Beastly

di sayuri_88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ciao! so che ho altre storie da portare a vanti ma questa doveva partecipare a un contest, purtroppo annullato e quindi è nel mio computer e chiede di essere letta - posto la "versione integrale" -. Allora questa storia è ispirata alla Bella e la Bestia. Avremo la nostra Bella e la Bestia ma anche il papa e le sorelle (nella versione originale Bella ha delle sorelle) l'amico e il cattivo. Spero vi piaccia e spero anche di avere qualche vostro parere. La storia è praticamente finita, sono quattro capitoli e altri due integrativi se la stria dovesse piacervi. Quindi mi resta solo di dirvi buona lettura e di fare un salto nelle mie altre storie - se vi va ovviamente -
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Capitolo 1























Isabel McKinley era una giovane ragazza di diciotto anni appena diplomata che in settembre avrebbe iniziato a frequentare l’università di Dartmouth.
 
Mancava poco, due mesi e avrebbe potuto andarsene, fare nuove esperienze e nuove conoscenze. Le si sarebbe aperto un mondo nuovo, certo avrebbe sentito molto la mancanza del padre, ma si era ripromessa di chiamarlo tutti i giorni e appena possibile, sarebbe tornata a casa.
 
Certamente le sue sorelle non le sarebbero mancate, le gemelle Clare e Heather, di due anni più grandi di lei, vivevano nella bambagia. Dopo la fine del liceo avevano iniziato a frequentare l’università, ma dopo neanche un semestre si erano ritirate, “Non ci sentivamo realizzate…” così si giustificarono al padre quando lui e Isabel se le trovarono sulla porta di casa con tutte le valige appresso.
 
Ed era proprio per trovare la loro realizzazione che convinsero il padre a pagare i loro viaggi per il mondo allo scopo, tutto a detta loro, di trovare se stesse e la loro strada.
Erano tutto l’opposto di Isabel, lei voleva laurearsi, specializzarsi e iniziare il praticantato in qualche ospedale. Voleva rendersi utile per aiutare le persone.
 
- ragazze! - le chiama il padre a gran voce.
 
Era all’ingresso con una valigia di media grandezza posata davanti a lui, il biglietto aereo in una mano e la giacca nell’altra. Si stava preparando per partire per il New Hampshire a incontrare un nuovo cliente.
Il padre di Isabel, era un agente di cambio, un dealer molto richiesto, tutti ne ammiravano il carattere e le sue capacità.
 
La settimana prima aveva ricevuto una chiamata da un suo cliente di Lebanon, nella Contea di Grafton, che lo informava di un suo amico interessato a investire del denaro.
 
Mr. McKinley era orgoglioso del suo lavoro, modestamente si riteneva uno dei migliori, aveva sempre avuto un ottimo fiuto nell’individuare qual era il campo più propizio per investire, e i suoi clienti lo premiavano concedendogli piena fiducia.
Con il suo lavoro aveva permesso alla sua famiglia di avere una vita tranquilla, non erano miliardari ma potevano benissimo togliersi qualche sfizio, e lui amava poter realizzare i desideri delle sue figlie, soprattutto dopo la morte della loro madre, che aveva lasciato un vuoto difficile da colmare in tutti loro. Il poter vedere, ogni giorno, il sorriso delle sue figlie era diventato il suo obiettivo, non voleva che gli mancasse nulla.
 
- Isabel - disse sorridendo alla figlia più giovane appena la vide spuntare dal salotto, aggrottò le sopracciglia probabilmente si aspettava di veder comparire anche le gemelle. Isabel le aveva lasciate che stavano guardando un programma televisivo sui nuovi colori per l’inverno e Isabel si chiedeva perché si facessero tutti questi problemi ora, quando era ancora piena estate.
 
- Clare e Heather stanno guardando un certo programma di moda e sai come sono fatte, non si schiodano dal divano finché non è finito - gli disse Isabel intuendo la domanda silenziosa del genitore che sorride divertito. Nonostante avessero più di 23 anni sembravano ancora delle adolescenti.
 
- Tornerò tra un paio di giorni. I numeri di emergenza sono appesi sul frigorifero, la zia Margaret è sempre disponibile se hai bisogno di qualcosa e se c’è qualche problema, chiamami in qualunque momento, intesi? -
- papa, rilassati, ho quasi vent’anni non ne ho più quindici - gli disse Isabel ridacchiando per la premura del padre - so badare a me stessa e poi che farai quando sarò a Dartmouth da sola? -
Mr. McKinley sorrise dolcemente a sua figlia. Nonostante il tempo, suo padre la continuava a considerare la sua bambina.
- hai ragione, beh allora vado - le disse prima di lasciarle un dolce bacio sui capelli - ciao ragazze! - urlò in direzione del salotto
- CIAO PAPA! RICORDATI DI PORTACI QUALCOSA DAL VIAGGIO - urlarono Clare e Heather
- certamente - disse prima di uscire in strada dove c’era un taxi ad aspettarlo.
Isabel lo guardò partire e solo quando il taxi girò l’angolo, si decise a chiudere la porta e rientrare.
 
 

***

 
 
Mr. McKinley era arrivato puntuale all’aeroporto, ed era riuscito ad evitare ritardi al check-in. L’aereo era partito in orario e il viaggio era iniziato e terminato senza intoppi. Verso mezzogiorno Mr. McKinley era arrivato all’aeroporto di Manchester e si era imbarcato sul primo aereo che lo avrebbe portato a Hanover.
Alle due di pomeriggio il taxi si fermò davanti a un enorme cancello in ferro battuto, nella periferia di Hanover, che si aprì automaticamente appena il taxi fu inquadrato dalla telecamera.
Il taxi di Mr. McKinley percorse a passo d’uomo la leggera salita che lo avrebbe portato alla casa del suo possibile cliente. Mr. McKinley scese velocemente e dopo aver pagato il taxi questo se ne andò lasciandolo da solo ad ammirare l’ingresso di una villa immensa, realizzata quasi interamente in pietra a vista, tagliate con taglio regolare.
 
- benvenuto - esordì alle sue spalle una voce bassa e cadenzata. Per lo spavento Mr. McKinley si girò di scatto impaurito, trovandosi a osservare due occhi neri che lo scrutavano intensamente.
- lei deve essere Mr. McKinley - continuò l’uomo sorridendogli amabilmente mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi dall’aria molto affilati. Non seppe il perché ma a quella vista Mr. McKinley deglutì vistosamente e non poté impedire al suo cuore di battere furiosamente.
L’uomo misterioso, anzi dovrebbe dire “ragazzo misterioso” visto che dimostra pochi anni in più delle gemelle,  come se si fosse accorto della reazione del corpo di Mr. McKinley sorrise divertito.
Indossava una leggera camicia bianca e un paio di jeans sbiaditi e ai piedi un paio di scarpe nere eleganti.
 
- s...si sono io piacere, cerco il Conte Daniel Daugherty, sono John McKinley ho un appuntamento col Conte- era molto giovane, probabilmente il figlio del Conte pensa Mr. McKinley mentre lo osserva.
- sono io il Conte, l’aspettavo con trepidazione - rispose serafico il ragazzo mentre Mr. McKinley rimase sconcertato dalla notizia. L’ultima cosa che si aspettava era trovarsi a discutere con un ragazzo che aveva da poco finito l’università.
- lei è il Conte? - chiede incredulo Mr. McKinley
- in persona - il Conte gli porse la mano che prontamente lui afferra.
 
Mr. McKinley non poté non rimarne sconcertato, percependo la temperatura della mano dell’uomo.
- Conte si sente bene? - chiese Mr. McKinley seriamente preoccupato.
- si, perché? - rispose il Conte interrogativo, ma a Mr. McKinley non sfuggi lo strano luccichio negli occhi del Conte, come se sapesse qualcosa di divertente che a lui sfuggiva.
- ha la pelle fredda, forse dovrebbe coprirsi - non riusciva a capire perché, nonostante fossero in piena estate, il Conte avesse la pelle così fredda.
- sto benissimo non si preoccupi - e nonostante il tono fosse tranquillo, a Mr. McKinley risuono come un ordine secco.
 
Con un sorriso il Conte lo invitò a entrare e lo condusse per un piccolo peristilio, occupato da statue e oggetti di diverso genere, le pareti piene di quadri di ogni genere. A Mr. McKinley sembrava di essere in un piccolo museo.
Il Conte svoltò a sinistra arrivando in una sala enorme, spoglia, se non per dei divanetti poggiati lungo le pareti e un salottino nel mezzo e nell’angolo nord occidentale un pianoforte a coda nero.
 
Lo guidò verso una saletta che si apriva sul lato nord del salone, la parte superiore delle pareti affrescate da una scena di caccia, la parete orientale è quasi interamente occupata da un bellissimo camino. Al centro, sopra un enorme tappeto è sistemato un tavolo di legno, decorato con motivi astratti.
 
Mr. McKinley era affascinato dalla bellezza della villa, ogni stanza che aveva visto era diversa dall’altra, ma non stridevano tra loro, al contrario creavano una perfetta armonia.
Il Conte si dirige verso una porta di vetro che porta in una stretta sala arredata con due poltrone e un tavolino basso.
 
- si accomodi Mr.McKinley - gli disse il Conte indicando la poltrona più vicina a lui.
- allora - esordì dopo essersi seduto, dove gli era stato indicato - Mr. Gordon mi ha detto che lei è interessato a investire, se permette le illustrerei subito il mio progetto - disse usando il suo tono professionale e diretto, che tanto apprezzano i suoi clienti. Li fa sentire in buone mani.
 
E così iniziarono a discutere di affari, terminando solo verso le sei di sera.
 
