ― disse deciso, con una voce così seria che la costrinse ad alzare lo sguardo.
―Io voglio andarci piano con te, Evelyn. ― disse, e ogni parola pesava come un blocco di granito. Prese un respiro profondo. ―Voglio andarci piano perché voglio che tra noi nasca qualcosa di serio. Mi conosco troppo bene e so che passare un po’ di tempo con te prima di baciarti è un buon metodo per non perderti.
Lo sguardo di Evelyn era cambiato e adesso lo guardava felice, rispettosa, attenta.
―È solo la seconda volta che ci vediamo. ― sussurrò lui sfiorandole una guancia. Evelyn arrossì immediatamente.
Chris sorrise. ―Non sai quanto mi costano queste parole, perché vorrei davvero baciarti. ― mormorò piano.
Le posò un piccolo bacio sulla fronte ed un altro sulla punta del naso e si allontanò di un altro passo, per impedirsi di continuare. ―Ormai nessuna ragazza arrossisce più.
Evelyn lo guardò con aria interrogativa.
―Mi piaci. Sempre.
 
 
Amy aveva appena messo piede dentro casa quando squillò il suo cellulare. Lo prese senza esitare con un largo sorriso sulla faccia.
―Ehilà.
―Ehilà. ― la voce all’altro capo sembrava vagamente divertita. Amy non voleva far capire che si aspettava quella telefonata e che se non fosse arrivata si sarebbe incavolata ancora di più. Ma non riuscì a trattenersi e disse: ―Hai fatto bene a chiamarmi.
―Era una prova? ― chiese Jordan dall’altro capo, la voce che nascondeva una punta d’ironia.
―Esattamente. ― disse Amy decisa, togliendosi le scarpe con un calcio e buttandosi sul letto. ―Davvero, ti avrei preso a calci in culo stavolta.
Jordan sospirò, ma Amy capì dal suo tono che stava sorridendo. ―Su, prova a fare la dolce qualche volta. Accontentami.
—Vedremo… — sorrise lei.
—Che fai?
—Mhmm… niente. Sono stesa sul letto. Tu invece dove sei? Sento dei rumori…
―Sono in giro, per strada. Cammino e penso a te. ― da entrambe le parti calò un silenzio profondo e tranquillo. Amy si sentiva sciogliere, un sorriso idiota stampato sulla faccia. ―È ovvio che mi pensi, stupido. Stai parlando con me! ― rise.
Anche Jordan scoppiò a ridere e scosse la testa. ―Sei incorreggibile.
―Ti amo. ― rispose Amy, assaporando il suono di quelle parole così dolci sulla lingua. ―Ti amo. ― sussurrò di nuovo, in tono più dolce, più flebile.
―Anch’io ti amo. ― disse Jordan e la sua voce era sicura, era calda e dolce come miele.
Amy sorrise e socchiuse gli occhi, sapendo che era vero.
 
 
Lee si sporse nella sua direzione per scoccarle un altro bacio sulle labbra ed entrambi non poterono fare a meno di sorridere.
―È… ― cominciò Sarah, interrompendosi.
Erano vicini a casa e i loro passi risuonavano sull’asfalto mescolandosi alle grida degli altri ragazzi e ai clacson e allo stridio dei freni delle automobili.
―Sì? ― chiese Lee con un sorriso, invitandola a continuare.
―Beh, è strano. Tutti questi anni, tutte le cose che abbiamo fatto e adesso ci accorgiamo di piacerci. ― rifletté.
Stettero in silenzio per un po’, poi Lee parlò. ―Beh, io non mi sono accorto stasera che mi piacevi… ― Sarah lo guardò curiosa con aria interrogativa.
―Sai, quando ― si interruppe, ―quando ti mettesti con David io provavo qualcosa di strano. Ero felice per entrambi ma allo stesso tempo mi sentivo come squarciato dentro. Pian piano ho capito che ciò che provavo era molto più intenso dell’amicizia tra noi due. A volte desideravo che tu e David vi lasciaste. ― confessò, abbassando lo sguardo. ―Ma poi vedevo com’eri felice con lui. E mi accorgevo che l’unica cosa di cui mi importasse era la tua felicità. ― sollevò lo sguardo su Sarah, che aveva gli occhi lucidi. ―Quando lui se n’è andato non potevo sopportare di vederti così triste. Così abbattuta. L’ho cercato in tutti i modi, credimi, ma mi ha sempre evitato. Mi ha sempre cacciato e…
―Lo so. ― lo interruppe Sarah posandogli un dito sulle labbra. ―Ma perché solo ora? Perché solo ora mi dici ciò che provi?
Lee la guardò come se cercasse aria per respirare, come se cercasse di farle capire tutto con un solo sguardo. ―Avrei voluto dirtelo mille volte in mille occasioni. Ma tu non sembravi ricambiare e non potevo piombare nella tua vita subito dopo David. Non sarebbe stata la stessa cosa. Non sarebbe stato giusto.
―Per tutto questo tempo… ― sussurrò Sarah. Non riusciva a crederci. Lee, la persona cui teneva di più al mondo, aveva sofferto a causa sua per tutto quel tempo, senza che lei si accorgesse di nulla, troppo presa dal suo dolore.
Guardò la sagoma di Lee, confusa e appannata sotto il velo di lacrime che le copriva gli occhi. ―Oh, Lee. ― la voce era un respiro spezzato, un sussurro interrotto. ―Mi dispiace!
Il ragazzo la guardò senza capire mentre Sarah gli si gettava tra le braccia. ―Dev’essere stato terribile per te. ― spiegò lei tra i singhiozzi. Si sentiva un mostro. L’amore di Lee era così… grande che lei si vergognava al confronto. Si vergognava di non aver capito prima cosa provasse il suo migliore amico per lei, si vergognava di averlo fatto soffrire senza essere capace di vedere al di là del suo dolore, senza essere capace di non essere egoista.
Si vergognava di aver capito solo allora di amare Lee, perché lei lo amava, sì, e lo amava così intensamente che solo adesso, solo adesso che il fiato le mancava se ne accorgeva.
Lee le sollevò il mento con le dita e avvicinò il viso al suo. ―Non dirlo mai più. ― sussurrò. ―Mai più.
Sarah lo guardò senza capire, mentre le lacrime continuavano a scenderle lungo le guance.
―Tutto ciò che ho fatto, lo rifarei mille volte, perché era quello il modo giusto. ― mormorò afferrandole il viso e guardandola dritto negli occhi. ―Tu non hai nessuna colpa. ― un sorriso increspò le sue labbra. ―Non hai nessuna colpa, perché in ogni cosa ci metti il cuore. Quando giochi, quando sorridi, quando ami, Sarah. E se qualcosa non va, se qualcosa si rompe, anche il tuo cuore si spezza. Per questo ti amo. Ed è per questo che standoti accanto in tutti questi anni ho imparato ad amarti sempre di più, qualunque cosa tu facessi. Ho amato ogni parte di te in ogni istante e non smetterò mai perché sei una persona splendida.
Sarah sbatté le palpebre e le lacrime scivolarono via con un sorriso. ―Sono parole bellissime ― mormorò, un attimo prima che le labbra di Lee scendessero sulle sue, a suggellare con un bacio dolce il suo amore per lei.
 
 
―Dai, David, andiamo!
Il ragazzo fece un cenno d’attesa in direzione degli amici e quelli sbuffarono sonoramente. Continuò a guardare ciò che a diversi metri da lui gli stava strappando il cuore pezzo per pezzo.
Fece qualche passo indietro e si nascose all’ombra degli alberi che costeggiavano il viale. Sarah e Lee si stavano baciando.
La sua Sarah stava baciando Lee.
Alla fine c’era riuscito. Lee aveva ottenuto ciò che voleva da sempre, che entrambi volevano da sempre.
David si voltò e si incamminò via con gli amici.
Ma non sarebbe finita così.
 

 *WHAWAIEAH!
Ed ecco per voi un capitolo piuttosto dolcioso (:
Spero che Lee, Chris, Jordan e Kyle vi piacciano, ma aspettatene delle belle da tutti!! ;p
Mi sto portando avanti con la scrittura dei capitoli e si procede a gonfie vele!!! xD
Spero davvero che vi sia piaciuto :3
Un bacione a tutti voi!
Kry <3 <3 <3 c:

ORDER OF THE PHOENIX*

 

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Capitolo 36
*** Capitolo 36. Honey. O quasi. ***


Capitolo 36.

Honey.
O quasi.

 

 

Amy incrociò le gambe sul divano senza smettere di guardare lo schermo.
Le immagini schizzavano impazzite spargendo sangue e pallottole ovunque. Lei e Jordan avevano puntato per un videogioco più comune e adesso stavano lottando a vicenda l’uno contro l’altro cercando di ammazzarsi e di sopravvivere.
Ce l’aveva quasi in pugno.
Si morse le labbra, mentre sentiva il corpo di Jordan tendersi e sussultare accanto a lei, cercando di dare velocemente i comandi giusti al suo avatar.
Sparò ancora, schizzando lo schermo di sangue ma Jordan rimaneva ancora in vita. Agli urli di dolore del videogame si aggiunsero anche gli squilli di un cellulare.
Amy sparò una raffica di pallottole mentre con l’altra mano apriva il telefono e se lo portava all’orecchio. ―Sì? ― urlò sopra il frastuono della play.
―Amy, sono Katherine. ― disse incerta una voce. ―Ti disturbo?
Amy era messa alle strette da Jordan, che approfittava dell’attimo di difficoltà. ―Ehm… non proprio. ― biascicò risentita mentre il suo avatar si beccava una pallottola nella spalla. Scoccò un’occhiata furente a Jordan e gli sventagliò addosso un’altra scarica di pallottole, colpendolo di striscio più volte.
―Vorresti venire in biblioteca con me, oggi? ― la voce di Katherine era un sussurro lontano che le ronzava nelle orecchie distraendola.
―No, Kat, non posso proprio. Facciamo un’altra volta, adesso sono con Jordan. ― spiegò la ragazza colpendo alla gamba Jordan con estrema difficoltà.
―Ah. Va bene, allora magari ci sentiamo più tardi. ― disse Katherine titubante.
Amy urlò di frustrazione mentre a malapena riusciva ad evitare una scarica di pallottole. Le servivano entrambe le mani per sparare con precisione. ―Sì, sì, ci sentiamo dopo, scusa. ― e riattaccò.
Jordan era in testa di cento punti ed Amy sapeva che la situazione si era praticamente ribaltata mentre stava parlando al telefono.
Accidenti! Aveva anche trattato di merda Katherine! Le dispiaceva, ma avrebbe rimediato più tardi proponendole di andare a farsi un giro il giorno dopo.
Sparò qualche colpo a Jordan ma lo mancò e lui la colpì con due pallottole, una alla testa e una al cuore.
GAME OVER.
―Accidenti! ― urlò Amy imbestialita mentre Jordan si atteggiava ad una posizione da “vincitore”.
―Ammettilo, non mi avresti mai battuto se non fossi stata impegnata al telefono! ― sbraitò puntandogli un dito contro. Jordan la guardò facendo finta di non capire e sfoggiò uno dei suoi sorrisi più irritanti.
Amy pestò i piedi per terra, diventando livida dalla rabbia. ―Ti sfido a darmi la rivincita, babbione, e ti dimostrerò che la vittoria spettava a me!
―Ti sbagli. ― disse Jordan con nonchalance, voltandole le spalle. ―Ti ho battuta lealmente. Non è colpa mia se ti sei fatta distrarre da una telefonata.
Amy aprì la bocca per dire qualcosa ma il fiato le uscì a vuoto. Si guardò attorno, incavolata, agguantò un cuscino e lo lanciò dritto contro la testa di Jordan.
Il cuscino cadde a terra con un tonfo e Jordan si girò lentamente nella sua direzione. ―Cosa hai fatto? ― sibilò nella sua direzione.
Amy, imbronciata, prese un altro cuscino e lo lanciò contro di lui. Jordan lo evitò per un soffio scansandosi di lato, ma Amy ne aveva già preso un altro che in quel momento stava volando nella sua direzione.
Jordan fece qualche passo avanti cercando di evitare i cuscini che Amy continuava a lanciargli contro. Quando i cuscini furono finiti, Amy si guardò intorno alla ricerca di qualche altra cosa da lanciargli addosso. Ma Jordan non indugiò un istante e con un sorriso di trionfo le si avvicinò senza essere bersagliato da cuscini o oggetti volanti.
In un attimo, Amy si ritrovò intrappolata tra le sue braccia.
―Dovresti partecipare a qualche gara di tiro a bersaglio o proporti come lanciatrice alle partite di baseball, hai un’ottima mira. ― disse con un sorriso.
―Migliore della tua sicuramente. ― ribatté acida Amy. Le mani di Jordan le circondarono la vita e la attirarono ancora più a sé, creando milioni punti di contatto tra i loro corpi.
Amy rabbrividì, guardando il furbo sorriso di Jordan. Sapeva di farle sempre un certo effetto quando la sfiorava, quando la guardava in un certo modo e non esitava a farlo, quando voleva. Esercitava quello strano potere su di lei, che le faceva mancare la terra sotto i piedi e il fiato nei polmoni, che le impediva di ragionare, e lo faceva solo per sopraffarla.
Amy chiuse gli occhi e assunse un cipiglio di superiorità, con la faccia rivolta verso l’alto. ―È inutile che mi guardi così. ― biascicò, cercando di dare un tono deciso alla sua voce tremolante.
Jordan ridacchiò ed Amy socchiuse un occhio per scrutarlo attentamente. Era attraente. E sexy. E quel sorriso rendeva le sue labbra così tremendamente invitanti…. Amy si ritrovò a pochi centimetri dalle sue labbra, rendendosi conto che lo stava facendo di nuovo.
Di nuovo esercitava quella specie di potere sensuale su di lei che le impediva di ragionare lucidamente.
Lo spinse via all’improvviso e indossò nuovamente la sua maschera battagliera. ―Pretendo delle scuse! ― esclamò, sollevando un dito in aria.
Jordan, che non aveva perso per un attimo il suo sorriso divertito, alzò gli occhi al cielo e in una mossa fulminea le afferrò il braccio proteso in avanti, attirandola a sé.
Senza darle il tempo di riflettere, calò la sua bocca sul suo viso e la baciò, dolcemente, con passione, assaporando le sue labbra salate, la sua lingua, il suo respiro.
Entrambi sorrisero, labbra contro labbra, gli occhi semichiusi e una risata incastrata in gola. Quanto erano stupidi e felici.
Le dita di Jordan trovarono un lembo di pelle sotto l’orlo della maglietta di Amy e presero ad accarezzarlo dolcemente, facendo rabbrividire la ragazza. Strisce di fuoco che lasciavano il segno le formicolavano sotto il suo tocco ed Amy non poté fare a meno di alzarsi sulla punta dei piedi e baciare ancora una volta Jordan.
―Oh, mio Dio. Spero che usiate le precauzioni, ragazzi. ― la voce di una donna li fece sobbalzare entrambi e sia Amy che Jordan si staccarono velocemente l’uno dall’altra.
―Ciao, mamma. ― disse quest’ultimo, accennando un vago sorriso in direzione della donna. Amy la guardò imbarazzata per un momento e poi sollevò una mano. ―Ohi. ― bofonchiò.
Studiò per un attimo la signora, che sembrò fare lo stesso con lei. Aveva decisamente gli stessi occhi del figlio e la piega che le labbra prendevano quando sorrideva, era la stessa di Jordan. ―Tu sei…
―Amy. ― rispose prontamente la ragazza, sorridendo semplicemente e alzando le spalle.
―Amy. ― ripeté la donna, posando le buste della spesa sul piano della cucina. ―Non farlo vincere troppo spesso, okay? ― disse con un sorriso, indicando il televisore con un cenno del capo.
―Oh, no. ― mormorò Amy sorniona.  ―Non lo farò. ― disse lanciando uno sguardo significativo a Jordan, che adesso guardava imbarazzato Amy e la madre.
―Io sono Jennifer comunque. ― disse la madre, e con quella frase sembrò voler dire che non aveva nulla da ridire sulla ragazza.
Amy le sorrise e Jordan fece un passo indietro, improvvisamente soffocato da tutta quella complicità.






 

 Katherine scese le scale e si sistemò la borsa a tracolla.
Doveva restituire dei libri in biblioteca e ci sarebbe andata da sola visto che Amy non poteva. Spalancò il portone e fece qualche passo fuori, chiudendoselo alle spalle.
Si girò e rimase paralizzata.
―Serve un passaggio? ― chiese Kyle porgendole un casco.
Katherine gli sorrise e afferrò il casco. Seguì Kyle che le fece cenno di salire sulla moto.
―Come mai qui? ― chiese. ―Mi seguivi?
Kyle rise e poi indossò il suo casco. ―No, no. Ho solo pensato che magari oggi ti sarebbe piaciuto un giro fuori dall’ordinario. ― disse indicando con un cenno la sua moto. ―Dove andiamo? ― chiese poi, accendendo il motore.
―Oh! ― esclamò Katherine presa alla sprovvista. ―Dovrei andare in biblioteca a consegnare questi! ― disse indicando con un cenno i libri all’interno della sua borsa.
Kyle annuì. ―E dov’è?
―Praticamente dentro al castello! ― urlò Katherine per evitare che il rombo del motore cancellasse le sue parole.
―Tieniti forte! ― urlò di rimando Kyle mentre partiva a razzo lungo la via. Katherine lanciò un gridolino e si appiattì contro di lui, stringendosi contro la sua giacca.
Kyle gettò indietro la testa liberando una sincera risata divertita.
Arrivarono dieci minuti dopo e Katherine si affrettò a scendere dalla moto, i capelli tutti scompigliati e la faccia sconvolta. ―Dio, Kyle! ― disse portandosi le mani alla testa e barcollando leggermente. ―Tu sei pazzo! È stato orribile!
Il ragazzo fece una faccia così innocente cha Katherine non poté fare a meno di scoppiare a ridere. ―Sei pazzo! ― ribadì mentre Kyle rimetteva i caschi a posto e le andava incontro.
Per tutta risposta lui le regalò un sorriso dei più seducenti e le mise una mano attorno alla vita, incamminandosi verso il castello. ―Allora com’è questa biblioteca? Dev’essere grandiosa! ― disse, pronto a cambiare argomento. Katherine continuava ancora a guardarlo sconvolta, ma apprezzò il tentativo e scosse la testa in un’espressione indecisa. ―Dipende da cosa intendi per grandiosa.
Kyle la guardò incuriosito. ―Beh, non sono mai stato in biblioteca a dir la verità. Non che non mi piaccia leggere, ma non c’ho mai prestato attenzione o dato tanta importanza. ― Katherine lo guardò a metà tra il sorpreso e l’incredulo.
Era sorpresa perché non credeva che a Kyle potesse anche solo minimamente interessare la lettura e incredula perché non poteva concepire come, qualcuno a cui piacesse leggere, riuscisse a stare lontano dai libri.
Kyle rise della sua espressione e riprese a parlare imperterrito. ―Penso che sia il genere di luogo in cui uno può trovare di tutto. Insomma, grandi scale a chiocciola bianche che si inerpicano lungo scaffali scuri pieni di tomi dalle pagine gialle e profumate. Stanze e stanze traboccanti di volumi di ogni genere, fantasy, gialli, azione, thriller, erotici…
―Oh. ― lo interruppe Katherine ridacchiando. ―Credo che quelli siano gli unici che riusciresti a trovare facilmente.
Kyle la guardò incuriosito e poi riprese a ipotizzare la grandezza e la magnificenza della biblioteca di Little Grace. Katherine non disse niente e camminò al suo fianco facendogli strada. Alla fine, si fermarono davanti ad una piccola porta. ―È qui dietro? ― chiese Kyle trepidante.
La ragazza annuì titubante e pian piano spalancò la porta. Gli occhi di Kyle persero tutta la lucentezza e l’aspettativa di cui brillavano sino a pochi istanti prima.
Davanti a lui non vi era altro che un bancone dietro il quale c’era una donna bionda che masticava rumorosamente un chewing-gum e a destra uno squallido archivio grigio dove erano sistemati in ordine alfabetico tutti i libri disponibili nella biblioteca.
Non dovevano essere molti.
Kyle si fece strada a malapena nella stanza e Katherine lo superò andando a parlare con la donna e depositando alcuni libri sul bancone.
Quando furono fuori, nessuno dei due proferì parola. La delusione sul volto di Kyle era palpabile. Insomma, gli piaceva leggere, magari non vi aveva mai prestato troppa attenzione perché il gruppo che frequentava prima non condivideva certi hobby e adesso che poteva entrare in una vera biblioteca, tutte le sue aspettative erano state deluse.
Katherine lo fermò per un braccio e si sedettero su una panchina di pietra poco fuori l’ingresso del castello. ―Mi dispiace. ― sussurrò.
Kyle parve come riprendersi. ―E di cosa? ― chiese scuotendo la testa e posando una mano sulla guancia di Katherine. La ragazza fu attraversata da uno strano brivido, ma non si ritrasse. ―Beh, per non averti avvertito prima dello squallore della biblioteca di Little Grace. Quando la vedi la prima volta è davvero una delusione. Poi, però ci fai l’abitudine, diciamo.
Kyle le rivolse un sorriso gentile. ―Ma non è mica colpa tua se quel posto è così… E poi, non mi importa niente di quel posto. Io mi sono divertito comunque.
La sua voce era tenera e dolce e Katherine fu calamitata dai suoi occhi color caramello. ―Davvero? ― sussurrò in un fremito.
―Sì. ― rispose Kyle avvicinando il viso al suo.
―E perché? ― soffiò Katherine, socchiudendo gli occhi.
―Perché c’eri tu con me. ― rispose Kyle prima di sfiorarle le labbra con un bacio che fece fremere entrambi. Katherine non si ritrasse e Kyle le si avvicinò un’altra volta, prendendole il viso tra le mani e baciandola con più passione.
Le mani di Katherine si sollevarono sino ad accarezzargli il volto con dolcezza, giocando con le punte dei suoi capelli e con il lobo del suo orecchio destro.
Si staccarono per un momento, i respiri spezzati per l’emozione ed un profondo sorriso stampato sul volto.
Era il bacio più dolce che Kyle avesse mai dato, il bacio in cui cercava davvero di trasmettere qualcosa. Guardò Katherine, gli occhi azzurri lucenti, il suo sorriso ingenuo e limpido, senza maschere, senza doppi sensi.
Avvicinò il viso al suo e la baciò di nuovo, mentre le loro labbra si scontravano in un sorriso dolce come lo zucchero filato.

 



 


Lee fu più puntuale del solito, arrivando sotto casa sua con quel sorriso felice e rassicurante che sembrava racchiudere tutta l’allegria del mondo.
Sarah gli sorrise a sua volta, gli occhi luminosi per la felicità, e si lisciò con una mano il vestito leggero. ―Ciao. ― sorrise Lee quando le fu accanto.
―Ciao. ― Sarah gli restituì il sorriso mentre Lee si chinava su di lei per lasciarle un piccolo bacio umido sulle labbra.
Si girarono ed iniziarono a camminare tra gli alberi, verso il cancello che delimitava il complesso di edifici nel quale abitavano. Dopo qualche passo, la mano di Lee scivolò nella sua e Sarah ne strinse le dita, sorridendo per far uscire un po’ di tutta quella felicità che sentiva incanalata dentro.
Era come se fosse invincibile, una bomba di allegria e gioia pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Le guance le facevano male per la forza del sorriso, ma non le importava, perché non riusciva a reprimerlo.
Aveva pensato tutta la notte alle parole che Lee le aveva detto. Parole dolcissime, che avevano fatto accelerare senza vie di scampo i battiti del suo cuore.
Ho amato ogni parte di te in ogni istante e non smetterò mai perché sei una persona splendida.
Il cuore di Sarah fece l’ennesima capriola e la ragazza non poté evitare di sbirciare in direzione di Lee con un sorriso curioso. Lui la stava osservando e Sarah si sentì arrossire sino alla radice dei capelli.
―Cosa ti va di fare, oggi? ― la voce di Lee era dolce, premurosa e profumata. Era tranquilla e sapeva di felicità. Ogni cosa brillava per Sarah in quell’istante, ogni cosa era al vertice dell’allegria.
―Non lo so. ― disse. ―Ti va un gelato?
Lee sorrise ancora e annuì ed insieme continuarono a camminare lungo la strada, lasciandosi il complesso abitativo alle spalle.
Presi l’uno dall’altra non notarono la figura che si staccava dagli alberi del viale, poco più avanti di loro e che si avvicinava veloce.
Qualcosa travolse Lee e Sarah guardo attonita la sua mano vuota. Sollevò lo sguardo, la fronte corrugata in una domanda muta e fu come se il mondo avesse smesso di girare o il sole di splendere.
David e Lee si fronteggiavano, gli sguardi fiammeggianti e i pugni contratti. Sarah notò che il labbro inferiore di Lee era gonfio e sanguinava. Si voltò verso David, sollevando la testa. Entrambi i ragazzi erano più alti di lei e non la degnavano di uno sguardo. ―Che cosa hai fatto? ― sibilò, una cieca rabbia tempestosa che le rivoltava lo stomaco.
Nessuno rispose. ―CHE. COSA. HAI. FATTO? ― le parole uscirono come un ruggito dalle labbra di Sarah e David la guardò per la prima volta, senza veramente vederla.
―Mi riprendo ciò che è mio. ― rispose, volgendo di nuovo lo sguardo su Lee. ―Era il suo piano sin dall’inizio. ― lo accusò, spingendolo. Lee fece qualche passo indietro per recuperare l’equilibrio, ma non staccò gli occhi da quelli di David e riacquistò la distanza persa in un niente. ―Voleva dividerci. ― sibilò David sprezzante, nella sua direzione.
La situazione era troppo assurda per poter essere controllata. ―Non è vero. ― mormorò Sarah. ―Non è vero. ― disse con voce più decisa.
―Io non sono di nessuno. ― lo sguardo perso si riaccese, combattivo. ―Lasciaci stare, David, e sparisci. ― intimò.
David non si mosse, ma alzò i pugni, preparandosi ad attaccare.
―David, NO! ― urlò Sarah tentando di fermarlo ma David si gettò contro Lee, scaricandogli un montante poderoso. Lee riuscì ad evitare il colpo e colpì David alla mascella. ―Smettetela! ― urlò Sarah, la voce che sembrava quasi un piagnucolio.
Ma nessuno sembrava ascoltarla. David tentò ancora di colpire Lee con un gancio, ma il ragazzo aveva i riflessi pronti, si abbassò e spinse David con forza, facendolo indietreggiare di parecchio. Poi si frappose tra lui e Sarah. ―Smettila, David. Va’ via. ― disse.
David si piegò sulle ginocchia e poi si rimise in piedi. ―Non me ne andrò. Lei ama me, Lee. Devi lasciarla.
Lee lo guardò accigliato. ―Vai via, David. Adesso.
David sorrise, un sorriso freddo e tagliente. ―Lei mi ama, Lee. Dovresti fartene una ragione. Mi ha anche baciato quando ci siamo visti. ― a quel punto, rivolse il suo sguardo verso Sarah.
La ragazza rimase a bocca aperta per lo shock e si portò le mani al petto, indietreggiando di qualche passo. Lee si voltò a guardarla molto lentamente.
Sarah spostò lo sguardo da David a Lee. Gli occhi del primo brillavano di perfidia, quelli del secondo di dolore. ―È vero? ― chiese, dopo alcuni istanti di silenzio.
Sarah lo guardò senza capire. ―È vero? ― ripeté Lee. ―Quello che ha detto? Che lo hai baciato? ― la voce fu un sussurro rauco e disarmante.
―Cosa? ― Sarah lo guardava senza capire. ―No, certo che no! ― aggiunse poi. ―È stato lui a baciare me e io l’ho respinto!
Gli occhi di Lee continuarono a traboccare sofferenza. Si voltò verso David e con un urlo gli si scagliò contro. ―Tu. Devi. Lasciarla. In. Pace! ― urlò, un pugno dopo l’altro.
Sarah sussultava, spaventata. Sentiva qualcosa di caldo scorrerle lungo le guance ma non capiva cos’era. Vedeva solo due persone, due persone che amava o aveva amato, due persone a cui voleva bene che si stavano prendendo a pugni per lei.
Che si stavano facendo male.
―BASTA! ― urlò, la voce spezzata dai singhiozzi. Erano lacrime.
Tutta quell’acqua che scendeva, non era altro che tristezza. Corse veloce e si frappose con la forza tra i due litiganti. Era impossibile farle smettere.
Tutte quelle lacrime, tutta quella tristezza. Impossibile da arginare, come un fiume in piena. ―Basta. ― sussurrò, un roco singhiozzo emesso dalle profondità della gola. Gli occhi azzurri di David e quelli di Lee si concentrarono su di lei, privi di rabbia. Finalmente per la prima volta in assoluto.
Sarah si sentiva male. Sentiva che stava per svenire, il mondo girava troppo velocemente adesso e l’aria le mancava dai polmoni. Dov’era finito quel sole che le piaceva tanto?  Si era nascosto anche lui, per non vedere quello spettacolo pietoso?
―Basta. ― le braccia le scivolarono lungo i fianchi e le mani le si chiusero a pugno, per evitare qualsiasi contatto. Guardò prima l’uno, poi l’altro. Non provava altro che delusione e tristezza.
Volse il suo sguardo verso David. ―Sei un coglione.  ― sibilò. Il ragazzo rimase impassibile e Sarah si erse ancora di più nella sua statura, raddrizzando la schiena.
―Se è questo che significo per voi, ― disse, indicando con un gesto i segni della loro rabbia, ―allora non significo niente. ― concluse.
―Non voglio più vedervi. ― sibilò di nuovo, spostando lo sguardo da David a Lee.
―Nessuno dei due. ― sussurrò ancora, guardando Lee.
Il ragazzo rimase impassibile, ma Sarah capiva che stava soffrendo. Aveva i pugni serrati e le labbra strette l’una contro l’altra. A malapena respirava e i suoi occhi non erano altro che dolore.
Sarah fece qualche passo indietro e voltò le spalle ad entrambi.
Iniziò a camminare verso casa. “Non poteva durare in eterno” pensò. “La felicità incolmabile, i sorrisi, il sole. Ogni cosa arriva all’apice e poi precipita in un vortice di tristezza.”




 


Evelyn spalancò la porta cigolante del “L’occhio del mare” e sbirciò dentro. L’interno era poco illuminato e i tavoli erano stati lustrati e lucidati. Fece qualche passo avanti ed una lama di luce tagliò l’oscurità.
—C’è qualcuno? — un ragazzo emerse da dietro un bancone, con uno strofinaccio in mano e i capelli biondi spettinati.
—Ciao, Chris. — sorrise Evelyn. —Sono io.
Il ragazzo strinse gli occhi per poter definire meglio la sagoma all’interno della luce. —Oh. Ciao, Evelyn. — disse poi con un sorriso. —Dai, entra.
Evelyn si chiuse la porta alle spalle e fece qualche passo avanti. —Hai finito, qui? — chiese.
—Sì, sì, ho qusi finito. — disse il ragazzo ritornando dietro al bancone e mettendo al posto i bicchieri puliti.
—Stavo pensando che potremmo farci un giro appena puoi. — propose Evelyn. —Se non hai altri impegni o non sei stanco. — si affrettò ad aggiungere.
Chris sorrise. —No, Ev, per me va benissimo. Finisco qui e usciamo.
La guardò e il mondo parve sciogliersi dietro il suo sorriso.
 
Evelyn aspettò pazientemente che chris finisse di pulire e si gingillò facendo un giro per tutto il locale.
Quando vi era andata con Amy e Sarah, non avevano fatto il giro, ma si erano limitate a cenare e ad osservare la gara di Amy con il vecchio tonto Jack. Adesso, sotto un’altra luce e con il locale completamente vuoto ad eccezione di lei e di Chris, quel posto sembrava tutto un altro luogo.
Aveva l’aria antica e affascinante di una vecchia nave stregata, dove ogni cosa era immobile in attesa che l’incantesimo fosse spezzato. Era quasi come profanare un luogo antico e misterioso.
Evelyn alzò lo sguardo e ammirò tutti i disegni, gli schizzi e i quadri che ospitavano relitti, navi che cercavano di domare la tempesta, mari in burrasca che inghiottivano i marinai, sirene e streghe marine appena accennate in un acquerello.  
Amy aveva proprio talento. La vedeva, i vestiti tutti macchiati di colore, mentre cercava di imprimere su di un quadro la sua immaginazione, il suo mondo misterioso nascosto tra le acque, la sua visione del mare.
Due braccia muscolose la avvolsero da dietro facendola sobbalzare.
Evelyn appoggiò la testa contro il petto di Chris e si lasciò cullare dall’atmosfera. Il profumo di Chris che la avvolgeva, “L’occhio del mare” immerso nella semioscurità immobile, i quadri di Amy che trasmettevano sensazionii diverse e contrastanti, come in balia di una tempesta: sicurezza, paura, inquietudine, mistero, tranquillità. —Sono bellissimi. — sussurrò rapita.
Chris sorrise contro i suoi capelli e la fece voltare verso di lui. —Andiamo. — mormorò, le labbra tese in un sorriso tranquillo. —Ho finito.
Evelyn fissò per un attimo i suoi brillanti occhi nocciola. Socchiuse gli occhi e sorrise, serena.
Poi, presa da un’improvvisa dose di coraggio e follia, si sollevò sulle punte dei piedi e gli posò un leggero bacio sulle labbra.
Chris sgranò gli occhi contro le sue labbra e lei gli sorrise tranquilla. —Andiamo.
 
 
Eric si discostò dal tronco dell’albero sul quale era appoggiato e volse un ultimo sguardo in direzione di Kyle e della ragazza bionda al suo fianco. —Stai molto attento, Kyle… — mormorò voltando le spalle ai due piccioncini ed incamminandosi dall’altra parte con un sorrisino sulle labbra.  —Molto, molto attento. — sibilò.