- Mr.McKinley è stato un piacere discutere con lei. Mr. Gordon aveva ragione quando mi ha detto che è il migliore - Mr. McKinley imbarazzato ma comunque inorgoglito dall’affermazione del Conte lo ringraziò.
Entrambi si alzarono e stavano ripercorrendo la strada fatta in precedenza quando un tuono squarciò il silenzio della Villa e subito la pioggia iniziò a scendere copiosa.
 
Mr.McKinley iniziava già a preoccuparsi, se il tempo rimaneva così, nessun taxi sarebbe venuto a prenderlo.
 
- sta piovendo molto forte - disse la voce del Conte facendo sobbalzare Mr. McKinley, colto alla sprovvista, ma senza fargli distogliere lo sguardo dal paesaggio fuori dalla finestra.
 
Il Conte era rimasto in silenzio fino a quel momento e i suoi movimenti erano così silenziosi che Mr. McKinley si era completamente dimenticato della sua presenza.
 

*

 
Purtroppo Mr. McKinley non si era accorto di quanto fosse vicina al suo orecchio la voce del Conte che dietro di lui sorrideva beffardo mostrando una fila di denti bianchi quanto affilati.
 
 - già… - rispose dopo essersi ripreso dallo spavento - speriamo che i taxi siano ancora in giro - disse più a se stesso con un tono basso che comunque il Conte sentì perfettamente, grazie al suo udito fine.
 
Era affamato, passare tutto il pomeriggio in compagnia di quell’uomo lo aveva messo a dura prova. Erano giorni che non si cibava e l’odore succulento di Mr. McKinley lo aveva messo alle strette.
Era vicinissimo, poteva quasi sforare quella pelle calda, era deciso ad agire. E lo stava per fare quando il telefono dell’uomo iniziò a suonare, lo fece desistere dai suoi intenti.
 

*

 
Mr. McKinley rispose quasi subito.  Al terzo squillo la voce di Isabel risuonò ovattata dal suo telefonino.
 
- Ciao tesoro! - disse felice di sentire la figlia che con voce preoccupata chiedeva informazioni sul viaggio.
- tutto bene tesoro, tra poco torno in albero e poi mi butterò nel letto quindi non preoccuparti - omise di accennare al temporale solo per non farla preoccupare troppo.
Dalla morte della madre Isabel era diventata molto apprensiva, come se temesse che la potesse abbandonare anche lui. Mr. McKinley, in quel momento pensò di essere il padre più fortunato del mondo per avere una figlia come la sua piccola Bell.
Parlarono ancora per qualche minuto prima che Mr. McKinley riaggancia il telefono augurando buon riposo a lei e alle altre sue figlie.
 
Appena si era girato per scusarsi per l’interruzione si era trovato il Conte a pochi passi da lui con un sorriso tirato sulle labbra, la postura rigida, le mani tremanti. Come se tentasse di trattenersi dal fare qualcosa.
 
- vuole farmi l’onore di essere mio ospite per questa notte? - chiese con garbo il Conte riassumendo una postura più tranquilla, tanto che Mr. McKinley credette di essersi immaginato tutto.
 
Mr. McKinley sorpreso dall’invito ci mise un po' a rispondere - oh no… non vorrei disturbare Conte non si preoccupi - il suo animo era agitato all’idea di rimanere ancora in quella casa che con il buoi della sera iniziava ad apparirgli tetra e terrificante.
 
- nessun disturbo Mr. McKinley. Così potremmo approfondire la nostra conoscenza, se dobbiamo lavorare insieme, dovremmo imparare a conoscersi - la risposta del Conte provocò una serie di brividi lungo la schiena del suo ospite.
 
La voce che aveva usato era vellutata quasi ipnotica e Mr. McKinley si sentiva come un insetto intrappolato nella tela del ragno e nonostante tutti questi suoi pensieri si ritrovò ad accettare la proposta del Conte e sperare che la serata e la nottata, passino velocemente.
 
La cena fu servita, nella sala col camino, alle 8 in punto con grande stupore di Mr. McKinley che in tutto il tempo che era rimasto in compagnia del Conte non aveva mai incontrato nessun dipendente o qualsiasi altra persona.
 
Sembrava quasi che il Conte vivesse da solo e quando gli chiese informazioni su quelli che lavoravano nella Villa e del perché non si facessero vedere egli rispose che la prima dote di una buona servitù è essere sempre presente e attiva ma che sia capace di rendersi invisibile. Ad ascoltare il discorso del Conte a Mr. McKinley sembrò di tornare indietro di qualche secolo, quando i nobili vivevano nei loro grandi palazzi e la servitù serviva e riveriva nell’assoluta obbedienza.
Un altro particolare che non passò inosservato fu la mancanza di appetito del Conte, che si giustificò con la scusa di un pranzo molto consistente.
 
Dopo la cena in cui Mr. McKinley aveva mangiato di gusto sotto lo sguardo divertito del Conte, questi propose di spostarsi nella biblioteca dove avrebbero bevuto qualcosa per riscaldarsi.
 
Fuori la tempesta imperversava con sempre maggiore violenza, il vento sbatteva con forza sui vetri accuratamente decorati delle finestre mentre Mr. McKinley seguì il Conte lungo un corridoio non molto largo ma ben illuminato, che si affacciava su un immenso giardino, fino a un’ampia stanza con scaffali pieni di libri, delle scale a chiocciola di legno portano al piano rialzato, dove uno stretto corridoio correva lungo le pareti e fiancheggiato da altri scaffali che raggiungono il soffitto.
 
- ha una magnifica biblioteca Conte - disse Mr. McKinley dopo aver osservato attentamente la sala con occhi d’ammirazione.
- grazie - e dicendo ciò si diresse verso un tavolino, dove era sistemata una bottiglia di cristallo, con all’interno un liquido ambrato e vicino due bicchieri. Prese la bottiglia e ne versò il contenuto nei bicchieri. Li prese e con passo lento si avvicinò a Mr. McKinley e gliene porse uno.
 
- Anche lei è un amante dei libri, Mr. McKinley? -
- amo leggere, ma la vera letterata è mia figlia Isabel - disse ridacchiando riportando alla memoria i giorni che Isabel passava sdraiata sul letto a leggere libri su libri.
- se non sono indiscreto, è la ragazza con cui ha parlato prima? - gli chiese interessato
- si, è la più giovane, a settembre inizierà a seguire i corsi universitari proprio qui al Dartmouth College - disse con voce orgogliosa.
- Dartmouth… è un’ottima università ma è anche costosa -
- si è vero ma non è un problema e poi per Isabel voglio il meglio. Sa vuole diventare medico! -
- un lavoro con grandi responsabilità. Ma da come la elogia, ha tutte le capacità per diventare un ottimo medico - a quell’affermazione, Mr. McKinley, sorrise raggiante e bevve un sorso dal suo bicchiere.
- ha una sua foto? - chiese all’improvviso il Conte lasciando Mr. McKinley leggermente interdetto dalla richiesta. Quella richiesta le parve strana, si chiedeva cosa gli potesse interessare di vedere la foto di una ragazza che non vedrà mai.
 
Il Conte fissò i suoi occhi in quelli di lui e il corpo di Mr. McKinley come animato da una misteriosa forza si mosse. Con la mano destra prese il portafoglio dalla tasca interna della giacca e ne estrasse il portafoglio da cui tolse una piccola foto raffigurante tre ragazze, due sorridevano vanitose all’obbiettivo, mentre, nell’angolo a sinistra, una terza che con una mano teneva i capelli dorati scompigliati dal vento, sfoggiava un sorriso semplice che trasmetteva tutta la dolcezza di lei e due occhi marroni luminosi che abbagliavano l’osservatore, e la porse al Conte e solo in quel momento Mr. McKinley sembrò tornare in possesso del suo corpo.
 
Stupito da quello che era successo, osservò il Conte che concentrato studiava la fotografia. Quella foto l’aveva scattata l’estate scorsa quando visitarono il gran Canyon, sorrise al ricordo di quella bellissima vacanza.
 
- Isabel è quella a sinistra? - gli chiese il Conte distogliendolo dai suoi pensieri.
- s…si - rispose in un sussurro.
- Isabel… un nome più che appropriato - sussurrò con una voce calda e melliflua che lo fece tremare - è bellissima - disse prima di ridargli la foto e con un sorriso enigmatico sul viso.
 
- grazie, la guardo e mi sembra di vedere sua madre - disse Mr. McKinley con un groppo in gola al ricordo della moglie defunta.
- Mrs. McKinley che lavoro fa? -
- mia moglie è morta qualche anni fa - rispose con voce triste e il dolore della perdita tornò a farsi sentire prepotente. Erano passati quattro anni ma non aveva mai superato la perdita.
- oh, mi dispiace - disse il Conte con voce dispiaciuta
- non si preoccupi, non poteva saperlo - cerò di rassicurarlo senza far trasparire il reale sentimento che lo tormentava ma l’unica cosa che ottenne fu una voce strozzata e un sorriso tirato.
 
- e sua figlia dove alloggerà? - chiede il Conte con l’intento forse, pensò Mr McKinley, di distrarlo da quel momento, e gli sorrise grato.
- ho affittato una villetta vicino al College, non molto grande Isabel non sarebbe stata d’accordo - disse ridacchiando all’idea della scenata della figlia se gli avesse affittato una casa più grande.
- sembra una ragazza interessante. Mi piacerebbe conoscerla - la frase sembrava detta solo per cortesia ma Mr. McKinley non poté evitare di tremare al pensiero di un loro incontro.
Per quanto il Conte gli sia apparso come una persona cortese e affabile il brivido di timore che gli aveva suscitato all’inizio, non era mai scomparso, anzi da quando aveva risposto al telefono, si era intensificato.
Rimasero a parlare ancora per una buona mezzora, poi con la scusa del viaggio Mr. McKinley si congedò e salì al primo piano, dove il Conte gli aveva mostrato la sua camera, e si coricò cadendo presto vittima di un sonno profondo.
 