*WHAWAIEAH!
Occhey, occhey, occhey ;p
Non so se questo capitolo vi sia piaciuto ma come al solito non posso fare altro che sperare e pensare positivo xD
Abbiamo Amy alle prese con la madre di Jordan... ;D
Katherine con il suo primo amore <3 (: e Kyle, con il suo primo vero amore... <3 :)
Poi c'è Evelyn che è decisa in quello che fa, che ha capito che Chris le piace veramente ed è disposta a dare tutto per lui. In un gesto che la vecchia Evelyn non avrebbe concepito, ha deciso di tuffarsi verso l'ignoto e di prendere l'iniziativa, baciando Chris :)
E poi c'è Sarah... :( Poverina, a lei non tutto è andato bene. Ha capito di amare Lee, ma a quale prezzo visto che l'ha mandato via?
Perchè David è così stronzo?
Insomma, ogni cosa si evolverà :)
Spero di non avervi deluso, un bacione e tutti voi!!! <3
A tutti :)
Kry <3

ORDER OF THE PHOENIX* 

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 37. Fuck, shit! ***


Capitolo 37.

Fuck, shit!

 


A Sarah sembrava di aver costruito la sua vita su quel letto. Aveva pianto mille e mille volte dopo che David l’aveva trattata male, era stata annientata dagli avvenimenti degli ultimi mesi e adesso eccola lì a piangere, piangere e piangere. Odiava quei punti morti della sua vita, odiava sentirsi spezzata, odiava piangere e sentirsi debole.
Soffocò con rabbia un singhiozzo nel cuscino mentre le lacrime calde le solcavano le guance come un fiume in piena.
“Maledetto David, maledetto Lee, maledetti tutti!” pensò affondando nuovamente il viso nel cuscino.
Il sole non sarebbe più sorto.
 
Dopo qualche ora, si alzò e andò in bagno a sciacquarsi la faccia, decisa a dare un taglio al suo stato vegetativo. Si guardò allo specchio. Profonde occhiaie le segnavano gli occhi gonfi e rossi di pianto. I capelli erano tutti scarmigliati e il viso decisamente troppo pallido e vuoto. Riempì il lavandino d’acqua gelata e vi immerse dentro la testa.
“Schiarire le idee, schiarire le idee, smettere di piangere” continuava a ripetersi come un mantra. Tolse il viso dall’acqua, respirando profondamente.
David e Lee.
David e Lee che facevano a botte, che si picchiavano, che si scagliavano l’uno contro l’altro, che la ignoravano. Rovesciò il viso all’indietro con un gemito esasperato e socchiuse gli occhi. Lo sguardo le cadde sul cellulare che aveva abbandonato in bagno la sera prima.
Non voleva guardarlo, non voleva parlare con nessuno.
Ma forse parlare l’avrebbe aiutata. Forse l’avrebbe fatta stare un pochino meglio. Con un sospiro afferrò il cellulare. Non aveva nulla da perdere. Peggio di così non poteva stare.
Trovò alcuni messaggi di Lee ed altri delle sue amiche che le chiedevano dove fosse finita. C’erano anche delle chiamate perse, molte erano di Lee.
Da parte di David, niente.
“Ovvio” si disse, sorridendo amaramente. “Lui pretende e basta. Non si sforza per ottenere niente, arriva nella vita delle persone e si diverte a scombussolarla.”
Mentre leggeva i messaggi di Lee le si strinse il cuore. Le chiedeva scusa e la supplicava di ripensare a ciò che aveva detto.
Di rivederlo, di farsi sentire. Ma Sarah stava davvero troppo male per poterlo fare.
Aveva bisogno di aria, di staccarsi dal passato e di vivere solo il presente, senza rivivere le scene vissute il giorno precedente. Voleva una pausa.
Lesse un messaggio di Amy, nel quale la ragazza la avvisava che sarebbero usciti tutti quanti quella sera.
Sarah guardò indecisa il suo riflesso nello specchio.
Poteva rimanere lì a casa a piangersi addosso, oppure poteva provare a distrarsi e dedicarsi un po’ a se stessa.
La scelta era presa.
 
 
Era una bella serata nonostante l’umore grigio di Sarah avesse promesso pioggia e fulmini inceneritori.
Chris ed Evelyn camminavano vicini, mano nella mano e sembravano felici come pasque. Ogni tanto lui le si avvicinava e le sussurrava alcune cose nell’orecchio e lei diventava rossa e rideva. Katherine invece aveva un sorriso più dolce del solito, gli occhi azzurri brillanti di gioia mentre Kyle la assillava con le sue stupide battute e la guardava come se al mondo non vi fosse nulla di più bello e prezioso.
Sarah si sentì stringere il cuore ricordando quello stesso sguardo negli occhi di Lee, ricordando come si era sentita felice anche senza sfiorarlo, anche solo guardando i suoi occhi traboccanti d’amore. Si sentiva felice e completa.
Spostò lo sguardo su Jordan ed Amy, che rappresentavano l’unica eccezione alla regola. Spintoni, linguacce, insulti e baci.
Erano la coppia più stravagante che Sarah avesse mai visto. Sorrise amaramente continuando a camminare da sola e respirando l’aria fresca della sera.
Non aveva voglia di interrompere nessuno di loro. Non aveva voglia di piombare lì e distruggere la loro felicità con il suo umore nero, così come non aveva voglia di parlare con le altre ragazze della comitiva perché non avrebbe saputo fingere, non avrebbe saputo cosa dire, non avrebbe saputo essere se stessa per la prima volta in tutta la sua vita. Sospirò affranta e guardò per terra il lastricato vecchio e sporco, strisciando i piedi con trascuratezza.
All’improvviso si sentì afferrare da dietro e solleticare i fianchi e la forte risata di Amy la travolse come una sferzata d’energia.
Sarah si voltò e vide che Jordan le faceva un occhiolino e poi si avvicinava a Chris e gli scompigliava i capelli con le nocche del pugno. Chris gli rivolse uno sguardo accigliato, distratto momentaneamente da Evelyn mentre lei guardava la scena quasi senza capire.
Amy rise e Sarah rivolse lo sguardo verso la sua amica. —Credo che diventeranno presto amici quei due! — rise.
Sarah la guardò con aria interrogativa e Amy sorrise ancora. —Beh, Jordan è scemo al punto giusto,  e siccome tutti i maschi sono scemi lui dev’essere maschio al punto giusto. — ragionò con una strizzatina d’occhio in direzione di Sarah.
—Chris invece è un amico e socializza facilmente con tutti i ragazzi, quindi si può dire che tra loro ci sia un’alchimia perfetta!
Sarah sorrise, non riuscendo a capire sino in fondo il ragionamento dell’amica. Poi Amy si fece più seria e le avvolse un braccio attorno alle spalle, avvicinando la testa alla sua con aria cospiratoria. Gli occhi le saettarono a destra e a sinistra. —Beh… Chris socializza con tutti i ragazzi tranne che con Kyle perché lui si sa… — tossicchiò, guardandosi nervosamente attorno. —che… ehm… beh, che è troppo scemo persino per essere un maschio. — ritornò in posizione eretta, sfoggiando uno dei suoi sorrisoni da furbacchiona e facendo su e giù con le sopracciglia.
A Sarah sfuggì un risolino. Amy era proprio scema.
—Che hai detto, scusa? — chiese una voce che fece sobbalzare entrambe.
Amy si voltò di scatto, assumendo un’aria innocente che non convinceva proprio nessuno. —Io? Ehm… No, niente! Non dicevo proprio niente! Come può saltarti in mente che io dica qualcsoa? Sto sempre così in silenzio, sono brava, buona, dolce e gentile, lo possono testimoniare tutti, ma proprio tutti, insomma, sono una brava ragazza, proprio non capisco come possano saltarti in mente certe idee, io…
—Dacci un taglio, Amy… — rise Kyle con uno scintillio divertito negli occhi mentre tutti guardavano la scena divertiti.
Amy gli fece una smorfia e mugugnò qualcosa che tutti i ragazzi fecero finta di non sentire, a proposito di tagli e di dove andavano fatti.
—Allora… — cominciò, appena ebbero ripreso a camminare, —come mai oggi sei così triste? Stamattina credevo che fossi morta, stavo già per scrivereil tuo elogio funebre, quando mi hai sorpresa resuscitando dalle tenebre! — esclamò Amy con aria lugubre annuendo più volte.
Sarah evitò di guardare Amy negli occhi e le raccontò per filo e per segno ciò che era accaduto. Quando ebbe finito, sollevò lo sguardo, senza riuscire a decifrare quello dell’amica. Era un misto di rabbia e tristezza e comprensione. La abbracciò forte e Sarah si sentì rincuorata ma non guarita. C’era uno strappo nel suo cuore e non sapeva come ricucirlo.
—Sei sicura di volerlo fare? — chiese Amy con calma. —Allontanare Lee, intendo. L’ha fatto solo per proteggerti. Sai che ti vuole bene.
Sarah sospirò. Ci aveva pensato ma poi immagini di lei e di Lee di nuovo insieme le stonavano terribilmente nella testa. Insomma, come si sarebbero comportati? Avrebbero ignorato ogni cosa? Avrebbero fatto finta di niente o ne avrebbero parlato e lui avrebbe cercato di giustificarsi? No, non andava per niente bene.
—È che… — disse, in un sussurro roco. —Io vorrei tanto stare con lui. Ma in qualche modo so che non funzionerebbe dopo ciò che è accaduto. Sono troppo sconvolta e troppo stanca, Amy. Vorrei solo partire e lasciarmi tutto alle spalle.
Amy si prese qualche istante di silienzio e poi disse: —Va bene allora! Facciamolo! — e sorrise. Sarah la guardò senza capire. —Forse hai ragione ed è la soluzione migliore. Prenditi del tempo e riflettici su. Nel frattempo ci divertiamo, andiamo al mare, in bici, dormiamo a casa di qualcuno e vediamo un bel film!
L’entusiasmo dell’amica per un attimo fece sorridere Sarah. Forse non sarebbe stato così terribile. Non se affrontava tutta quella situazione con le sue amiche. Non se non faceva tutto da sola. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma un rumore le fece voltare entrambe.
 
Amy ci mise un po’ a capire cosa stava succedendo. Lei e Sarah erano rimaste indietro rispetto al gruppo e si erano allontanati tutti ad eccezione di Katherine che stava parlando con Evelyn poco distante e di Jordan e Chris che stavano discutendo animatamente di qualcosa.
Amy capì al volo la nota che stonava. Kyle. Era rimasto appiccicato a Katherine per tutta la serata in qualsiasi circostanza e momento quindi era abbastanza strano che adesso si fosse allontanato solo per lasciar spazio ad Evelyn.
Amy guardò a sinistra e la scena che le si parò davanti le sembrava inverosimile. Un ragazzo pieno di piercing aveva afferrato Kyle per il bavero della giacca e gli parlava in tono non molto amichevole.
—Oddio. — sussurrò Sarah con voce strozzata. —Cosa facciamo?
A parte loro due, gli altri non avevano notato niente.
Amy sapeva solo una cosa.
Le stavano antipatici i prepotenti.
Kyle lo era stato ma adesso sembrava diverso e inoltre lui e Katherine si volevano bene.
E quel tipo piercingato non le stava per niente simpatico.
—Aspetta qui. — sibilò in direzione di Sarah e si avviò verso Kyle, l’adrenalina che scorreva velocemente in tutto il corpo. Non sapeva cosa avrebbe fatto, lei era piccola e quel tipo era grande e grosso, ma non le importava. Ne aveva abbastanza delle persone che rovinanvano la vita alla gente e se Kyle aveva un problema allora l’avrebbe aiutato, perché sapeva cosa significava vivere con la merda sino al collo.
Si avvicinò ai due, senza essere notata.
—Hai capito, Kyle? — stava sibilando faccia-di-piercing.
Kyle guardava l’altro ragazzo come se avesse l’affanno, come se avesse corso per chilometri e chilometri.
Aveva paura.
Quel pensiero colpì Amy come una doccia gelata. Kyle aveva paura di quel tipo.
Non sapeva chi o cosa fosse ma era chiaro che Kyle aveva bisogno d’aiuto.
Adesso.
—EHI! — disse Amy, alzando il passo e puntando un dito contro di loro. —Ehi, dico a te, faccia bucata! — ruggì, il cuore che pompava veloce, il respiro corto e frenetico.
Sentiva le tempie pulsare, era gitata, lo sapeva, ma voleva fare quello che stava facendo.
Il ragazzo sembrò notarla dopo lo strano appellativo e allontanò il viso da quello di Kyle, senza però lasciare il bavero della sua giacca.
La sua espressione cambiò da crudele ed intimidatoria a sprezzante. —E questa chi è? — sibilò verso di lei.
Ovviamente la domanda era stata rivolta a Kyle, che guardava Amy come se fosse un alieno.
—Amy? — sussurrò incredulo.
Amy non staccò gli occhi da quelli di faccia-di-piercing. —Non ho ancora capito chi sei. — sibilò con rabbia nella sua direzione.
Faccia-di-piercing alias faccia bucata sembrava divertito e la guardava come un numero da circo piuttosto esilarante. Amy prese un respiro profondo e fece un passo avanti. —Ho detto. — ripetè più arrabbiata di prima, —che non ho capito chi cazzo sei.
Adesso la faccia del ragazzo non era più divertita ma molto seccata. Lasciò il bavero della giacca di Kyle, che continuava a guardare Amy senza credere ai propri occhi, e fece un passo nella sua direzione. Lei non si mosse. Non si sarebbe mossa per nessuna ragione al mondo. Alzò la testa e guardò dritto negli occhi faccia bucata, senza sbattere le ciglia. Quando le fu a pochi centimetri di distanza si abbassò su di lei. —Sparisci. — le soffiò in faccia con un sorrisetto divertito.
Amy sembrò contenersi e serrò le labbra le une sulle altre, il viso rosso e arrabbiato. Faccia bucata si fece indietro di un passo, il sorrisetto divertito che non accennava a scomparire.
Amy sembrò riprendere a respirare.
—Su! — la incitò faccia-di-piercing con un cenno della mano. —Vai.
Amy digrignò i denti. —Fottiti, Merda!
Il sorriso divertito abbandonò il viso di faccia bucata ed un lampo pericoloso gli passò negli occhi chiari. —Che cosa hai detto? — la sua voce somigliava al latrare basso e furioso di un cane.
Amy non si lasciò intimidire.
—Amy… — adesso la voce di Kyle era preoccupata. Sembrava volerla avvertire di qualcosa, ma lei non ci badò. Nonostante tutta l’agitazione iniziale sentiva una calma fredda e gelida penetrarle nelle ossa. Era un fascio di nervi pronti a scattare. —Ho detto: fottiti. Merda.
Adesso il volto di faccia bucata era contratto in una smorfia infuriata.
Amy gli lanciò un sorrisetto divertito, di sfida. “Sono qui, prova a toccarmi se hai le palle”.
Faccia bucata fece un passo avanti e allungò una mano nella sua direzione.
Amy non si mosse.
La mano di faccia-di-piercing la sfiorò, quando qualcosa, qualcuno si frappose tra lei e il tipo piercingato.
—Lasciala stare, Eric. Lei non c’entra niente. — la voce di Kyle era sicura, non tremava né trasmetteva paura. Era calda, ferma e forte.
Amy sorrise, contenta che Kyle fosse tornato a posto.
—Che cosa c’è Kyle? Lei è una delle ragazzine che ti corrono dietro? Ricordati che hai un lavoro da fare. Vedi di farlo in fretta o il numero di persone a cui farò una visitina aumenterà. A cominciare dalla biondina. — Eric indicò con un cenno del capo Katherine, intenta a parlare animatamente con Evelyn.
Kyle si irrigidì.
Amy temette di aver sentito male, ma diede un’occhiata al viso di faccia bucata e capì che non era così. Aveva un espressione crudele, un sorriso affilato come la lama di un coltello. —Tu… — sibilò Amy non vedendoci più dalla rabbia. Spinse da un lato Kyle, che era rimasto immobile, e puntò un dito contro il petto di Eric, lo sguardo acceso da una folle pazzia.
Nessuno avrebbe toccato o minacciato i suoi amici.
Questo andava al di là persino delle stupidissime prese in giro di Kyle.
—Tu. — disse ancora, spingendo il dito contro il petto di Eric, affondandolo nella stoffa leggera della maglietta, che si accartocciò sotto il suo tocco.
Eric rimase immobile, inizialmente stupito dall’audacia della ragazzina.
Era la seconda volta che si intrometteva in affari che non erano i suoi.
—Tu sei uno stronzo megalomane, un bastardo puttaniere del cazzo! — sibilò Amy sprezzante, continuando a camminare e costringendo Eric ad indietreggiare. —Ma come ti permetti anche solo di minacciare i miei amici? — la sua voce si era alzata di qualche tono e adesso Amy non stava più sussurrando. —Tu sei uno stronzo. Non meriti né amore né felicità e sei una di quelle persone che finiranno per invecchiare da sole e marciranno da sole con la puzza della merda che sprigionano. Perché tu pezzo di merda sei nato e pezzo di merda morirai! — adesso stava urlando. Sentiva il sangue pomparle nelle vene, aveva caldo, non c’erano suoni né rumori, solo la sua voce venata d’odio e disprezzo. Eric la guardava come se non credesse ai propri occhi. Il suo stupore durò solo pochi istanti, perché di nuovo il suo viso indossò l’espressione minacciosa e sperzzante di poco prima. Gli occhi erano accesi di una luce folle e crudele, un lampo malizioso, ma di quella malizia torbida e oscura che fa rabbrividire. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma prima che potesse pronunciarsi, qualcuno, alle spalle di Amy, chiese: —Ci sono problemi? — la mano di Jordan si posò sulla sua spalla e la strinse forte, rassicurandola. Amy si sentì invadere da una nuova forza ed ebbe il coraggio di guardare nuovamente Eric con aria di sfida, un sorrisetto vincente stampato in faccia.
Dietro di lei, Jordan, Chris e Kyle, guardavano Eric con un’aria che non sembrava voler dargli un vero e proprio benvenuto.
Il ragazzo si guardò intorno sperduto, posando lo sguardo su ciascuno dei volti che lo circondavano, per finire su quello di Amy. La ragazza sollevò la mano destra e mosse le dita. —Ciao, ciao, Eric. — disse con fare canzonatorio.
Forse furono quelle parole a farlo ritornare in sé.
Eric aggrottò le sopracciglia e lanciò uno sguardo velenoso ad Amy. Poi guardò Kyle con aria di sfida. —Ti ho avvertito. — e, detto questo, si voltò e andò via.
I ragazzi rimasero a guardarlo sino a quando non sparì tra la folla.
—Ce ne hai messo di tempo. — mormorò Amy girandosi a fissare Jordan. Il ragazzo la guardava con aria di rimprovero.
—Che cazzo avevi intenzione di fare, me lo spieghi? — Ops. Jordan era furente a dir poco. La afferrò per un braccio e la strattonò verso di sé. —Quel tipo avrebbe potuto farti del male, non aveva quella che si definisce una faccia amichevole.
Amy si indispettì. —Oh, beh, magari era perché aveva la faccia completamente ricoperta di piercing che non sembrava un tipo tanto affidabile! Sai, stavo pensando di farmi tatuare sulla faccia un enorme, gigante, immenso pen…
—Amy, smettila. — la interruppe Jordan deciso, senza il minimo accenno di sorriso. —È una cosa seria. Quel ragazzo avrebbe potuto farti del male. Era, anzi è pericoloso. Mi spieghi quale razza di piano suicida stavi mettendo in atto? — la stretta sul suo braccio si fece ancora più ferrea ma Amy rimase impassibile. —Kyle aveva bisogno di aiuto. — disse decisa, senza staccare gli occhi da quelli di Jordan.
Il ragazzo la guardò arrabbiato ancora per qualche istante, poi le lasciò il braccio e la sua espressione si addolcì.
Prese il viso di Amy tra le mani e si chinò su di lei, fissandola attentamente negli occhi. —È solo che non voglio ti succeda nient’altro di male… Non devi fare tutto da sola. Ci sono anch’io, qui.— mormorò sfiorandole la punta del naso con il suo.
Amy sospirò e gli sorrise. —Grazie. — mormorò socchiudendo gli occhi. —Grazie per avermi aiutata anche oggi. — aggiunse. —E scusa. — terminò. —Scusa per renderti il compito sempre difficile, scusa se sono insopportabile e intrattabile, scusa se ti tratto male sempre e scusa se sono così… così… — guardò Jordan in cerca d’aiuto, ma non vide altro che i suoi occhi azzurri traboccanti di qualcosa che non seppe riconoscere. —Così… — tentò un’altra volta.
—Oh, sta’ zitta! — intimò lui tappandole la bocca con un bacio ed Amy si lasciò andare, sentendo il suo cuore libero e leggero come un palloncino.
Infilò le mani tra i capelli di Jordan e accarezzò le sue labbra con la lingua, lo baciò ancora e di nuovo mentre lui la stringeva a sé, inarcandole la schiena verso l’alto.
Quando si staccarono, una lacrima era spuntata nell’angolo dell’occhio destro di Amy e scivolò giù, lungo la guancia, ma Jordan fu svelto a raccoglierla con le labbra.
Amy si sentiva così fuoriposto, così ingrata e indegna del suo amore.
—Tu sei così e basta. — sorrise Jordan avvicinandole le labbra all’orecchio. —E mi piaci tantissimo. Ti prego, ti prego, non cambiare mai e non scusarti mai più per come sei. — le depositò un bacio umido sul collo ed Amy scoppiò a piangere contro di lui.
Jordan la abbracciò e la tenne stretta a sé, senza lasciarla andare via.
—Oh, Jordan! — sospirò Amy contro la sua camicia. Lui sorrise tra i suoi capelli e lei rise, rise, rise e pianse, pianse di gioia e di sollievo.
 
Appena si staccarono Sarah prese la mano di Amy e la strinse forte. —Non so come ti sia saltato in mente. — Amy rise per un secondo, la faccia ancora rigata di lacrime. Si passò una mano sotto gli occhi e si asciugò le guance.
—Appena ti ho visto che gli dicevi tutte quelle cose ho chiamato Chris e Jordan anche se quando hai urlato si sono girati automaticamente nella tua direzione. — spiegò. Amy sorrise, sentendosi leggera come una piuma. Un’altra mano la reclamò e lei si girò in direzione di chi l’aveva chiamata.
Kyle le stava davanti e la guardava senza sapere cosa dire.
In effetti, cosa avrebbe dovuto dire?
Anche Amy si sentiva in imbarazzo.
—Senti Amy… — disse Kyle, insicuro. —Grazie. — sollevò gli occhi nei suoi e per un attimo tra i due resse un legame che andava al di là di qualsiasi spiegazione.
—Ho apprezzato ciò che hai fatto per me. 
Amy annuì. —Beh, non l’ho fatto per te. — grugnì, imbronciandosi.
Kyle la guardò con aria interrogativa.
—L’ho fatto per Kat. — mentì Amy. Sì, l’aveva fatto per l’amica ma in primis per lui. Per l’insopportabile Kyle, che bene o male si era fatto largo nel suo cuore e si era accoccolato tra tutte quelle persone che Amy riteneva sue amiche. —E poi faccia bucata mi stava antipatico. — aggiunse, a sostegno della sua tesi.
Ma non doveva essere stata troppo convincente perché sia lei che Kyle si guardarono insicuri. Poi lui le sorrise. —Per qualsiasi motivo tu l’abbia fatto, — disse, —grazie ancora. — e fece per andarsene.
Amy guardò la sua schiena per alcuni istanti prima di gridare: —Aspetta! — e di afferrarlo per la manica. Kyle si voltò a guardarla.
—Liberati di lui, Kyle. — disse seriamente. I suoi occhi scuri non vacillarono per un attimo, erano decisi e fermi. —Liberatene. — Amy lo guardò ancora per qualche istante, poi si girò e andò via.
Fece qualche passo prima di essere travolta da Evelyn che le sorrise ampiamente e la abbracciò. —Oh, sono fiera di te, Amy! — esclamò raggiante.
—Evviva. Almeno uno che non mi rimprovera! — esclamò Amy cinerea.
 —Hai difeso Kyle! Iniziavo quasi a credere che non sarebbe mai accaduto!
Amy si scostò indispettita. —Ma che avete tutti? — sbraitò. —Io non volevo difendere quel deficiente! Io sono cattiva, terribilmente cattiva e odio Kyle! — continuò agguerrita, verso una Evelyn che le sorrideva fiera e che sembrava non aver sentito una sola parola di quel che aveva detto.
Amy pestò i piedi. —Bucata di piercing, volevo dire piercing di faccia, no scusa faccia bucata di piercing del cazzo mi stava antipatico, ecco! — esplose con un urlo liberatorio. Ma Evelyn continuava a sorriderle come se niente fosse e la abbracciò di nuovo. —Bravissima! — le disse, e corse via.
Amy incrociò le braccia al petto e mise il broncio.
—Deficiente! — disse una voce ed Amy non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi per sapere che era stato Chris a parlare.
—Senti chi parla! — grugnì accigliata ed una risata accolse le sue parole, mentre l’abbraccio morbido di Chris la avvolgeva. —Non fare la superiore, okay? — attraverso i suoi occhi color nocciola passò un lampo divertito.
Amy annuì, mentre l’angolosinistro della bocca le si sollevava in un piccolo sorriso. —Okay.
 
Kyle si era allontanato dal resto del gruppo e se ne stava appoggiato al muro.
—Te l’avevo detto che Amy era buona e ti avrebbe difeso. — mormorò Evelyn passandogli una mano sulla schiena.
Kyle si girò nella sua direzione con un’espressione affranta. Sorrise tristemente.
—Sì, è stata… fenomenale. — sussurrò.
Evelyn si incupì e gli mise due dita sotto il mento, alzandogli il viso in modo che i loro occhi si incontrassero. Quelli di Kyle erano pozzi di disperazione. —Ehi. — sussurrò piano Evelyn. Kyle era perduto. —Ehi. — ripetè, accennando un piccolo sorriso.
—Era uno di quelli dell’altra volta? — chiese. —Quelli che ti hanno picchiato?
Kyle annuì, senza sapere cos’altro fare e abbassò di nuovo lo sguardo.
—Questa situazione è ingestibile. —confessò, portandosi una mano alla tempia e massaggiandosela.
Evelyn gli rivolse un triste sorriso prima di abbracciarlo. —Ricorda che qui hai i tuoi amici. — gli disse. —E che siamo pronti ad aiutarti, sempre.
Kyle annuì di nuovo ed Evelyn si allontanò, lasciando spazio a Katherine, che si era avvicinata titubante.
Lui alzò lo sguardo verso di lei, e lo vide perduto, insicuro quasi quanto il suo.
—Che succede, Kyle? — gli sussurrò con voce spezzata. Gli occhi sembravano sul punto di riempirsi di lacrime.
Kyle colmò la distanza tra loro in pochi passi e le prese le mani.
Posò la fronte contro la sua, socchiudendo gli occhi. Quando li aprì, erano i suoi ad essere pieni di lacrime. —Non voglio che ti succeda niente di male. — sussurrò, passandole il pollice sulla guancia.
Katherine lo guardò senza capire e dopo un istante lo abbracciò, affondando il viso nel suo petto.
Kyle sentì la maglietta bagnarsi e capì che Katherine stava piangendo, ma quando sollevò lo sguardosu di lui, i suoi occhi erano asciutti. —Ho paura, Kyle. — disse solo e lui le accarezzò i capelli.
Si chinò e le posò un dolce bacio sulla fronte, poi la fissò intensamente negli occhi azzurri. —Non lascerò che ti succeda niente di male.



*WHAWAIEAH!
Ciao, ragazzi, scusate il ritardo ma ho portato il computer ad aggiustare perchè era incasinato xD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, spero vivamente di poter postare il prossimo capitolo in tempo perchè ci sarà una sorpresa e voglio che sia perfetta :) 
Un bacione a tutte,
Kry (: <3 <3 <3 


ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 38
*** Capitolo 38. Fantasmi ***


Capitolo 38.

Fantasmi.

 
 
Quel giorno Sarah si sentì stanca quando aprì gli occhi per alzarsi dal letto.
Non voleva alzarsi.
Fece scivolare una gamba fuori dalle lenzuola e lentamente si issò a sedere, passandosi una mano sul viso assonnato.
Senza fretta, con un’andatura impacciata e goffa, si diresse verso il bagno e chiuse la porta. Fece cadere per terra le mutandine e il reggiseno e si infilò nella doccia. L’acqua le scivolò addosso come una seconda pelle, risvegliando i sensi ostruiti dal sonno. Fu solo mentre si insaponava che ricordò gli avvenimenti della sera prima. E di quella prima ancora. Amy e Kyle, il tipo dalla faccia piena di piercing, le sue minacce, l’ombra di paura sul viso di Kyle. E ancora David e Lee, che prendevano posto a scatti nella sua mente.
Sbuffò e alcune gocce d’acqua le entrarono in bocca.
Sembrava che nella loro vita non ci fosse spazio per un attimo di tranquillità. Prima Tate e adesso tutti quei problemi.
Uscì dalla doccia più sveglia ma più adombrata di prima. Esisteva una cura ad una vita così incasinata?
 
Uscì di casa senza avere una meta precisa. Avevano appuntamento a casa di Evelyn per mangiare insieme, ma era uscita con un’ora di largo anticipo.
Si guardò intorno, indecisa su cosa fare.
Magari poteva prendersi un gelato, riflettè. Ma il ricordo di Lee che le proponeva la stessa cosa poco prima di essere travolto da David le fece passare la voglia.
Camminò per qualche metro e quando vide la figura di David al margine del suo campo visivo, credette che si trattasse ancora di un altro ricordo.
—Stai cercando di ignorarmi? — la sua voce le fece capire che non era così e Sarah si fermò di scatto, sobbalzando.
David le fu davanti in pochi secondi. Sembrava aspettare che lei dicesse qualcosa, ma lei non aveva nulla da dire. Era stanca di pronunciare parole che nessuno avrebbe mai ascoltato. —Non dovresti essere qui. — mormorò alla fine con voce spenta.
Gli occhi azzurri di David scintillarono. —Non mi interessa. Sono qui per vedere te e per parlare con te.
Una breve risata spenta ed ironica uscì dalle sue labbra. —A te non interessa mai. Ti avevo chiesto di non tornare e l’hai fatto, di lasciarmi stare e invece hai continuato a perseguitarmi, ti avevo detto che non mi andava per niente ti vederti e adesso eccoti qui. Davvero, David, dì quello che vuoi, mi sono stancata di parlare senza essere ascoltata.
David fece una faccia un po’ seccata, un po’ impaziente e, in un attimo di indecisione, rimase fermo senza sapere cosa o dove guardare.
Sarah scosse la testa, stanca, e gli girò intorno per continuare a camminare. Aveva fatto pochi passi quando David la afferrò.
Sarah si liberò dalla stretta con uno strattone. —Sono stanca delle tue prepotenze! — disse, gli occhi fiammeggianti.
David la guardò, la bocca socchiusa per dire qualcosa che ancora non riusciva a pronunciare. I suoi occhi erano un misto di indecisione e dolore, due pozze chiare indecifrabili. —Io ti amo.
Sarah si lasciò andare ad una risatina di scherno. —Sì. — annuì. —A modo tuo, ma mi ami.
Si sentiva fredda come il ghiaccio ed era terribilmente seccata da tutta quella situazione. Voleva solo essere lasciata in pace! Perché nessuno rispettava la sua decisione?
David si rabbuiò per un istante mentre Sarah incrociava le braccia al petto, attendendo che si pronunciasse. —Io ti amo. — riprese David. —Ma… sembra che questo per te non sia abbastanza.
Sarah digrignò i denti. —Cosa mi stai dicendo? — sibilò. Adesso era arrabbiata. —Che sarei una puttana insensibile?
—No, no! — si affrettò a dire David, gli occhi spalancati per lo stupore. Sarah capì che la sua intenzione non era farla arrabbiare. Ma in un modo o nell’altro, David ci riusciva sempre. Perché agiva sempre nella maniera sbagliata. —Che tu ci creda o no, questa è l’ultima volta che vengo qui. Intendo, che vengo a trovarti se non lo vuoi.
Sarah sembrò aver perso l’uso della parola. Non si aspettava quelle parole. Non da David.
—Io provo ancora tanto per te. — disse. —E sono sicuro che tutti quei sentimenti, tutto l’amore che anche tu provavi per me, non sono svaniti come fumo. Sono qui solo per chiederti questo: mi ami?
Sarah restò muta, il cuore le sobbalzò nel petto ed una strana sensazione di vuoto la assalì all’interno dello stomaco. Alzò lo sguardo e guardò David, aprì la bocca per dire “no, non ti amo” ma in quell’istante si accorse che non era vero.
Lei provava ancora qualcosa per David e il vero problema stava proprio lì. L’aveva sentito quando lui l’aveva baciata e anche adesso, anche quando lo vedeva non poteva ignorare lo strano formicolio che le attraversava le braccia, non poteva evitare di guardare i suoi occhi ed immergersi nelle tonalità del loro azzurro brillante.
Amava David?
—Sì. — sussurrò. Gli occhi del ragazzo si accesero di speranza ed un sorriso perfetto si fece strada sul suo viso. Fece un passo per avvicinarsi a Sarah, ma lei alzò le braccia e lo tenne a distanza, senza staccare gli occhi dai suoi. —Sì, ti amo David. Ma tu no. — aggiunse, e il sorriso di David si spense, mentre lui la guardava senza capire. —Io…
—No. — lo interruppe lei. —Il modo in cui mi ami è sbagliato. — disse con enfasi scuotendo la testa. —Il tuo amore è possessivo e privo di fiducia nei miei confronti. Vuoi solo accontentare te stesso e… no, David, questo non è amore. Questo non è amare. —Sarah si sentiva gli occhi lucidi. Aggrottò la fronte per un attimo e si fece coraggio. —Io ti amo, ma amo anche Lee. E lui merita sicuramente il mio amore molto più di te.
La mascella di David si serrò e i suoi occhi si fecero più cupi mentre ribollivano di rabbia. —Non puoi farlo. Se mi ami, non puoi amare lui e decidere di stare con lui. Farei di tutto per riaverti. Sopporterei anche il tuo amore nei suoi confronti ma vorrei solo che tu fossi mia e di nessun altro. Non capisci? Sto facendo di tutto per te, Sarah!
—Cosa? — esclamò Sarah con voce stridula. —Stai facendo di tutto per me? — la sua voce era marcata d’amarezza mentre faceva un passo indietro per allontanarsi da lui. —Questo si chiama rendere la vita un inferno alle persone che perseguiti, David. Non significa amarle o fare di tutto per loro. E io non riuscirei mai a stare accanto a te, sapendo di amare Lee. Senza poterlo vedere né sentire magari, perché avresti il monopolio su di me. Perché io sarei tua. Non sono un oggetto, David, mettitelo in quella cavola di testa! — urlò.
David non disse niente e Sarah ne approfittò per continuare. —Io sono ben decisa a dimenticare te e ciò che ancora provo per te.  — disse,  il tono di voce calmo e deciso. —Lo voglio fare perché amo Lee, David. Lo amo e l’amore che provo per lui è molto più bello del residuo di amore sofferto che provo ancora per te. Se scegliessi te, ci bruceremmo entrambi. Io sarei infelice e scommetto che anche tu lo saresti. Perciò la mia scelta è Lee e così sarà sempre. — disse, tirando su col naso. —E adesso vattene. E non tornare.
Lo guardò ancora qualche istante prima di girarsi e affrettarsi lungo la strada.
David non rimase a guardarla scomparire. Semplicemente, dopo qualche passo, si girò e se ne andò, a testa bassa, le mani ficcate a fondo nelle tasche dei jeans.
 
―Ehi Kyle. ― una ragazza dai lunghi capelli biondi fece capolino dalla porta socchiusa. Il ragazzo alzò lo sguardo e sorrise. ―Dimmi, Mel.
―Mi presti il tuo pc? Il mio è a terra e la batteria è andata. ― la ragazza sorrise angelicamente, le lunghe ciglia bionde che risaltavano gli occhi color del ghiaccio.
Kyle sospirò e guardò la sorella con un sorriso rassegnato. ―Basta che non te lo tieni per un mese come facesti l’altra volta. ― l’ammonì, mentre Melanie si fiondava saltellando nella stanza e lo abbracciava.
―Grazie, grazie, grazie! ― esclamò stampandogli un lungo bacio sulla guancia. ―Sei il fratellone migliore del mondo!
Kyle si mise a ridere mentre lei si alzava e afferrava il computer poggiato sulla scrivania. Arrivata alla porta si girò e gli mandò un bacio volante, prima di scomparire. Kyle si portò una mano alla tasca dei jeans e prese un pacchetto di cocaina, soppesandolo.
Alzò lo sguardo, privo della vena di sollievo provata con la sorella, poco prima.
―Sì. ― mormorò, la voce rotta e tremula. ―Sono davvero il fratello migliore del mondo. ― le dita si strinsero con forza sul pacchetto e Kyle si portò un pugno alla tempia, sforzandosi di non scoppiare a piangere per la disperazione.
Era tutto sbagliato.
Si buttò all’indietro sul letto chiudendo gli occhi e lasciando immergersi dai ricordi.
Melanie era una ragazza ingenua e tranquilla. Andava bene a scuola, era sempre circondata da amiche. Era la ragazzina perfetta. L’unico suo errore, la sua unica imperfezione fu quella di innamorarsi di Eric, un ragazzo più grande che la condusse pian piano sino all’orlo del precipizio.
Kyle aveva scoperto tutto troppo tardi e si rimproverava mille volte per questo. Lei aveva già cominciato a drogarsi, lui aveva preso l’abitudine di usarla e gettarla via per poi andare a riprendersela quando gli pareva. Finalmente Kyle riuscì ad avvicinarlo e fecero un patto. Per un po’ lui avrebbe spacciato per loro e in cambio, Eric avrebbe lasciato stare sua sorella.
Erano passati due anni e ancora Eric non considerava concluso il suo compito.
Kyle strinse le palpebre mentre ricordava le lunghe telefonate della sorella, le notti in cui l’aveva sentita alzarsi ed andare in bagno a piangere per ore. E lui non si era mai interessato, all’inizio. Aveva accettato la cosa, mentre se fosse intervenuto prima non sarebbe accaduto tutto quel casino, magari.
Rivide istante per istante il degrado lento e risoluto della sorella. I brutti voti a scuola, le liti con le amiche, i vestiti sporchi, le parolacce e le liti con i loro genitori, i graffi, la puzza di fumo, di alcool, l’assenza di pensieri e di colori che tanto la caratterizzava. La gioia di vivere sparita, scomparsa. I lividi, il piercing all’ombelico ed infine la droga.
Kyle si alzò di scatto dal letto e scaraventò un libro dall’altra parte della stanza con un urlo. Aveva sbagliato tutto.
Ogni cosa, ogni dettaglio, ogni azione, parola, sogno, gesto, pensiero.
E adesso si ritrovava con una marea di cose rotte da aggiustare e sapeva di non esserne capace, perché nella sua vita aveva solo saputo sfasciare gli oggetti e mai ripararli.
Lo sguardo si spostò sul libro aperto sul pavimento. Cercò di leggerne il titolo attraverso le lacrime e poi ricordò. Lo raccolse e ne accarezzò la copertina rigida sfiorandone i caratteri impressi con i polpastrelli. “Il cavaliere d’inverno”, gliel’aveva prestato Katherine. 
Katherine.
Sospirò, mentre il pensiero gli ritornava all’unica persona che era capace di distrarlo e di fargli dimenticare quello schifo. Si lasciò scivolare sul pavimento e sfiorò le pagine del libro, mentre il profumo di Katherine lo avvolgeva come la prima volta.
 
*WHAWAIEAH!
Ragazzi mi scuso per la brevità del capitolo… è un periodo no.
Spero che vi sia ugualmente piaciuto e che vi abbia intrigato almeno un pochettino. Se volete sapere di più sulla storia tra Melanie ed Eric, ho scritto una OS su di loro e ve la linkerò. Kyle è molto molto molto confuso. O meglio, non sa come e cosa fare per risolvere la situazione, la cosa è troppo grande persino per lui.
Sono solo ragazzi.
Grazie a tutti voi che ci siete sempre! Un bacione grande grande!
Kry <3
 
La OS tra Melanie ed Eric! È rossa, a proposito, quindi non tutti possono leggerla. Link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2126809&i=1

ORDER OF THE PHOENIX*
 

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Capitolo 39
*** Capitolo 39. Normal Teenager's Life. ***


Capitolo 39.

Normal Teenagers’ Life.

 
 
 
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Se volete video o banner sono fantastiche, chiedete a loro!
Eeeee... Tadààà!! Questo è il trailer del camionista!! 
Sappiate solo che ho pianto quando l'ho visto!! <3
http://youtu.be/_qOvl3jjJv4
 



Diversi mesi dopo.
 
Il suono della campanella ridestò gli studenti semiaddormentati.
Amy, Sarah ed Evelyn schizzarono in piedi e si fiondarono all’uscita, gli zaini già pronti da un bel pezzo ed i sorrisi stampati sul volto. L’estate era passata ed era stata una di quelle estati che si definiscono indimenticabili.
Erano successe molte cose e ancora molte dovevano accadere.
Superarono i compagni in corsa unite come sempre e scesero le scale fuori dal portone. ―Ehi, ragazze, non avrete intenzione di seminarmi, vero? ― chiese Kyle ridendo ed affiancandole. Tutte gli rivolsero degli sguardi complici e dei sorrisi tranquilli mentre ignoravano i parlottii delle galline dietro di loro.
Ormai da quando erano tornate a scuola erano seguite dai loro mormorii costanti. Innanzitutto per Kyle, che le aveva palesemente mandate al diavolo e ormai passava il suo tempo solo con le tre ragazze e con Katherine una volta fuori dalla scuola. E poi anche per i loro splendidi ragazzi.
Amy ed Evelyn sorrisero e senza bisogno di parole si diressero nella stessa direzione.
Jordan e Chris stavano chiacchierando allegramente, aspettandole.
Non appena le videro entrambi sorrisero loro.
Amy si fiondò tra le braccia di Jordan e accolse il suo bacio con entusiasmo mentre lui la stringeva a sé. Sembrava che tutti i dissapori tra loro fossero stati appianati.
Erano dolci e teneri e così svenevoli che a volte Evelyn e Sarah riconoscevano a stento Amy.
Chris abbracciò Evelyn e le prese lo zaino dalle spalle, poi le posò un dolce bacio sulle labbra ed entrambi si avviarono verso casa dopo aver rivolto un rapido saluto ad Amy e Jordan, Sarah e Kyle.
―Beh, ragazzi ci si vede! ― esclamò Amy con una strizzatina d’occhio in direzione di Sarah e Kyle, mentre saliva sulla moto dietro Jordan. Il ragazzo fece un cenno nella loro direzione e diede gas, con un cenno di saluto.
Una volta rimasti soli, Sarah e Kyle si guardarono attorno. ―Vedi Katherine da qualche parte? ― le chiese lui.
Sarah scosse la testa, un po’ sovrappensiero.
Nonostante Evelyn le avesse più volte proposto di tornare a casa con loro, Sarah aveva sempre rifiutato. Sapeva benissimo che Chris lavorava tantissimo e che aveva pochi momenti da passare insieme ad Evelyn, quindi preferiva lasciarli soli.
Di solito faceva un tratto di strada con Kyle e Katherine ma la verità era che li lasciava praticamente da soli, isolandosi con i suoi pensieri. E quei pensieri non erano rivolti altri che a Lee.
Lee, quel dolce ragazzo che amava così tanto. Ma che non era riuscita più ad avvicinare dopo l’ultimo dialogo con David.
Da una parte sentiva di aver tradito la sua fiducia. Cosa significava che amava ancora entrambi? Non le sembrava possibile, anche se il sentimento per David era piano piano sfumato in quei mesi. Non che non provasse drasticamente più nulla per lui, no.
Era semplicemente scomparso, si era assottigliato ed era diventato insignificante.
Le sembrava proprio per quello di avere e di stare ancora tradendo la fiducia di Lee. Ma allo stesso tempo non desiderava altro che rituffarsi tra le sue braccia, quelle braccia così conosciute, sentire quella voce così tranquilla e calma che le faceva sempre bene e guardare quegli occhi in cui vedeva rispecchiata tutta la bontà del mondo.
Ma non riusciva ad avvicinarsi più a lui.
Era come se un muro invisibile le impedisse qualsiasi tipo di contatto.
Un attimo prima aveva il telefono tra le mani pronta ad inviargli un messaggio ed un attimo dopo si accorgeva di averlo gettato lontano, perché era una codarda.
Intravide la chioma bionda di Katherine nella calca di ragazzi e diede di gomito a Kyle.
Gli si illuminarono gli occhi e spinse da parte un paio di persone per farsi strada verso Katherine. Si sorrisero e fu come se una bolla di plastica scendesse attorno a loro, isolandoli nel loro mondo fatto di cuori e dolcezze.
Kyle porse un libro di George R. R. Martin a Katherine e la ragazza lo prese ridendo.
Sarah si isolò nei suoi pensieri e li seguì a qualche passo di distanza.
Stava rimuginando sul suo chiodo ormai fisso, una voragine di tristezza e nostalgia che la assaliva allo stomaco, quando andò a sbattere contro una ragazza.
Improvvisamente fu come rimettere a fuoco tutto e guardò la sconosciuta. Aprì la bocca per chiederle scusa, ma la ragazza non la guardava nemmeno. Aveva lo sguardo corrucciato ed un’espressione furiosa. Sarah seguì lo sguardo e vide che puntava su… Katherine e Kyle?
Guardò meglio la ragazza e la riconobbe. Era la ex di Kyle!
Sgranò gli occhi, credendo che fosse uno scherzo del destino.
Ma non si sbagliava.
Era proprio lei e fissava Kyle con un’espressione di puro astio dipinta sul volto.
Ma non era stata lei a lasciarlo? Sarah non ci capiva più niente.
Superò la ragazza scuotendo la testa e si rituffò nei suoi problemi.
 
 
―Cosa ne pensi? ― gli chiese Katherine con un sorriso. ―Ti è piaciuto?
Kyle pensò che poteva perdersi nel contemplare quel sorriso. ―Tantissimo. Ho trovato il “Trono di spade”… eccezionale.
Si sentiva al settimo cielo. Con Katherine ogni cosa era semplice e magnifica.
Persino una lunga lettura diventava magica, un discorso serio diventava piacevole e ogni scusa era buona per starla a sentire parlare.
All’inizio poteva sembrare una ragazza timida e introversa ma in realtà era solo infinitamente dolce e messa a suo agio poteva parlare ininterrottamente per ore ed ore, con gli occhi azzurri che brillavano per l’entusiasmo.
Kyle non si perdeva una parola di quello che diceva, anche se a volte si estraniava dal discorso e si incantava nel contemplarla.
Fece scivolare una mano nella sua e la strinse forte, mentre una ventata d’aria fredda li investiva. ―Ti amo. ― disse all’improvviso, sapendo che era vero.
E quella consapevolezza non lo spaventò, ma lo rese immensamente felice.
Felice di aver capito, solo a diciassette anni di amare una persona.
Katherine sorrise, e gli occhi azzurri scintillarono dolci mentre lei gli si avvicinava per posargli un bacio sulle labbra.
E in quel momento, Kyle si sentì come se avesse appena sfiorato il cielo con un dito.
Qualcuno si schiarì la gola con fare impacciato e sia Kyle ch Katherine si voltarono.
Davanti a loro stava una Sarah con il viso tutto rosso per l’imbarazzo. ―Ehm… so che magari non è il momento più adatto, ma… ― sventolò loro un volantino davanti al naso. ―Tra qualche giorno è stata organizzata una festa al The Den. Non so mi sembrava una buona idea andarci, voi che dite?
Katherine e Kyle fissarono Sarah per un momento come ricordandosi improvvisamente che lei faceva la loro stessa strada al ritorno da scuola.
Gli occhi di Kyle scintillarono maliziosi. ―Perché no? ― ghignò soddisfatto. ―Sarebbe il modo giusto per passare una serata diversa. Senza contare che potremmo fare degli scherzi davvero divertenti ad Amy, Evelyn e i ragazzi.
―Kyle… sicuro che… ― tentò Katherine ma lui spazzò via le preoccupazioni con un gesto della mano.
―Io dico che è una buona idea. ― rispose Kyle con un sorriso furbo sulle labbra. ―Avvisi tu gli altri? ― chiese poi rivolto a Sarah, che annuì.


 
*WHAWAIEAH!
Ciao a tutte, belle e brutte! ;p
Sto sclerando leggermente, stamattina... xD so che il capitolo non è granchè, ma non preoccupatevi è un piccolo pezzo di stallo e il prossimo e i successivi saranno molto più... aieah! xD
Spero che vi entusiasmino... :) 
Qui ho un po' di autrici da consigliarvi, perchè sono fenomenali! ;D

MandyCri se volete leggere storie romantiche e divertenti, Niniane_88 per le sue bellissime ed emozionanti storie che variano da romantiche a divertenti a favole ricche di sentimento,  Astrid Romanova che mi ha incantato con le sue storie avvincenti e appassionanti, Aniasolary di cui non mi stancherò mai perchè è troppo brava, Aspasia un'autrice ancora agli inizi ma con molto talento e  Ciel__ che si cimenta in storie dalle trame emozionanti :)
Un bacione e tutte voi e grazie per essere sempre qui! <3
Kry <3 (:

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 40
*** Capitolo 40. Start! ***


Capitolo 40.

Start!



 
Banner realizzato dalle bravissime ragazze di 
#Pinoolast's Graphic- Video 
e questo è il bellissimo trailer che non mi stanco ancora di vedereee!!
*manie di protagonismo*
#Sei romantico come... un camionista analfabeta EFP 


 
 
Jennifer era uscita di casa da poco, salutando i ragazzi e lasciando per loro della pasta al forno nel microonde.
Prima di chiudere la porta aveva lanciato un’occhiata d’ammonimento al figlio. Quando se n’era andata Amy era quasi scoppiata a ridere mentre Jordan le rivolgeva un’occhiata truce.
―Smettila! ― le intimò seriamente.
―S- scusa! ― singhiozzò Amy. ―È solo che… insomma, vedere tua madre che ti lancia certi sguardi traducibilissimi mi ha fatto perdere la testa!
Jordan si avvicinò a lei, con gli occhi ridotti a due fessure ed un sorrisetto furbo stampato sul viso. ―Sguardi traducibilissimi, eh? E cosa avresti tradotto, sentiamo!
Le risate di Amy si assottigliarono sino a scomparire mentre indietreggiava molto lentamente con Jordan che avanzava implacabile verso di lei.
―Io… ― cominciò, bloccandosi subito dopo e deglutendo rumorosamente.
―Tu? ― chiese Jordan in un tono palesemente canzonatorio. ―Continua, sono proprio curioso….
―Beh, sembrava che volesse dirti di tenere a bada l’attrezzatura, insomma. ― mormorò Amy velocemente girando attorno al tavolino del salotto.
―L’attrezzatura? ― chiese Jordan continuando a seguirla lentamente, passo dopo passo.
―Dai, Jordan, hai capito! ― protestò indispettita Amy, senza accennare a fermarsi. Lo sguardo di Jordan non la convinceva per niente e quando l’istinto le diceva di darsela a gambe lei eseguiva senza la minima esitazione.
―No, sul serio. ― proseguì il ragazzo con quel tono di voce falso e mellifluo. ―Non ho davvero capito, dovresti essere più specifica, Amy. ― gli occhi azzurri gli luccicarono sornioni.
La ragazza iniziò a balbettare frasi sconnesse. Non aveva mai avuto remore ad esprimersi chiaramente in qualsiasi ambito e con qualsiasi linguaggio. Per lei che era uno spirito libero poi, ed una ragazza scurrile, era roba d’ogni giorno. Ma quella situazione era diversa e decisamente imbarazzante.
Pensare al coso di Jordan come realmente esistente ― non che prima pensasse che Jordan ne fosse sprovvisto, solo che non aveva mai pensato esplicitamente al suo amico ― le faceva uno strano effetto.
Era imbarazzante, insomma.
―Sto aspettando, Amy. Ricorda che i miei pochi neuroni potrebbero polverizzarsi per il troppo sforzo e “auto-combustionarsi” come ami ripetermi sin troppo spesso. Perciò non lasciarmi troppo tempo in preda alla curiosità, potrebbero essere i miei ultimi istanti da essere vivente cerebralmente attivo, lo sai. ― Jordan sollevò le sopracciglia più volte, per dare enfasi alla frase.
Amy diventò tutta rossa e si guardò attorno alla ricerca di un diversivo.
Era così buffa!
Jordan provò un moto di tenerezza istantaneo nei suoi confronti, ma decise di non darvi ascolto e di prestare attenzione al suo sadismo temporaneo.
―Avanti! ― la incitò. Si stava divertendo un mondo.
Amy sbuffò, guardando dappertutto tranne che lui. ―Beh… ― cominciò.
―Sì?
―Insomma, Jordan! ― esclamò esasperata la ragazza. ―Il tuo cazzo! Tua madre intendeva di tenere nelle mutande il tuo fottutissimo cazzo! ― esplose Amy ululando.
Era tutta rossa e Jordan a stento si tratteneva dal ridere.
―Ah! ― esclamò, continuando ad inseguirla mentre lei faceva il giro del tavolo per sfuggirgli. ―Vuoi dire questo coso qui? ― chiese indicandole il cavallo dei pantaloni con il dito.
―Che cosa? ― Amy strabuzzò gli occhi, stralunata. ―Non indicarlo!! ― urlò con una vocetta stridula.
Jordan continuò ad indicare il cavallo dei pantaloni mentre Amy si copriva gli occhi con una mano. Gesù, che situazione imbarazzante!
Improvvisamente sentì una mano che le arpionava il braccio ed Amy scostò il palmo dal viso per poter vedere cosa aveva davanti. Jordan l’aveva raggiunta e la fissava con un’espressione scaltra. Con la mano a coprirle la visuale non si era accorta che Jordan ne approfittava per guadagnare terreno.
Quello stramaledetto bastardo!
Amy grugnì e fece un salto indietro sfuggendo alla presa.
Ed improvvisamente ebbe inizio: la fuga.
Jordan si lanciò su di lei con le braccia tese, pronte ad afferrarla, e lei se la diede a gambe, lanciandogli addosso i cuscini del divano, i telecomandi della tv e del digitale terrestre, il cordless e persino una pianta grassa che Jordan ebbe l’accortezza di scansare agilmente. Il tutto coronato da una serie di strilli eccitati da parte di Amy che, in preda al panico cercava di capire la direzione giusta da prendere per sfuggire alle grinfie di quel malato del suo ragazzo.
Correndo, imboccò la soglia della porta del salotto e si ritrovò in una zona della casa in cui lei e Jordan passavano davvero poco tempo.
Normalmente si limitavano alla tv, qualche snack e i videogiochi alla play. Non si erano mai addentrati nella zona notte che Amy considerava un po’ off-limits.
Superò la soglia in scivolata e prese una direzione a caso, rifugiandosi nella prima stanza che trovò con la porta aperta. Si nascose al lato dello stipite, protetta dall’oscurità della stanza.
―Amy? ― la voce le arrivò insicura dal corridoio.
Amy trattenne il fiato, senza fare il minimo rumore. In quel gioco era sempre stata brava a casa, quando giocava con suo padre. Ufficialmente era nascondino, ma in realtà si nascondevano negli angoli più improbabili e sbucavano fuori dal nulla ululando, cercando di spaventarsi a vicenda.
―Okay, Amy, non è divertente. ― mormorò la voce di Jordan sempre più vicina e sempre più titubante. Quella zona della casa era immersa nell’oscurità e il silenzio era addirittura inquietante visto che stava cercando una persona potenzialmente pericolosa come Amy.
―Ti prego, esci fuori, non ti farò niente! ― la supplicò, la voce sempre più tremante.
Amy riconobbe il bluff e rimase immobile come una statua di cera.
―Mi sto cagando addosso, ti prego! ― ora la voce era supplicante. Ci mancava solo che scoppiasse a piangere! Ad Amy scappò un risolino che smorzò subito schiaffandosi la mano sulla bocca. Accidenti che stupida era stata!
―Ti ho sentita, sai… ― disse Jordan con una punta di malignità nella voce, dirigendosi nella sua direzione. Amy si tenne pronta.
Appena distinse il capo di Jordan fare capolino sulla soglia della camera, tese silenziosamente un piede nella sua direzione.
Dopo fu tutto molto rapido e confuso. Jordan fece un altro passo in avanti e cadde nello sgambetto di Amy, ma riuscì ad afferrarle il braccio tirandola a sé e facendola cadere su di lui. Dopo i primi istanti di silenzio scoppiarono a ridere entrambi. Il petto di Jordan sussultava incontrollabile per le risate ed Amy non riusciva a smettere di ridere. Alla fine, mentre ancora ridevano, Amy strisciò sul corpo di Jordan e trovò le sue labbra senza il bisogno di alcuna luce. Si sfiorarono in silenzio, le risate messe a tacere all’improvviso, mentre i sorrisi spensierati ancora aleggiavano sulle loro labbra. Fu un piccolo bacio a stampo all’inizio e i due si guardarono negli occhi, intravedendo solamente il loro luccichio nell’oscurità.
Avvertirono i sospiri l’uno dell’altro sopra la propria pelle e all’improvviso si avventarono nuovamente sulle loro labbra, con più foga. Amy non capiva cosa stava succedendo, sentiva solo le mani di Jordan stringerla a sé e le sue labbra incandescenti posarle baci dappertutto.
Era una macchina inarrestabile, baci, baci e ancora baci. Amy si accorse che anche lei non riusciva a resistere e ricambiava quei baci infuocati, li rilanciava nel buio, marchiando a fuoco tracce della pelle di Jordan, del suo viso, delle sue mani, delle sue braccia, del suo collo. Si fermarono un attimo, senza fiato e si misero seduti.
―Un momento. ― ansimò Jordan alzandosi e andando ad aprire la tapparella. La luce fredda del pomeriggio inondò la stanza, che aveva decisamente un aspetto meno inquietante che al buio.
Erano nella camera di Jordan. ―Strana coincidenza, eh? ― chiese lui con un sorriso divertito, rendendo esplicita la connessione involontaria ai due eventi.
Si guardarono negli occhi per alcuni attimi, poi Jordan porse una mano ad Amy e l’aiutò a rimettersi in piedi. Rimasero a fissarsi per alcuni lunghi istanti, le braccia di Jordan allacciate attorno alla sua vita. Stavano pensando alla stessa cosa.
―Amy io…
―Shh. ― mormorò lei, posandogli un dito sulle labbra. ―Possiamo… provare a fare qualcosa.  Se ti va. ― sussurrò. Jordan la fissò interdetto, guardandola deglutire nervosamente. Avvertì un debole tremito attraversarle il corpo e capì che aveva paura.
La sua piccola Amy, aveva paura. ―Non fa niente, posso aspettare, possiamo aspettare entrambi, non è importante se non ti va, possiamo…
―Jordan. ― lo interruppe lei, guardandolo dritto negli occhi. Amy scosse il capo e annuì mentre pronunciava le parole: ―Sono sicura.
Il ragazzo fissò per un momento gli occhi scuri e lucidi di Amy e capì che era sicura sul serio. ―Va bene. ― sussurrò. ―Ma ci fermiamo quando vuoi, okay? Devi solo dirlo.
Amy annuì, fissando gli occhi azzurri e premurosi di Jordan e solo allora, il ragazzo sembrò accettare l’idea. Le mise una mano dietro la nuca, facendole scorrere piccoli brividi lungo tutto il corpo e la baciò dolcemente, posando appena le labbra sulle sue. Finito un bacio ne ricominciò un altro e così via, fondendo il suo respiro in un ritmo lento e regolare con il suo. Amy lo abbracciò con le sue braccia esili e lui la guidò verso il letto. Lei gli saltò in braccio, allacciando le gambe attorno alla sua vita e lui la adagiò delicatamente sul letto, come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
Si staccò da lei per un attimo e la guardò ancora, come per ricordarle le parole di poco prima: ci fermiamo quando vuoi, okay?
Amy annuì e Jordan le accarezzò lentamente un braccio, andando in su e in giù, provocandole brividi di piacere lungo tutto il corpo.
Le dita corsero lungo l’orlo della maglietta e la sollevarono, facendola passare da sopra la testa. Amy agganciò i pollici ai passanti dei suoi jeans e l’attrasse a sé, baciandogli il collo, il pomo d’Adamo, mentre Jordan faceva scorrere le dita sulla pelle nuda del suo corpo, lasciando leggere tracce infuocate dappertutto. Amy si sentiva in fiamme.
Le labbra di Jordan trovarono le sue ed Amy si sentì annegare in un bacio dolce ed intenso come il miele. Sfiorò con le dita un lembo di pelle nuda di Jordan e rabbrividì. Lentamente, gliela sollevò con un po’ di difficoltà e la buttò per terra. ―Era la mia T-shirt preferita, quella. ― protestò Jordan scherzosamente ed Amy scoppiò a ridere, allentando un pochino quella tensione cha avvertiva stretta allo stomaco. Jordan sorrise e le posò un bacio sulla punta del naso. ―Sei bellissima.
Amy lo guardò senza sapere cosa dire ed allungò una mano tremante verso il suo petto nudo, sfiorandolo e accarezzandolo lentamente. ―Anche tu. ― mormorò, impegnata in quella nuova esplorazione.
Era tutto intimo e aveva tutto un’aria tremendamente importante. Lei e Jordan si erano sfiorati altre volte, si erano toccati, baciati, ma mai con quell’intimità legata a quel momento.
In ogni loro gesto si imprimeva un ricordo, ogni loro tocco trasmetteva amore e sentimento. Jordan posò due dita sull’incavo del collo di Amy e le fece scendere giù, facendole scorrere sullo sterno, sugli addomi, lungo l’ombelico, fino all’attaccatura dei jeans. Poi le dita sostarono immobili sul bottone e solo quando Amy ebbe annuito Jordan si sbarazzò anche di quelli. Li fece scorrere lentamente lungo le gambe della ragazza, lasciandola in intimo e contemplandola.
Amy divenne tutta rossa e per un momento strizzò le palpebre, per non vedere la reazione di Jordan. Poi lui prese a baciarle gli occhi, il naso, la bocca, le orecchie e tutti i centimetri di pelle scoperta, seguendo le spalline del reggiseno e scendendo lungo i bordi, e poi ancora più giù, le gambe, le caviglie, le anche, le punta delle dita delle mani e dei piedi.
Amy si rilassò un poco, piacevolmente colpita da tutte quelle rivelazioni. I baci nelle zone più improbabili del corpo le provocavano brividi dappertutto e il tocco di Jordan era talmente delicato che quasi non si sentiva ma era come se tracciasse un sentiero, un percorso, ed Amy sentiva presenti su di lei le sue labbra anche quando non c’erano più. Si mise seduta e accarezzò il petto di Jordan come poco prima lui aveva fatto con lei. Gli baciò le spalle ampie, aprendosi bacio dopo bacio una strada che conduceva alle sue labbra.
Era bellissimo.
Il suo Jordan.
Si portò le mani sulla cerniera dei jeans e poi la guardò. ―Amy…
Lei sorrise. ―È tutto okay.
Jordan si tolse i pantaloni e poi si guardarono, incerti su come proseguire.  
―Inizierò da qui. ― disse lui, indicandole la spalla. Amy annuì, il cuore che batteva a mille. Non sapeva se si sarebbero fermati, non sapeva nemmeno se lei voleva fermarsi. Jordan le inebriava i sensi mentre le baciava la spalla e faceva scivolare giù prima una spallina del reggiseno e poi l’altra. Le aprì le gambe ed Amy sentì un nuovo calore che la inondava mentre Jordan le baciava i seni nudi con dolcezza. Gemette, sopraffatta da un piacere intenso, mentre i respiri si facevano pesanti e le loro carezze tremavano sulla pelle come fragili foglie al vento.
Jordan tuffò la testa sul suo petto, respirando il suo profumo, mentre il cuore di Amy batteva così forte che sarebbe potuto esplodere da un momento all’altro.
―Amy… ― mormorò con il fiatone, sollevando il viso. ―Possiamo fermarci se lo vuoi. Non dobbiamo andare avanti per forza.
Il viso di Amy era rosso e la ragazza sentiva le guance bruciare. ―Non fa niente. ― sussurrò. ―Per me va bene, sul serio… solo… ― si morse le labbra incerta se continuare o meno.
―Dimmi. ― la voce di Jordan era diversa, un po’ più roca e profonda.
Amy aprì la bocca. ―È che… ho paura.
Jordan la guardò con amore e le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. ―È normale avere paura la prima volta.
Amy scosse la testa. ―No, è solo che… non ho paura di quello. O meglio, sì ce l’ho, ho paura della mia prima volta, ma non ho proprio paura di quella. Ho paura di… ― guardò Jordan in cerca d’aiuto, disperata, aprendo la bocca come per trovare fiato.
Lui la guardò senza capire.
Amy si morse il labbro inferiore e fece un gesto imbarazzato verso Jordan che capì dopo qualche istante. ―Oh. ― disse, guardando in basso. ―Non… ne hai mai visto uno? ― chiese tornando a guardarla negli occhi.
―Cosa? ― Amy si agitò. ―No. Cioè sì, naturalmente sì, ne ho visto uno, qualcuno in tv, insomma, ma… non è la stessa cosa, capisci? ― disse disperata.
Jordan le sorrise dolcemente e le prese il volto tra le mani. ―Tu lo vuoi?
Amy annuì velocemente. Sì, lo voleva, voleva Jordan, ma aveva anche paura, tanta, troppa forse. Deglutì vistosamente mentre sentiva il cuore marciarle nel petto velocemente.
―Allora non avere paura, okay? La supererai. È una cosa naturale. ― le accarezzò la guancia con il pollice e lei annuì.
Jordan si alzò in piedi sul materasso e si tolse le mutande.
Amy rimase senza parole.
―Beh? ― disse lui, atteggiandosi in una posa invincibile ―che te ne pare?
Amy sgranò gli occhi e riprese fiato. ―Secondo i canoni credo che ti definirebbero “ben dotato” ― mormorò.
Jordan le si avvicinò e si chinò su di lei, guardandola dritto negli occhi. ―Ehi. ― sussurrò. ―È la natura, okay? Non devi averne paura. ― Amy annuì e lui la baciò.
Fu un bacio diverso dai precedenti.
Jordan infilò due dita nell’orlo delle mutandine di Amy e le fece scivolare via, lungo le gambe della ragazza. Fu un bacio diverso perché c’era la consapevolezza di essere nudi, l’uno contro l’altro, pelle contro pelle, labbra contro labbra.
Jordan abbracciò il corpo minuto di Amy, ne accarezzò le curve, ne  contemplò le forme, ne baciò ogni centimetro mentre la ragazza si lasciava andare a quelle piccole carezze, mentre il suo corpo rispondeva ad ogni bacio, ad ogni carezza e assecondava ogni movimento. Jordan prese un preservativo e se lo mise ed Amy sorrise.
Non aveva più paura. Non aveva più paura di Jordan, del suo Jordan, del suo ragazzo bellissimo in tutti i sensi, bellissimo ovunque.
Non aveva più paura di niente, perché avrebbero affrontato quella cosa insieme.
Perché con lui si sentiva sicura, perché lui le infondeva una sicurezza che non aveva e lei voleva sentire quella sicurezza dentro di sé, gli voleva aprire completamente la sua fiducia. Lo amava e voleva donare la sua prima volta a lui. Completamente.
Jordan cercò di fare attenzione ed entrò in lei con tutta la delicatezza di cui era capace.
Amy gemette, avvertendo una stretta al basso ventre.
Era doloroso, faceva male, ma in parte era anche piacevole, perché avvertiva tutta la delicatezza con cui Jordan cercava di muoversi, con cui cercava di non farle troppo male. Prese più aria, ansimando e si aggrappò alle spalle di Jordan, cercando di trovare forza, coraggio, energia. Gemette ancora e Jordan entrò ancora di più in lei, unendosi definitivamente al suo corpo, fondendola in una cosa sola. Amy urlò di dolore, alcune lacrime le scivolarono giù dagli occhi e arpionò la schiena del ragazzo con le unghie, cercando di aggrapparsi a qualunque cosa che le impedisse di scivolare giù. Il bruciore era intenso, le mancava il fiato, ma oltre al dolore sentiva piacere, un piacere dato dalla presenza di Jordan, dall’amore che lui provava per lei e che lei provava per lui.
Le baciò le lacrime e poi le labbra, rimanendo unito a lei nell’anima oltre che nel corpo.
Il dolore andò pian piano scemando, anche se era sempre lì, sempre presente nel suo basso ventre, ma più diminuiva, più sentiva un calore piacevole avvolgerla da dentro.
Non aveva mai provato nulla del genere, prima.
Sorrise a Jordan e rimasero abbracciati l’uno contro l’altra.
 