 

***

 
 
Isabel poteva dirsi un caso disperato, aveva fatto e rifatto tutte le valige almeno una ventina di volte, per poi finire ogni volta a rimettere dentro sempre le stesse cose. Mancava una settimana alla sua partenza ed Isabel era elettrizzata oltre ogni dire.
Solo oggi aveva deciso di chiudere le valige e i cartoni e non toccarli più, visto che, il giorno dopo sarebbero stati spediti in quella che da lì ai successivi sei anni avrebbe chiamato casa.
 
E finalmente il giorno della partenza arrivò. Era con suo padre all’aeroporto e insieme stavano aspettando che chiamassero il suo volo.
 
Clare e Heather erano partite qualche giorno prima per l’Europa, Parigi, Vienna, Monaco erano le loro tappe. Lo scopo come sempre era scoprire la loro strada impegnandosi nei lavori più disparati, ma che prontamente lasciavano dopo poco tempo, il record era stato di un mese e si trattava di lavorare in un Hotel a 5 stelle di New York come receptionist, un mese in cui le due gemelle avevano usufruito dei servizi offerti ai clienti e si erano intrattenute con questi. L’idea era forse quella di accalappiare qualche rampollo di qualche famiglia miliardaria.
 
Sempre più spesso, Isabel si chiedeva come il padre potesse appoggiare certe idee e di come non si accorgesse del comportamento frivolo e superficiale delle sue figlie maggiori, ma suo padre era troppo buono, non riusciva mai a vedere il brutto nelle persone e se questo a volte era un bene, perché dava possibilità a tutti senza giudicare, molto spesso non giocava a suo favore.
 
La voce dall’altoparlante annunciava il suo volo. Era il momento dei saluti ed è con un peso sul cuore e le lacrime che premevano per uscire che Isabel si girò verso il padre per salutarlo.
 
- papa, mi raccomando fai attenzione - gli raccomandò Isabel apprensiva, da quando sua madre era morta e nonostante fosse la più giovane si era assunta la responsabilità di curare la casa, preparare i pranzi ed ora che se ne doveva andare era preoccupata che succedesse qualcosa.
 
Mr. McKinley intuendo i pensieri della figlia tentò di rassicurarla.
- non preoccuparti tesoro, la casa ed io staremo bene, nel caso ci sono i vicini e Miss Plink sarà felicissima di aiutarmi - disse con tono che voleva imitare quello di un playboy, facendola ridere.
Era risaputo da tutta la via che Miss Plink aveva un’infatuazione per suo padre. Lui la riteneva una donna ammodo, simpatica ma Isabel pensava che il ricordo della madre impedisse al padre di aprire il suo cuore a un’altra donna e lei lo capiva bene. I suoi genitori si amavano moltissimo, il loro, era stato un matrimonio fortunato, pieno di gioia e amore almeno fino alla scoperta della malattia della madre che aveva catapultato tutta la famiglia in un vortice di sofferenza e paura.
 
La voce dall’altoparlante chiamò nuovamente il suo volo e quello era il segnale del saluto definitivo.
Mr. McKinley abbraccio la figlia con forza facendole promettere di chiamare appena atterrata a Manchester e poi a Hanover.
 
Isabel s’imbarcò sull’aereo con sentimenti contrastanti.
 
Gioia, per l’inizio di una nuova esperienza. Tristezza, per dover salutare suo padre e i luoghi dove era cresciuta e che l’avevano fatta sentire al sicuro. Timore, perché aveva come il presentimento che qualcosa sarebbe successo e che questo le avrebbe sconvolto l’esistenza, in bene o in male ancora non lo sapeva.



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Ok spero davvero che qualcuno recensisca, anche per dire che è orribile - però spiegando il perchè  ^^ - che è pieno di errori o non so che altro. Grazie di aver letto!!

p.s. vero che è bellissima la villa? ho sempre voluto sposarmi li - tipo Anna Oxa, un casino quando si è sposata -

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ciao! volevo ringraziare _stellina999 per aver inserito la storia nelle seguite e tutti quelli che spendono un po del loro tempo per leggere la storia! grazie 1000
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Capitolo 2

























 

Il viaggio era stato meno pesante del previsto ed Isabel aveva presto raggiunto Manchester e si era imbarcata sull’aereo per Hanover.
 
Si era appena seduta al suo posto e stava osservando distrattamente fuori dal finestrino quando uno spostamento d’aria le fece arrivare una fragranza forte, sapeva di muschio di quercia, le ricordava un bosco secolare. La attirava come un’ape al miele. Distolse lo sguardo dal finestrino e si girò verso destra, da dove proveniva quella fragranza.
 
Un ragazzo, forse dell’età delle sue sorelle, dall’incarnato pallido come la neve, ed anche se lo vedeva solo di profilo poteva dire che avesse dei lineamenti ben definiti, un mento leggermente pronunciato, una bocca sottile e un naso diritto.
Era ancora intenta ad osservarlo quando due occhi neri come gli abissi, si girarono di scatto verso di lei, che imbarazzata per essere stata scoperta ad osservare uno sconosciuto, gira di scatto la testa, ritrovandosi a guardare  il sedile di fronte a lei , da cui spuntava una chioma indomita nera.
Una ristata sommessa, alla sua destra, le fa sbirciare, con la coda dell’occhio, il suo vicino che sfoggia un sorriso divertito.
Isabel si sente come se fosse nuda in mezzo a una folla enorme che la osserva. Stava ridendo di gusto per la sua figura e lei non poteva certo dargli torto.
Intanto l’aereo aveva iniziato le fasi di decollo, il rombo del motore e l’accelerazione repentina del mezzo la fecero paralizzare sul posto. Afferrò i braccioli del suo sedile e chiuse gli occhi con forza.
Era immersa nei suoi pensieri, pieni di ansia e mute preghiere, che non si accorse subito del tocco delicato di una mano sulla sua, stretta con forza al bracciolo. Isabel aprì gli occhi lentamente e poté vedere la mano fredda e pallida del suo vicino che delicatamente prende la sua mano e la intreccia alla sua, accarezzandola con in pollice eseguendo gesti lenti e circolari, in un gesto intimo e che le trasmette un senso di pace e protezione.
- il trucco è immaginare di essere in un altro posto, magari dove ci sentiamo al sicuro - le disse dolcemente il ragazzo. Isabel strinse la mano con forza tanto che temette di avergli fatto male ma lui continuava a sorriderle tranquillo.
Isabel fece come le aveva detto ed effettivamente funzionò, il suo corpo si rilassò subito e anche il respiro iniziava a regolarizzarsi seguendo il ritmo di quelle lente carezze che lui le lasciava sulla mano.
Finalmente l’aereo aveva terminato le procedure di decollo e ora volava placidamente nel cielo di una tranquilla giornata soleggiata.
- tutto bene ora? - chiese premuroso il ragazzo. Lei sciolse la presa e intreccio le sue mani sul grembo, torturandosele.
- s…si grazie. I decolli e gli atterraggi sono sempre i momenti peggiori - gli rispose tirando un sospiro di sollievo e guardandolo leggermente imbarazzata.
- beh… allora potrai prendere la mia mano anche all’atterraggio se serve a qualcosa - lei le sorrise riconoscente.
- comunque io sono Daniel, tu? - le chiese sorridente porgendole la mano.
- Isabel - disse per poi stringere la mano di Daniel, impacciata, per poi girarsi verso il finestrino e annegare lo sguardo in quell’oceano di nuvole, con l’intento di sviare lo sguardo penetrante del ragazzo, che sembrava stesse leggendole dentro.
 
Durante il viaggio, non si rivolsero più la parola, anche se a Isabel sembrò di avere lo  sguardo di lui addosso, ma ogni volta che si girava per accertarsene, lui stava osservando dinanzi a se o stava leggendo una rivista dell’aereo.
 
Quando iniziarono le manovre di atterraggio, l’ansia tornò prepotente in Isabel che subito, e senza preavviso, si senti afferrare la mano destra da una mano fredda, quella di Daniel.
 
- concentrati sulla mia mano e sulla mia voce - le disse a pochi centimetri dal suo orecchio. Le gote di Isabel potevano benissimo passare per due ciliegie rosse, non si era accorta della sua vicinanza finché non aveva sentito il fiato fresco di lui scompigliarle leggermente i capelli.
Chiuse gli occhi nel tentativo di regolare la respirazione e con forza gli strinse la mano.
Isabel lo ascoltava, non sapeva cosa le stesse dicendo, forse delle domande cui lei rispondeva a monosillabi o con versi strani, semplicemente ascoltava il suono della sua voce, profonda e carezzevole.
Presto si dimenticò di essere su un aereo che stava atterrando e finalmente quando riaprì gli occhi, erano fermi e i passeggeri avevano già iniziato a scendere.
 
- grazie mille Daniel, se fossi stato anche sull’altro aereo, mi avresti risparmiato un bel po' d’ansia - disse ridacchiando. Daniel le rispose con un sorriso accennato per poi alzarsi e fermarsi in mezzo al corridoio ad aspettarla e permettendo a Isabel di osservarlo meglio.
Daniel era un ragazzo abbastanza alto, decisamente più di lei, con un fisico slanciato e ben proporzionato i capelli neri gli arrivavano fin sotto le spalle ed erano raccolti in una coda bassa.
 
Insieme escono dall’aereo e col bus raggiungono l’aeroporto. Ad accoglierli c’era una giornata uggiosa.
 