 
Stavano sdraiati sul letto, Amy seduta sulle gambe di Jordan mentre lui la guardava disegnare.
―Non mi stancherò mai. ― mormorò ad un tratto.
―Di fare cosa? ― chiese lei senza distogliere lo sguardo da ciò che stava facendo.
―Di guardarti. Di guardarti mentre crei, mentre disegni. Non mi stancherò mai di te e basta.
Amy posò la matita  e si girò verso di lui, con un sorriso dolce sul viso. Avvicinò le labbra alle sue e lo baciò lentamente, con trasporto. ―Neanche io mi stancherò mai di te, Jordan. ― sospirò.
―Ti amo. ― dissero insieme e poi si sorrisero teneramente.
 
 
 
―Pronto? ― Amy rispose al telefono con una voce eccessivamente squillante.
―Ehi, Amy! Vieni oggi a casa mia? C’è anche Evelyn, vi parlerò di una cosa fantastica!! ― disse la voce di Sarah tutta eccitata. Amy deglutì. Forse anche Sarah l’aveva fatto? Aveva finalmente superato le sue divergenze con Lee?
―Di… che si tratta? ― chiese insicura.
―Di una mega festaaa! ― gioì l’amica dall’altro capo del telefono.
Amy prese un gran respiro e per poco non scoppiò a ridere. Se lei l’aveva fatto, non significava che anche Sarah ed Evelyn si fossero date alla pazza gioia!
―Va bene, vengo, vengo. ― si salutarono dopo aver concordato l’orario ed Amy si crogiolò nuovamente. Ogni volta che ci pensava sentiva sempre una piacevole stretta al petto che la avvolgeva con il suo calore.
Tra lei e Jordan le cose erano cambiate leggermente.
Quando si sfioravano le mani si instaurava una sorta di elettricità magica che le scorreva nelle vene e non potevano fare a meno di guardarsi e sorridersi, colpevoli. Erano se si poteva ancora più dolci tra loro.
Amy non riusciva ad immaginare niente di più bello.
Amava Jordan così tanto che sentiva di poter essere spazzata via facilmente da quell’amore così grande. La consapevolezza di aver fatto l’amore con lui la rendeva ancora più sicura e più felice, quasi.
Covava quel piccolo segreto da due giorni e ogni volta che poteva si crogiolava nel ricordo, lasciando che il tocco dei baci e delle carezze di Jordan le tornasse alla memoria, accarezzandole il corpo.
Sospirò col sorriso sulle labbra, per l’ennesima, fottutissima volta.
―Ma si può sapere cos’hai da sorridere? Sono due giorni che ti spacchi la mandibola in quel modo! ― esplose la madre all’ennesimo sorriso fuori luogo della figlia.
―Io? ― chiese Amy con lo sguardo perso nel vuoto ed il solito sorriso perso sulle labbra. ―Io non sorrido!
―No, certo che no! ― commentò ironica la madre, avvicinandosi ancora di più alla figlia e studiandola attentamente.
―Senti un po’... ―cominciò, sospettosa. ―Non è che con questo sorriso luminoso centra per caso quel ragazzo? ― chiese mentre l’angolo sinistro delle labbra le si sollevava in un sorriso scaltro.
―Q- quale ragazzo? ― balbettò Amy mettendo finalmente a fuoco la madre.
―Jordan. ― disse la madre come se fosse più che ovvio. Il solo nome bastò a fare rilassare Amy e a farle tornare nuovamente quello stupido sorriso sulle labbra.
Se ne rendeva conto, ma non riusciva a cancellarlo. ―State insieme adesso, no?
Amy tossicchiò nervosamente. ―Mamma…
―Non preoccuparti, non voglio farmi gli affari tuoi, ma ho notato che passate molto tempo insieme ed è un caro ragazzo, quindi… ― Amy sospirò, capitolando, mentre un nuovo sorriso le si affacciava sulle labbra.
―Com’è? ― le chiese la madre sedendosi accanto a lei.
―È… bello, mamma. In tutti i sensi. ― sospirò la ragazza.
―Bello, eh? ― indagò la donna. ―Dovresti invitarlo a casa uno di questi giorni, allora. Magari a cena, o a pranzo, che ne dici? ―Amy annuì come un’idiota, dando l’impressione di non aver capito nulla.
La madre si alzò dal divano sul quale stava accasciata la figlia. ―E non fate cose stupide! ― ammonì.
Amy si strozzò con la propria saliva, mentre sentiva il sangue affluirle velocemente al viso. ―No, mamma. ― sputacchiò. ―Nulla di stupido, promesso.
“Cazzo” pensò. 
 
 
Quel pomeriggio si ritrovarono tutte a casa di Sarah.
Evelyn ed Amy si erano incontrate poco prima per prendere una pizza gigante con la quale festeggiare il grande evento. Stavano tutte e tre sedute in cerchio, per terra, il cartone di pizza aperto e mezzo vuoto.
―Beh, questa foesta? ― chiese Evelyn con la bocca mezza piena.
Sarah sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori e poi con un gesto plateale pose al centro del cerchio il volantino. ―Ho pensato che potremmo andarci tutti quanti. Tu con Chris, ― disse sorridendo ad Evelyn, ― tu con Jordan, ― Amy arrossì e abbassò lo sguardo, sorridendo, ―Katherine e Kyle e io. ― la voce le si incrinò un poco. ―È alla villa estiva di un ragazzo del Liceo Scientifico e presto si trasformerà in un locale chiamato The Den e si paga davvero molto poco considerato l’ambiente, perché fanno degli sconti assurdi. Insomma, è una specie di inaugurazione del posto. Hanno organizzato altri eventi in precedenza ma questo è proprio l’ultimo prima che i genitori del ragazzo non trasformino definitivamente la villa in una specie di disco pub. Ne ho sentito parlare molto bene e ne ho già parlato con Katherine e Kyle.
―Per me va benissimo! Purché non ci siano tra i piedi i genitori del tipo, beninteso. Che festa sarebbe con gli adulti tra le scatole?― esclamò Amy con foga, sorridendo.
―Anche per me. ― disse Evelyn eccitata. L’idea di una festa era elettrizzante, soprattutto adesso che la scuola era ricominciata.
―Dio, Amy, inizi a darmi sui nervi!! ― esclamò Sarah infastidita.
Amy la guardò senza capire e anche Evelyn rivolse uno sguardo interrogativo all’amica. Sarah si affrettò a spiegarsi. ―Sono due giorni che hai quel sorriso scemo stampato in faccia! Vuoi dirci che è successo?
―È vero! ― intervenne Evelyn volgendo lo sguardo verso Amy.
―Oh, ma anche voi due, adesso? ― chiese indispettita. ―Prima mia madre e adesso voi! E io che volevo parlarne con calma! ― disse mettendo il broncio.
―Parlare di cosa? ― chiese Sarah insistente.
Ad Amy tornò il sorriso sulle labbra. Dio, era così felice! Poteva esplodere dalla felicità ed essere sempre felice era come avere costantemente adrenalina nelle vene, perciò tremava tutta e non era nella pelle di dire alle amiche ciò che era successo. Si avvicinò verso di loro con fare cospiratorio.  Le altre due strinsero il cerchio.
―Ragazze… ― iniziò con una vocetta stridula.
Evelyn le diede un colpo con la mano, invitandola a proseguire. ―Non tenerci sulle spine! ― sibilò.
―L’hftt.
―Che cosa? ― chiesero all’unisono Sarah ed Evelyn che non avevano capito un accidenti.
―L’ho fatto. ― scandì Amy per bene. Le amiche parvero non capire.
―Hai fatto cosa, scusa? ― chiese Sarah sotto lo sguardo perplesso di Evelyn.
Amy strabuzzò gli occhi e si mise le mani nei capelli. ―Sono andata a letto con Jordan! ― chiarì con un piccolo strillo.
―COSA?? ―urlarono contemporaneamente Sarah ed Evelyn.
―Con Jordan? ― chiese poi quell’ultima.
―L’hai fatto? ― disse incredula Sarah.
Amy annuì, sorridendo.
Le amiche urlarono eccitate e confuse.
―Dio, ma… sei sicura? ― chiese Evelyn.
―E com’è stato? ― domandò Sarah con apprensione, mordendosi le labbra.
―Beh… ― disse Amy. ―All’inizio non ne ero tanto sicura. Lui è stato dolcissimo. ― il sorriso si allargò al ricordo.
Sarah ed Evelyn si lanciarono un’occhiata d’intesa. Amy era proprio cotta.
―Poi però, ― riprese la ragazza, ―è stato come sbloccarsi. È stata una cosa molto semplice, non abbiamo fatto cose strane… ― disse lanciando uno sguardo d’intesa alle amiche. ―però è stato doloroso.
―Ha fatto molto male? ― chiese Evelyn sgranando gli occhi.
Amy annuì. ―Abbastanza. Però è stato anche piacevole, insomma, nonostante il dolore io… l’ho amato. Ho amato quel momento e amo la persona con cui l’ho fatto.
Le due ragazze rimasero in silenzio per un momento.
―Non ci credo. ― disse poi Sarah.
―Cosa? ― Amy la guardò confusa.
―Non credevo che una di noi l’avrebbe fatto così presto. ― chiarì. ―Insomma, abbiamo solo diciassette anni, quasi diciotto, okay ma… non so, mi sembra strano.
―Io… ― Amy si fece improvvisamente pensierosa.  ―Non credo che l’età conti molto. Vi prego, non datemi della troia. ―aggiunse subito in un sussurro triste.
―Oh, no! ― esclamò subito Sarah. ―Non intendevo dire questo, Amy! ― Evelyn le accarezzò la testa e le sorrise. ―Sappiamo tutte che ci sono un sacco di ragazze decisamente troie che l’hanno fatto già da un secolo con persone di cui nemmeno ricordano il nome. Tu invece l’hai fatto con la persona che ami, Amy, e credo che questo ti faccia onore. Perché so che non sei stupida e so che se l’hai fatto il sentimento che provi per Jordan è davvero profondo e non frivolo.
Amy alzò lo sguardo e osservò il sorriso dolce dell’amica. L’abbracciò di slancio e poi trasse a sé anche Sarah. ―Come farei senza di voi? ― disse, mentre calde lacrime le rigavano le guance ed un sorriso le spezzava il volto.
―Ti vogliamo bene. ― le sussurrarono le amiche all’orecchio ed Amy si ricompose, tirando su col naso.
―Grazie. ― sorrise e si asciugò le lacrime. ―Sono felicissima. Sento che potrei scoppiare, davvero! ― aggiunse poi, mentre il suo sorriso si allargava ancora di più.
Anche Sarah ed Evelyn le sorrisero, poi Amy iniziò a frugare nella borsa e ne tirò fuori un pacchetto.
―Ho preso questo per te, Ev. ― sorrise porgendoglielo.
Evelyn lo prese titubante ed iniziò a scartarlo. ―Cos’è? ― chiese mentre lottava con la carta.
―Ho pensato che ti sarebbe stato utile per la festa, dal momento che immaginavo ci saresti andata con Chris.
Quando la carta fu a terra Evelyn aprì la scatola, trepidante, e la sua espressione passò dalla sorpresa all’inorridita.
―AMY! ― urlò. ―Ma si può sapere che cosa ti è preso? Cos’è questo?? ― chiese indirizzandole uno sguardo disperato e mostrandole il pugno nel quale era racchiuso un indumento di pizzo nero.
―È un completino! ― chiarì Amy come se la cosa fosse più che normale. ―È un completino sexy. ― specificò. ―Così se alla festa tu e Chris vorrete sbizzarrirvi avrai tutto il necessario! ― esclamò serenamente strizzandole un occhio.
Sarah si rotolava a terra dalle risate.
―Amy! ― esclamò Evelyn imbarazzata. ―Solo perché tu sei andata a letto con Jordan, non vuol dire che io debba buttarmi tra le braccia di Chris!! Con questa roba addosso, poi! ― esclamò, sventolandole sotto il naso il completino di pizzo nero molto, molto, provocante. 
Amy fece un’espressione di disappunto mentre le risate di Sarah raggiungevano il culmine con tanto di lacrime a fontanella, degne di un cartone manga. ―Non capisco cosa intendi. ― mormorò Amy con finto sguardo innocente.
―Amy! ― Evelyn era disperata.
L’amica sbuffò. ―Senti, facciamo così. Tu adesso te lo tieni e poi vediamo. E comunque non sarebbe una cattiva idea!
―Non credo che tu indossassi certa robaccia quando l’hai fatto con Jordan! ― protestò indignata Evelyn. ―Significa rinunciare alla propria dignità di donna!
―No, Evelyn. ― ribatté Amy piccata. ―Io indossavo della semplicissima biancheria in cotone bianco con tanti di fiocchetti della nonna. Questo, significa rinunciare alla propria dignità di donna! Non capisco cosa ci sia di male se vuoi valorizzare la tua figura!
Sarah ed Evelyn la fissarono in silenzio per un lungo istante prima di scoppiare a ridere. Sarah sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
―Sul serio avevi la biancheria con i fiocchetti della nonna? ― chiese Evelyn tra i singhiozzi.
Amy abbassò lo sguardo, imbarazzata. ―Beh, qualche fiocchetto ce l’aveva. ― mormorò.
Si guardarono e poi ricominciarono a ridere come delle pazze.


 
*WHAWAIEAH!
Ciaiiii!!! :D ho passato una settimana tremenda! Ho litigato a morte con Sarah ma abbiamo fatto pace <3 <3 <3 xD
Occhey, e dopo questo excursus che vi ha entusiasmato moltissimo (?) che ve ne pare del capitolo?? :) e del trailer??? Ormai guardo solo quello! xD
Vi è piaciuto il capitolo, Amy e Jordan e.. coff coff, il loro svenevole scambio di opinioni?? ;p
Spero di sì!! ;)
Fatevi sentire in tante, mi raccomando, ho voglia di opinioni!!! ;D
Un bacione a tutte e un grazie immenso a tutti coloro che leggono questa storia, ci ridono o piangono sopra, pensano che sia una schifezza o un lavoro mediocre ma comunque ci hanno dato un'occhiata (: <3
Grazie,
Kry <3 

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 41
*** Capitolo 41. Burned. ***


Capitolo 41.

Burned.

 
 
Banner realizzato dalle bravissime ragazze di
Pinoolast's Graphic- Video
e questo è il bellissimo trailer!! <3
Sei romantico come... un camionista analfabeta EFP
 
Il campanello suonò festoso ed Evelyn aprì la porta, ansiosa.
Sarah ed Amy erano andate a casa sua per aiutarla con il vestito della festa. Non le piacevano molto i vestiti, ma ne aveva trovato uno che le stava davvero bene e voleva fare colpo su Chris, anche se non l’avrebbe mai ammesso davanti ad Amy.
―Bene! ― esclamò quest’ultima, pimpante. ―Diamo inizio alla trasformazione!
Evelyn si imbronciò, offesa. ―Fanculo, non sono messa poi così male!
Amy sogghignò e Sarah alzò gli occhi al cielo. ―Dai, su, facci vedere questo vestito. Non abbiamo molto tempo, tra poco i ragazzi vengono a prenderci, ricordi?
Evelyn annuì e le condusse nella camera da letto.
Aveva steso sul letto tutto l’occorrente, vestito, borse coordinabili, accessori e trucchi.
―Dai, comincia a vestirti. ― la incitò Amy con un sorriso, porgendole il vestito.
Evelyn si levò i jeans e la maglietta e fece per afferrare il vestito, ma Amy si ritrasse, inorridita. ―Cosa? ― esclamò sbarrando gli occhi, alla vista dell’intimo dell’amica. ―E il completino sexy dov’è finito? Credevo che l’avresti messo!! ― protestò con voce stridula.
Evelyn alzò gli occhi al cielo, indispettita. ―È sepolto in fondo all’armadio, sotto un mucchio di vestiti smessi, dove è giusto che stia!
―No, Evelyn, non hai capito!! ― la voce di Amy cominciava a salire di qualche ottava. ―Non sai mai quando può scappare l’occasione e metti anche che vi spogliate e basta lui non può vederti con quelle mutande normali e quel reggiseno di comune ordinanza! Erano molto meglio le mie robe con i fiocchetti della nonna, almeno davano un po’ più nell’occhio!
―Ma che c’hai nella testa? ― sbraitò Evelyn. ―Non voglio dare nell’occhio e sicuramente non voglio spogliarmi davanti a Chris! ― fece per afferrare il vestito, ma Amy si scostò ancora.
―Non dirmi che non ti piace quando ti sfiora, o che non ti fa rabbrividire quando vi toccate. Evelyn lo dico per te! Non era previsto tra me e Jordan ed ero vestita peggio di nonna Belarda, almeno tu indossa qualcosa di decente e se capita sei a cavallo! Se non capita, pazienza! ― Amy sembrava decisa a non mollare l’osso.
Evelyn la fissava indecisa.
Le sembrava assurdo che proprio quella sera lei e Chris dovessero darsi alla pazza gioia, ma d’altra parte Amy aveva ragione. E se fosse davvero successo qualcosa e lei si fosse trovata impresentabile? Fissò le sue mutande giallo canarino e giunse alla conclusione che probabilmente Amy aveva ragione.
Di sicuro non poteva portare quelle mutande sotto quel vestito.
―Ragazze… ― disse Sarah interrompendo i suoi pensieri. ―Non vorrei fare la guastafeste, ma dovremmo spicciarci. Abbiamo i minuti contati. ― guardò Evelyn con una muta supplica celata nello sguardo. Sapevano entrambe che tempo o non tempo Amy non avrebbe mollato.
―Va bene. ― capitolò Evelyn. ―Lo proverò. Ma se lo trovo troppo provocante lo getto nella spazzatura e mi metto la biancheria che voglio!
Amy era ancora un po’ contrariata ma alla fine annuì. ―Okay. Ma non essere troppo prevenuta.
Evelyn si precipitò a prendere la scatola che Amy le aveva regalato e andò in bagno.
Con il cuore che le batteva a mille, sfilò il delicato completo di raso dalla carta velina e lo osservò con un misto di disgusto e di orrore.
Il reggiseno era senza spalline ed era di pizzo nero ricamato e così anche gli slip, davvero molto molto ristretti. Fece un profondo respiro e si costrinse ad indossarli. Allacciò il reggiseno ed uscì dalla stanza.
Amy fece un fischio. ―Chris ne andrà pazzo.
Sarah la guardò con occhi sgranati.
―Amy, è una cosa impossibile! Mi si vede tutto il culo, possiamo anche dire che queste mutante siano inesistenti! ― protestò Evelyn girandosi per far vedere alle amiche il sedere quasi completamente scoperto.
―E allora? ― chiese Amy come se non vedesse il problema. ―Hai un bel culo.
Evelyn la guardò come se fosse impazzita. ―Non è bello, è grande!
Amy strabuzzò gli occhi. ―Se il tuo culo è grande allora forse non hai mai guardato quello della prof di italiano! ― Sarah iniziò a ridacchiare.
―No, sul serio, l’ho provato ma adesso mi cambio. Faccio orrore. ― Evelyn fece per andare verso il bagno ma il telefono di Amy prese a squillare impazzito. Sarah rispose.
―Ragazze siamo sotto! Muovetevi!― la voce di Chris si sentiva anche senza l’apparecchio attaccato all’orecchio.
―Va bene, scendiamo subito! ― urlò Sarah chiudendo la telefonata. ―Non c’è tempo!!
Amy agguantò Evelyn. ―Non puoi cambiarti! ― disse, e iniziò a fasciare nel vestito una Evelyn alquanto confusa. Sarah aiutò Evelyn a vestirsi mentre Amy preparava tutto l’occorrente per il trucco e la truccava in pochi minuti.  Dopo di che, presero una borsa a caso e si precipitarono giù per le scale.
Kyle e Katherine erano già in sella alla moto e rivolsero loro dei saluti sorridenti. Loro, invece, si diressero verso la macchina di Jordan e salirono a bordo. I ragazzi erano seduti avanti e parlavano animatamente di motori, macchine e cose che le altre tre a fatica riuscivano a comprendere. Appena le videro mormorarono un ciao sorridente e ripresero accanitamente la loro discussione sino a quando Amy non intervenne, nervosa. ―Volete mettere in moto, per piacere? O devo ficcarvi in culo tutti i pezzi del motore di cui state parlando, per convincervi?
I due si interruppero e Jordan mise in moto.
Le ragazze si guardarono eccitate. Quella era la prima festa a cui partecipavano con i loro ragazzi. Certo, c’era stata quella in spiaggia, ma allora vi erano state varie incomprensioni e non tutti stavano insieme.
Solo per Sarah, le cose sembravano non procedere per il verso giusto.
―Sei sicura di non voler parlare con Lee, Sarah? ― chiese Amy guardando seriamente l’amica. Le dava fastidio che loro fossero tutte fidanzate e che lei venisse esclusa ogni volta, o per un motivo o per un altro. Non desiderava che Sarah si mettesse con Lee solo per non averla in mezzo ai piedi, no!
Solo che li aveva visti tanto affiatati insieme e Sarah era così triste in quel periodo che solo uno stupido con il cervello della grandezza di una pulce non si sarebbe accorto che soffriva per amore.
Sarah scosse la testa, affranta. ―Vorrei tanto, Amy ma… non so come fare. Ogni volta mi blocco e non riesco a farmi coraggio. Vorrei essere menefreghista come te, a volte. ― confessò abbassando lo sguardo.
Amy rimase interdetta. ―Vorresti essere come me? Non credo sia tanto una buona idea. ― aggiunse ridacchiando.
―Sì, non vedi com’è dispotica? ― disse Evelyn sussurrando ed indicandosi. ―Le mutande mi prudono in una maniera assurda!
Sul viso di Sarah spuntò un sorrisetto di disappunto, mentre Amy faceva una faccia schifata. ―Ma sentiti! ― protestò in un bisbiglio. ―Chi bella vuole apparire, un po’ deve soffrire!
Evelyn la guardò ed alzò gli occhi al cielo.
Con Amy era battaglia persa dal principio, quando si metteva in testa qualcosa era assurda. Meglio lasciar perdere.
―Tornando al discorso Lee, ― riprese Amy con nonchalance, ―che ne dici se quando torniamo dalla festa non pensiamo anche a quello? Non ce la faccio più a vederti così stanca e demoralizzata.
Sarah annuì, un pochino rincuorata. Forse ce l’avrebbe fatta con le sue amiche a fianco.
Si era sempre tirata indietro, facendosi mangiare dalle domande e dai dubbi, ma forse quella sarebbe stata la volta buona.
 
 
Era passata circa un’ora e andava tutto alla grande.
Amy appoggiò la testa al petto di Jordan, un po’ stanca per continuare a saltare come una pazza. Jordan allacciò le braccia alla sua vita e le posò un bacio sulla fronte. ―Vuoi andare a sederti? ― disse indicando i divanetti in pelle in un angolo del salone. Amy annuì con un sorriso mesto sulle labbra e si lasciò condurre a sedere, fin troppo stanca per rispondere. Le facevano male i piedi da impazzire.
―Ragazzi noi andiamo a sederci. ―disse Jordan facendo scivolare la mano nella sua.
―Oh, vengo con voi, devo prendermi qualcosa da bere. ― disse Kyle sorridendo e allontanandosi con loro.
Katherine guardò Kyle allontanarsi con un sorriso sulle labbra e poi iniziò a ballare e a chiacchierare con Sarah, per quanto fosse possibile al di sopra del frastuono.
―Sai, Sarah… ― disse concitata, col viso che diventava rosso per l’emozione. ―Credo di esserne innamorata. Mi piace tantissimo! Mai nessuno mi è stato ad ascoltare per ore senza perdersi parola per parola ciò che dico, ma lui lo fa! ― e qui il sorriso divenne ancora più luminoso.
Sarah le sorrise. ―Sì, Kyle è un bravo ragazzo e mi sembra super innamorato di te.
Continuarono a parlare, mentre a pochi passi di distanza Evelyn si scatenava al fianco di Chris, che ballava con lei ridendo a più non posso.  ―Sai, ― urlò lui, a pochi centimetri dal suo viso. ―prima ho cercato un modo per dirtelo ma non ci sono riuscito. Sei bellissima stasera! ― Evelyn arrossì violentemente e sorrise.
―Grazie!
―Come?
―Ho detto: grazie! ― esclamò Evelyn ridendo, sovrastando il chiasso della discoteca. Chris le sorrise e le accarezzò una guancia.
 
―Beh, ragazzi, io vado a prendere da bere! ― annunciò Kyle accaldato e si separarono con un cenno di saluto. Non appena raggiunsero i divanetti Amy vi si abbandonò completamente. Emise un gemito di soddisfazione e posò la testa sulla spalla di Jordan che prese ad accarezzarle dolcemente i capelli. ―Ricordi?
―Mhmm?
―La prima volta che ci siamo incontrati veramente. Eravamo alla mia festa di compleanno e tu mi hai snobbato completamente. ― commentò Jordan con voce lontana, come persa in un ricordo.
Amy sorrise e chiuse gli occhi. ―Ricordo anche che venisti ad impedirmi di affogare la mia vergogna nell’alcool, quella sera. ― sospirò. ―Che pirla.
Jordan ridacchiò. ―Non volevo che diventassi l’ubriacona della festa. Dio solo sa cosa fanno le donne quando sono ubriache.
Amy aprì gli occhi di scatto, arrossendo violentemente. ―E già. ― tossicchiò. ―Dio solo lo sa.
Jordan le rivolse uno sguardo inquisitorio. ―Mi stai nascondendo qualcosa?
―Io? ― chiese Amy facendo saettare gli occhi da una parte all’altra della sala, per non incrociare lo sguardo di Jordan. ―Certo che no.
―Ti sei mai ubriacata, Amy? ― adesso la voce di Jordan era vagamente divertita.
―Ehm… diciamo. Più o meno, ecco. ― balbettò la ragazza, aggiustandosi la frangia per l’imbarazzo.
Jordan si sistemò meglio, in modo da guardarla negli occhi. ―Più o meno?
Amy si guardò disperatamente attorno, ma gli occhi di Jordan la intrappolavano.
Accidenti! Ormai la frittata era fatta, tanto valeva raccontare tutto. ―Sì. ― spiegò delle gare con Jack e di come ogni volta, dopo essersi ubriacata, si ritrovava. Era successo poche volte, non poteva certo tornare sbronza a casa con i suoi genitori che le facevano l’esame del palloncino! Però era successo.
Jordan la guardò seriamente dall’inizio, sino alla fine del discorso. Poi scoppiò a ridere. Amy si accigliò. ―Che cazzo ti ridi?
―No, è che… pagherei per vedere te e questo Jack, una volta!
Amy si accigliò e incrociò le braccia al petto, offesa. ―Bene! Così non dovrò nemmeno pagare le bevute se ci sei tu a sfilare i soldi dal tuo portafogli!
Jordan le passò un dito sulla guancia. ―Dai, non arrabbiarti. ― sussurrò avvicinando il viso al suo. ―La prossima volta la gara la faremo insieme.
Amy lo guardò insicura, per capire se faceva sul serio, e poi si arrese a Jordan con un sorriso. Al diavolo tutto!
Avvicinò il viso al suo e lo baciò, passandogli una mano tra i capelli, mentre lui la abbracciava, tenendola stretta a sé. ―Preparati ad essere sconfitto, allora! ―sussurrò.
 
 
 
―Andiamo a prendere qualcosa da bere? ― chiese Sarah. ―Ho la gola secca e francamente vorrei sedermi, i miei piedi protestano!
Katherine annuì con foga, facendole capire che non desiderava altro.
Con difficoltà si fecero largo nella folla di gente e raggiunsero il bancone del bar.
―Due aranciate. ― disse Sarah al barista, sedendosi sullo sgabello in pelle.
Pochi istanti dopo l’uomo porse loro un paio di bicchieri di aranciata e le ragazze bevvero, assetate.
―Senti Sarah aspettami qui, io devo andare in bagno. ― disse Katherine quando il bicchiere fu mezzo vuoto.
Sarah annuì, tutta accaldata. ―È di sopra. ― disse, facendole un cenno verso le scale che portavano ai piani superiori.
Katherine sorrise e si affrettò verso le scale.
Si rigettò nella mischia, cercando di evitare i pestoni ai piedi e le gomitate da parte di gente che si muoveva come un polipo scoordinato.
Quando giunse ai piedi della scala la guardò insicura. C’erano un sacco di coppiette che pomiciavano e molti ragazzi salivano le scale alla ricerca di una qualche stanza, probabilmente. In fondo era una villa, e ai piani superiori c’erano delle stanze da letto per quanto ne sapeva.
Iniziò a salire le scale, evitando una coppia quasi stesa sui gradini e accelerò, decisa a spicciarsi il più in fretta possibile. In cima alle scale le mancò il fiato per lo sforzo.
Si portò una mano alla pancia, sforzandosi di camminare. Di fronte a lei stava un lungo corridoio intervallato da moltissime porte e, in fondo, un’altra rampa di scale.
Katherine si guardò intorno, indecisa su quale direzione prendere.
Non aveva alcuna intenzione di piombare per sbaglio nella stanza sbagliata.
―Scusa, mi fai passare? ― la voce nervosa di una ragazza la riportò alla realtà.
―Scusa, mi dispiace. ― disse spostandosi per farle spazio. ―Sai dov’è il bagno? ― chiese subito dopo.
―Una delle ultime porte a sinistra. ― disse la ragazza facendo un gesto vago in direzione del corridoio buio e affrettandosi lungo le scale.
Katherine si allontanò masticando un ringraziamento mentre la ragazza spiccava il volo e si allontanava. Le gambe le dolevano impazzite e non vedeva l’ora di tornare giù e trovare Kyle.
Arrivata verso le ultime porte rallentò. Molte erano chiuse. Fece qualche passo avanti e stava per superarla quando sentì dei gemiti soffocati provenire dalla porta socchiusa alla sua sinistra. Kyle. Le era sembrato di sentire pronunciare il suo nome.
Incuriosita ritornò indietro e aprì la porta quel tanto che le bastava per sbirciarci dentro. Le si ghiacciò il sangue nelle vene.
Kyle aveva le mani poggiate contro la parete bianca e i jeans e le mutande giacevano abbandonate sul pavimento. La camicia lunga copriva abbastanza ma non c’erano dubbi su ciò che stava facendo. Una ragazza riccia, senza maglietta, aveva le gambe allacciate al suo bacino e la gonna nera completamente sollevata. Gemevano entrambi, mentre lei pronunciava il nome di Kyle con una voce roca e gutturale, mentre le sue dita affondavano nei suoi capelli dorati.
Katherine si portò una mano alla bocca, mentre le usciva un gemito strozzato.
Kyle si voltò nella sua direzione e sgranò gli occhi.
Le lacrime le inondarono la vista.
Cazzo. ― disse Kyle scostando la ragazza e cercando le mutande sul pavimento.
Katherine si voltò e scappò via, in lacrime.
―Katherine! ― la voce di Kyle le arrivò appena, mentre le lacrime scendevano copiose a bagnarle il volto.
―Katherine, aspetta! ― ma Katherine non aspettò, né si fermò. Continuò a volare lungo le scale e poi si tuffò nella folla, fino a raggiungere l’uscita.
L’aria fredda la investì togliendole il fiato. Cercò di respirare e si guardò attorno, osservando l’oscurità attorno a lei.
Sentì dei rumori dall’interno del locale e si mise a correre in una direzione a caso.
I passi riecheggiavano nell’oscurità della sera, e le lacrime non ne volevano sapere di smettere di cadere, scendevano e basta, calde e implacabili lungo il volto.
Si fermò in un vicolo laterale per riprendere fiato e aprì il cellulare.
Inviò un messaggio alle amiche, dicendo loro di non preoccuparsi e che si era sentita male ed era dovuta andare via. Poi digitò il numero di cellulare del padre.
Per alcuni istanti l’unica cosa che sentì furono i segnali d’attesa, poi la voce assonnata del padre rispose. ―Katherine, che c’è, è successo qualcosa? Avevi detto che non avevi bisogno di un passaggio, per il ritorno.
―Sì, papà ― singhiozzò. ―ma ho avuto un problema e… ti prego vienimi a prendere subito.
―Piccola che succede, stai bene? ― adesso la voce del padre era preoccupata.
Katherine singhiozzò per qualche istante. ―Ti prego, papà.
―Arrivo subito.
La chiamata terminò e Katherine si appoggiò alla parete del vicolo, scivolando giù, fino a cingersi le gambe con le braccia.
Passarono pochi secondi che il telefono cominciò a vibrare. Katherine gettò un’occhiata distratta al display e vide il nome di Kyle sullo schermo.
Interruppe la chiamata.
Il cellulare squillò altre volte ma Katherine bloccò tutte le chiamate ed ignorò tutti i messaggi di Kyle.
Non voleva più vederlo.
Sentirlo.
Toccarlo.
Non voleva più pensare a lui.
Chiuse gli occhi, affondando le unghie nella carne delle gambe.
Kyle le aveva spezzato il cuore. Ed ogni singolo messaggio, ogni singolo squillo del cellulare non faceva che ricordarglielo.
 
 
Sarah si guardò attorno, alla ricerca di Katherine. Non la vedeva da nessuna parte da un po’ di tempo e iniziava a preoccuparsi.
Controllò il cellulare e vi trovò un messaggio.
Katherine diceva che non stava bene e che se ne era andata. Sarah sospirò, affranta, e si abbandonò nuovamente sullo sgabello del bar, col cellulare stretto in pugno.
Per quanto avrebbe desiderato che quella serata fosse indimenticabile, non stava procedendo del tutto alla grande.
Non voleva disturbare né Amy e Jordan, né tantomeno Evelyn e Chris che erano in pista a ballare e a scambiarsi frasi dolciose. Guardò lo schermo del cellulare e aprì il nuovo messaggio che le era arrivato.
“Girati.”
Sarah lesse il mittente e le sembrò che il mondo avesse smesso di girare. Improvvisamente la musica si era spenta, le persone immobilizzate e lei a stento riusciva a trovare il fiato per respirare. Si girò lentamente, con le mani tremanti e non poté fare a meno di scoppiare a piangere, mentre il cuore cominciava a battere così velocemente che minacciava di esploderle via dal petto.
 
 
 
Evelyn e Chris si appartarono in un angolo della sala, accaldati.
―Dio, si muore, qui! ― esclamò Evelyn facendosi aria con i palmi delle mani.
Aveva i riccioli tutti appiccicati sul collo e sulle guance per il sudore. In pista faceva molto caldo. Chris le sorrise e le scostò una ciocca di capelli dalla fronte. ―Andiamo di sopra? ― le chiese, facendo un cenno in direzione della scala.
Evelyn deglutì, fissando nervosamente la gradinata.
―Ehm… ― tornò a fissare gli occhi nocciola di Chris ed improvvisamente si sentì sicura. ―Sì.
Il ragazzo le sorrise e la prese per mano.
Fecero qualche passo verso le scale.
Non poteva crederci che lo stava facendo davvero!, si disse, il cuore in subbuglio e il fiato corto. Menomale che aveva seguito il consiglio di Amy!
O forse no?
E se si fossero effettivamente spogliati e Chris avesse pensato che era una poco di buono? Iniziò a sudare freddo. Deglutì nervosamente e forse Chris se ne accorse perché si girò verso di lei e le regalò uno di quei sorrisi che le scaldavano sempre il cuore. Le accarezzò la guancia con il pollice. ―Tranquilla, okay?
Evelyn annuì.
Salirono gli ultimi gradini come se avessero le ali ai piedi e ben presto si ritrovarono nell’oscurità protetta del lungo corridoio. Chris l’attrasse a se e la baciò.
In quei piccoli istanti di complicità si era creata una sorta di attrazione elettrica, tra loro, e mille brividi sommersero Evelyn mentre si crogiolava in quel bacio dolce e salato.
Chris le schiuse le labbra con le sue e approfondì il bacio ed Evelyn si sentì sciogliere, mentre un calore intenso e piacevole la sommergeva. Annaspò in cerca d’aria, il cuore che batteva sempre più veloce, la superficie dura della parete dietro di lei, il corpo caldo e fremente di Chris che la fasciava stretta.
Si staccarono per un attimo ansimanti ed Evelyn sorrise.
Avevano gli occhi lucidi e i visi rossi e accaldati. Aspettarono un attimo prima di rituffarsi sulle loro labbra con più foga di prima. Le dita di Evelyn annasparono tra i suoi capelli, tirandoli e spettinandoli. Gemette e gli saltò in braccio, allacciando le gambe al suo bacino. Chris la strinse per la vita, stringendo la stoffa del vestito tra le dita. A tastoni, aprì una porta dietro di lui e se la chiuse alle spalle.
Si staccarono e studiarono la camera.
Al centro della stanza c’era un grande letto a baldacchino e sul pavimento era steso un enorme tappeto persiano. Evelyn si guardò attorno, a disagio, e poi posò lo sguardo su Chris.
Lui sapeva leggerle dentro meglio di chiunque altro.
E sapeva che anche quella volta avrebbe capito.
Si avvicinò a lei e la baciò con più trasporto, abbassandole la cerniera del vestito.
Evelyn gli mise le mani sul petto e lo allontanò per un momento. Chris la guardò stranito. ―Credevo… credevo che lo volessi. ― disse, confuso.
Evelyn si guardò i piedi, imbarazzata. ―Sì, Chris. Lo voglio. Ma…
―Cosa c’è? ― le chiese lui con un sorriso dolce sul viso. Le accarezzò teneramente la guancia e la guardò negli occhi.
―Io… ― Evelyn esitò un momento, cercando le parole, ma non riuscì a trovarle.
Lo guardò con una supplica celata negli occhi. ―Ti prego, Chris, puoi… puoi metterti sul letto? ― chiese impacciata.
Chris sorrise divertito, ma la assecondò. Si andò a sedere sul letto, con le gambe penzoloni e le braccia flesse all’indietro, a reggere il peso del busto. Evelyn osservò per un attimo la perfezione dei suoi muscoli, la bellezza del suo sorriso luminoso e la limpidezza dei suoi occhi chiari.
Si fece coraggio e abbassò lo sguardo, sospirando.
Le mani le corsero alla cerniera del vestito e finirono di abbassarla. Lo fece scivolare giù, lungo il corpo e, tolte anche le scarpe, lo lasciò abbandonato sul pavimento facendo un passo avanti.
Contò fino a tre molto lentamente e poi sollevò lo sguardo su Chris, per vedere la sua reazione.
Ciò che vide la riempì di gioia e soddisfazione.
Chris la guardava con gli occhi sgranati e la bocca aperta in un misto d’adorazione e ammirazione. Evelyn si sentì arrossire. ―M- me l’ha preso Amy… oggi mi ha costretto ad indossarlo, non credere che io… che io… ― alzò di nuovo lo sguardo, cercando le parole, ma ciò che vide fu solo il viso stupendo di Chris ed il suo ampio sorriso luminoso.
―Vieni qui. ― le disse, ammiccante.
E tutte le paranoie di Evelyn scomparirono. Perché lei piaceva a Chris e ora, nel suo sguardo, non leggeva altro che amore.
 

 
 

*WHAWAIEAH!
Volete la scena tra Chris ed Evelyn?? Se sì, votazione e la pubblico a parte!! :D 
Comunque, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento...
Insomma, sono accadute un po' di cose, belle e brutte e ancora molte ne devono accadere... il 47, sarà l'ultimo capitolo della storia... 
Per dunque (?), un bacione a tutte e spero di avervi regalato dei momenti di risate, complicità, piacere ed allegria, leggendo questa storia :)
Kry <3 <3 <3

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 42
*** Capitolo 42. Amy la squartatro... te. ***


Capitolo 42.




Amy la squartatroie. 


Scusate l'incoerenza con il titolo del capitolo ma l'impatto era troppo... avete capito xD buona lettura <3
 
 
Banner e trailer realizzato dalle solite magnifiche ragazze di
Pinoolast's Graphic- Video 
potete chiedere loro di realizzarvi qualsiasi cosa, credo che non rimarrete deluse! (:
Questo è il link del trailer...
Sei romantico come... un camionista analfabeta EFP 
e... sorpresa! :D
Se volete sapere cosa è successo tra Chris ed Evelyn cliccate qui sopra, è di rating arancione, quindi accessibile a tutti :)
Pieces of Heart 

 
Chris ed Evelyn scesero nella sala mano nella mano, senza smettere di sorridere.
Un unico pensiero occupava la mente della ragazza e si vergognava quasi a riconoscerlo come proprio; “Ho trovato il mio principe azzurro”.
La mano di Chris bruciava tra le sue, quella mano che fino a poco prima aveva baciato e accarezzato, che l’aveva sfiorata facendola rabbrividire. Ed Evelyn capì cosa doveva provare Amy, capì il perché del suo sorriso perenne. Era felice.
Ed era una felicità che andava al di là della normale comprensione.
Tutti i sensi erano in fibrillazione, si sentiva forte ed energica come non mai, voleva urlare, esplodere, gridare, abbracciare selvaggiamente chiunque sino a non sentirsi più le braccia.
Chris avvicinò il viso al suo e le sospirò contro la nuca.
Mille brividi le corsero lungo la spina dorsale. ―Ti amo.
Evelyn spostò il viso quel tanto da poter guardare Chris negli occhi. ―Anch’io. Ti amo anch’io.
Avvicinò le labbra alle sue e lo baciò con passione, assaporando la pienezza delle sue labbra carnose, il suo tocco leggero sulla schiena, i suoi capelli morbidi e setosi tra le dita, la sensazione bruciante dello stomaco in subbuglio, il tocco delicato della sua lingua. Si perse in quel bacio, mentre riassaporava quelle banalissime parole dal significato più bello del mondo. “Ti amo.”
Sospirò di felicità e si staccò da Chris, sorridendogli. Non si sarebbe mai stancata di lui e del suo sorriso, del luccichio dei suoi occhi chiari, del profumo della sua pelle.
Adocchiarono il divanetto dov’erano ancora seduti Amy e Jordan e vi si diressero, mano nella mano.
 
 
―Lee. ― mormorò Sarah con voce strozzata.
Il ragazzo che le stava davanti era il più bello del mondo.
Il cuore sembrò non volere smettere di accelerare e Sarah non poté fare a meno di tuffarsi tra le braccia di Lee ed essere travolta dal suo abbraccio.
Si accucciò contro il suo petto e soffocò i singhiozzi contro la stoffa della sua camicia. ―Oh, Lee. ― singhiozzò. ―Sono così felice di rivederti!
Lee la strinse a sé con un braccio e le accarezzò i morbidi capelli.  ―Pensavo che mi odiassi. ― mormorò cupo.
Sarah alzò il viso inondato di lacrime di scatto. ―Oh, no! ― esclamò. ―Non ti odio, Lee! Devi credermi non ti ho mai odiato. È solo che non riuscivo a trovare il coraggio per parlarti!
Le labbra di Lee si stesero in un dolce sorriso. ―Quindi non mi manderai via, adesso?
Sarah scossa la testa e tornò ad abbracciarlo. ―Non lo farò mai più.
Finalmente sentì che ogni cosa tornava al suo posto. I frammenti del suo cuore si riattaccavano pezzo per pezzo, curati dall’unica magia che Lee era in grado di esercitare su di lei: l’amore.
Adesso si sentiva completa.
E amata.
Si alzò sulle punte dei piedi e sollevò il viso. Lee le sorrise, non aspettava altro.
Le prese il volto tra le mani e la baciò lentamente.
Fu un bacio strano. Sapeva delle sue lacrime, sapeva di Lee e sapeva di immensa gioia.
Le loro labbra schioccarono affamate quando si staccarono le une dalle altre e Sarah sapeva di non vedere l’ora di rituffarsi su quelle di Lee. L’aveva aspettato per troppo tempo, sognato per troppe notti senza riuscire a fare nulla. Si avvicinò ancora a lui, inspirando il suo profumo, ma all’ultimò si fermò, sollevando le palpebre e guardandolo dritto negli occhi. ―Come mai sei qui?
Lee le sorrise e gli occhi lampeggiarono. ―Beh, sai, è una festa libera, distribuivano volantini dappertutto. ― spiegò e Sarah gli sorrise, rilassata per chissà quale ragione.
―Ma… ― riprese Lee piegando la testa di lato, ―diciamo che sono stato aiutato.
Sarah corrugò la fronte e gli rivolse uno sguardo interrogativo. Lee sorrise e fece un cenno con il capo in direzione di Amy, che stava seduta sul divanetto a chiacchierare animatamente con Jordan.
Sarah fissò incredula l’amica. ―Te l’ha detto lei?
Lee annuì e tornò a guardarla.
E Sarah affogò in una sensazione diversa da qualsiasi altra.
Era contenta.
Perché aveva ritrovato Lee, che l’amava e non aveva mai smesso, e perché aveva delle amiche meravigliose come Amy che sapevano sempre cosa fare per lei.
Guardò Lee e tornò a posare le labbra sulle sue, chiedendosi se non era troppo indegna per quello che il mondo le stava regalando.
 
 
―Ciao, ragazzi! ― rise Evelyn pimpante.
Amy alzò su di lei uno sguardo prima incuriosito e poi inquisitorio, come di una che aveva capito sin troppo di ciò che era accaduto.
Evelyn non fece nulla per nascondere il proprio sorriso e con un risolino si lasciò cadere nel posto vuoto accanto all’amica. Si sentiva… euforica.
Il sorriso di Amy si allargò, studiando prima Evelyn e poi Chris, che aveva un’aria disinvolta e rilassata e i capelli sparati in tutte le direzioni. ―Voi due non me la raccontate giusta… ― sibilò Amy con uno sguardo furbetto in direzione dell’amica.
Evelyn la guardò raggiante e si strinse nelle spalle. ―E le altre? ― chiese, pronta a sviare discorso.
Amy fece spallucce. ―Katherine mi ha mandato un messaggio dove diceva che stava male e se ne è andata. Suppongo che Kyle sia con lei. E Sarah, invece… ― qui si interruppe, gettando uno sguardo in direzione di Sarah, con un’espressione vagamente soddisfatta.
Evelyn sgranò gli occhi e batté le mani per la felicità. ―Non ci credo! ― trillò.
―Sono bellissimi, insieme. ― mormorò Amy con un sospiro ed un sorriso a fior di labbra.
―Anche noi lo siamo. ― disse Jordan, accarezzandole la guancia con il dorso della mano. Amy gli rivolse un sorriso contento e lui le posò un bacio leggero sulla fronte e sulle labbra.
―RAGAZZI! ― una voce agitata distolse tutti dai propri pensieri ed Amy si accigliò immediatamente.
―Kyle, ma che ci fai qui? È successo qualcosa? ― chiese, preoccupata.
Kyle la guardò disperato, la camicia tutta disordinata e spiegazzata fuori dai pantaloni, i capelli spettinati. Aprì la bocca per dire qualcosa ma sembrava essere diventato improvvisamente muto. Si prese la testa tra le mani e gemette, mentre le lacrime premevano per scendere giù.
Quanto era stato cretino!
Rivolse nuovamente uno sguardo disperato agli altri, che lo guardavano allibiti, e si sentì perduto. ―Sapete dov’è finita Katherine? ― la voce gli uscì come un rantolo stridulo.
Amy sembrò confusa. ―Non capisco. Non era con te? Ci ha inviato un messaggio in cui diceva che se n’era andata perché si sentiva male.
Kyle gemette e si guardò disperatamente attorno, mordendosi la mano stretta a pugno.
Amy si alzò in piedi, agitata, mentre Chris e Jordan guardavano la scena allibiti, senza capire un accidente ed Evelyn si stringeva forte le mani, preda di un brutto presentimento. 
―Ho combinato un casino! ― esclamò Kyle tornando a guardarli, senza vederli davvero, mentre alcune lacrime cominciavano a scendergli lungo le guance.
Amy rimase impietrita.
―Che vuoi dire? ― chiese Evelyn con voce tremante.
Kyle la guardò per la prima volta e mugugnò qualcosa di incomprensibile.
Chris e Jordan si agitarono sul divano, scambiandosi uno sguardo allarmato.
Amy ridusse gli occhi a due fessure e sibilò minacciosa: ―Kyle ma che cazzo hai fatto?
Iniziava a sentire una rabbia fredda dentro di lei e non era un buon segno. Un brivido viscido le scivolò lungo la schiena e decisamente non era un buon segno.
Con uno scatto delle mani afferrò il viso di Kyle e lo costrinse a guardarla negli occhi. ―Dimmi.  Che cosa. È. Successo. ― sibilò velenosa, scandendo ogni parola accuratamente.
Kyle aprì la bocca, ma ne uscì fuori solo un rantolo soffocato.
Amy serrò la presa, incazzata.
Aprì la bocca per ripetere la domanda a Kyle, ma improvvisamente si interruppe, guardando a sinistra. Accanto a Kyle si era materializzata una ragazza sorridente, dallo sguardo trionfante. Amy la riconobbe subito. Era Taylor, l’ex ragazza di Kyle, che andava con lei alle medie.
Assottigliò lo sguardo. ―E tu che cazzo ci fai qui? ― sputò acida verso la nuova venuta.
Ormai la conosceva abbastanza da saper leggere i segnali che lanciava con il corpo. E decisamente in quel momento stava facendo intendere che lei in quella faccenda era coinvolta sino alla punta dei capelli.
Taylor si limitò a sorridere ad Amy capì un’altra cosa.
Capì che qualunque cosa fosse successa, Taylor ne usciva vincitrice. Spostò lo sguardo da lei a Kyle e poi lo lasciò andare, facendo qualche passo indietro, mentre sul suo viso si apriva una chiara espressione di disgusto.
Scosse la testa, schifata. ―Avevi promesso, Kyle. ― mormorò. Ma dalla sua voce non trapelò disgusto o sdegno, bensì delusione. Una cupa e profonda delusione che sembrò ferire Kyle più d’ogni altra cosa.
Amy sembrava senza parole e tra lei e Kyle non si capiva chi fosse più ferito.
Si era fidata di lui.
E non poteva neanche immaginare come stesse Katherine in quel momento.
Si era fidata di lui.
―Che cosa avete fatto? ― chiese, la voce non più sicura come prima, ma spezzata e fragile. Kyle non alzò lo sguardo e rimase muto.
Amy continuò a guardarlo, nella speranza che facesse evaporare i propri dubbi, nella speranza di sapere che si era sbagliata.
Taylor sorrise, catturando la sua attenzione ed Amy le rivolse uno sguardo cupissimo.
―Vedo che non sei cambiata, Amy. Sempre la solita scurrile. Se avessi un po’ più di classe, forse riusciresti ad essere apprezzata da molte persone. ― disse tranquillamente, in tono falsamente mellifluo.
―Non mi servono lezioni da una troietta che la sbatte in faccia a tutti, Taylor. ― replicò acida Amy.
Taylor sorrise, per nulla colpita dall’asserzione dell’altra. ―Non riesco proprio a capire come Jordan possa stare con una come te.
Amy digrignò i denti, furiosa. Per la prima volta nella sua vita non sapeva cosa dire, non aveva una risposta pronta da sbattere in faccia a quella puttana. Sentiva solo una rabbia, cieca e folle, sorda e furiosa, scorrerle dentro nel petto. Fece per stringere la mano a pugno, ma strinse altre dita e, sorpresa, si ritrovò ad osservare la mano di Jordan tra le sue.
Alzò lo sguardo su di lui e lo vide guardare fisso Taylor con un’espressione di rabbia sul viso. Con stupore si accorse di avere il volto bagnato e si guardò velocemente attorno. Chris si era irrigidito e se ne stava dritto come una statua contro lo schienale del divano. Evelyn si era portata le mani alla bocca, profondamente ferita e preoccupata per l’amica.
Amy strinse forte la mano di Jordan.
Lui era il suo punto debole, si accorse.
Era l’unica persona della sua vita che aveva paura di perdere o che aveva paura che si stancasse di lei.
Ed era anche il suo punto forte. ―Non so chi tu sia. ― disse Jordan guardando fisso Taylor, ―ma non ti permetto di parlare così alla mia ragazza.
Taylor non parve particolarmente colpita dall’affermazione, ma non disse niente.
Non era lì per Jordan, ma per Kyle, capì Amy. Jordan era solo un ragazzo piuttosto popolare, uno di quelli carini che tutte quelle come Taylor conoscevano.
Era ovvio che si parlasse di lui, così come si parlasse di Amy, dal momento che stavano insieme.
La ragazza represse un brivido di disgusto.
Guardò di nuovo Kyle, che sembrava non essersi accorto di niente.
Si asciugò le lacrime con la mano libera e si liberò gentilmente dalla stretta di Jordan.
Non avrebbe permesso ad una stronza come Taylor di rovinarle la vita!
Probabilmente l’aveva già rovinata a Katherine e non aveva intenzione di stare lì ferma a fare da burattino nelle mani di una sciacquetta!
―Voglio sapere, ― disse, scandendo bene le parole, ―che cosa avete fatto voi due. E voglio anche sapere, ― aggiunse, guardando fisso Kyle e Taylor, ―dov’è Katherine adesso e perché se ne è andata così di fretta senza salutare nessuno.
Aveva il viso rosso dalla rabbia e fremeva.
Taylor continuò ad esibire quel suo sorrisetto stupido che le dava sui nervi, mentre Kyle continuava a rimanere fermo come uno stupido, con lo sguardo vuoto e triste.
―Wow, Amy! Un’intera frase senza nemmeno una parolaccia in mezzo, stai facendo progressi! ― replicò Taylor.
Amy sentì la furia montarle dentro, rovente ed incontrollabile. ―Tu non mi dire che cazzo è successo, Taylor ― sibilò, avvicinandosi a lei, ―e ti giuro che ti faccio diventare il culo di quattro taglie più grosso a furia di tempestarti di calci! E se proprio gradisci, come sottofondo posso inventarmi i peggiori improperi dell’universo!
Taylor sbuffò, per nulla intimorita dall’uscita della ragazza. Si rigirò un ricciolo tra le mani e si strinse nelle spalle. ―Io e Kyle ci stavamo divertendo un pochino. ― disse, con nonchalance. ―Veramente, ― riprese, ―la tua amica ci ha interrotto proprio sul punto più bello, ed è scappata via. Non è colpa mia se è talmente fragile da non reggere certe situazioni.  ― sorrise e ad Amy quel sorriso ricordò tanto un viscido e lurido serpente che raggira le prede prima di mangiarle vive.
Solo che non ricordava il nome del serpente.
Quello di Taylor, invece, ce l’aveva stampato a fuoco nella mente.
―Per quanto ne so, ― continuò la ragazza in tono compiaciuto, ―adesso la tua amichetta potrebbe essere benissimo a casa a piangere o a gettarsi da un ponte, troppo fragile per reggere un colpo del genere, poverina.
Amy non ci vide più.
Con uno scatto alzò la mano, ma a pochi centimetri dalla faccia di Taylor si fermò, riprendendo il controllo.
La ragazza non riuscì a nascondere lo stupore, ma il suo sguardo tradiva anche una scintilla di vittoria. Amy si girò verso Kyle e lo colpì con tutta la forza che aveva.
Il rumore schioccò sordo tra loro sei, mentre il resto della sala rimaneva ignaro della discussione e continuava la festa. ―Bastardo! ― urlò Amy. ―Hai idea di come possa stare adesso?
Jordan, Chris ed Evelyn non fecero niente per fermarla, quando Amy spinse Kyle il più lontano possibile da sé. Non riusciva a crederci. L’aveva fatto davvero!
E non aveva semplicemente illuso, Katherine, l’aveva tradita!
Si girò verso Taylor, stavolta non si sarebbe trattenuta.
Non riusciva a concepire come certa gente potesse comportarsi in maniera talmente subdola! Dicevano che la violenza non andava usata ed era una bassa forma di comunicazione o ribellione. Ma ad Amy non importava più niente.
Voleva smerdare Taylor, fosse l’ultima cosa che faceva!
L’adrenalina le scorreva fremente nelle braccia, la incitava a muoversi, le diceva di colpire, colpire, colpire sino a quando ce ne fosse stato bisogno.
Ma Amy sapeva anche di non voler fare la figura della buzzurra davanti a tutti. Anche se il suo desiderio di fare del male a Taylor fisicamente era lancinante sino a farle male, decise di imporsi una vittoria molto più sottile.
―Le parole non ti feriscono. ― le disse, avvicinandosi sempre di più. ―Potrei dirti che sei una troia, una puttana, una stronza venditrice di patate, potrei dire che la tua è la vagina più conosciuta del mondo, ma non te ne fregherebbe niente ugualmente. Perché forse sei abituata a questo genere di cose. Forse la gente te ne ha dette così tante, che hai imparato a non ascoltare o a non badare a certe cose. ― ormai era di fronte a Taylor, ma continuò a camminare, costringendola ad indietreggiare.
―Perciò… ― disse, fermandosi improvvisamente. ―non ti dirò proprio niente. Ti basti sapere che ti disprezzo. Ti disprezzo perché ami distruggere la vita della gente, ti disprezzo per il tuo essere così irrimediabilmente frivola e ti compiango, perché non vorrei essere per nessun motivo al tuo posto.
Il viso di Taylor perse lo strascico di sorriso che ostentava e si fece muto.
Non vi era alcuna espressione, Taylor era semplicemente… vuota.
―Sì, ― proseguì Amy annuendo. ―Ti compiango Taylor e mi fai pena. Perché devi essere la persona più infelice di questo mondo. ― disse, prima di voltarle le spalle.
La ragazza rimase immobile, senza avere nulla da dire.
―E tu. ― disse Amy sprezzante, voltandosi verso Kyle. ―Spero solo che il tuo dolore sia grande e ti distrugga. Perché non meriti nemmeno l’unghia di una persona stupenda come Katherine.
Lo guardò ancora qualche istante, poi si voltò verso Jordan. ―Andiamo via immediatamente. ― gli disse, in tono che non ammetteva repliche e se ne andarono, seguiti da Chris e da Evelyn.
All’ultimo istante, Evelyn si voltò e guardò Kyle.
La stava osservando, una muta supplica celata negli occhi.
Ad Evelyn si strinse il cuore. Guardò Kyle con pietà e gli scosse la testa, prima di girarsi e di seguire Chris verso l’uscita.
L’aria fredda della notte la investì impietosa, facendola rabbrividire le leggero vestito di lana. Chris le passò una mano attorno alle spalle e le sfregò le braccia, per riscaldarla. Lei si strinse a lui, come per essere protetta.
Era delusa.
Lei più di tutti credeva che Kyle fosse una persona diversa, fosse cambiato.
Amy, la diffidente Amy, aveva riposto la sua fiducia in Kyle dopo averlo fatto penare, e ne era rimasta distrutta quella sera.
Evelyn conosceva sin troppo bene l’amica per sapere come stava.
Era furiosa. E non poteva darle torto.
Tutti avevano trovato in Kyle un amico, una persona cara. E lui aveva tradito Katherine e così anche la loro fiducia.
Evelyn non riusciva ad essere arrabbiata con lui era soltanto terribilmente delusa e questo, forse, era qualcosa di molto peggio.
La rabbia passa, la delusione invece rimane spettrale come un’ombra e ti fa dubitare sempre della persona più buona del mondo.
―Non avevo cuore di interrompere Sarah e Lee. ― stava dicendo Amy mentre percorreva avanti ed indietro buona parte del marciapiede. Era furiosa.
Agitava le mani in aria e cercava di capire la cosa migliore da fare.
―Okay. ― disse, prendendo un grande respiro e fermandosi davanti a Jordan. ―Adesso chiamo Katherine per sapere come sta. Tu prendi la macchina. ― il ragazzo si allontanò senza dire niente ed Amy si voltò in direzione di Chris e di Evelyn. ―Mi dispiace per come siano andate le cose… ―disse, con voce triste. ―Se volete rimanere alla festa fate pure, ma io non me la sento proprio, scusate.
―No, Amy, non preoccuparti. ― intervenne Chris in fretta. ―Veniamo con voi, nemmeno noi siamo più tanto in vena di festeggiare.
La ragazza annuì, amareggiata e alzò per un attimo lo sguardo su Evelyn. ―Mi dispiace, Ev. ― mormorò affranta.
Evelyn scosse il capo. ―Non è colpa tua, Amy. Lascia stare.
La ragazza annuì e compose il numero di Katherine.
Dopo qualche tentativo, scosse il capo. ―Ce l’ha spento. ― disse. ―Spero solo che stia bene.
Digitò velocemente un messaggio che inviò all’amica, spiegando che sapeva tutto e che se le andava di parlarne loro erano sempre lì, disponibili. Poi digitò un altro numero, sotto gli sguardi incuriositi di Evelyn e di Chris.
―Lee. ― disse, quando il ragazzo rispose.
―Noi stiamo andando via. Puoi accompagnare tu Sarah a casa, per favore?
Dall’altro capo si udì un tramestio ed Amy fece con una mano un okay agli amici di fronte a lei. Annuì un paio di volte e poi chiuse la telefonata. ―Tutto a posto. ― mormorò stancamente. ―Lee accompagnerà Sarah a casa e speriamo che almeno la loro serata non sia stata un disastro come la nostra.
Evelyn stava per dire che la sua serata non era stata un completo disastro, ma poi si trattenne mordendosi il labbro. Non era né il momento, né il luogo adatto per dirlo. Sospirò, triste e frustrata dalla piega che avevano preso gli eventi e si rannicchiò contro Chris, mentre Amy rimaneva ferma ed imbronciata sul marciapiede, scrutando l’oscurità alla ricerca della macchina di Jordan.
Il vento la investiva implacabile, ma Amy rimaneva impassibile, senza manifestare il minimo brivido.
In quei momenti, quando non riusciva a capire che cosa le passava per la testa, Amy le faceva un po’ paura.
Jordan si fermò davanti a loro e salirono a bordo.
Amy si sedette nel posto passeggeri e loro due, si accomodarono sui sedili posteriori.
Fu un viaggio lungo e silenzioso. Ogni tanto Chris le sussurrava paroline dolci all’orecchio, come per tirarla su, e lei sorrideva mestamente.
La macchina si fermò ed Evelyn scese.
I saluti non furono dei più amichevoli e, mentre la ragazza si chiudeva il portone alle spalle, la macchina ripartì, inghiottita subito dall’oscurità.
Evelyn sentì una profonda tristezza scenderle addosso. Era triste per ciò che era successo a Katherine e per come si era comportato Kyle. Ma era anche triste perché la sua serata, la serata del suo momento speciale, era stata sconvolta da quel triste avvenimento.
Perché non aveva potuto pensare con un sospiro felice a ciò che era accaduto tra lei e Chris, quella sera. E se ci pensava adesso, si sentiva solo in colpa perché erano successe cose ben più gravi.
Si stese sul letto ed una lacrima le scivolò giù dalla guancia.
Rimase al buio per quelle che le sembrarono ore ed ore, o forse, più probabilmente, erano giorni.
Il suo fissare l’oscurità in maniera così spenta, fu interrotto solo dall’illuminarsi del display del suo cellulare.
Chris le aveva mandato un messaggio.
Lo aprì e lo lesse col cuore in gola. “Sono appena tornato a casa. Non dimenticare il nostro momento, Evelyn, io non lo farò. Ti amo. <3”
Evelyn sorrise, stringendosi il cellulare al petto e rannicchiandosi su un fianco. Un ti amo con un cuore accanto valeva molto di più di un ti amo e basta, vero?
Continuò a pensare a Chris e ai suoi baci, sino a quando non si addormentò, sperando di svegliarsi in una realtà più felice e spensierata, e che tutto ciò che era accaduto sino ad allora, fosse stato solo un bruttissimo incubo.
 
 
―Credevo che l’avresti uccisa di botte. ― disse Jordan quando Chris scese dalla macchina. Amy sospirò, scaricando un po’ della tensione che aveva accumulato durante il viaggio. ―Lo credevo anch’io. ― disse in un sussurro. ―Ha detto delle cose orribili.
Jordan distolse un attimo gli occhi dalla strada per posarli su di lei. Le passò un dito sulla guancia, accarezzandola lievemente. ―Sono fiero di te.
Amy sorrise, ironica. ―Cos’è, adesso ti cali nella parte del paparino adorante?
Jordan scosse la testa, vagamente divertito. ―Sai cosa intendo. ― disse, tornando a guardare la strada.
Amy annuì. ―Sì, lo so. Sono solo davvero troppo stanca.
―Vieni a stare da me, stanotte.
Amy si voltò verso Jordan, sorpresa dalla proposta.
Il suo viso era serio, mentre guardava la strada.
―Vengo a fare l’adorante Romeo sotto il tuo balcone?
―Non scherzare, Amy.
La ragazza lo studiò ancora e capì che diceva sul serio. ―E tua madre?
―Fuori città. ― rispose Jordan.
―Jordan, non so, i miei non me lo permetterebbero, lo sai…
―Dì che vai a casa di Sarah….
Amy rimase a bocca aperta, senza sapere cosa dire.
―Jordan, io… non ho molta voglia di venire a letto con te. Non stasera. ― disse tutto d’un fiato.
Jordan sorrise e la guardò per un attimo. ―Non voglio costringerti a venire a letto con me, Amy. So che hai bisogno di me, stanotte. Voglio solo abbracciarti.
Amy deglutì, avvertendo il cuore battere sempre più velocemente.
Jordan aveva ragione. Lei voleva essere abbracciata da lui, quella notte. Voleva che la stringesse a sé e la portasse in quel piccolo mondo personale dove esistevano solo loro due e il resto dell’umanità stava fuori. Voleva stringersi a lui e non pensare più a niente.
Annuì. ―Va bene.

 
*WHAWAIEAH!
Ciao a tutti !! :)
Nel caso non l'abbiate letto di sopra ve lo riporto anche qui :)
Se volete leggere cosa è accaduto tra Chris ed Evelyn cliccate qui:
Pieces of Heart.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, risponderò alle vostre recensioni al più presto!! <3 :)
Grazie a tutte <3
Kry (:

​ORDER OF THE PHOE
NIX*
 

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Capitolo 43
*** Capitolo 43. Pieces of Heart. ***


Capitolo 43.

Pieces of Heart.