- hai bisogno di un passaggio per Dartmouth? - gli chiese Daniel quando ebbero recuperato i loro bagagli ed essere usciti dall’aeroporto.
- oh no grazie, prendo un taxi - poi fu come se una lampadina si fosse accesa nel cervello - scusa ma come fai a sapere che devo andare alla Dartmouth College? - non avevano mai parlato di lei.
Lui la guardò stupito per poi scoppiare a ridere mentre Isabel si chiese che cosa abbia detto di così divertente.
- scusa è scortese ridere così - le disse cercando di ricomporsi - comunque me lo hai detto tu prima quando cercavo di distrarti dall’atterraggio - la sua bocca si aprì in una grande “O” muta e le sue gote s’imporporarono ancora una volta. Era così ipnotizzata della sua voce che non ricordava quello che si erano detti.  Che altro gli aveva detto?
- allora vuoi un passaggio? -
- emh… no, non preoccuparti - non le sembrava il caso di accettare il passaggio da uno sconosciuto.
- praticamente non ci consociamo, è vero, ma ti assicuro che non ho brutte intenzioni. Ti prego, insisto -
- o…ok - e subito la afferrò per mano e la condusse verso una macchina nera tirata a lucido con a fianco un uomo in divisa.
- wow anche l’autista - sussurrò Isabel, credette anche di sentire la risata di Daniel ma era così bassa che forse se lo era solo immaginato.
- prego - disse Daniel dopo averle aperto la portiera
 
Il viaggio verso la casa di Isabel fu abbastanza breve, parlarono degli suoi studi e di lui, anche se spesso e volentieri lo sentiva schivo, e gli era parso di vedere preoccupazione nel suo sguardo quando lei faceva domande abbastanza personali, ma non ci dava molto peso, in fondo loro erano degli sconosciuti. Già e Isabel aveva accettato il suo passaggio, non sapeva perché ma era sicura, che lui non le avrebbe fatto del male. Sperava solo che la sua sensazione fosse vera.
 
Dopo poco più di un’ora arrivarono davanti alla casa affittata dal padre di Isabel, una piccola villetta, abbastanza isolata, preceduta da una breve scalinata e un piccolo portico.
Semplice come piace a Isabel.
Daniel la aiutò a togliere la valigia dal bagagliaio e gliela portò davanti alla porta, a fianco un piccolo campanello, dove svettava il nome “I. McKinley”.
 
- Grazie per tutto, l’aiuto sull’aereo, il passaggio - disse Isabel una volta che ebbe raggiunto Daniel.  Questi sembrava non ascoltarla, seguendo il suo sguardo, vide che osservava il piccolo campanello col suo nome sopra.
- tuo padre è John McKinley ? - chiese lui con voce stupita indicando il cartellino
- si - rispose incerta Isabel chiedendosi come il ragazzo potesse conoscere suo padre.
- beh allora non siamo proprio sconosciuti - le disse sorridendo a un Isabel che lo guardava interrogativa senza capire.
- ho finanziato un progetto di tuo padre recentemente -
- eri tu il famoso possibile cliente di Hanover! - Isabel non poteva crederci, quante possibilità c’erano di incontrarlo, una su un milione?
- Ma non sei troppo giovane? - domandò scatenando l’ilarità del ragazzo.
- mio padre - disse marcando con tono divertito la parola “padre” - mi ha lasciato una buona eredità e ho voluto investirne una parte in qualcosa. Un cliente di tuo padre, che ho incontrato in un circolo, mi ha parlato di lui e poi il resto lo sai anche te. E poi non sono così tanto giovane - concluse ricomponendosi. Effettivamente il padre era tornato entusiasta dal viaggio, dicendo che l’incontro era andato bene, anche se non era sceso nei dettagli.
- si hai ragione. Beh adesso vado, è stato un piacere parlare con te - gli disse lasciandogli un leggero bacio sulla guancia. Quando stava per allontanarsi, però Daniel l’afferrò per i fianchi bloccandola, Isabel poteva liberarsi facilmente, la sua era una presa delicata, ma non lo fece. Lui indietreggiò leggermente per guardarla in viso. Nei suoi occhi, Isabel riuscì a scorse una luce particolare che non sapeva definire, prima di vederlo avvicinarsi e lasciare un bacio sulla fronte, soffermandosi per un lungo momento, facendola arrossire notevolmente.
 
- sei ancora più bella quando arrossisci, lo sai? - le disse accarezzandole una guancia arrossata e provocandole ancora più imbarazzo.
- spero di rivederti presto - le disse dopo averla lasciata andare. Le baciò la mano, come ormai non si faceva da secoli e se ne andò, lasciandola impalata sull’uscio a guardarlo andare via nella sua macchina nera e solo quando non la scorge più che si decide a entrare nella sua nuova casa.
 
La villetta non era molto grande ma adatta per una persona. Sulla sinistra, appena dopo un breve corridoio, c’era un salotto mentre sulla destra la cucina. Le scale erano proprio davanti al corridoio e portavano al bagno e alla stanza da letto. Il tutto arredato in modo semplice col minimo indispensabile.
Dopo aver sistemato le poche cose che aveva portato con se, visto che il resto era stato pulito e sistemato da un’impresa chiamò casa. La chiamata fu tranquilla, tranne quando Isabel raccontò al padre dell’incontro fatto.
 
- Isabel, stai attenta, il Conte è una brava persona per quel che ho potuto costatare, ma non mi fido pienamente, quindi per favore stai attenta - le disse con un tono che faceva trasparire tutta la preoccupazione del padre.
- Conte? - chiese lei sbalordita, questa gli era nuova.
- sì, la sua è un’antica famiglia nobile inglese - le spiegò il padre lasciandola stupita. Dai  modi che Daniel aveva usato non lo avrebbe mai detto. Si era sempre immaginata i nobili come persone noiose e altezzose, tutto il contrario di lui.
- allora lo prometti? - incalzò il padre.
Un rumore sordo arrivò dal bosco dietro la casa facendola spaventare. Si diresse verso la finestra della cucina che dava sul bosco, ma non vide nulla di strano, il suono sembrava quello di un ramo che si spezzava, ma si disse che era normale, poteva succedere e riportò l’attenzione alla conversazione.
- ma papa, non ha fatto nulla di male, è stato gentilissimo e non è stato mai inopportuno - disse cercando di difenderlo.
- Isabel - pronunciò il suo nome con più decisione e lei sapeva che quando faceva così voleva dire che era davvero preoccupato e lei non voleva vederlo in quello stato.
Con un sospiro accettò di stare lontana dal Conte, rassicurando in quel modo il padre che sembrava notevolmente sollevato. Dopo un ultimo saluto Isabel riattaccò e si diresse verso il bagno per farsi una doccia e poi andò in camera dove dopo aver indossato un pigiama, si coricò. Erano le dieci e mezza di sera, quando Isabel cadde in un sonno profondo.
 
 

***

 
 
Era passata una settimana, i corsi erano finalmente cominciati e Isabel ancora continuava a chiedersi perché il padre era così preoccupato per una sua possibile conoscenza con il Conte, le faceva ancora un certo effetto pensarlo come un nobile.
Daniel non lo aveva più rivisto, non si erano scambiati neanche i numeri di telefono e quindi non potevano mettersi in contatto, ma era anche vero che lui sapeva dove abitava lei e Isabel si chiedeva cosa avrebbe fatto se per una qualche ragione se lo sarebbe trovato sull’uscio di casa, come mandarlo via? In fondo lui non le ha fatto nulla di male, anzi l’ha aiutata, ma il suono della campanella la distolse dai suoi pensieri ricordandole che la lezione sarebbe iniziata da lì a pochi minuti.
 
- ciao Massachusetts - disse Drew quando la vide entrare in classe. Isabel lo aveva conosciuto il primo giorno di università, era un ragazzo solare e socievole aveva già fatto la conoscenza di molti altri compagni grazie alla sua simpatia e allegria.
- buon giorno Ohio! - gli rispose lei allegra, avevano preso l’abitudine di salutarsi con i nomi degli stati da cui venivano, strano ma divertente.
- allora pronta a una nuova lezione di medicina generale? -
- oh sì, dopo due tazze colme di caffè sono più che pronta - e non ebbero il tempo di dire altro che il professore entrò in aula azzittendo tutti iniziando a spiegare.
La mattina passò tranquilla, Isabel pranzò con Drew e altri compagni con cui studiava e verso le quattro di pomeriggio si diresse finalmente a casa, sali velocemente i gradini, aprì la porta ed entrò in casa dirigendosi in cucina, buttò la borsa sul tavolo e aprì il frigo per prendere dell’acqua. Si fermò davanti alla finestra che dava sul bosco e con la coda dell’occhio le parve di vedere un movimento ma quando aprì la finestra per vedere meglio ma non vide altro che alberi pieni di rami e foglie e le loro ombre nere e così la richiuse. Non era la prima volta che succedeva, spesso le capitava di sentire o vedere qualcosa ma poi niente, forse era solo la sua immaginazione.
Verso le sette ricevette la consueta chiamata del padre che s’informava delle novità del giorno e la informò della sua decisione di passare da lei la settimana successiva, provocando la gioia della figlia.
 
- e quando arrivi? -
- mercoledì verso mezzogiorno, così possiamo pranzare insieme - Isabel accettò entusiasta, sapeva già dove portarlo.
 
 

***

  

Un’altra settimana era passata e mercoledì era arrivato. Isabel stava seguendo una lezione di anatomia e il suo piede non smetteva di picchiettare sul pavimento, un quarto d’ora e avrebbe potuto rivedere il padre che la aspettava fuori dal College.
Finalmente sentì il suono della campanella e raccogliendo velocemente le sue cose corse fuori dall’aula, in poco tempo raggiunse l’uscita e trovò il padre ad aspettarla seduto su una panchina che come lei, pochi minuti prima, continuava a controllare l’orologio. Sorrise divertita a quella scena e lo chiamò ad alta voce per attirare la sua attenzione, il padre sollevò di scatto il volto e con un enorme sorriso, che gli illuminava anche gli occhi, ricambiò lo sguardo della figlia.
 
- ciao piccola - disse abbracciandola
- ciao papa - era felice di rivederlo, gli era mancato parlarci la mattina o quando tornava da scuola e vedere le sue espressioni.
- spero che tu abbia fame perché il ristorante dove ti porterò fa delle cose buonissime - esclamò entusiasta.
- mangerei un bue - disse il padre dandole corda.
 