 
Banner realizzato dalle bravissime ragazze di
Pinoolast's Graphic- Video 
ed ecco il bellissimo trailer, sempre opera loro <3
Sei romantico come... un camionista analfabeta EFP
 
Sprazzi di luce le colpirono le palpebre, ma Evelyn si crogiolò ancora con gli occhi chiusi, fingendo di dormire. Piano piano, ogni cosa le tornò alla mente. Un ampio sorriso le illuminò il viso, nel ricordare la dolcezza e l’amore con i quali Chris l’aveva sfiorata, la notte precedente. Poi si ricordò del messaggio che le aveva inviato e il suo cuore si scaldò di tenerezza. E poi spalancò gli occhi di scatto, ricordandosi improvvisamente di una cosa. Sarah non sapeva.
Scese dal letto con uno scatto, decisa a dimenticarsi per un attimo di se stessa e ad informare l’amica di quanto era avvenuto la sera prima. Ciò che era successo a lei non contava in quel momento. Avevano altri problemi e il suo momento magico poteva aspettare.
Del resto lei e Chris sapevano, e tanto bastava.
Afferrò distrattamente il cellulare che era caduto a terra durante la notte e digitò febbrilmente il numero dell’amica.
―Pronto? ― rispose una voce impastata dal sonno.
―Sarah? Sono Evelyn! ― esclamò la ragazza, con un tono di voce sorprendentemente alto per uno che si era svegliato da appena due minuti.
Dall’altro capo provenne un tramestio e un verso agghiacciante. ―Sarah? ― chiese di nuovo Evelyn, stavolta preoccupata. Con tutto quello che succedeva loro in quel periodo ci mancava poco che una qualche creatura fantastica e diabolica le attaccasse. ―Tutto bene? Cos’era quel verso?
Sarah sospirò, mettendosi seduta. ―Ero io che sbadigliavo, Ev. Sai che ore sono?
―Mezzogiorno? ― buttò lì la ragazza, che non aveva minimamente guardato l’orologio.
Sarah grugnì. ―Magari! Sono le sette e mezza, Evelyn!
―Ops? ― tentò la ragazza, che si accorse solo in quel momento di aver dimenticato tenda e tapparella aperte, la sera prima. Conclusione, il sole le aveva baciato la fronte prima del solito. ―Devo parlarti. ― tagliò corto, cercando di darsi una regolata. ―Com’è andata con Lee?
―Bene. Anzi, benissimo! ― trillò la voce allegra di Sarah che sembrava improvvisamente più sveglia.
―Bene. ― disse Evelyn brusca, che voleva aggiornare al più presto l’amica, ma nemmeno smontarla. ―Ieri Kyle ha tradito Katherine e lei è scappata via dal locale perché l’aveva beccato. ― disse tutto d’un fiato.
―COOSA?
Evelyn sospirò e raccontò tutto dall’inizio.
―Non ci credo. ― disse l’amica, con un tono di voce basso e desolato. Evelyn si accorse di avere un gran vuoto nel petto quando parlava di Kyle. L’aveva così delusa.
Sapeva che era pentito, sicuramente doveva esserlo eppure… tutta la fiducia che lei gli aveva dato era svanita di colpo.
Evelyn capì di non riuscire più nemmeno a pensare di potersi fidare di lui una seconda volta e ciò la impensierì parecchio. In quei mesi erano stati così uniti, così legati. Lui le chiedeva alcuni consigli con Katherine e lei si confidava con lui su Chris. E senza che se ne accorgesse, Kyle era diventato il suo migliore amico.
Voleva molto bene a Sarah e ad Amy, ma con lui era diverso, era un altro tipo di rapporto. Forse perché era un ragazzo, forse perché era Kyle e basta.
Salutò Sarah e rimase a guardare il letto di fronte a lei.
Con passi stanchi si diresse in cucina e trovò un biglietto dei suoi genitori.
Erano andati in campagna e si erano svegliati presto, quella mattina. Non avevano voluto svegliarla e non sarebbero tornati sino a tarda sera. Le avevano lasciato qualcosa in frigo.
Evelyn aprì l’anta dell’elettrodomestico e la richiuse, constatando che, come al solito, i suoi le avevano lasciato sin troppo cibo. Premette il tasto di chiamata rapida e dopo qualche squillo, Chris le rispose gioviale come sempre. ―Ehi, Evy! ― la salutò dolcemente.
―Ho voglia di vederti. ― rispose la ragazza semplicemente, mentre si preparava la colazione.
 
Il campanello suonò ed Evelyn andò ad aprire.
Chris, con i capelli tutti spettinati e lo sguardo assonnato, fece qualche passo incerto nell’ingresso di casa sua, poi le sorrise e la avvolse in un abbraccio, cingendole la vita con le braccia. Evelyn tuffò il viso nell’incavo del suo collo. ―Dovrei farmi una doccia. ― sospirò stancamente, staccandosi di poco da lui.
Gli occhi color nocciola di Chris brillarono e lui le accarezzò una guancia. ―Prenditi tutto il tempo che vuoi. Ho chiesto una giornata di permesso, oggi.
Evelyn sorrise e abbracciò Chris ancora più forte.
Adorava quel ragazzo. Che per ogni suo stupido capriccio c’era sempre, senza stancarsi mai.
 
 
Amy si stiracchiò lentamente, stendendo le braccia sopra la testa e flettendo i muscoli della schiena. Con gli occhi ancora impastati dal sonno, si accorse che qualcosa nella sua bocca non andava.
Era stesa in uno stupido sorriso già di prima mattina.
Ed Amy sapeva che l’unica persona a poter provocare quel sorriso era Jordan. Il cuore spiccò un balzo nel petto ed Amy fece scendere le braccia lungo i fianchi, accarezzando le braccia di Jordan attorno alla sua vita.
Amy sorrise ancora di più per quanto le fosse possibile e strofinò la schiena contro il petto di Jordan. Poi si girò lentamente verso di lui e posò le mani dietro la sua nuca.
Jordan aprì gli occhi azzurri, battendo le palpebre più volte per metterla bene a fuoco.
Amy gli sorrise ancora e gli posò un piccolo bacio sulle labbra. ― ‘Giorno.
Jordan sorrise emettendo un gemito sottomesso e la abbracciò velocemente, facendola finire sotto di lui. Fece piovere le lenzuola bianche attorno a loro e la avvolse tra le sue braccia, iniziandola a baciare dappertutto e a farle il solletico nelle parti più sensibili del corpo. Amy rideva come una pazza, cercando di fermare le mani di Jordan in qualche modo, ma lui gliele bloccò entrambe prendendola per i polsi con una mano, mentre con l’altra continuava ad infierire su di lei che si contorceva sotto di lui dalle risate. ―Basta! ― implorò ansimando. ―Jordan, ti prego, smettila!
Jordan si mise a ridere e, lentamente, le sue dita smisero di tormentarla. Anche Amy smise di ridere convulsamente e si guardarono negli occhi. In quel momento, nulla sembrava muoversi. Amy avvertì improvvisamente il corpo di Jordan sopra il suo e fremette sotto di lui. Il cuore cominciò a batterle più velocemente mentre Jordan avvicinava il viso al suo. Ad un soffio dalle sue labbra però, si fermò, venendo interrotto dallo squillo del telefonino di Amy. I due ragazzi si guardarono ancora per qualche istante poi Amy posò un bacio veloce sulle labbra di Jordan e sgusciò velocemente da sotto il suo corpo, contorcendosi per liberarsi dalle lenzuola.
Cadde dal letto e recuperò il cellulare all’ultimo istante, rispondendo velocemente.
―Pronto? ― rispose, guardando divertita Jordan che si liberava dalle lenzuola.
Quella notte era stata un incubo, per lei.
Era sconvolta dagli avvenimenti della festa e se non fosse stata con Jordan, sicuramente non sarebbe riuscita a prendere sonno. Lui invece l’aveva tranquillizzata e coccolata, proteggendola dal buio e dalla tristezza.
Amy era un miscuglio di emozioni contrastanti. Contentezza per aver passato la sua prima notte con Jordan, rabbia nei confronti di Kyle, disperazione per Katherine ed un’incontenibile euforia pazzoide la rendeva sin troppo viva ed attiva.
Si passò una mano tra i corti capelli scuri, scompigliandoli ancora di più.
―Passiamo la domenica insieme? ― chiese a Jordan in silenzio, muovendo le labbra lentamente per farsi capire. Lui annuì con un sorriso e si rituffò sul letto.
―Amy? Sono Sarah. ― disse l’amica all’altro capo.
―Sì, lo so che sei tu, ho il tuo numero memorizzato sul cellulare da circa quattro anni… ― rispose ironica lei.
―Ha-ha, simpaticona. ― commentò l’amica funerea. ―Evelyn mi ha raccontato tutto. ― aggiunse.
L’espressione di Amy cambiò ancora una volta. Da sorridente ad imbronciata, cupa e pensierosa. ―Ah. ― riuscì solamente a dire.
Sarah sospirò tristemente. ―Posso fare qualcosa?
Amy fu travolta da un’ondata di bile e rabbia cieca. ―Se puoi fare qualcosa? Certamente! ― sputò acida. ―Se vedi Kyle, sbattigli qualcosa in testa e mandalo all’inferno! ― inveì.
Sarah rise amaramente. ―Ci puoi giurare, Amy. ― e fece per riattaccare.
―Ah, Sarah! ― la chiamò l’amica, ricordandosi improvvisamente di una cosa.
―Sì?
―Io ho passato la notte da te.
Dall’altra parte del telefono ci fu silenzio per qualche istante. ―Va bene… ― disse Sarah con voce incerta, facendole intendere che voleva altri dettagli. Ma Amy non aveva nessuna intenzione di darglieli, non in quel momento.
Non con il petto nudo di Jordan che si alzava ed abbassava tranquillamente e, soprattutto, non con l’idea malsana di una vendettina che le si era appostata nell’anticamera del cervello. Sorrise sadicamente. ―Ci sentiamo, Sarah.
Appoggiò il telefono sul comodino e si sedette sul letto con aria disinvolta. Jordan aveva le palpebre chiuse, sembrava che dormisse.
Amy pensò che sarebbe stata un’idea fantastica fargli un gavettone proprio sulla faccia. Però poi pensò anche che avrebbero dovuto cambiare le lenzuola e non era tanto entusiasmante come idea. Così si limitò ad avvicinarsi lentamente a Jordan, sentendosi una grande cospiratrice. Cercò di muoversi con passi felpati, senza far traballare il materasso o scricchiolare le assi del letto, ma per quanto fosse minuta, Amy era anche molto maldestra.
Così, stupefatta, si chiese come mai Jordan non avesse ancora aperto gli occhi e non l’avesse sgamata. Allungò piano piano la mano verso la sua pancia e… vi si tuffò sopra, solleticandolo dappertutto.
Jordan non mosse un muscolo ma aprì gli occhi e guardò Amy come se non gli avesse dato il minimo fastidio. Poi un sorrisino di superiorità increspò le sue labbra.
Amy, che era rimasta a bocca aperta, si sentì indispettita. ―Non soffri il solletico?
Il sorriso di Jordan si fece ancora più ampio mentre, con un solo gesto fluido, attirava Amy e la faceva finire sotto di lui, intrappolandola con il suo corpo. ―A quanto pare no. ― rispose. ―Ma conosco una persona che lo soffre moltissimo. ― soffiò ed Amy sgranò gli occhi, capendo al volo le sue intenzioni.
Jordan si tuffò sui suoi fianchi e sul suo stomaco con le dita assassine mentre Amy, con le lacrime agli occhi urlava: ―PIETÀÀÀÀ!
Quando finalmente Jordan si fermò, Amy giaceva ansante sotto di lui e non aveva nemmeno la forza di muovere un dito. ―Sei… ― provò, ma il fiato le mancò ancora una volta. ―Sei… ― riprovò, ma fece ancora cilecca.
Jordan nel frattempo se la spassava alla grande.
―Uno stronzo! ― concluse Amy riprendendo in parte un po’ di controllo.
Jordan rise e cominciò a baciarle la nuca, il collo, le guance, le labbra. ―Lo so. ― rispose, baciandole il lobo dell’orecchio destro, ―Me lo ripeti tutte le volte che puoi. ― disse, passando al sinistro.
Amy sorrise e lo abbracciò, sospirando. Una mano di Jordan le si infilò sotto la maglietta e le accarezzò la pelle nuda della schiena, facendola rabbrividire di piacere.
Il ragazzo la guardò, cercando di comunicarle qualcosa. Ed Amy sapeva anche cosa.
Gli sorrise dolcemente e rimpallò lo sguardo. ―Jordan… ― mormorò, ―prima fammi chiamare Katherine.
Jordan si lasciò cadere di peso sul materasso, di fianco a lei, ma non disse niente.
Amy gli sorrise e gli baciò per la millesima volta, quelle labbra così piene e perfette. ―Abbiamo tutto il giorno! ― disse strizzandogli l’occhio e Jordan le accarezzò dolcemente una guancia. ―Dai, fai presto. ― le intimò con una linguaccia e lei si precipitò a chiamare l’amica.
La voce di Katherine rispose dopo il quarto squillo. ―Sì?
Ad Amy si spezzò il cuore. Katherine aveva detto una sola parola, ma con un tono di voce così spento e depresso che il mondo sembrò aver perso tutti i colori.
Chissà come doveva sentirsi, in quel momento. ―Come stai? ― le chiese in un sussurro.
Katherine tirò su col naso. ―Non bene. ― rispose. ―Anzi, sono distrutta. ― ammise.
―Oh, Kat, mi dispiace così tanto. ― ed Amy era davvero dispiaciuta. Di non poter fare niente per alleviare il dolore dell’amica.
Katherine fece una risata amara che sembrò ugualmente forzata. ―Non devi essere tu quella dispiaciuta Amy. Voglio solo dimenticare tutta questa faccenda e… ― si interruppe, prendendo fiato, ed Amy capì che l’amica stava per dire qualcosa di molto doloroso per lei, ―e non voglio vederlo mai più. ― concluse, infatti.
Amy annuì per qualche istante e poi si rese conto che l’amica non poteva vederla. ―Va bene. Vuoi… vuoi ancora parlare? Insomma, sfogarti ti fa bene e…
Katherine la interruppe. ―Non importa, Amy, sul serio. Non voglio tediare nessuno con questa storia, mi passerà e farò in modo che mi passi in fretta. Goditi la tua domenica, okay?
Amy sospirò, desiderando ardentemente di poter cancellare il dolore dalla voce di Katherine. ―Va bene. Ma chiamami quando vuoi.
―Okay. Ciao Amy. ― disse, e richiuse.
Amy guardò lo schermo del telefono per qualche istante ancora, poi lo poggiò per l’ennesima volta sul comodino e si buttò a pancia all’aria sul letto. Stavolta fu Jordan ad avvicinarsi a lei e lasciò che la avvolgesse in uno dei suoi abbracci che escludevano il resto del mondo eccetto loro due.  
 
 
Katherine chiuse la comunicazione con Amy e si rimise a piangere. “Farò in modo che mi passi in fretta.”  Quanto potevano essere più bugiarde quelle parole?
Per far sì che le passasse, doveva smettere di amare Kyle e di interessarsi a lui.
Doveva trattarlo come un conoscente, considerarlo uno dei tanti ragazzi di Little Grace.
Ma per quanto ci provasse, per quanto si sforzasse di non pensare a lui, Katherine non ci riusciva.
E la cosa che le faceva più male era che non lo odiava.
Si sentiva presa in giro, svuotata, delusa. Ma non riusciva ad odiarlo.
Ogni volta che si imponeva di non pensarci o di dare pugni al cuscino pensando che fosse la sua faccia, i bei momenti passati insieme tornavano ad assalirla. La gita in barca, i momenti all’isolotto, il loro primo bacio, le corse in moto.
Le discussioni sui libri, sul sadismo di Martin e sui loro personaggi preferiti, il tifo insieme per la coppia Delena di “The Vampire Diares” e le sue battute sceme riguardo al suo essere “più bello di Ian Somerhalder”.
E questo le faceva di gran lunga più male.
Era ogni volta una stilettata tra le costole, sottile e profonda che le trapassava il cuore e le provocava un dolore fisico lancinante. Perché si sentiva tradita, sorpassata, messa da parte. Si sentiva improvvisamente insignificante.
E tutto l’amore da cui si era fatta travolgere, tutto l’amore che aveva donato era stato spazzato via in una serata.  Con… con quella.
Katherine non riusciva a trovare un insulto per lei.
Non era mai stata brava con gli insulti.
Ma avrebbe tanto voluto strepitare e urlare parolacce, essere capace di schiaffeggiare Kyle e mandare a quel paese quella.
Il telefono squillò per l’ennesima volta e Katherine vi gettò un’occhiata distratta.
Era ancora Kyle.
L’aveva chiamata un’infinità di volte e le aveva mandato dozzine di messaggi che lei non aveva nemmeno letto. E a che pro? Per sentirsi rifilare delle stupide scuse?
Per lasciare che lui le sbattesse ancora una volta in faccia la realtà?
No, grazie.
La realtà ce l’aveva già vivida nella mente, un’immagine impressa a fuoco nella memoria, un ricordo incancellabile.
Gemiti, ansiti, mani che sfioravano un corpo che non era il suo.
Lasciò che il telefono continuasse a squillare.
Dopo un po’ tacque.
E riprese.
Fu così ancora e ancora, qualche volta si sentiva anche la vibrazione che annunciava un nuovo messaggio.
All’ennesima chiamata, Katherine prese il cellulare, levò la batteria e la buttò nel cestino. Poi tornò a stendersi sul letto, fissando la parete di fronte a lei. E pian piano, il viso di Kyle prese forma, le sue labbra le sorridevano e i suoi occhi color caramello le trasmettevano amore. Ma Katherine sapeva che il suo amore era solo una presa in giro. Cancellò l’immagine dalla mente.
―Katherine? ― la porta si spalancò ed entrarono i suoi genitori. La ragazza non si mosse e continuò a guardare la parete azzurrina.
I genitori si scambiarono uno sguardo eloquente che Katherine finse di non vedere.
―Noi andiamo via per un po’ a fare dei servizi. Chiamaci per qualunque cosa. ― disse la madre.
Katherine spostò la testa per annuire e le sembrò che pesasse quintali.
―Passerà, amore. ― disse con dolcezza la donna, prima di sorriderle e di chiudere silenziosamente la porta della sua camera. Dopo poco, Katherine sentì il portone sbattere. La tristezza l’avvolse come una coperta.
Guardò l’orologio appeso alla parete e rimase ad osservare le lancette scorrere lentamente. Erano passati appena dieci minuti e Katherine si era abituata all’idea di rimanere lì per sempre quando il campanello suonò. Forse i suoi genitori avevano dimenticato qualcosa. Con uno sforzo sovrumano si alzò dal letto e si trascinò a piedi nudi verso la porta d’ingresso.
Guardò dall’occhiolino e rimase agghiacciata.
Kyle era lì.
Kyle era lì fuori.
Kyle era lì fuori, tutto trafelato e guardava fisso nell’occhiolino.
Katherine si discostò immediatamente dalla porta, come se fosse incandescente.
Prese fiato, una, due, tre volte.
Il campanello suonò di nuovo e suonò ancora e ancora.
―Dai, Katherine apri, so che sei lì dentro! ― sentire di nuovo la sua voce fu come ricevere un pugno nello stomaco. Katherine fece una smorfia.
―Per favore, voglio solo parlarti! ― continuò imperterrito il ragazzo.
―Vai via! ― urlò lei, stupendosi immediatamente.
Non aveva progettato di urlare né di fare nulla. Semplicemente ignorarlo e ritornare in camera. Non aveva immaginato di conservare un briciolo di rabbia esplosiva dentro di sé.
―Katherine… ― supplicò lui.
―Vai via! ― ruggì lei, sempre più sicura, sempre più decisa. Non voleva né vedere né sentire Kyle e lui avrebbe rispettato la sua decisione volente o nolente.
―Per favore…
―Vai via! ― ripeté lei, dando un pugno alla porta. Kyle sussultò, sorpreso.
Davvero le aveva fatto questo? L’aveva spinta sino a quel punto, la sofferenza la aveva annientata così tanto che si era arrabbiata?
La sua dolce, calma e bellissima Katherine che risolveva tutti i problemi con un sorriso era un muro di gomma.
Lo odiava.
Si sentì un mostro.
Già si sentiva da schifo prima, ma avere la prova provata del male che aveva inflitto proprio sotto gli occhi era un’altra cosa.  ―Ti prego… ― la voce gli uscì in un sussurro.
―Devi andartene, Kyle. ― la voce della ragazza era fredda e dura. Kyle si sentì morire.
―Non voglio vederti né sentirti mai più. ― disse e Kyle sentì il peso del mondo crollargli addosso all’improvviso e spedirlo giù, al centro della terra.
Con uno sforzo disumano tentò nuovamente di convincerla ad aprire la porta, ma Katherine si allontanò e chiuse la porta della sua stanza.
Trenta secondi dopo, l’appartamento fu travolto dalla musica sparata ad alto volume. Kyle urlò ma era evidente che Katherine non poteva né voleva sentirlo.
Sconsolato, si girò e se ne andò.
 
 
Salì in sella alla moto e guardò la strada dipanarsi davanti a sé.
Non si sarebbe arreso.
Avrebbe fatto il possibile, tutto il possibile, aveva sbagliato e si sarebbe dato da fare per rimediare.
Un quarto d’ora dopo stava suonando il campanello di un altro appartamento.
Con suo grande sollievo, la porta si aprì e un Chris abbastanza stralunato lo guardò stancamente. Poi, voltandosi verso l’ingresso senza invitarlo ad entrare, chiamò Evelyn. ―Evy! Qui c’è qualcuno che credo voglia parlarti!
Dopo qualche istante, la ragazza si affacciò alla porta e la bocca di Kyle si spalancò per la sorpresa. Evelyn aveva un asciugamano avvolto attorno a tutto il corpo e i ricci bagnati le si spargevano sulle spalle.
Kyle rivolse una veloce occhiata in direzione di Chris.
―Kyle. ― disse la ragazza, con voce vuota.
Lui tornò a guardarla.
Lei l’avrebbe aiutato. Gli era sempre rimasta accanto, in ogni occasione, l’aveva sempre aiutato e anche quella volta l’avrebbe fatto. ―Devi aiutarmi. ― disse, senza staccare gli occhi da quelli di lei.
Evelyn sospirò ed inclinò la testa di lato, facendo sgocciolare un po’ di acqua sul pavimento. ―Mi dispiace Kyle, ma questa volta non farò nulla per te. ― mormorò.
Kyle non riusciva a crederci.
Aveva deluso anche lei.
Certo sì, era normale, aveva deluso tutti, era stato uno stupido ma… credeva che Evelyn ci sarebbe stata per lui. Che l’avrebbe aiutato.
Lei, la sua Evelyn, la sua amica.
Aprì la bocca per dire qualcosa, mentre avvertiva il vuoto causato da tutto l’amore che aveva perso vorticare ansante attorno a lui. ―Evelyn, per favore. ― supplicò, mentre il bruciore al petto si faceva sempre più intenso.
―Ti prego.
Evelyn scosse la testa, con sguardo vuoto. ―Non capisco perché sei venuto qui, Kyle. Cosa ti aspettavi che facessi? Katherine è mia amica e tu hai sbagliato. ― Kyle fece per interromperla ma lei lo precedette, alzando la voce. ―Di noi sai chi è la più vicina a Kat. ― disse, marcando molto sull’ultima parola. ―Se proprio vuoi ottenere qualcosa è da lei che devi andare. Ma non credere di sopravvivere.
Kyle rimase immobile, mentre la porta si chiudeva con un sonoro rumore. Rimase a guardare il legno scuro per qualche istante.
Sapeva, naturalmente, a chi si riferiva Evelyn. Aveva anche marcato il soprannome, per far sì che lo capisse e basta. Ma in realtà lo sapeva da sempre. Sapeva che avrebbe dovuto rivolgersi a lei, come sapeva che da lei non avrebbe ricevuto alcun aiuto, semmai ci avrebbe rimesso fisicamente. Amy tendeva ad essere violenta in particolari situazioni.
Si toccò il viso, nell’esatto punto in cui lei l’aveva colpito.
Quello schiaffo bruciava ancora, gli trasmetteva tutto il tradimento che aveva fatto e non solo nei confronti di Katherine ma anche in quello degli amici.
Si passò una mano tra i capelli, sospirando, affranto.
Avrebbe fatto un tentativo prima di rischiare il mille per mille con Amy.
Chiamò Sarah al telefono sperando di ricevere un qualche aiuto. ―Dimmi. ― ringhiò la voce della ragazza al telefono. Kyle deglutì, impaurito. ―Mi serve aiuto, Sarah.
―Amy mi ha detto di mandarti all’inferno Kyle, quindi va’ all’inferno! ― esplose lei e gli chiuse la telefonata in faccia. 
Kyle vedeva già i titoli dei giornali: “Ragazzo ucciso a Little Grace!”.
Non gli restava alternativa.
Con mani tremanti compose il numero di Amy. La ragazza rispose dopo il secondo squillo. ―STRONZO! ― gli urlò nell’orecchio prima di riattaccare.
Kyle guardò allibito il cellulare.
Non avrebbe rinunciato.
Per quanto potesse essere frustrante lui non avrebbe rinunciato mai! Amava Katherine e aveva sbagliato, ma non si sarebbe arreso.
Chiamò di nuovo Amy. ―PIRLA!
Di nuovo chiuse la telefonata. Kyle la chiamò ancora. Se doveva essere un braccio di ferro tra lui e lei, non si sarebbe di certo arreso. ―BASTARDOO!
Era proprio incazzata. Non poteva darle torto. La chiamò ancora. ―FOTTITI FOTTUTO COGLIONE DAL CERVELLO NON PIÙ GRANDE DI UN SEME DI POMODORO QUADRATO GENETICAMENTE MODIFICATO!
Kyle ingoiò un groppo di saliva. Aveva il sospetto che andando avanti la situazione sarebbe solo degenerata. Premette il tasto verde e il telefono nemmeno squillò che Amy già gli stava urlando contro. ―SEI UN GIGOLÒ SENZA CLASSE! TU E QUELLA TROIETTA VIVRETE INFELICI E SCONTENTI PER TUTTA LA VOSTRA MISERABILE VITA! PUTTANO!
Stavolta fu Kyle ad interrompere la comunicazione.
Con Amy in quelle condizioni era impossibile interagire.
Agitò nervosamente una gamba, per scaricare la tensione. Poi provò al numero di casa.
―Pronto? ― la voce tranquilla di una donna gli rispose.
―Casa McCanzie? Sono un amico di Amy. ― provò lui.
―Oh, Amy non è in casa. Ha dormito da Sarah, oggi. ― rispose dolcemente la donna.
Merda, pensò Kyle.
―Okay, grazie. ― disse brusco prima di richiudere. Provò a chiamare di nuovo Sarah ma non gli rispose. E adesso? Non sapeva dove abitava Sarah.
Si guardò ansioso attorno. La soluzione gli si presentava davanti ed era la porta della casa di Evelyn. Ma lei gli avrebbe aperto?
E se avesse interrotto qualcosa di importante?
Esitò imbarazzato davanti al campanello della porta. Poi si decise.
Suonò e dopo poco Evelyn aprì la porta. Era vestita. ―Cosa vuoi?
―L’indirizzo di Sarah. Amy è da lei. ― spiegò lui immediatamente.
―Amy non è da Sarah. ― sospirò la ragazza. ―È da Jordan.
Kyle la guardò sorpreso. ―Ma la madre mi ha detto che…
―Beh, di certo Amy non poteva dire alla madre che passava la notte da Jordan! Credevo che sapessi come funzionassero queste cose. ―sbottò allusiva Evelyn.
Kyle si sentì punto sul vivo. ―Vado. ― sibilò e girò le spalle alla porta prima che Evelyn gliela sbattesse nuovamente in faccia.
Montò in sella alla moto e ringraziò mentalmente Jordan per avere organizzato pizze e serate a casa sua, quell’estate. Almeno non avrebbe dovuto chiedere ad Evelyn l’indirizzo.
Si sentiva abbandonato da tutti.
A buona ragione, certo, lui per primo si sarebbe preso a calci e si sarebbe abbandonato. Ma loro erano i suoi amici. E credeva che qualcuno sarebbe stato disposto ad aiutarlo, a riacquistare punti, a mettere una buona parola per lui.
E invece… niente.
Si precipitò a casa di Jordan ed entrò nel portone che una vecchina aveva lasciato aperto. Salì precipitosamente i due piani di scale e suonò il campanello.
Amy gli aprì tutta sorridente. Il cuore di Kyle smise di battere. Non poteva crederci. Amy gli aveva aperto e gli sorrideva. Forse l’avrebbe aiutato.
Ma la sua speranza scomparve in un istante.
Appena gli occhi di Amy incrociarono i suoi, l’espressione della ragazza mutò completamente. Lo guardò con cupo disprezzo e gli chiuse la porta in faccia.
Kyle urlò dalla frustrazione.
Troppe porte chiuse!
Troppe!
―Apri, Amy! Apri! Devi aiutarmi!!
―Te lo puoi scordare, microcefalo! ― urlò lei dall’altra parte della porta.
―Per favore! ― urlò ancora lui. ―Io la amo, voglio rimediare!
―La ami un corno, brutto stronzo! Se l’amavi non uscivi il tuo schifosissimo cazzo ridotto dai pantaloni! Se l’amavi non la tradivi con quella sottospecie di donna che disprezza se stessa e gli altri! Ma da dove cazzo sei venuto fuori? Ah, ora ho capito! Sei una specie protetta, nuova! Tua madre si è scopata una scimmia e sei venuto fuori tu!! Una mezza scimmia e un mezzo bastardo!― ringhiò Amy inferocita.
―Ti prego! Devi credermi! ― la voce di Kyle scese di parecchie ottave, in un piagnucolio sommesso. ―Ero ubriaco e ho fatto una cazzata. Sono stato stupido e non mi perdonerò mai, ma ti prego, ti prego Amy, aiutami  perché io la amo. ― Kyle si accorse a malapena delle lacrime che gli rigavano il volto.
La porta si aprì e credette in un miracolo. Sulla soglia, Amy le sembrava la sua salvatrice, una paladina della giustizia.
―Sei una scimmia antropomorfa, Kyle. Lo sai, vero? ― gli chiese lei, la voce vibrante per la rabbia.
Kyle scoppiò a piangere ancora più forte e annuì. ―Sì, sì, Amy hai ragione.
―E sai anche che vorrei solamente prenderti le palle e tagliuzzarle in piccolissimi pezzettini con un taglierino, vero?
Kyle continuò ad annuire. ―Sì, lo so.
―Mi hai fatto arrabbiare. E Dio solo sa quanto mi prudono le mani dalla voglia che ho di prenderti a schiaffoni! ― esclamò Amy imbufalita.
―Fai di me ciò che vuoi, Amy. Sono nelle tue mani. Ma aiutami con Katherine!! ― la supplicò lui.
Amy si indignò. ―E non mi prendere per il culo! Deficiente!
Ci mancò poco che Kyle si prostrasse ai suoi piedi per chiederle scusa.   
Amy sospirò. ―L’hai chiamata, vero? ― gli chiese in un tono decisamente meno arrabbiato.
Kyle annuì. ―Mille volte.
―Ti ha mai risposto?
Il ragazzo scosse la testa.
―Mandato messaggi?
―A dozzine. Ma credo che non li abbia nemmeno letti. ― mormorò lui.
Amy sospirò nuovamente, sconsolata. ―Lo credo anch’io.  ― gli porse un pacco di fazzoletti e Kyle si asciugò il viso.
―Sei andato a trovarla? ― il tono di voce era quasi dolce, ma Kyle non vi diede troppo peso. L’umore di Amy era altalenante.
―Sì, sono andato. Ma non mi ha aperto. Mi ha intimato di andarmene e mi ha urlato di non volermi né vedere né sentire.
La ragazza sbuffò. ―Magari non combinavi sta cazzata, Kyle! Io non so che cacchio c’hai al posto di quella testa! Anzi, no non me lo dire perché tanto lo so già! Semplicemente ti sei dimenticato di essere un essere pensante  e hai lasciato che il tuo amichetto decidesse per te! Molto molto saggio! E adesso sei nella merda sino ai capelli!!
Kyle le rivolse uno sguardo disperato e lei smise di accanirsi su di lui.
―Senti ― ricominciò, ―se davvero hai fatto tutte queste cose senza risultati e se davvero ci tieni a Kat, credo che l’unica cosa che tu possa fare è aspettare. L’hai ferita ed è normale che non voglia vederti né avere contatti con te. Posso solo immaginare come stia male, poverina. ― Amy scosse la testa, facendosi pensierosa.
―Sul serio Kyle, cosa ti aspettavi di trovare venendo qui?
―Speravo che tu mi aiutassi. ― spiegò lui, amareggiato.
―E a fare che? ― chiese Amy, ridendo ironicamente.
―A farmi perdonare. A mettere una buona parola per me.
Amy scosse la testa. ―Ti ci sei ficcato tu in questo pasticcio. E tu devi trovare il modo per uscirne fuori. ― fece per chiudere la porta ma si bloccò all’ultimo secondo. ―E Kyle… ― gli disse, ―vedi di farlo in fretta. Tra tutti gli errori che potevi fare, questo è stato il peggiore. Lei è determinata a dimenticarti e per farlo è decisa anche ad ignorare ciò che prova per te. E se si mette d’impegno, ci riuscirà. Allora, sarà difficile riconquistarla. ― chiuse la porta e Kyle rimase a fissare il punto in cui era scomparsa Amy.
Aveva combinato un gran casino.

 
 *WHAWAIEAH!
Ciao a tutti!!! (:
Questo capitolo è un po' lunghino ma spero vi sia piaciuto ugualmente ;p
Abbiamo diversi avvenimenti, tutti incentrati, però, sulla situazione di Katherine e Kyle... Come finirà secondo voi?? 
Aspetto moooolti pareri ;p
Un bacione a tutti,
Kry <3


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Capitolo 44
*** Capitolo 44. Hearts broken and bad boys. ***


Capitolo 44.

Hearts broken and bad boys.