Lungo il cammino, il padre le chiede della mattinata, della sua nuova vita e di come procedevano le nuove amicizie mentre Isabel gli chiese delle novità sulle sorelle e della vita a casa.
 Le sembrò di vederlo un po' incerto nel parlare del suo lavoro e quando lei le chiese se andasse tutto bene, lui le rispose di sì, anche se non le sfuggì quella nota di tensione nella sua voce e anche se poco convinta non chiese più niente. Se c’era qualcosa che non andava, se lo si erano sempre detto e quindi dedusse che non doveva essere una cosa importante.
 
- e il Conte? L’hai più visto? - chiese a un tratto il padre mentre stavano mangiando fermando a mezz’aria la forchetta di Isabel.
- ehm no, non l’ho più sentito - disse per far cadere il discorso, anche se non era vero.
La settimana prima lo aveva incrociato in paese, quattro chiacchiere di circostanza e poi si era dileguata con la scusa dello studio, per quanto non capisse la preoccupazione del padre, aveva deciso di seguire il suo consiglio anche se si era sentita in colpa a trattarlo in quel modo anche se non aveva fatto nulla.
Continuarono il pranzo parlando del più e del meno, era stato piacevole Isabel era stata felicissima di poter parlare a faccia a faccia col padre. Erano fuori dal ristorante quando Isabel andò a sbattere contro qualcuno. Si affrettò a scusarsi ma quando alzò gli occhi, rimase basita nel ritrovarsi lo sguardo sorridente di Daniel.
 - buon giorno Isabel - disse Daniel prendendo la mano di lei ed eseguendo un perfetto baciamano senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi e facendola arrossire ancora di più.
- c…ciao Daniel - accennando un sorriso nervoso. Un colpo di tosse attirò l’attenzione di Daniel.
- salve Mr. McKinley, che piacere vederla - disse porgendo la mano a Mr. McKinley
- anche per me Conte, sono venuto a trovare mia figlia - e cinse le spalle di Isabel facendola avvicinare di più a lui. A quel gesto, Daniel, sorrise arricciando solo l’angolo destro delle labbra - beh ora dovremmo andare è stato un piacere Conte - disse Mr. McKinley dopo diversi minuti in cui erano rimasti in silenzio.
- certamente. Ma prima volevo chiedervi se accettereste un mio invito a cena questa sera. Visto che è in città che ne dice Mr. McKinley? - a quella richiesta il corpo di suoi padre si irrigidì e Isabel lo guardò di sott’occhi.
- non vorremo disturbare, avevamo pensato di fare una cena a casa di Isabel - cerca di giustificarsi Mr. McKinley.
- la prego, non sarete di nessun disturbo -
- beh se non è disturbo puoi venire tu a cena da noi - intervenne Isabel lasciando il padre esterrefatto. Ormai aveva capito il comportamento del padre e le sembrata assurda la promessa che gli aveva fatto fare. Era cresciuta e poteva frequentare chi voleva.
- sicura? - chiese Daniel col sorriso sulle labbra
- certamente - gli rispose convinta. Magari riusciva anche a far cambiare idea al padre, a pranzo si erano comportati come due persone normalissime e Daniel non aveva dato motivi per dubitare della sua persona.
- allora sarò onorato -
- alle otto va bene? - chiese e Daniel annui in risposta
- è perfetto -
 
 

***

 
 
- perché lo hai invitato Isabel - gli chiese per l’ennesima volta il padre.
 
Isabel sbuffò, anche lei per l’ennesima volta - perché non c’è niente di male ed è una persona simpatica e gentile, non è giusto ignorarlo- ormai era la millesima volta che rispondeva a quella domanda e prontamente il padre diceva che non era geloso, anzi era più che felice che lei trovasse qualcuno, come quel Drew di cui Isabel gli aveva parlato qualche volta.
Fortunatamente la filippica del padre venne interrotta dal suono del campanello. A bassa voce Isabel chiese al padre di smetterla e di comportarsi gentilmente prima di aprire la porta ed invitare Daniel ad entrare.
 
- puntuale come un orologio svizzero - scherzò Isabel mentre lo accompagnava in salotto dove suo padre li attendeva vicino al caminetto con un calice di vino in mano.
- amo la puntualità. Ah ho portato questo - e le mostrò una bottiglia di vino dall’aria molto pregiata.
- grazie ma non dovevi -
- era il minimo - le rispose sorridendolo dolcemente.
- beh ora che siamo tutti qui possiamo anche cenare. Accomodatevi - disse Isabel prima di andare in cucina a poggiare la bottiglia di vino e prendere gli antipasti. Subito fu raggiunta da Daniel che la aiutò a portare tutto in salotto.
Isabel aveva appena servito il primo quando la voce del padre richiese la sua attenzione.
- allora Isabel come procede con Drew? - le chiese il padre con finta aria innocente. Isabel stava bevendo un po' d’acqua e per poco non si strozzò, sapeva a cosa voleva arrivare.
- Drew è un buon amico papa, niente di più e mi sembra di avertelo già detto - gli rispose indispettita Isabel.
- Drew? - intervenne Daniel interrogativo.
- è un compagno di studi, papa si è convinto che ci sia qualcosa - disse Isabel accompagnando la frase con una scrollata delle spalle.
- ed è così? - il tono che usò era calma ma secco, la sua postura si era irrigidita, la schiena di Isabel fu percorsa da una serie di brividi e il suo cuore iniziò a pompare sangue più velocemente
- n…no non c’è nulla tra me e Drew - rispose in un sussurro, fulminando il padre con lo sguardo, e a quelle parole Daniel parve rilassarsi.
 
Si chiese per quale motivo il padre avesse iniziato quella conversazione, e contando anche la presenza di Daniel non le sembrava il caso di discutere su certe cose e fu proprio in quel momento che nella mente di Isabel si venne a formare un pensiero. E se suo padre fosse semplicemente geloso? In fondo lui la vedeva ancora come la piccola di casa, la bambina che stava sveglia la notte di Natale nel tentativo di vedere Babbo Natale scendere dal camino. Al quel pensiero le venne da ridere.
 
Erano le nove quando il campanello si mise a suonare e quando aprì la porta Isabel si trovò davanti Drew che le sorrideva imbarazzato.
 
- Drew! - disse con tono sorpreso, non capiva perché il suo amico si fosse presentato alle nove di sera davanti a casa sua
- ciao Isabel - disse impacciato passandosi nervosamente una mano tra i capelli ricci - ero venuto a riportarti gli appunti che mi avevi prestato lunedì - e dopo aver preso il quaderno dalla borsa glielo porse.
- oh grazie, ma potevi tranquillamente portarmelo domani a lezione . non c’era bisogno di venire apposta -
- non preoccuparti, ho appena finito di lavorare e visto che ero già in giro ho deciso di passare -
- beh… allora grazie. Ci vediamo domani -
- o…ok -
Isabel stava per chiudere la porta quando Drew con uno scatto la blocca obbligandola a riaprirla.
- scusa ma volevo chiederti una cosa - disse con tono basso e imbarazzato. Isabel lo guardava interrogativa aspettando che continuasse - volevo chiederti… insomma tu mi piaci molto, dovresti averlo capito ormai- le disse ridacchiando tentando forse di stemperare la sua agitazione. Ma Isabel non si era mia accorta dell’interesse dell’amico - ecco… volevo chiederti se sabato ti andrebbe di uscire con me - le chiese lasciandola a bocca aperta, non se lo aspettava una richiesta del genere ma non ebbe il tempo di rispondere che la voce del padre la fece girare nella sua direzione.
 
- Tesoro chi è? -
- è un compagno di università, papa - disse con un tono alto per farsi sentire fino al salotto.
- oh… scusami ti ho disturbato. Senti, ne parliamo domani, se ti va, ok? - disse sempre più imbarazzato iniziando a scendere i gradini. Isabel annuì semplicemente, anche perché non sapeva cos’altro fare o dire e Drew dopo un ultimo saluto ritornò alla sua macchina e parti come un fulmine.
Il padre le chiese che cosa volesse il suo amico e lei liquidò la questione dicendo che era venuto per riportarle gli appunti, non poteva certo dirgli quello che le aveva detto. Uno sguardo di Daniel però la fece rabbrividire, la fissavano intensamente. I suoi occhi neri sembravano un abisso in tumulto, come se stesse cercando di leggerle dentro, si sentiva nuda e indifesa sotto quello sguardo e non riuscendo a reggerlo, iniziò a raccogliere i piatti e portarli in cucina.
 
Alle dieci e mezza il padre dichiarò che se ne sarebbe tornato in albergo e lo sguardo eloquente che riservò a Daniel fecero capire che anche lui doveva andarsene. Dopo pochi minuti entrambi si congedarono lasciando Isabel da sola coi suoi pensieri.
Quella notte fece un sogno strano.
 
Si trovava in un roseto, indossava un bellissimo abito rosso sangue,sembrava una dama dell’800,camminava tranquillamente annusando il magnifico profumo di quelle stupende rose rosse. Tentò di raccoglierne una ma si punse un dito con una spina, il sangue iniziò a gocciolare dalla ferita, una linea fluida rossa, come il suo vestito. Poi, un movimento. Alzo lo sguardo e si scontra con due occhi neri in cui lottavano mille e più emozioni. Un solo nome nella sua mente. Daniel.
Lui si avvicinò lentamente e con delicatezza la prese per mano, avvicinando il dito offeso e lo portò alle labbra mentre lei rimaneva a guardarlo incantata. La sua lingua raccolse tutto il nettare vitale che usciva dal piccolo taglio, soddisfatto lo baciò e lentamente e avvicinò le sue labbra ancora rosse del sangue di Isabel al viso di lei. Poteva sentire il suo alito fresco accarezzarle il viso. Si fermò a pochi centimetri dalla sua bocca sussurrandole poche parole prima di annullare le distanze.
 
Isabel si svegliò di soppiatto, ansante. Guardò il dito e vide un piccolo graffio ma ormai cicatrizzato, probabilmente li da giorni e lei non se ne era mai accorta. Si ripeteva che era stato solo un sogno, nulla di più ma quando tornò a sdraiarsi le parole pronunciate da Daniel non ne volevano sapere di uscire dalla sua testa, e con quelle parole di sottofondo si addormentò.
 
Tu sei mia
 
 

***

 
 
Il giorno dopo Drew non si presentò a lezione della prima ora né alle successive. Se da un lato era sollevata perché non sapeva cosa rispondergli, o meglio lo sapeva ma non voleva trovarsi in quella situazione imbarazzante dall’altra era preoccupata perché non era da lui senza dirlo a qualcuno dei compagni.
Era in caffetteria per un pranzo veloce quando ricevette una chiamata da un numero sconosciuto.
 
- pronto? - nessuno gli rispose dall’altra parte, riprovò e questa volta dopo alcuni rumori indistinti, riuscì a percepire un respiro spezzato, poi più niente. La linea era caduta.
- stupidi scherzi telefonici - disse furibonda gettando il telefono nella borsa.
 
Un altro giorno era passato e di Drew non c’erano notizie, nessuna chiamata o messaggio, non si era presentato neanche al lavoro. Quando Isabel, aveva provato a chiamarlo, il telefono suonava a vuoto o passava alla segreteria e aveva perso il conti di quante chiamate lei e gli altri gli avevano lasciato. Anche il sabato passò senza avere notizie, preoccupati lei e alcuni amici avevano chiamato la polizia denunciandone la scomparsa. Avevano contattato anche i genitori, sperando in qualche notizia ma non sapeva niente. Le ricerche iniziarono subito e sabato sera Isabel si coricò sperando che almeno il giorno dopo porti qualche notizia.
 
Ed è proprio quello che successe, ma non furono le notizie che Isabel sperava. Quando quella domenica mattina si svegliò con un peso enorme che gli opprimeva il petto.
Scese stancamente le scale, recuperò il giornale della mattina, che il ragazzo dei giornali gli aveva lasciato davanti alla porta, e si diresse in cucina. Quel peso non ne voleva sapere di andarsene e quando aprì il giornale, non fece altro che incrementarsi. In prima pagina, poteva leggere del ritrovamento di una macchina esplosa dopo essersi schiantata contro un palo della luce per poi precipitare in un piccolo dirupo. Il conducente sembrava essere morto sul colpo, e dai documenti ritrovati la macchina apparteneva a Drew Carter, uno studente del Dartmouth College. Quando lesse il nome dell’amico, il suo cuore si fermò.
E’ morto. Era l’unica frase che la sua mente ripeteva.
 
 

***

 
 
Il funerale di Drew si svolse quattro giorni dopo a Dayton, il suo paese natale in Ohio, Isabel e gli altri amici non potendo parteciparvi organizzarono una serata in suo onore. Lo conoscevano da poco più di un mese ma tutti si erano affezionati a quel ragazzo allegro e sempre gentile con tutti.
 
- era un bravo ragazzo vero? - esordì la voce di Jaqueline, una sua compagna di università.
- già - disse Isabel lasciandosi sfuggire un sospiro stanco.
Isabel continua a rivivere gli avvenimenti di mercoledì sera quando se lo era trovato sull’uscio di casa, impacciato e imbarazzato a chiederle un appuntamento.
- chissà che cosa è successo… - mormorò Jaqueline pensierosa.
- sabato le strade erano bagnate, andava a una velocità troppo elevata e ha perso il controllo - Isabel aveva riletto e riletto l’articolo dell’incidente almeno una decina di volte, lo aveva imparato a memoria. Jaqueline la guardava tra lo scettico e il divertito, come se ritenesse la cosa assurda.
- Drew era un ragazzo che rispettava il codice stradale alla lettera, era sempre attento. E’ strano che sia morto così -
Dopo di che né Jaqueline né Isabel aggiunsero altro, rimasero in silenzio ognuno perso nei suoi pensieri.
Alle otto e trenta salutò i suoi compagni e si diresse verso casa. Era buio e tirava un’aria fredda che s’insinuava fin dentro il corpo di Isabel che per cercare sollievo si strinse maggiormente nel suo cappotto. Era a pochi metri di casa quando una macchina attirò la sua attenzione facendola rallentare l’andatura. Era nerva e lucida e anche se l’aveva vista una sola volta, la riconobbe. Quando ormai era vicina la portiera del conducente, si aprì rivelando la figura di Daniel in tutto il suo splendore.
 
- buona sera Isabel - le disse con voce dolce, quasi volesse carezzare il suo nome.
- Daniel -
- ti vedo provata, è successo qualcosa? - le chiese con tono preoccupato. Le si avvicinò, e con delicatezza, come se fosse la cosa più preziosa del mondo, le carezzò la guancia e quando Isabel alzò lo sguardo verso di lui poté scorgere nel suo volto la sincera preoccupazione per lei.
Imbarazzata, si allontanò di qualche passo per sfuggire a quel contatto che le aveva fatto battere forte il cuore. Daniel le sorrise, complice, come se sapesse quello che provava.
 
- no… tutto bene - cercando di far cadere il discorso, ma Daniel sembrava non essere d’accordo e dopo un attimo di silenzio la sua voce risuonò nel silenzio della notte.
- ho saputo di quel Drew - disse facendola rattristare di colpo. Quella breve camminata era riuscita a distrarla da quello che era ormai il suo pensiero fisso e le parole di Daniel cancellarono quei momenti di tranquillità che si era ritagliata.
- non dovresti dispiacerti così per lui - e le sembrò di notare una lieve sfumatura infastidita nella sua voce.
- era un mio amico ed è morto. E’ logico che io sia dispiaciuta - e senza aggiungere altro lo sorpassò e salì i pochi gradini che l’avrebbero portata al sicuro dentro casa.
- Isabel, scusami non volevo essere indelicato - le disse prendendole il polso e facendola girare verso di se - solo che non mi piace vederti così. Per quanto doloroso la morte è un fatto naturale, un fatto da accettare e poi andare avanti -
- lo so, ma pensare che il giorno prima ridevamo e scherzavamo, mentre quello dopo non c’ere più… - Isabel interruppe la frase sul nascere, non riusciva ad articolare una frase, un groppo alla gola gli impediva di proseguire. Daniel parve irrigidirsi leggermente ma subito si rilassò abbracciandola di slancio e stringendola a se con forza. Isabel si rilassò sotto le sue carezze dolci e rassicuranti lasciandosi andare completamente su di lui.
 
Quella sera Isabel e Daniel la passarono insieme, Daniel la convinse a guardare un film comico, Isabel gli fu grata del suo tentativo di tirarle su il morale, e tra battute e risate la serata era passata velocemente.
 
- forse è meglio che vada - le disse Daniel dopo il suo ennesimo sbadiglio. Erano seduti sul divano a guardare uno stupido telefilm argentino e Isabel era accoccolata sul petto di lui che la abbracciava teneramente lasciandoli delicate carezze lungo il braccio destro.
Isabel mugugnò qualcosa d’incomprensibile persino a se stessa. Non voleva che se ne andasse, stava bene con lui. Aveva scoperto in Daniel un ragazzo gentile e dolce, non capiva perché il padre fosse così preoccupato per una loro possibile vicinanza. Quella sera Daniel si era preso cura di lei l’aveva fatta svagare, non aveva bisogno di parlare che lui sapeva come comportarsi, pareva che le leggesse dentro e per un istante le era parso di essere in un modo parallelo con solo loro due come abitanti. In definitiva Daniel era un ragazzo d cui si poteva innamorare facilmente, e Isabel sospettava di essere già sulla buona strada. Tutte le volte che lo vedeva il suo cuore aumentava i battiti, le sue mani diventavano sudaticce.
 
- Isabel sabato sera ti andrebbe di venire a cena da me? - le chiese Daniel quando raggiunsero la porta lasciandola spiazzata - vorrei ripagare la cena della scorsa settimana - continuò nel tentativo di convincerla. Ma Isabel non aveva bisogno di altro, sapeva già cosa rispondere.
- mi farebbe molto piacere -
 
 

*

 
 
 Quell’agitazione dei titoli azionari gli aveva fatto perdere un sacco di soldi. Quelli che erano i suoi migliori investimenti ora stavano colando a picco.
La suoneria del cellulare lo fece sobbalzare. Odiava quegli aggeggi infernali.
 
- pronto - disse con voce stanca senza guardare chi era.
- PAPI! - era Clare
- tesoro - Mr. McKinley era agitato come avrebbe detto alle figlie che non potevano più permettersi vestiti firmati, vacanze in località di lusso. Non poteva deluderle così.
- papa ho bisogno che versi  10.000 dollari sul mio conto e su quello di Heather. - le disse con voce stridula.
- come avete fatto a spendere tutti quei soldi! - le chiese sconvolto Mr. McKinley. Aveva versato la stessa somma solo due settimane prima.
- Papa! abbiamo dovuto fare diverse spese essenziali, come saremmo sopravvissute a Dubai senza? Erano di vitale importanza - la voce della figlia ora era scocciata e irritata. 
Mr. McKinley si maledisse per aver inveito contro la figlia. Si era ripromesso di renderle felici e se Clare dicevano che erano necessarie lui ci credeva e non aveva mai fatto storie. Purtroppo la situazione ora era più complicata.
- senti tesoro, ora non posso. Potete usare quelli che avete guadagnato dal lavoro - disse cercando di trovare una soluzione. Al momento 20.0000 dollari erano troppi.
- papa - le disse con voce autoritaria - ne abbiamo bisogno. Come puoi trattarci così! Perché devi sempre fare tutti questi problemi -
- ok…ok… tesoro calmati - Mr. McKinley sbuffò sconfitto - va bene per ora vo verserò 7.000 dollari a testa. Settimana prossima i restanti. Va bene? -
- perfetto papi! - trillo felice Clare - sei il miglior papi del mondo. Baci, baci - e riattaccò senza aspettare la risposta del padre.
- che cosa farò ora - si chiese dando voce ai suoi pensieri.
Poi il suo occhio cadde su un fascicolo. Il resoconto delle azioni di Mr. Connor e un’idea gli balenò nella mente.
 Mr. McKinley sapeva di star giocando con il fuoco ma che poteva fare per non deludere le sue figlie? Clare, Heather e soprattutto Isabel credevano in lui. Aveva deciso.
Avrebbe sistemato tutto, quando la bufera sarebbe passata, avrebbe rimesso tutto a posto senza che qualcuno se ne accorgesse.
 