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Le ore passavano lentamente e Kyle sudava freddo. Aveva cercato Katherine all’ingresso ma non l’aveva vista e al primo cambio dell’ora si era fatto beccare dal professore d’arte fuori dalla classe, mentre cercava di raggiungere quella di Kat.
Non era potuto uscire ancora ed Evelyn, Sarah ed Amy lo tenevano a distanza come se avesse la peste. All’ingresso aveva provato a salutarle ma loro lo avevano ignorato alla grande.
Per l’ennesima volta, rivolse uno sguardo in direzione delle ragazze, sperando di ricevere un loro segnale, un loro gesto o sguardo amichevole nei suoi confronti. Amy si girò per prendere qualcosa dallo zaino ed incrociò il suo sguardo.
Kyle deglutì, sentendosi fluttuare come una bolla di sapone.
La bolla esplose quando lesse nello sguardo dell’amica disprezzo e freddezza nei suoi confronti. Amy si girò senza guardarlo oltre. Eppure aveva pensato che dopo l’aiuto che gli aveva dato il giorno prima almeno lei avrebbe cambiato atteggiamento nei suoi confronti.
Anzi, era quasi confortato all’idea di avere una ragazza dalla sua parte, quasi. Insomma, uno che lo avrebbe aiutato.
E invece si era solo illuso.
Si passò una mano tra i capelli e poi si strofinò gli occhi stanchi.
Cosa doveva fare per recuperare?
Per riprendersi quella che finalmente era diventata la sua vita? I suoi amici, il suo amore. Tutto perso per una cazzata.
Amy aveva ragione.
Aveva ragionato col cazzo e non col cervello.
Si maledì e stramaledì mille volte.
Qualcuno gli passò una mano attorno alle spalle e lui sollevò lo sguardo, stupito. ―Su, non prendertela Kyle, sai che sono stupide e sfigate. Meglio perderle che trovarle delle tipe così. Non capisco come abbia potuto sopportarle per tutto questo tempo. ― squittì Eliza, sbattendo le ciglia in un modo abominevole.
―Fottiti! E non ripetere mai più cose del genere in mia presenza! ― sibilò Kyle incattivito, alzandosi di scatto dalla sedia. Eliza si fece piccola piccola e tutti si voltarono a guardarlo.
―Vorrei andare in bagno, per favore. ― disse rivolto al professore che lo guardava interrogativo. Quello gli fece un cenno e Kyle scattò verso la porta.
Certo, la tensione si era sicuramente notata tra lui e le altre. Ma probabilmente Eliza aveva avuto la notizia da Taylor. Lei sicuramente non si sarebbe fatta sfuggire l’occasione per spiattellare tutto a quelle deficienti delle sue amiche.
Serrò la mascella, incavolato. Di lì a pochi secondi sarebbe squillata la campanella che annunciava l’inizio della ricreazione e la classe di Katherine era dall’altra parte della scuola. Schizzò verso le scale e prese a salire i gradini due alla volta, mentre gli studenti si riversavano fuori dalle aule al suono della tanto attesa campanella-interrompi-torture.    
Corse lungo il corridoio, sotto lo sguardo di disapprovazione dei professori, sino a quando non raggiunse la sua classe. Il cuore prese a battergli violentemente nel petto quando la vide. Era in mezzo ad un gruppo di amiche e se ne stava un po’ discostata, con un’espressione cupa e sofferente sul volto.
Kyle si sentì straziato. Lui aveva causato quella sofferenza, lui non meritava proprio niente. Non la meritava, Amy aveva ragione. Katherine era una persona assolutamente splendida e lui non la meritava per niente.
Ma proprio perché era così splendida Kyle la voleva.
A tutti i costi.
Prese a riavvicinarsi a lei, con passi più cauti e misurati.
Il cuore era un tamburo e batteva violentemente, troppo, troppo forte mentre le mani iniziavano a tremargli per l’emozione. Si avvicinò ancora e ancora. Era a pochi passi quando lei si voltò e lo vide.
Sgranò gli occhi azzurri, rossi e gonfi di pianto, e gli voltò le spalle, sussurrando qualcosa alle amiche. Subito le ragazze formarono un cerchio compatto attorno a lei e Kyle le guardò senza capire.
L’unica cosa che voleva era che Katherine lo guardasse, gli parlasse.
Fece ancora qualche passo, ma una ragazza lo fermò. ―Non puoi passare, bello.
Bello? Kyle la guardò strabuzzando gli occhi.
Decisamente non era un complimento, anzi. La ragazza lo guardava come se volesse incenerirlo di lì a qualche istante.
―Per favore, voglio parlare con Katherine. ― disse, cercando di non far trapelare l’emozione.
La ragazza scosse la testa. ―Katherine è impegnata.
―Come sarebbe a dire è impegnata? È lì ferma e non fa niente! ― disse alzando la voce, mentre iniziava ad arrabbiarsi.
La ragazza lo guardò impassibile. ―Ti ho detto che è impegnata. Smamma se non vuoi che ti accusi di molestie in mezzo al corridoio. ― sibilò, riducendo gli occhi a due fessure.
Kyle aprì la bocca per lo stupore.
Impossibile. Era impossibile che non riuscisse a comunicare con Katherine.
In nessuna occasione!
Fece qualche passo indietro, continuando a guardare il gruppo di ragazze impenetrabile.
Alcune figure lo superarono e Kyle guardò impassibile Evelyn, Sarah ed Amy sfilargli avanti e raggiungere Katherine. Davanti alla ragazza bionda, che non l’aveva lasciato passare, Amy si voltò e lo guardò con aria di superiorità, sfoggiando uno dei suoi sorrisi più perfidi. Kyle si sentì morire. Gli mancò il fiato e non riuscì a fare altro che voltarsi e incamminarsi verso la sua aula. Si sentiva privo di vita.
Vuoto ed insignificante.
Per tutte le persone a cui teneva veramente era diventato invisibile.
Sentì il bisogno di sedersi e si accasciò sulla sua sedia, solo, nella classe vuota.
 
 
―Ciao, Katherine. ― mormorarono le ragazze, una alla volta.
Amy si guardò indietro e vide Kyle camminare via come un automa. Le si strinse il cuore nel petto.
Le dispiaceva di trattarlo così male.
Il sorrisino perfido e le occhiatacce e tutto il resto.
Ma proprio non ce la faceva a resistere.
Katherine l’aveva visto!
Tutta la scena!
Dio, come doveva essere stato orribile per lei!
Scosse la testa, mentre Evelyn chiedeva a Katherine come andava. La ragazza fece un sorriso non molto convinto. ―Un po’ meglio. ― mentì, ma nessuna di loro le credette. ―Ce la farò. Riuscirò a dimenticare Kyle. ― disse, rivolgendosi più a se stessa che a loro.
Amy si morse il labbro inferiore. ―Sei sicura di quello che fai, Kat?
La ragazza la guardò senza capire.
Amy si spiegò meglio. ―È davvero ciò che vuoi? Dimenticarlo?
―Sì. ― rispose Katherine con lo sguardo e la voce tremante ed Amy capì che non era vero.
―Senti, ― esordì, pensando a Kyle e alle sue lacrime il giorno prima, ―a me sembra pentito. Tu hai bisogno di tempo per superare ciò che ha fatto, ma pensaci. Sul serio vuoi dimenticarlo?
Katherine sembrava sul punto di scoppiare a piangere di nuovo ed Amy si pentì di essere stata così diretta. Ma che altro poteva fare?
―Sì! Sì Amy, voglio dimenticarlo e non voglio più vederlo o sentirlo! Non dopo quello che ha fatto, mai più! ― scoppiò Katherine, mentre il viso le si faceva tutto rosso e le lacrime le riempivano gli occhi.
Sarah ed Evelyn scoccarono ad Amy sguardi di disapprovazione.
La ragazza le ignorò, andò da Katherine e la strinse forte a sé. ―Passerà. ― le sussurrò tra i capelli. La campanella suonò, annunciando la fine della ricreazione e le tre ragazze si allontanarono, lasciando Katherine ai suoi pensieri.
 
 
 
Kyle scese le scale di corsa.
La testa gli scoppiava e i sensi di colpa erano tornati alla carica, più feroci che mai.
Lui voleva, pretendeva il perdono di Katherine. Sapeva di non esserne degno, ma non poteva vivere, non poteva farcela senza di lei.
Si guardò intorno, le persone che si mescolavano l’una all’altra urti di spalle, la folla che lo trascina lontano dalla scuola.
Ecco.
Adesso era impossibile raggiungerla o anche solo vederla. Rimase per un attimo ad osservare la calca confusa, a sussultare ogni qual volta scorgeva una chioma bionda in mezzo alle tante teste presenti. Rassegnato, si ficcò le mani in tasca e svoltò l’angolo.
Due mani lo afferrarono per il colletto della giacca e lo sbatterono forte contro il muro. Kyle per un attimo vide tutto sfocato. Poi, piano piano, i lineamenti della figura di Eric presero a farsi più chiari.
Il viso del ragazzo era deformato in un ghigno crudele.
―Che cosa vuoi? ― ringhiò Kyle, divincolandosi senza staccare gli occhi dai suoi.
Il sorriso malefico di Eric si allargò ancora di più. Gli fece un cenno con il capo e Kyle seguì la direzione indicatagli, con il sangue che gli si ghiacciava nelle vene.
I suoi occhi si fermarono sulla figura diafana di Katherine, i lunghi capelli d’oro raccolti in una treccia svogliata, che stava immobile tra due ragazzi che Kyle riconobbe come membri della squadra di Eric. I due non le stavano facendo niente in apparenza, le stavano solamente parlando e Katherine rispondeva loro come se gli stesse dando delle indicazioni.
La voce di Eric gli perforò i timpani e gli trapassò il cervello come una lama di ghiaccio, nonostante fosse poco più di un sussurro. ―Stai molto molto attento, Kyle. Domani voglio i soldi o alla tua amica capiterà un incidente davvero poco piacevole.
Lo lasciò andare e fece qualche passo indietro, continuando a guardarlo. Ma Kyle non aveva occhi che per Katherine e non smise di guardarla sino a quando i due tizi non si furono allontanati di parecchio da lei. Poi rivolse di nuovo lo sguardo su Eric, che aveva stampato sul viso un sorriso di vittoria. Kyle smise di pensare, schiacciò un bottone nella sua testa e agì. Fece quello che avrebbe voluto fare da un sacco di tempo, ma per cui non aveva mai trovato il coraggio di agire.
Afferrò di scatto Eric e lo sbatté a sua volta contro il muro. L’impatto tolse il fiato al ragazzo, che lo guardò con un misto di rabbia e sorpresa.
Con il volto congestionato dalla rabbia e il cuore che pompava sordo contro il suo petto, Kyle si ficcò una mano nella tasca dei jeans e ne uscì fuori il pacchetto con la cocaina. Glielo schiacciò sul viso e strinse la presa sul collo della maglietta. ―Tieni la tua merda e trovati un altro spacciatore. ― sibilò. ―E guai a te se osi torcere un solo capello a Melanie o a Katherine, brutto stronzo. ― rinsaldò la presa sulla maglietta di Eric e lo sbatacchiò a destra e a sinistra. ―Guai a te. ― disse nuovamente, prima di lasciarlo andare. Si aggiustò il colletto della giacca e gli diede le spalle, incamminandosi verso la sua strada.

 
*WHAWAIEAH! (:
Sono consapevole della breve lunghezza di questo capitolo, ma come si dice, questo passa il convento, perciò, chi si accontenta gode!! ;D
No, semplicemente questo capitolo è breve perchè è per lo più è di passaggio... è passato pochissimo tempo da quando Kyle ha tradito Katherine e le cose non vanno per il meglio per questo ragazzo... perciò è una specie di immersione nella vita di Kyle e in tutto ciò che sente e vive in questi giorni... non durerà a lungo, anche perchè sapete bene che il 47 sarà l'ultimo capitolo, perciò pazientate e ogni cosa andrà al suo posto o in un modo o nell'altro (non significa che per tutte le coppie ci sarà un lieto fine, state attenti xD)...
Grazie a tutti voi, che leggete, recensite, sorridete e imprecate con i miei personaggi... :)
Un bacione <3
Kry c:

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Capitolo 45
*** Capitolo 45. Conti in sospeso. ***


Capitolo 45.

Conti in sospeso.


 
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―Ciao, Kat. Sono Kyle. Ti prego, richiamami. Ti amo sul serio e vorrei rimediare. Non voglio perderti. Richiamami. ― Kyle interruppe la telefonata e si chiese se Katherine avrebbe risposto a quell’ennesimo messaggio in segreteria. Sbuffò, sconsolato e guardò il cellulare.
Un nuovo messaggio.
Il cuore gli balzò nel petto.
Forse era lei.
Lesse il destinatario e il suo entusiasmo scese di parecchie ottave.
Era Amy.
Avrebbe aperto il messaggio?
Forse era un testo minatorio da parte della ragazza, minacce di morte e roba varia. Però era anche vero che nessuno l’aveva mai contattato dal giorno della festa e magari rappresentava un piccolo passo avanti. Aprì il messaggio e lesse il testo.
“Ragazze, oggi solito orario, solito luogo. Si esce ;)”.
Kyle fissò imbambolato il messaggio.
Sicuramente aveva sbagliato destinatario, insomma, c’era scritto “Ragazze”. Digitò una veloce risposta per Amy.
“Credo che tu abbia sbagliato, hai inviato il messaggio anche a me”.
La risposta arrivò pochi minuti dopo.
“Lo so”.
Cosa voleva dire, Amy? Che aveva sbagliato apposta per avvertirlo che uscivano? Voleva dargli un occasione per parlare con Katherine? Oppure aveva semplicemente sbagliato e il suo “lo so” era riferito al fatto che sapeva perfettamente di aver sbagliato?
Kyle sbuffò, poi guardò il cellulare.
Qualunque cosa fosse successa, sbagli o meno, quella era la sua occasione per parlare a Katherine una volta per tutte senza che nessuno si intromettesse. Si alzò di scatto e si precipitò a vestirsi, con due ore di anticipo.
 
Quella sera faceva abbastanza fresco e Kyle si strinse nella felpa a quadri che gli aveva regalato Katherine tempo prima. Non voleva che fosse l’unica cosa che gli rimaneva di lei. Lui voleva lei e l’avrebbe riavuta a qualunque costo, pagando qualsiasi prezzo. Non gli interessava nulla.
Avrebbe sfidato il padre, se necessario.
Non gli interessava, l’importante era che Katherine sarebbe ritornata a lui.
Si guardò attorno e li intravide da lontano. Amy, Evelyn, Sarah, Katherine e i ragazzi.
Gli si strinse il cuore nel guardare l’aspetto dismesso della sua Kat. Le amiche cercavano di tirarla su in tutti i modi, era ben chiaro anche da quella distanza, ma lei accennava appena un sorriso. A dirla tutta non sembrava nemmeno che stesse ascoltando. Senza nemmeno accorgersene era già davanti a lei, dimentico dei passi che aveva fatto o delle persone che aveva spinto per raggiungerla.
Katherine sollevò lo sguardo e lo guardò negli occhi.
Ancora una volta Kyle fu travolto dalla loro limpidezza. Da tutto il dolore che si leggeva dentro, da tutta la sofferenza che raccontavano di aver vissuto.
―Perdonami. ― sussurrò.
Gli sembrò di essere solo con lei, intorno a lui ogni cosa divenne grigia e ovattata, priva di significato.
Katherine scosse il capo e sembrò cercare aria, fiato e parole. ―Io…
―Perdonami, ti prego. Io ti amo. E anche se può sembrarti assurdo, se esiterai a crederci per ciò che è successo, per ciò che io ti ho fatto, è vero. Io ti amo più di qualunque altra cosa e soffro, soffro terribilmente per tutto ciò che ho combinato. Farò tutto ciò che vuoi, ma ti prego, ti prego, perdonami e dammi un’altra possibilità.
Katherine lo guardò fisso per qualche istante e poi abbassò lo sguardo, corrugando le sopracciglia. ­―Io non posso farlo, Kyle. Credimi se ti dico che mi piacerebbe, ma ogni volta ― Katherine tremò e d’un tratto le montò la rabbia. ―ogni volta che ti penso, che penso ai nostri momenti felici non posso fare altro che ricollegarli a ciò che ho visto, Kyle. ― proseguì inferocita. ―Te insieme a quella… quella… ― Katherine non riusciva a trovare il termine per descriverla. Sapeva che ci voleva un insulto in quel buco della frase, un insulto cattivo, ma non riusciva proprio a pronunciarlo.
―Puttana? ― le corse in aiuto Amy.
Katherine annuì, grata. ―quella. E non ce la faccio a superarlo. Non ce la faccio a perdonarti. Non riesco a reggere nemmeno la tua vista, adesso! ― proseguì, guardandolo negli occhi. Kyle rimase muto e continuò a guardare Katherine, riempiendosi l’anima della sua immagine, mentre avvertiva il suo cuore straziarsi ancora di più. ―Per favore… Katherine.
La voce era come un canto spezzato, ferita, vuota, sola e disperata. Un soffio di vento che cerca di afferrare qualcosa senza riuscirci. Qualcosa che sfugge via inesorabilmente.
―Per favore, Kyle? ― chiese la ragazza, sempre più arrabbiata. ―Per favore? Mi hai ferita! Perché sei andato con quella?
―Ho commesso un errore, ero ubriaco e…
―Dannazione, sono tutte scuse! ― urlò lei con le lacrime aglio occhi. ―La verità era che io non ti bastavo! Cos’era, lei poteva accontentarti lì dove io non mi ero ancora sbottonata?
Kyle allungò le mani per accarezzarla, per tenerla stretta a sé mentre le lacrime cominciavano ad appannargli la vista, ma lei fece un passo indietro e gli sfuggì. Le sue dita afferrarono l’aria. ―Sai che non è così. Non l’ho fatto per quello, Katherine. A dire la verità non dovevo farlo e basta.
―Non mi interessa. ― disse risoluta la ragazza. ―Non mi interessa. ― ripeté. ―Ora vattene e non farti più vedere.
Katherine lo guardò ancora per un istante e poi lo superò, lasciandolo solo. Anche gli altri se ne andarono e Kyle rimase fermo, ad ascoltare i suoni delle voci di mille persone, rimpiangendo quel momento di debolezza e stupidità.
 
 
I passi riecheggiavano ritmici sull’asfalto. Kyle non sentiva che quelli.
Per il resto, la sua testa era vuota come la sua anima.
A intervalli regolari, la voce di Katherine riempiva il silenzio. ―Non mi interessa. Ora vattene e non farti più vedere.
Non farti più vedere.
Non farti più vedere.
Passi. Passi. Rumore di passi.
Con le mani nelle tasche dei jeans, Kyle non faceva caso a nient’altro. Le gambe lo guidavano verso casa, in quella strada poco illuminata e poco trafficata che lui conosceva bene. L’aria era satura di pioggia e grigia come il suo umore.
C’era troppo silenzio.
E il rumore di troppi passi riecheggiava attorno a lui.
Alzò lo sguardo e vide il palazzo solitario che si ergeva davanti a lui.
Con un sospiro riabbassò lo sguardo. Per l’ennesima volta, tornava a casa sconfitto.
Un dolore lancinante alla schiena lo mandò steso a pancia in giù per terra.
La testa cominciò a girargli e Kyle non capiva più dove si trovasse. Il dolore alla spina dorsale si ripercuoteva sordo su tutto il corpo impedendogli di muoversi.
Gemette, strizzò gli occhi per scacciare i puntini colorati che gli affollavano la vista e cercò di rimettersi in piedi, issandosi sulle braccia. Il dolore lo mandò nuovamente steso per terra. Cercò di incanalare aria nei polmoni, ma qualcosa di duro lo colpì prima su un fianco e poi sull’altro, spezzandogli il respiro. I colpi si fecero sempre più forti e arrivarono da tutte le parti. Poi, si fermarono e Kyle cercò di respirare, anche se faceva male. Le dita arpionarono l’asfalto mentre cercava di trascinarsi avanti, lontano dal suo aggressore, lontano dal dolore. Ma non riuscì a spostarsi di un millimetro che, con un calcio al fianco, qualcuno lo rivoltò a pancia in su, facendogli sbattere la schiena livida sull’asfalto. Kyle gemette.
Strizzò gli occhi, nella speranza di riuscire a distinguere la figura sfocata che troneggiava imperiosa sopra di lui. Eric roteò la mazza e lo guardò con perfidia. ―Te la farò pagare. Sono stato fin troppo clemente con te, ma tu hai fatto lo stupido, non hai capito con chi hai a che fare, e non l’hanno capito nemmeno i tuoi amichetti deficienti, che si credono in grado di poter opporsi o contrastarmi. Voi non sapete un cazzo. ― Eric lasciò cadere la mazza e continuò a prenderlo a calci, provocandogli fitte di dolore in tutto il corpo. ―Pensate che sia finita? Beh, non lo è. Vi darò il tormento, puoi starne certo, Kyle. ― sibilò, sferrandogli un pugno sul viso.  
Kyle si abbandonò a se stesso, mentre i colpi piovevano senza lasciare tregua al suo corpo stremato. Non sarebbe uscito da quella situazione. Aveva sbagliato. Katherine non lo voleva. Non era riuscito a contrastare Eric e quello era il risultato. E probabilmente non sarebbe stato solo lui a pagare le conseguenze della sua incapacità ma anche Amy, Evelyn, Katherine…. Sua sorella. Il dolore era così forte ed acuto che Kyle smise di badarci. Semplicemente chiuse gli occhi, aspettando la fine, mentre respirare diventava sempre più difficile e penoso. Eric continuò a prenderlo a calci e pugni, a riempirlo di insulti, sino a quando non divenne muto e cadde per terra. Kyle aprì gli occhi, senza capire cosa stesse succedendo, ed intravide una figura alta, con lunghi capelli stagliarsi poco lontano da lui. ―Addio, stronzo. ― la voce di Melanie gli arrivò nitida alle orecchie e Kyle si abbandonò a se stesso. Chiudendo gli occhi, poteva vedere nitido il sorriso della sorella, in quel momento.
 
 
 
Appena sentì le urla e capì cosa stava succedendo, Melanie si precipitò giù per le scale. I suoi genitori erano fuori casa e nessuno poteva aiutarla, in quel momento. Senza prendere la giacca, si tuffò nell’aria fredda della sera ed iniziò a correre verso le due sagome a diversi metri da lei. Eric era così impegnato a picchiare suo fratello e a riempirlo di parolacce che non si accorse di lei.
Melanie sentì qualcosa di caldo ribollire all’altezza del petto e poi inondarle il corpo, rendendola forte. Eric avrebbe pagato una volta per tutte il male che aveva causato. Raccolse la mazza da terra e la sollevò, portandosela dietro la schiena. Poi, con tutte le forze che aveva, colpì Eric sulla testa, mandandolo a finire lungo disteso per terra. L’adrenalina scemò rapidamente così come era venuta e Melanie si ritrovò con le gambe tremanti ed un sorriso di vittoria stampato sul viso. ―Addio, stronzo. ― disse, spostando con un calcio il corpo del suo ex-ragazzo da quello di Kyle. Poi si chinò preoccupata su quest’ultimo. Aveva gli occhi chiusi ed era messo malissimo.
Melanie serrò la mascella, prese il cellulare e si impose calma e freddezza. Chiamò l’ambulanza per il fratello e poi fece una telefonata anonima. Una telefonata che avrebbe dovuto fare parecchio tempo prima. Fece nomi e cognomi, luoghi di spaccio e fornitori, posti d’incontro per le decisioni importanti e, soprattutto, diede l’indirizzo della casa di Eric. Quel pezzo di merda sarebbe finito nel posto in cui meritava di stare. In prigione. 

 
*WHAWAIEAH!
Hello!! (:
Finalmente siamo alla resa dei conti con Eric... ovviamente non lascio spoiler, scoprirete tutto nei prossimi capitoli che spero leggerete con passione.. :) 
Un bacione e grazie di tutto,
Kry <3 <3 <3

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Capitolo 46
*** Capitolo 46. Solo la verità. ***


Capitolo 46.

Solo la verità.

 
 
Kyle aprì gli occhi, stordito dall’effetto degli anestetici. Guardò per un attimo il soffitto bianco sopra la sua testa, poi arrivarono tutti gli altri sensi.
Sentiva delle voci, pianti sommessi, tintinnii. Avvertiva la stoffa leggera della veste sopra la sua pelle ed un intenso dolore al braccio. E delle dita che stringevano la sua mano destra. volse il capo in quella direzione e vide Melanie seduta su una sedia di fianco a lui, lo sguardo stanco e preoccupato. Aumentò leggermente la pressione sulle dita della sorella, per farle capire che era sveglio.
Non era sicuro di riuscire a parlare.
Melanie alzò gli occhi su di lui e sorrise. ―È finita.
Kyle sentì di non poter essere più rilassato. Si abbandonò a sua volta ad un sorriso sereno e socchiuse gli occhi. ―Lo so, Mel. E tutto grazie a te. ― sussurrò.
Melanie sorrise dolcemente e gli accarezzò il braccio. ―Veramente è stato tutto grazie a te, Kyle. Se non ti fossi fatto picchiare come un dodicenne probabilmente non avrei mai trovato il coraggio di fare quello che ho fatto.
Kyle sospirò. Quel momento poteva essere perfetto, ma non lo era.
C’erano ancora alcune tessere del puzzle che non si incastravano al loro posto.
I suoi amici.
E Katherine.
Guardò la sala vuota a parte lui e sua sorella. ―Mamma è papà? ― chiese.
―Sono andati a lavoro. Avrebbero voluto rimanere ma ho detto loro di andare. Sono le undici, non hai aperto occhio da ieri sera. ― Melanie gli regalò uno dei suoi sorrisi più dolci. ―Perché sei così triste?
Kyle spostò lo sguardo nuovamente sul soffitto. ―Sono solo stanco. ― rispose. Ed era vero. Ma era anche vero che era triste.
―Kyle, in tutti questi anni ho imparato a capire quando mi nascondevi qualcosa, fidati. E questo è uno di quei momenti. ― replicò la sorella, parlando tranquillamente. Kyle tornò a posare gli occhi color caramello su di lei.
Sentiva che poteva dirle tutto. Rivelarle ogni cosa.
Lei avrebbe capito. ―Ho tradito la ragazza che amo più d’ogni altra al mondo. ― sussurrò, con gli occhi che si riempivano di lacrime. ―E ho perso la sua fiducia e quella dei miei amici.
Melanie sollevò una angolo delle labbra ed inclinò la testa di lato, lasciando che i capelli le scivolassero lungo la spalla come una tenda d’oro. ―Se anche lei ti ama veramente, tutto si sistemerà. ― scostò una ciocca di capelli dalla fronte del fratello e gli accarezzò una guancia. ―Ma tu, ― riprese, assottigliando lo sguardo, ―non devi fare più il coglione, perché il dolore che provi adesso potrebbe essere diecimila volte più forte se la perdessi per sempre, sono stata chiara?
Kyle annuì, scoraggiato. ―Credo di averla già perduta per sempre.
Melanie scosse la testa e gli sorrise. ―Kyle, nessuno vorrebbe perdere una persona fantastica come te. A volte sei stupido, sei coglione e pensi solo a divertirti, commetti errori imperdonabili, ma sei una persona buona. Nessuno avrebbe mai fatto per me quello che tu hai fatto per me, Kyle. E se la ragazza che ami ti ha conosciuto anche solo in parte, saprà come sei veramente e non vorrà perderti.
Kyle sorrise alla sorella, senza avere il coraggio di infrangere quelle belle parole che aveva detto su di lui. Katherine non sarebbe tornata.
Si abbandonò sul cuscino e guardò il soffitto. ―Vuoi raccontarmi tutto dall’inizio? ― chiese Melanie con la sua curiosità instancabile e Kyle sorrise.
Cominciò a parlare, mentre la sorella lo ascoltava senza interromperlo.
 
Melanie aveva lasciato Kyle nella stanzetta d’ospedale, addormentato.
Controllò il cellulare del fratello ancora una volta. Aveva lasciato il suo nella camera, nel caso gli fosse servito. Fissò per un momento la foto sullo schermo e continuò a camminare verso la scuola. Si fermò davanti alle scale giusto in tempo. La campanella squillò e lo sciame di ragazzi si riversò fuori. Molti, anche se più grandi di lei, le rivolsero sguardi incuriositi ed ammiccanti ma Melanie non vi fece caso.
A testa alta e senza badare a possibili distrazioni, scandagliò la folla, persona per persona sino a trovare il suo obiettivo. Puntò dritta verso la ragazza, fendendo la folla senza far caso alle proteste infastidite di chi riceveva spintoni o pestoni.
―Ciao. ― disse, fermandosi davanti alla ragazza e fissandola dritto negli occhi.
Sebbene fosse più grande di lei, la ragazza era anche più bassa, così come le sue amiche. Ma Melanie sapeva di essere molto più alta rispetto a tutte le altre ragazze della sua età e non le sembrò strano il confronto. La ragazza la guardò confusa, chiaramente perplessa dal suo arrivo. ―Tu sei Evelyn, giusto? ― chiese Melanie, correndole in aiuto. Aveva poco tempo.
La riccia annuì e Melanie la prese per un gomito e la condusse da parte rispetto al gruppetto di amiche che la circondavano. ―Sono Melanie, la sorella di Kyle.  ― chiarì, non appena furono abbastanza lontane.
Evelyn la guardò, evidentemente confusa dalla sua apparizione. Aprì la bocca per dire qualcosa ma Melanie la interruppe senza darle nemmeno il tempo di cominciare.
―Penso che tu conosca Eric. ― proruppe, cercando di fare in fretta.
Voleva tornare prima che il fratello si svegliasse, ma non sapeva quanto tempo ci avrebbe messo.
―Che è successo? ― chiese Evelyn, con una nota di evidente preoccupazione nella voce. Melanie sorrise. Le piaceva, Evelyn. Era una intelligente e andava dritto al punto. ―Kyle è stato aggredito.
Evelyn sgranò gli occhi, accorgendosi a malapena di aver portato le mani alla bocca per soffocare un urlo strozzato.
Kyle.
Aggredito.
Da Eric.
―Oh mio Dio.  ― sussurrò, guardando Melanie. ―Vado a dirlo subito alle altre. ― e, detto questo, si precipitò verso il gruppo di ragazze che la stava aspettando ai piedi delle scale. 
 