*

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Spero di leggere qualche vostro parere : ) 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ciao! non mi dilungo voglio solo ringraziare Hermiuna per aver inserito questa storia tra le seguite - grazie 1000!!! sapere che qualcun altro segue la storia mi rende felicissima
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Capitolo 3




- buon giorno Isabel - era venerdì e si trovava alla tavola calda a mangiare quando una voce vellutata le accarezzò i capelli. Dopo un primo momento di smarrimento si rilassò all’istante quando riconobbe la voce come quella di Daniel.
Daniel le era stato molto vicino nell’ultimo mese, dopo la morte di Drew, era diventato un punto di riferimento stabile.
 
- buon giorno a te, Daniel, come mai qui? -
- sono venuto a trovarti, mi mancavi - le rispose con una semplicità disarmante che lasciò Isabel piacevolmente lusingata e soprattutto felice di sapere che Daniel la pensava.
- allora come è andata la mattinata? - le chiese interessato, dopo averle rubato un pezzo di muffin. Ma non ebbe il tempo di rispondere che una voce forte e virile le bloccò le parole sul nascere.
- abbiamo parlato delle morti violente, e la cosa si è fatta interessante quando si è parlato delle ferite provocate da uno scontro con un ostacolo solido e i danni che ne conseguono - Jaqueline si sedette al tavolo con Isabel e Daniel ma senza mai distogliere lo sguardo da quest’ultimo che la osservava con un’espressione rabbiosa - soprattutto alla luce dell’incedente del caro Drew è molto affascinate. Non credi anche tu Isabel? - disse finalmente volgendo lo sguardo verso di lei con un sorriso enigmatico.
 
- Jaqueline vedo che gli anni non ti hanno cambiata - disse la voce di Daniel. Si sforzava di sorridere, ma la sua agli occhi di Isabel pareva più una smorfia di disgusto.
- vi conoscete? - chiese ingenuamente Isabel
- siamo conoscenti di vecchia data - le rispose semplicemente Daniel ma a Isabel, quella semplice frase parve nascondere mille segreti non detti - scusaci Jaqueline ma dobbiamo andare - continuò alzandosi velocemente dalla sedia, uno sguardo sfuggevole e Isabel che rapidamente raccolse le sue cose e lo segui fuori dalla tavola calda con ancora l’eco del saluto di Jaqueline nelle orecchie che la fece tremare dalla testa ai piedi. Quella ragazza le metteva a disagio, non si fidava.
Stavano camminando velocemente, appena usciti Daniel l’aveva presa per mano e a passo spedito si erano diretti verso l’uscita del College. Non la guardava, gli occhi di Daniel erano fissi davanti a se, guardavano la strada accigliati e solo quando si fermò davanti alla sua macchina, si decise a guardarla in viso
 
- prometti che gli starai alla larga - ora i suoi occhi erano tormentati, un mare di emozioni nuotavano in quell’abisso nero. Rabbia. Paura. Dolcezza.
- Isabel promettimelo! - le disse prendendola per le braccia e scuotendola leggermente facendola sussultare.
Si chiedeva chi fosse Jaqueline per Daniel, quando si era incontrati, Daniel aveva una faccia infastidita non nascondeva il fastidio della presenza di Jaqueline. Ma al momento voleva solo rassicurarlo, non lo aveva mai visto così preoccupato.
- v…va bene lo prometto - le sue parole ebbero l’effetto di rassicurarlo. Daniel lasciò la presa e la abbracciò.
- perdonami, ma Jaqueline è … non è raccomandabile - Isabel lo guardò interrogativa, sul suo viso Daniel poteva leggere tute le domande che lei avrebbe voluto fargli ma lui si limitò a rimanere in religioso silenzio ad osservarla a accarezzarle la guancia con la punta delle dita .
- a che ora finisci lezione - le chiese allontanandola da se
- ho ancora due ore - sussurra Isabel senza guardarlo. Non riesce a capire cosa può essere successo tra i due ragazzi di tanto grave da farlo reagire in quel modo.
- allora aspettami, ti vorrei riaccompagnare a casa - Isabel stava per dire che non era necessario, che non doveva rimanere li per lei, ma Daniel la rassicurò subito dicendole che per lui non era un problema, che voleva passare un po' di tempo con lei. Col conseguente effetto di farla arrossire fino alle punte, Isabel sospettava che il ragazzo ci avesse preso gusto a dirle frasi che la mettevano in imbarazzo solo per vederla in quello stato.
 
 

***

 
 
Sabato era arrivato presto, Isabel poté dedicarsi un po' a se stessa e prepararsi all’appuntamento di quella sera.
Occupò la mattina facendo le pulizie di casa e a mezzogiorno preparò un piatto veloce. Stava pulendo la cucina quando qualcuno suonò alla porta. Era un signore, disse di essere stato mandato per consegnare un pacco. Una scatola di medie dimensioni bianca, era leggere e Isabel non sapeva proprio cosa potesse contenere. Salutò il signore e chiuse la porta e senza distogliere lo sguardo dalla scatola si diresse in cucina e dopo aver poggiato la scatola sul tavola l’aprì. Al suo interno sotto alcuni strati di carta di riso vi era un bellissimo abito di seta, blu notte. Sul fondo della scatola, un foglietto. Una calligrafia elegante, come quelle del’800, che riportava l’invito di indossarlo per la sera stessa.
Daniel.
 
Daniel le aveva mandato quel vestito, accarezzò quel morbido tessuto, era soffice al tatto. Guardò l’orologio. Erano le due del pomeriggio, Daniel sarebbe arrivato a prenderla per le sette, aveva tutto il tempo per prepararsi.
Salì le scale velocemente e si chiuse in bagno per prepararsi. Alle sei e mezza era vestita e truccata ad aspettare, impaziente, che Daniel suonasse il campanello. Puntuale come un orologio svizzero Daniel suonò alla sua porta. Isabel scattò verso la porta e la aprì di slancio, per quanto tentasse di convincersi del contrario, non stava più nella pelle, non vedeva l’ora di vederlo.
 
- sei bellissima - le sussurrò all’orecchio dopo averle lasciato un bacio sulla guancia arrossata e consegnato una rosa rossa.
- grazie - disse annusando la rosa - ma non dovevi mandarmi questo vestito -
- perché? Quando l’ho visto, ho pensato subito a te. Era tuo - e la prese sotto braccio morandola verso la macchina, aprì la portiera e la fece salire come un perfetto gentiluomo del secolo scorso.
 
 
Non aveva mai visto la Villa, dove abitava Daniel, era sempre lui ad andare a trovarla e quindi lo stupore che la colpì quando arrivò davanti al maestoso ingresso era più che giustificato.
Quello era un castello! E quando le chiese se le piaceva, lei poté solo annuire.
 
Prendendola sotto braccio la condusse all’interno e le mostrò la grande sala poi quella col camino, che la affascinò molto. La condusse in fine al giardino.
Isabel osservava incantata tutto quello che la circondava, le sembrava di essere la principessa di una favola. Erano arrivati al piccolo anfiteatro quando Daniel la informò che la cena era pronta.
 
Il cielo si era già oscurato e solo la luce delle torce segnava il loro percorso. Isabel pensava che fosse una cosa romantica, le luci delle torce che creavano un’atmosfera intima, il braccio di Daniel che le cingeva le spalle e la teneva vicina per riscaldarla e anche se il suo corpo era freddo, Isabel poteva percepire il calore che lui le trasmetteva, lei che si aggrappava alla sua giacca per non cadere dai suoi tacchi a causa della ghiaia del vialetto. Per quelli che li avessero visti da fuori, potevano apparire come una perfetta coppia di fidanzati che ride e scherza.
Tornarono nella sala del camino, dove un tavolo accuratamente apparecchiato, solo per una persona, li attendeva.
 
- quest’oggi non sono stato molto bene preferisco digiunare - le rispose Daniel dopo che lei lo guardò interrogativa.
- beh ma allora perché mi sei venuto a prendere. Vado via così ti puoi riposare - gli disse Isabel apprensiva, molto preoccupata per la sua salute.
- no, ora sto benissimo, ma preferisco non mangiare. Quindi… ti prego di accomodarti e mangiare. Io ti farò compagnia - e gentilmente le scostò la sedia per farla sedere - questa sera avrà l’onore di essere servita dal sottoscritto - le disse in tono serio esibendosi in un perfetto inchino, facendola ridere.
 