 
Quando arrivarono in ospedale, Kyle era già sveglio e si guardava intorno con espressione annoiata e dolorante. Decisamente gli anestetici stavano finendo il loro effetto perché ad ogni mossa, il ragazzo stringeva le palpebre per il dolore. Melanie aprì la porta sorridente. ―Ciao, Kyle, sei sveglio da molto?
Il ragazzo alzò lo sguardo e rimase a bocca aperta. ―E loro che ci fanno qui? ― chiese sgranando gli occhi.
Amy spinse da parte Evelyn e incrociò le braccia al petto. ―Oh, bè Kyle, anch’io sono felice di vederti.
Il ragazzo la guardò con le lacrime agli occhi. ―Sei davvero felice di vedermi? Tutte voi lo siete? ― chiese, guardando titubante anche le altre ragazze.
C’erano solo Evelyn e Sarah, oltre Amy, Katherine non era con loro. Kyle avvertì un doloroso vuoto allargarsi nel petto. Ma era felice che le ragazze fossero lì. ―Certo che lo siamo! ― rispose Evelyn con le lacrime agli occhi, mentre Sarah annuiva.
―Sei un coglione! ― esplose invece Amy, rossa in viso.
―Amy! ― la redarguì Evelyn, girandosi di scatto verso l’amica. Ma Amy non la guardò nemmeno.
Si diresse accigliata verso Kyle e, con stupore di tutti, gli si fermò accanto e gli sorrise dolcemente. ―Non combinare più cazzate, okay? ― gli chiese, con una voce così dolce e serena che non sembrava nemmeno la sua.
Poi, si chinò lentamente su di lui e, per la prima volta, gli posò un piccolo bacio sulla guancia, nello stupore generale. Kyle la guardò senza sapere cosa dire, colpito dall’atteggiamento di Amy. L’aveva sempre vista come la dura e la rompipalle della situazione, senza mai conoscere la sua dolcezza. Amy continuò a sorridergli e gli fece una leggera carezza sulla fronte. Poi fece qualche passo indietro, per lasciare posto alle altre ragazze. Evelyn corse a festeggiarlo e lo abbracciò così forte che Kyle gemette per il dolore. ―Oh, scusa scusa! ― esclamò subito, lasciandolo andare immediatamente. Kyle si concesse una piccola risata. ―Non preoccuparti. ― le sorrise. ­―Sono contento che tu sia qui. ― mormorò con un sorriso. Gli occhi di Evelyn si riempirono di lacrime. ―Mi dispiace!
―E di che? ― le chiese lui con un piccolo sorriso sulle labbra. Le scostò un ricciolo dalla fronte e glielo portò dietro l’orecchio.
―Mi dispiace di non averti aiutato e di averti trattato male nell’ultimo periodo, nonostante tutti i tuoi sforzi di farti perdonare. ― tirò su col naso.
―Non dirlo mai più. ― disse Kyle, facendosi scuro in volto. ―Chi ha sbagliato sono stato io. Io non ho saputo mantenere la vostra amicizia e mi sono comportato da stupido senza pensare alle conseguenze. Voi, invece, siete degli amici fantastici.
Evelyn gli sorrise e si asciugò le lacrime. Si alzò e Sarah si avvicinò a Kyle e lo abbracciò dolcemente, senza stritolarlo come aveva fatto l’amica. ―Sei stato fortunato ad avere una sorella coraggiosa come la tua. ― gli disse, guardando anche Melanie che aveva raccontato loro come erano andate le cose mentre andavano all’ospedale.
―Già! ― esclamò Amy solennemente, iniziando ad annuire. ―Una sorella con le palle!   
Melanie scoppiò a ridere e le due ragazze si guardarono sorridenti, con una complicità che andava al di là dei rapporti tra due semplici conoscenti.
In quel momento la porta si aprì ed entrarono i ragazzi, tutti trafelati. ―Ciao, Kyle. ― proruppe Chris, ansimante.
―Amy ci ha avvisati e siamo venuti il prima possibile. ― disse Jordan rivolgendo alla ragazza un piccolo sorriso.
Lee si avvicinò al lettino e lo salutò. ―Noi non ci conosciamo ancora molto bene ma ho sentito belle cose sul tuo conto.
Nella stanzetta scese il silenzio e poi tutti scoppiarono a ridere.
―Sicuramente chi te le ha dette ti stava prendendo per il culo o si stava esercitando a raccontare cazzate! ― intervenne Amy, riprendendo il suo solito cipiglio battagliero.
Lee la guardò e le rivolse uno strano sorriso. –Strano, Amy… perché molte delle belle parole spese sul suo conto me le hai dette proprio tu!
Nella stanzetta scrosciarono ancora una volta le risate di tutti mentre Amy si faceva rossa rossa in viso e si toccava la nuca imbarazzata e Kyle la guardava incredulo.
―Sì, beh… era solo che non volevo ammettere con che razza di imbecilli uscivamo! Dovevo pur fare una bella impressione con il nuovo acquisto della comitiva! ― farfugliò la ragazza guardandosi i piedi.
―Non mi sembra necessario che tu debba sforzarti di fare una bella impressione, quando hai me e la mia figaggine a portata di mano! ― si vantò Jordan ammiccando.
Amy lo guardò indignata e lo spinse via con fare scherzoso.
―Non ci staremo mica dimenticando di chi è il vero figo della situazione, vero? ― intervenne Chris passando un braccio attorno alle spalle di Evelyn e sfoderando un sorriso seducente.
―Oh, grazie, Chris, iniziavo a credere che vi foste scordati di me! ― intervenne Lee, guadagnandosi delle occhiatacce da parte di Jordan e di Chris. Evelyn, Sarah, Amy e Melanie se la ridevano di gusto nel frattempo.
―Ehi, e io, allora? ― intervenne Kyle, che nella classifica dei fighi si riteneva sempre al primo posto.
―Con tutto il rispetto, Kyle… ― intervenne Lee.
―Ma ti sei visto? ― chiese Jordan, scoccandogli un’eloquente occhiata.
―Sei completamente livido ed ammaccato, non mi sembri in condizione di partecipare a questa importante conversazione! ― concluse Chris, annuendo solennemente. ―Non che normalmente potresti farlo, s’intende… ― aggiunse guardandolo dall’alto in basso.
―Ehi! ― esclamò Kyle indignato. ―Per tua informazione sono uno strafigo normalmente e fonti certe mi hanno comunicato che un maschio con lividi viene giudicato molto più attraente dall’altro sesso che di uno senza nemmeno un graffio.
Jordan, Chris e Lee si guardarono dubbiosi. ―Voi che dite? ― chiese Lee alle ragazze, che guardavano sghignazzando la scena.
―Beh… ― intervenne Evelyn, che trovava Kyle decisamente non attraente ricoperto di lividi, ―il suo effetto lo fa… ― mormorò incerta.
Kyle lo prese come un complimento ed iniziò a sorridere come un idiota con le labbra tutte gonfie e spaccate, mentre Chris sbuffava sonoramente e scuoteva la testa in segno di disapprovazione.  Gli sguardi si volsero verso Sarah e la ragazza trattenne a stento un sorriso nell’osservare quello speranzoso e supplicante di Kyle e quelli di minaccia da parte degli altri ragazzi. ―Concordo con Evelyn. ― disse la ragazza annuendo. ―Kyle ha un suo fascino, combinato così.
Melanie intervenne, sorridendo apertamente. ―Beh, Kyle è mio fratello ed è strafigo in ogni caso. ― Kyle la guardò con gratitudine.
―Beh, se sei sua sorella non conta! ― protestò Jordan mentre gli altri due mormoravano assensi. ―Amy, tu che ne pensi? ― chiese poi, rivolto alla ragazza.
Amy sorrise con perfidia e i tre ragazzi si guardarono vittoriosi, mentre lo sguardo di Kyle si adombrava di paura.
―Io dico… ― iniziò con calma la ragazza, ―che me ne sbatto altamente di chi tra voi è il più “figo” ― disse, calcando la voce sull’ultima parola e mimando le virgolette con le dita.
Jordan si illuminò. ―Perché sei già fidanzata con me, che ovviamente sono il più figo di tutti e non c’è nemmeno bisogno di specificarlo! ― esclamò su di giri.
Amy gli rivolse un sorriso angelico. ―No. ― disse con voce dura, mentre Jordan si sgonfiava come un palloncino e gli altri tre ragazzi ridacchiavano.
―Me ne sbatto altamente, ― proseguì, ―perché non importa chi tra voi sia il più bello. La gente, quando si gira per guardarci, si gira perché guarda noi ― disse indicando con un sorriso se stessa, Evelyn e Sarah, ―e non voi. ― aggiunse con una punta di acidità nella voce.
Mormorii di dissensi si alzarono a profusione dai ragazzi.
―Ehi!
―Non è giusto!!
―Non vale!
―Ma che dici!!!
Amy sorrise vittoriosa, mentre le altre ragazze la spalleggiavano. ―Noi usciamo e vi lasciamo alle vostre questioni! ― esclamò ridendo, mentre i ragazzi protestavano senza sosta.
Quando la porta si richiuse alle loro spalle, le quattro ragazze scoppiarono a ridere senza riuscire a fermarsi.
―Dio, le loro facce! ― ansimò Sarah.
―Non avevo mai visto mio fratello preso in contropiede a quel modo!! ― rise Melanie, mentre Evelyn ed Amy riprendevano fiato.
―Hai inviato un messaggio a Katherine? ― chiese Evelyn, girando il viso verso Amy.
La ragazza annuì. ―Sì gliel’ho inviato mentre venivamo qui, ma non mi ha risposto. Oggi aveva la sesta ora, quindi uscirà a momenti. ― disse, controllando l’orologio.
Le ragazze emisero un sospiro di frustrazione.
―Secondo voi verrà? ― chiese Sarah preoccupata.
Amy annuì. ―Sì.
  
 
Quando Katherine accese il cellulare, una volta fuori da scuola, si sentiva come negli ultimi giorni. Stanca, spossata e con una gran voglia di dormire e dimenticare Kyle e le sue fidanzate. S’incamminò verso casa e quando il cellulare le vibrò nella tasca fu tentata di non guardarlo nemmeno, convinta che fosse un altro degli inutili messaggi di Kyle.
Poi però si morse le labbra, indecisa.
Kyle non si era fatto sentire da quando lei l’aveva scacciato via, il giorno prima. Forse aveva preso sul serio la sua richiesta e aveva deciso di rinunciare a lei una volta per tutte. Da una parte si sentiva sollevata, dall’altra ferita.
Ma non si poteva non essere feriti in quelle situazioni.
Scosse il capo, mentre alcune ciocche di capelli sfuggivano dalla coda disordinata che si era fatta in fretta quella mattina. Prese il cellulare e con dita tremanti, lesse il messaggio. Si sentì delusa e allo stesso tempo rincuorata nel leggere che il messaggio era di Amy e non di Kyle. Poi il mondo sprofondò. Katherine si fermò al centro della strada, mentre ghiaccio e gelo le penetravano nelle ossa, nelle vene, nel corpo. Intorno a lei vi era solo freddo e neve.
E in quell’istante capì che non le importava cosa avesse fatto Kyle.
Non le importava perché in quel momento lui aveva bisogno di lei, lui stava male ed era una cosa grave.
Una macchina frenò a pochi centimetri dalle sue gambe e il clacson prese a suonare impazzito mentre il conducente del veicolo si sporgeva dal finestrino e le urlava contro insulti irripetibili. Ma Katherine non aveva tempo per lui, non aveva tempo per niente.
Si voltò nella direzione opposta a quella presa precedentemente e iniziò a correre.
Sentiva i passi riecheggiare e lampi di immagini le balenavano nella mente.
Il sole che brillava tra i capelli di Kyle, il suo sguardo che luccicava ogni volta che la guardava, la bocca che si solleva va in un sorriso in cui solo lei riusciva a leggerci tutta la dolcezza e la bontà. No, non voleva perderlo.
In qualsiasi caso, qualunque cosa fosse accaduta lei non voleva e non poteva perderlo.
Si era innamorata di lui, e senza di lui smetteva di esistere. Tutta la sua vita perdeva significato, si trasformava in fumo grigio e volava via.
Raggiunse l’ospedale senza nemmeno accorgersene.
Le istruzioni di Amy erano chiare: quarto piano.
Salì le scale di corsa, una rampa, due, senza mai fermarsi, il cuore in gola, il respiro spezzato.
Stanza 618.
Katherine superò la porta con i lastroni di plastica e guardò l’uscio accanto a lei. La targhetta citava: Stanza 589.
Riprese a correre, senza un attimo di tregua, senza un attimo di respiro, fitte acute ai fianchi, polmoni che bruciavano, gola calda ed infiammata.
Scorse delle figure familiari davanti ad una porta azzurra.
Più si avvicinava più le riconosceva.
Amy, Evelyn, Sarah e Melanie, la sorella di Kyle che aveva visto in foto, una volta.
Senza fiato e sul punto di svenire, Katherine si fermò davanti alla porta.
Le ragazze sgranarono gli occhi ed Amy le spinse immediatamente da parte, spalancando la porta e spingendola dentro.
Le chiacchiere allegre si fermarono.
Katherine sentì il silenzio farsi sempre più spesso attorno a lei, mentre riprendeva fiato. Lee, Chris, Jordan e Kyle la guardavano incantati.
Amy tossì nervosamente dietro di lei e i ragazzi abbandonarono la stanza, lasciandola sola con Kyle.        
Solo in quel momento Katherine si rese conto coscienziosamente di cos’aveva fatto.
Di cosa stava facendo.
Si avvicinò cautamente al letto sul quale era steso Kyle, che continuava a guardarla in silenzio, e si lasciò cadere sulla sedia accanto a lui.
Per i primi istanti regnò il silenzio, mentre Katherine si sforzava di pensare cosa dire.
Poi, titubante, posò una mano su quella di Kyle.
Il ragazzo sgranò gli occhi. ―Quindi mi hai… mi hai perdonato? ― chiese esitante.
Katherine sorrise e scoppiò a piangere mentre annuiva.
Kyle le accarezzò i capelli. ―Shh…
Katherine tirò su col naso e cercò di asciugarsi gli occhi.
―Shh… ― ripeté Kyle, sorridendole dolcemente.  ―Non piangere. Io dovrei piangere per tutto il male che ti ho fatto. 
Katherine alzò gli occhi su di lui. ―È che… non riesco a non essere arrabbiata con te per quello che hai fatto… ― sussurrò, tirando su col naso. ―ma allo stesso tempo ho capito che non posso lasciarti Kyle. Io… io ti amo troppo e non posso perderti, in qualunque caso, in qualunque senso. ― scosse la testa, cercando di farsi capire.
Poi lo guardò e capì che non c’erano bisogno di parole, perché Kyle sapeva, lui capiva.
Lentamente, cercando di trattenere le smorfie di dolore, Kyle si mise a sedere e sollevò lievemente il volto di Katherine. Le posò un dolce bacio sulle labbra, il primo, dopo quelli che gli erano sembrati secoli.
E lei ricambiò, dischiudendo le labbra, senza staccare gli occhi dai suoi.
Lacrime mute scivolarono lungo i loro volti e in quell’istante, si promisero silenziosamente di non allontanarsi mai più l’uno dall’altra.
Qualunque cosa fosse accaduta.
 
Fine.
 
*WHAWAIEAH!
Ciao a tutti, rieccomi con il nuovo capitolo!! <3
Spero vi sia piaciuto e spero vogliate lasciarmi un vostro parere ;D
Scusate se non ho risposto ancora alle recensioni, proverò a farlo il prima possibile... per il prossimo capitolo, l'epilogo, dovrete aspettare sabato (:
Intanto, ho pubblicato il primo capitolo di una nuova storia romantica ecco qui...
Ice Dream spero che vi piaccia se deciderete di farci un salto... :) e per istigare un po' la vostra curiosità, ecco qui il trailer della storia realizzato da Astrid  :) Trailer: Ice Dream 
Spero di avervi regalato una buona lettura... E prima che me ne dimentichi!!!

PER CHI VUOLE SAPERE COSA SUCCEDE TRA KYLE E KATHERINE:
Pieces of Heart 
Un bacio a tutti <3
Kry (:

ORDER OF THE PHOENIX*
 

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Capitolo 47
*** Capitolo 47. Epilogo. ***


Capitolo 47.

Epilogo.

 
Trailer: Sei romantico come... un camionista analfabeta EFP 
Banner e trailer realizzati da Pinoolast's Graphic- Video 
Potete chiedere di tutto, saranno felicissime di realizzare ogni cosa ;D
 
 


Qualche mese dopo.
 
 
―Dai, andiamo! ― rido e scavalco la bassa ringhiera.
Con un salto atterro sulla sabbia morbida e inizio a correre verso il mare.
Lui impreca dietro di me, ma mi segue e sorrido, perché così è ancora più divertente. Mi chiama, ma non rispondo. Sollevo nuvole di sabbia mentre cerco di correre più veloce di lui, ma mi raggiunge in un niente. Le sue mani mi circondano la vita e in un attimo siamo giù tutti e due, abbracciati nella sabbia mentre ridiamo come due bambini.
Questo momento potrebbe non finire mai.
Il sole rosso si riflette sul suo viso e i suoi occhi nocciola sembrano brillare ancora più intensamente. Una folata di vento freddo mi fa rabbrividire e lui si stringe ancora di più a me, come a volermi proteggere.
Sospiro e gli passo le mani dietro la nuca, avvicinando il viso al suo.
Gli sfioro dolcemente le labbra con le mie, come feci la prima volta a “L’occhio del mare”. Lui approfondisce il bacio e sospira delicatamente il mio nome, facendolo aleggiare tra noi come qualcosa di magico.
Evelyn.
Mai mi era parso così bello e armonioso.
Gli sorrido e mi aiuta a rimettermi seduta.
Mi passa una mano attorno alla vita e quasi contemporaneamente volgiamo gli occhi verso il sole che si tuffa nel mare, facendolo brillare dei suoi mille riflessi colorati.
Poggio la testa sulla sua spalla e sospiro.
Pochi momenti potrebbero essere così perfetti come questo.
Mi stringo a lui e inalo il suo profumo. Sa di caffè, di sapone e di casa.
―Chris… ― sospiro, socchiudendo gli occhi e guardandolo attraverso le ciglia.
Mi guarda e mi sorride teneramente, facendomi sentire protetta e in pace con il mondo. Quando mi sfiora per togliermi un ricciolo dalla fronte, sento un fremito attraversarmi tutta.
Solo lui riesce a farmi questo effetto ogni volta.
Ogni gesto è qualcosa di intimo, familiare e piacevole.
Mi accarezza la guancia con il pollice.
―Dimmi che non finirà mai. Questo momento. Dimmi che durerà per sempre. ― sussurro, assaporando il senso dell’ignoto trasmesso dalle mie parole.
Il suo sorriso si estende, sempre così luminoso ed accogliente. ―Non finirà mai, Ev. Te lo prometto.
Adesso sorrido anch’io, sapendo che dice la verità.
―Ti amo. ― sussurriamo insieme, mentre il sole si riflette nei nostri occhi.
 
 
 
―Mamma, papà, lui è Jordan. ― dico, facendomi fa parte e lasciando che si presentino in santa pace. Mia madre ha un sorriso decisamente enorme stampato sul viso, mentre mio padre è un po’ rigido e scruta Jordan con fare sospettoso.
―Piacere. ― mormora lui, per nulla intimorito dalle occhiatacce intimidatorie di papà. Sorrido nel constatare che Jordan riesce a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
Quando ho detto a mamma che stavo con un ragazzo è stato davvero imbarazzante.
E poi aveva già capito tutto, quindi metà delle cose che dovevo dire le ha dette lei al posto mio. E mi ha risparmiato anche la fatica di dirlo a papà, correndo subito da lui a spiattellargli tutto.
Ovviamente, hanno voluto subito organizzare un pranzo per conoscerlo.
Ci sediamo a tavola, Jordan alla mia sinistra che sorride come un fotomodello.
I miei sono persi da lui.
Mia madre è convintissima che non esista ragazzo migliore, mentre mio padre lo scruta ancora minaccioso, ma appena Jordan inizia a parlare cominciano subito a discutere animatamente di calcio e questioni logistiche.
Io e mia madre ci scambiamo un’occhiata d’intesa e ci alziamo per portare i piatti a tavola.
Appena arriviamo in cucina, mia madre sospira di felicità. ―È davvero un bravo ragazzo, Amy! ― esclama compiaciuta. ―Bello, intelligente e soprattutto in gamba. Guarda come parla con tuo padre! Sembra che si conoscano da una vita!
Mi lascio andare ad una risata divertita. ―Sì, sì. Se la cava piuttosto bene. ― mormoro, ripensando all’agitazione con la quale Jordan aveva affrontato i giorni precedenti al grande incontro.
Aveva voluto che gli raccontassi per filo e per segno com’erano fatti i miei, i loro gusti, le loro passioni, film e libri preferiti. Di tutto, insomma.
―È stato lui, vero? ― chiede ad un tratto mia madre, il sorriso che le scompare improvvisamente dal viso.
La guardo senza capire e lei mi rivolge uno sguardo angosciato. ―Tate. ― sussurra, come se fosse un nome tabù.
Annuisco, ripensando cupamente a quel giorno di parecchi mesi fa.
―Non l’abbiamo mai ringraziato. ― sussurra mia madre, con le lacrime che le riempiono gli occhi.
Mi avvicino a lei e l’abbraccio, colpita da tutta questa fragilità improvvisa.
E poi vengo assalita da un pensiero. Quant’è stato difficile per lei, madre, superare una notizia come quella? Sua figlia vittima di stalking, perseguitata, seguita, aggredita. Per quante notti deve aver fissato il soffitto, nel letto, senza riuscire a prendere sonno per i sensi di colpa causati dal non aver capito cosa mi stava succedendo? Quante notti sarà venuta a controllarmi mentre dormivo, ad assicurarsi che non facessi brutti sogni o che stessi bene?
Io ho superato quel momento grazie all’aiuto di Jordan e dei miei amici. Ma lei, solo ora me ne rendo conto, non ha avuto nessuno a tirarla su e a consolarla eccetto mio padre, anche lui vittima degli stessi dubbi, probabilmente. E in quel momento capisco quanto mia madre abbia bisogno di me. L’abbraccio ancora più forte. ―Non preoccuparti, mamma. Non è il caso di tirare fuori quest’argomento, adesso. È un giorno felice non dobbiamo pensare a cose brutte.
Lei annuisce e sorride di nuovo. ―Hai ragione. ― dice e mi accarezza dolcemente una guancia prima di prendere un piatto e portarlo nell’altra stanza.
Riprendo il mio posto accanto a Jordan e gli stringo forte la mano da sotto al tavolo.
Risponde alla mia stretta, senza staccare gli occhi da quelli di mio padre e io so che lui è con me in ogni caso, e così sarà sempre.
 
Appena terminato di sparecchiare, lascio i miei genitori in cucina, prendo Jordan per mano e me la filo in camera mia.
Abbiamo bisogno entrambi di una pausa.
Lui dalla caterva di domande che gli vengono poste, io da tutto il chiacchiericcio che ne deriva dalle risposte.
Chiudo la porta e quando mi giro, Jordan è tutto sorridente davanti a me.
Mi afferra il viso tra le mani e mi bacia con passione, trasmettendomi un’energia nuova, potente, che mi elettrizza dalla testa ai piedi.
Sento uno stupido sorriso spuntarmi sul viso e spero di non avere niente tra i denti, perché. non riesco. a coprirlo.
Jordan si stende sul letto, la mano a reggere la testa e gli occhi azzurri che brillano mentre mi guardano.
Qualcosa mi si scioglie nel petto mentre afferro il blocco da disegno e mi metto all’opera. Il suo viso mi esce familiare sulla carta, la matita che traccia lineamenti che conosco a memoria, il sorriso con quella piega all’insù che lo rende così sensuale, gli occhi azzurri contornati dalle ciglia lunghe e scure, i capelli indomabili che gli ricadono disordinati sulla fronte.
Lo guardo con aria sognante e lui deve essersene accorto perché ammicca verso di me con l’aria di chi la sa lunga. ―Non vorrai mica farlo con i tuoi nell’altra stanza, giusto? Se ci beccassero sarebbero guai… ― dice divertito.
―Shhh! ― intimo e gli lancio un cuscino addosso per farlo tacere.
Dio, in certi momenti potrei ucciderlo per quanto è scemo!
―Non muoverti! ― gli ordino subito dopo, aggiustandogli il ciuffo di capelli sulla fronte. Concentrata, riprendo il mio disegno mentre lui mi studia attentamente.
Sento il suo sguardo pizzicarmi la fronte e bruciarmi lungo tutto il corpo.
Cancello per l’ennesima volta un tratto uscito male e gli lancio la gomma addosso per l’esasperazione. ―Cristo, se continuerai a guardarmi in quel modo mi scioglierò! ― sibilo irritata.
Jordan ridacchia e continua a fissarmi. ―Quale modo, scusa?
―Esattamente quello! ― ribatto, imitando il suo sguardo intenso, caldo e sensuale.
Ma non credo di esserci riuscita al meglio.
Jordan rovescia il capo all’indietro e si lascia andare ad una risata senza pari.
Sono indecisa se approfittare del momento ed immortalarlo in un foglio di carta, oppure prenderlo a ceffoni.
Non faccio in tempo a decidere perché mi ritrovo tra le sue braccia protetta da un abbraccio caldo e profumato.
Il cuore inizia a battere veloce contro il mio petto e il respiro si fa troppo corto. ―Non vorrai mica farlo con i miei nell’altra stanza, giusto? Se ci beccassero sarebbero guai…― dico, scimmiottando la sua voce per rompere la tensione.
Jordan non risponde e avvicina le sue labbra alla mia tempia, mentre con una mano mi accarezza i capelli. ―E perché no? ― sussurra, facendomi rabbrividire. ―Dopotutto il rischio mi è sempre piaciuto.
Gli lancio un’occhiata scettica, o almeno ci provo. Il cuore mi batte troppo forte e mi fa diventare matta, mi sento accaldata e ho le gambe decisamente troppo molli.
Deglutisco vistosamente e l’angolo destro delle labbra di Jordan si solleva con fare ironico e terribilmente sexy. Avvicina il viso al mio e chiudo gli occhi lasciandomi scivolare verso il piacere di un bacio dolce e denso.
Non avrei mai creduto di poter amare una persona tanto intensamente.
Tanto intensamente da sentirmi male, da farmi mancare il fiato e da essere sul punto di svenire ogni volta che gli sto accanto. Schiudo le labbra e le nostre lingue si sfiorano mentre una mano di Jordan scivola sulla mia vita e le dita iniziano ad accarezzarmi languidamente la pelle scoperta dei fianchi.
Ci stacchiamo per un attimo e socchiudo gli occhi, solo per guardare lo splendido ragazzo che tra tante, ha scelto proprio me.
Ha scelto me, Amy la psicopatica, la ragazza strana e scurrile, quella lunatica che se ne sta sempre per conto suo.
Tra tante, tra tutte, lui ha scelto me e gliene sono grata.
Perché non saprei dove sarei senza di lui e non solo per Tate. Sono così felice quando sono con lui che non potrei pensare di ritrovarmi senza questa felicità. Lo amo troppo e la cosa mi spaventa, ma mi riempie allo stesso tempo di gioia.
Distendo le labbra in un piccolo sorriso, mentre il sole entra dalla finestra e inonda la stanza, schiarendo i colori e scacciando le ombre, insieme a tutti i miei dubbi.
―Ricordi quella sera, in spiaggia, quando tu non volevi vedermi? ― sussurra le dita che risalgono lungo il mio corpo per accarezzarmi una guancia.
Annuisco.
―Mi hai detto che non potevi vivere nell’insicurezza e che avevi bisogno di stabilità. ― mormora, lo sguardo spinto lontano a ricordare quella sera.
Gli accarezzo le labbra morbide con la punta delle dita, soffermandomi sulla leggera spaccatura dovuta al freddo. ―Mi hai detto che mi amavi. ― rispondo. ―E che era l’unica certezza che potevi darmi.
Adesso mi guarda e sorride. Senza doppi significati, è un sorriso nudo e sincero, semplice e profondo e io mi perdo in lui, in tutto quello che è, nei suoi occhi, nel suo profumo di mare e fresco, nelle sue labbra, nel suo corpo premuto contro il mio.
―Modifico la mia frase, allora. ― dice e lo guardo, aspettando che continui.
―Ti amo. ― sussurra, mentre i nostri nasi si sfiorano. ―E resteremo insieme per sempre, non ti lascerò mai. È una certezza.
Colma la poca distanza che ci separa e mi bacia di nuovo.
Mi lascio andare ancora una volta, sentendo che non potrei stare meglio di così.
Non potrei desiderare niente di meglio.
Ed improvvisamente, so di avere un’altra certezza.
Il mio colore non è più nero, non è più neutro, in attesa di una svolta.
Ho compiuto quella svolta tempo fa e solo ora me ne rendo conto. Io sono un arcobaleno, io sono mille colori felici, tutti insieme, mescolati confusamente l’uno nell’altro, in un’esplosione di gioia e di energia.
 
 
Mi do uno slancio con le gambe, ed inizio a scivolare sull’asfalto irregolare. La mia risata permea l’aria attorno a me e non riesco a smettere perché ogni cosa mi urla felicità. Il cielo, gli alberi, la gente, la luce, tutto.
―Vuoi fermarti? ― mi urla da dietro e con un movimento solo mi giro verso di lui, mentre arranca sui roller con difficoltà.
―Sembri una scimmia antropomorfa! ― rido, guardando Lee che si avvicina verso di me agitando le braccia come un orango per rimanere in equilibrio. ―Sei uscito direttamente dalla giungla di Tarzan? Ah, ecco dove ti avevo già visto! Insieme a Cita! ― infierisco, socchiudendo gli occhi mentre gongolo sadicamente.
Mi lancia un’occhiataccia mentre cerca di non scivolare. ―Ricordami perché stiamo rischiando la vita su questi cosi al posto di camminare come tutte le persone normali. ― dice, avvicinandosi pian piano.
Mi faccio poco più indietro, senza che lui se ne accorga e sorrido apertamente. ―In onore dei vecchi tempi, naturalmente! Quando io venivo qui a correre e tu te ne stavi a guardare e a macerare perché non sapevi pattinare. Non sei migliorato molto, col passare del tempo… ― lo stuzzico, allontanandomi ancora un po’.
―Ah-ah, non provocarmi. E soprattutto non allontanarti di soppiatto, ti ho vista, sai?
Lee pianta i suoi occhi nei miei e io sorrido angelicamente prima di darmela a gambe. Per i primi secondi rimane fermo, poi si convince ed inizia l’inseguimento, prendendo finalmente dimestichezza con i pattini.
Se stai lì, con la paura di non cadere non farai mai un passo, ma se ti slanci è tutto molto più semplice.
Mentre fendo l’aria, mi sento una freccia e ascolto a malapena le parole di Lee, dietro di me. Rido ancora e decido di fargli uno scherzo.
Appena svolto e sparisco alla sua vista, mi nascondo dietro al secondo palazzo del giardino, aspettando che arrivi.
Non appena sento il rumore dei roller in avvicinamento e vedo una testa rossa spuntare sul sentiero, piombo sulla strada urlando.
Lee fa un salto e ci manca poco che piombi a terra per lo spavento.
Mi metto a ridere e non credo che questa volta riuscirò a fermarmi.
Lee mi afferra le mani e mi attira verso di lui e in un attimo sono tra le sue braccia, la testa premuta contro il suo petto. Sollevo lo sguardo, sorridente, e vedo i miei occhi riflessi nei suoi.
―Mi hai fatto prendere un colpo. ― mi accusa, mentre giocherella con una ciocca dei miei capelli.
Sorrido ancora, senza rispondere.
Poi, all’improvviso, anche sul suo viso si apre un sorriso, il sorriso del mio vecchio amico. Il sorriso furbo e intelligente di sempre.
Avvicina il viso al mio e mi bacia.
Chiudo gli occhi e sospiro, abbandonandomi alla pienezza delle sue labbra, all’accenno di barba che mi pizzica il naso mentre sfioro la sua guancia accidentalmente. Sorrido contro le sue labbra e lui apre gli occhi e mi guarda.
―Sono contento che dopo tutto questo tempo siamo entrambi qui. E siamo insieme. ― dice e mi sento inspiegabilmente felice dopo queste parole.
―Lo sono anch’io. ― gli dico.
Mi stacco leggermente da lui e lo prendo per mano, intrecciando le dita con le sue. Lo tiro verso di me e scivoliamo insieme verso casa mia.
Lui mi guarda senza capire e un leggero calore invade ogni cellula del mio corpo mentre chiedo, sicura: ―Vuoi salire?
 
 
―Ecco, prendi. ― mi dice, restituendomi Breaking Dawn con un sorriso.
Lo guardo con tanto d’occhi, aspettandomi una crisi isterica, una qualche parolaccia nei confronti della Meyer, ma niente.
―Allora? ― gli chiedo, impaziente.
―Un bel libro. ― risponde, con un sorriso sulle labbra, mentre continuiamo a camminare.
―Un bel libro? ― ripeto incredula, mentre l’indignazione si fa strada nella mia voce.
Kyle mi guarda stranito e sembra capire che qualcosa non va. ―Sì… secondo me è proprio un bel libro. Insomma, tutto doveva finire così com’è finito, no?
Spalanco la bocca, senza riuscire a credere alle mie orecchie. ―Vuoi dire che… E- Ed… ― prendo fiato, devo riprovarci.  ―Edward, ― riesco a dire, ―doveva finire con Bella?
Kyle annuisce, senza esitazione. ―Certo! Erano destinati sin dall’inizio. Insomma, sono proprio belli insieme, fatti l’uno per l’altra…
Sento la rabbia montarmi dentro tutta d’un colpo. Questo non va bene! ―E Jake? L’hai dimenticato?? Che mi dici di lui?
―Beh, se quel cretino di Jacob si faceva i fatti suoi sin dall’inizio non finiva con una poppante. Insomma, era palese che lei scegliesse Edward e vivesse per sempre felice e contenta! ― risponde Kyle imperterrito.
―Questa è un’eresia! ― esclamo irritata. ―Jake è molto meglio di quel vampiro stalker di Edward!! Ed è Bella che è scema e ha fatto la scelta sbagliata! Non andranno avanti nemmeno per un secolo!
Kyle scuote la testa, palesemente in disaccordo con ciò che dico. ―Secondo me non è così. Jacob è stato con lei solo quando Edward era partito per proteggerla, e lei ha ripiegato su di lui, di cosa di illudeva?
Ah, sento che potrei mangiarmelo vivo adesso!
―Ma cosa vai blaterando!! E poi, bella protezione che le ha dato Edward, lasciandola sola con tutti gli altri vampiri vendicatori! E in Eclipse lei lo bacia!! È ovvio che provasse qualcosa per lui!
―Pensala come vuoi. ― dice Kyle stringendosi nelle spalle. ―La fine del libro tanto è quella e quella rimarrà.
―NO! ― urlo inferocita. Non sono mai stata tanto arrabbiata in vita mia. Jake, il mio Jake, non lo deve toccare nessuno!! ―Io porrò rimedio a questa triste vicenda! Scriverò un finale dove Jacob si metterà con Bella ed Edward marcirà depresso in qualche angolo del pianeta, oppure rimarrà a guardarla da lontano, come ha sempre fatto, lo stalker!! Oppure farò mettere Jake con una bellissima ragazza e Bella soffrirà perché capirà il suo errore e marcirà al fianco del vampiro più depresso del pianeta!
―E come pensi di riuscirci? ― mi chiede scettico lui.
Lo guardo imbestialita mentre sento il sangue affluirmi al viso per la rabbia. ―Tu non sai ancora di cosa sono capace! ― esclamo, sventolando una mano in aria.
Kyle mi guarda per un attimo e poi scoppia a ridere, prendendomi per il braccio e attirandomi a lui. Per un attimo rimango disorientata dall’improvviso cambiamento di scena, un momento prima ero lì, pronta a dare battaglia e adesso sono avvolta dalle sue braccia calde e muscolose. Lo guardo negli occhi, cercando una risposta.
Lui mi sorride, scaldandomi con i suoi occhi color caramello. ―Sei sexy quando ti arrabbi.
Abbasso lo sguardo arrossendo fino alla punta dei capelli per l’imbarazzo.
Sbircio velocemente nella sua direzione e vedo che mi fissa con dolcezza. Non posso fare a meno di sorridergli timidamente, ricambiando l’abbraccio.
Abbassa il viso verso di me e mi bacia, premendomi una mano sulla schiena e spingendomi ancora di più verso di lui.
Sento ogni centimetro dei nostri corpi bruciare e fremere al contatto l’uno contro l’altro. Sbatto le ciglia, cercando di capire se sto sognando ma Kyle è vero, è davanti a me e mi stringe come se non mi volesse mai lasciare andare.
Faccio scivolare una mano nella sua e riprendiamo a camminare verso il sole.
―Katherine… ci tenevo a dirtelo. ― mi dice e lo guardo con un sorriso. ―Sei davvero la cosa più bella che mi sia mai capitata. E non commetterò più errori, con te.
Assottiglio gli occhi come mi ha insegnato Amy e lo guardo, cercando di essere il più truce possibile. ―Ci puoi scommettere. ― sibilo, passandomi il pollice sotto la gola.
Kyle ride della minaccia e io lo seguo a ruota, ritornando alla mia spensieratezza giornaliera. Il sole crea strisce luminose sull’asfalto che si srotola davanti a noi e l’aria fredda ci accarezza il viso.
Sembra uno di quei momenti che rimangono cristallizzati ed immutati, nel tempo, che vivono per sempre. E silenziosamente come feci nella stanza d’ospedale, mesi fa, mi ripeto che nulla ci separerà. Qualunque cosa accada. 


*WHAWAIEAH!
Ebbene sì... eccoci alla fine di quest'altra storia, nata per caso come saprete e che racchiude alcuni episodi davvero accaduti... spero di avervi coinvolto ed emozionato come gli scrittori degni di questa parola sanno fare... siete stati tutti dei lettori fantastici perciò vi ringrazio dal primo all'ultimo, indistintamente... GRAZIE!
Se volete leggere i missing moments attinenti a questa storia potete leggere
Rusty Halo, oppure Pieces of Heart :)
Ho anche iniziato una nuova originale romantica, Ice Dream se volete leggerla cliccateci sopra ;D
Un bacione a tutti e ancora grazie infinite!!! <3

ORDER OF THE PHOENIX*

 

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