 
 
- allora era di suo gradimento Miss - le chiese alla fine della cena con tono pomposo, da maggiordomo del secolo scorso.
- oh si… davvero ottimo. Una cena da re - rispose ridacchiando.
- ne sono felice - e appoggiando gli ultimi piattini sul carrello vicino al tavolo, le prese la mano e la invitò a seguirlo - ho una cosa da mostrarti e sono sicuro che gradirai molto - le disse con tono misterioso ma con occhi luminosi e un sorriso estatico sul volto.
La condusse per un lungo corridoio, sulla sinistra la parete era sostituita da una grande vetrata che permetteva di ammirare il giardino. Era bellissimo.
Daniel si arrestò davanti a una porta di legno dipinta di bianco e la apri.
Isabel rimase a bocca aperta per una buona decina di minuti, ammirava la grande sala piena di scaffali che traboccavano libri di ogni genere e dimensione con occhi adornati. Non aveva mai visto tanti libri tutti insieme, se non nella biblioteca dell’università. Iniziò a vagare per la sala, senza togliere lo sguardo da quei tomi, ne accarezzava i dorsi, alcuni li sfilava dai loro posti e li sfogliava leggendo qua e la qualche parola. Sentiva la presenza silenziosa di Daniel dietro di lei. La stava seguendo e la osservava in ogni suo gesto.
Salì una delle scale a chiocciola e continuò la sua perlustrazione anche nel piano rialzato e dopo aver terminato di curiosare anche nell’ultimo scaffale si girò verso Daniel con un sorriso che andava da un orecchio all’altro e gli occhi illuminati da una luce estasiata. Isabel sprizzava gioia da tutti i pori.
 
- Daniel è semplicemente stupendo, passerei giorni chiusa qui dentro -
- sapevo che avresti gradito - Daniel si avvicinò e le accarezzò la guancia, un gesto dolce e senza malizia che fa colorare le gote di Isabel - puoi venire quando vuoi - la promise lasciandola sbalordita.
-oh…n…no non voglio creare disturbo - per quanto volesse urlare dalla gioia e accettare all’istante non voleva approfittare delle gentilezza di Daniel, pensava che forse lui l’avesse detto per gentilezza vedendo il suo entusiasmo.
- e perché dovresti essere un disturbo? - le chiese interrogativo - se non lo hai notato a me piace la tua compagnia - nel dirlo Daniel prende le mani di Isabel che erano inermi lungo i fianchi di lei e intrecciò le loro mani.Isabel abbassò la testa e guardò imbarazzata le loro mani intrecciate. Il cuore le batteva furioso nel petto.
- Isabel - un sussurro che le fece alzare la testa di scatto. Quello che non aveva calcolato era la vicinanza con il viso di Daniel che, mentre lei era intenta a osservare le loro mani, si era abbassato verso il suo viso. Non ebbe il tempo di fare nulla, di pensare nulla, che le loro bocche si sfioravano. Daniel la stava baciando.
Era lento e dolce, non c’era irruenza o passione, solo tanti piccoli baci, piccoli, continui sfioramenti che le provocavano mille brividi in tutto il corpo.
 
Isabel aveva sentito spesso le sue amiche parlare della sensazione di mille farfalle che vorticano nello stomaco o della famosa scarica elettrica che senti quando sei con lui. Ma lei non ci aveva mai creduto, forse perché non lo aveva mai provato con nessuno. Almeno fino a quel momento.
Isabel lo stava baciando e lei si sentiva benissimo.
Ma come ogni cosa bella, quel bacio finì troppo presto. L’orologio a muro che aveva visto vicino alla porta della biblioteca diffuse per la stanza il suo rintocco, facendoli allontanare. Era mezzanotte e come Cenerentola Daniel la stava per riaccompagnare a casa.
 
Dopo il loro bacio Isabel non riusciva a togliersi dalla faccia quel sorriso ebete e neanche spegnere quella luce che le illuminava gli occhi. Daniel per tutto il tragitto, non la smetteva di lanciarle occhiate felici e di sorridere. Il suo era un sorriso luminoso, bellissimo, non l’aveva mai visto sorridere in quel modo e Isabel in cuor suo voleva credere che il motivo fosse quel bacio.
 

***

 
Dal quel sabato sera, era passata una settimana, durante la quale, Daniel e Isabel si frequentarono spesso. Lui andava a prenderla alla fine delle lezioni e spesso la ospitava a casa sua, lasciandola libera di girovagare dove volesse, anche se il suo posto preferito rimaneva la sua preferita.
 
La maggior parte delle volte cercava di rimanere insieme con lei ma momenti per riprendere il discorso di quella sera nella biblioteca non c’erano stati, spesso Isabel, lo vedeva teso, quasi timoroso, qualche volta lo vedeva intento a guardarla e nei suoi occhi vedeva incertezza, dubbio e quello che la spaventava di più, paura. Si chiese se si fosse pentito di quello che era successo nella biblioteca, forse aveva scambiato l’affetto per qualcosa di più e non sapeva come dirglielo.
 
- buon giorno Isabel - Jaqueline era apparsa alle spalle di Isabel, facendola sussultare. Appariva sempre così dal nulla e poi odiava la sua voce melliflua, ogni volta che le rivolgeva la parola, il suo corpo tremava, e non erano certo gli stessi brividi che aveva provato con Daniel ed era per quello che cercava di evitarlo il più possibile, si sedeva lontana da lui alle lezioni, si univa a gruppi di ragazzi e iniziava a parlare di studio o scappava dall’aula appena finita la lezione.
- Jaqueline - disse per poi iniziare a sfogliare il libro di anatomia che aveva sul tavolo.
Jaqueline, si era seduto nel banco di fianco al suo, ancora vuoto, quel giorno era arrivata abbastanza presto e purtroppo l’aula era ancora vuota.
- siamo rigide oggi - e si girò nella sua direzione poggiando il gomito sul tavolo e sostenendosi la testa con la mano - anzi è da quasi un mese che scappi. Non che abbiamo legato chissà che prima… - concluse lasciando la frase sospesa a metà.
- appunto non abbiamo mai avuto rapporti quindi perché dovrei scappare? - chiese cercando di nascondere il fastidio che le procurava la sua presenza, ma anche il timore che si accorgesse dell’ansia che provava in quel momento.
- mm… forse perché il tuo Daniel te l’ha detto? - chiese divertita e con tono ironico guadagnandosi un’occhiataccia da Isabel, che non poteva controbattere, visto che aveva detto la verità.
- sai… io non mi fiderei molto di uno che ti tiene nascosta la verità - le sussurra misteriosa.
- che vorresti dire? - e Jaqueline si limitò ad alzare le spalle con fare indifferente. Quel suo atteggiamento la irritava, ma si era ripromessa di non dare peso alle sue parole, per quel che ne sapeva, Jaqueline si poteva essere inventata tutto.
- sai oggi ho letto un articolo sul Daily mirror sulla morte di Drew - esordì dopo un paio di minuti di silenzio. Isabel era stata presa alla sprovvista, non si aspettava che iniziasse a parlare di Drew.
- è morto da quasi due mesi, che cosa c’è ancora da dire? - sbottò alterata Isabel, aveva sempre sostenuto che i giornali, a volte, si prendessero troppe libertà nel scrivere certi articoli.
- beh il coroner segnala alcune cose che nel resoconto ufficiale non sono segnalati - Isabel la guardava interrogativa - la causa della morte è il colpo che ha subito nello schianto ma il coroner ha segnalato la presenza di due buchi paralleli sul collo - Isabel lo guarda sbalordita e irata. Ma come si permetteva di giocare su certe cose!
- stai dicendo che è stato un vampiro? Jaqueline per favore evita certi scherzi. Drew era un mio amico e non ti permetto di ridere della sua morte - le disse perentoria prima di alzarsi e sedersi a un altro tavolo.
Passò il resto della lezione come se fosse un animale in gabbia, voleva andarsene, quello che le aveva detto Jaqueline, l’aveva mandata in bestia.
Il suono della campanella fu una liberazione per lei. Raccolse velocemente le sue cose, non voleva dare a Jaqueline un’altra opportunità. Purtroppo Isabel non fu abbastanza rapida. Jaqueline l’aveva bloccata proprio quando stava per uscire dall’aula.
 
- non volevo offendere la memoria di Drew con quello che ho detto prima, era anche un mio amico -
- beh, ma l’hai fatto - sputò lei irata strattonando il braccio che Jaqueline gli aveva preso per fermarla e uscendo dall’aula a passo sostenuto. Per quel che le riguardava la discussione era finita li.
- mi dispiace ok? Ma quello che ti ho detto è vero. Quei due buchi ci sono veramente e in più nel corpo di Drew non c’era molto sangue, i danni riportati dall’incidente non giustificano una perdita così massiccia di sangue - le disse raggiungendola e sostenendo il suo passo tranquillamente.
- e questo ti da diritto di parlare di vampiri e tutto il resto? E poi per favore il Daily mirror È un giornale che scrive stupidaggini -
- si, ma la leggenda di cui parlano è vera - disse facendola bloccare in mezzo al corridoio - si diceva che in queste zone vagava un demone che si nutriva di sangue, la sua pelle era fredda ma diventa calda quando si era appena nutrito di sangue e piano piano si raffreddava. Cento anni fa si racconta che fu catturato e ucciso ma molti dicono che non è morto che ancora oggi vaga per queste terre in cerca di vendetta -
- non ti facevo tanto impressionabile Jaqueline - le disse riprendendo a camminare. Era assurdo, Jaqueline credeva che fosse un vampiro ad averlo ucciso. Drew era morto per l’incidente non certo per il morso di un vampiro.
- non credi nei vampiri Isabel? -le disse con un ghigno divertito sul volto.
- perché tu ci credi? - gli chiese divertita. Jaqueline le si avvicinò e Isabel, perse tutta la sicurezza che aveva dimostrato fino a quel momento mentre il respiro le si morì in gola. L’agitazione era tornata prepotente, c’era qualcosa in Jaqueline che la metteva in allarme.
- si e anche il tuo amico Daniel ci crede - le sussurrò a pochi centimetri dal viso - se fossi in te controllerei i documenti sulla morte di Drew, nell’ospedale dell’università. Hanno tenuto una copia, non censurata s’intende - per poi allontanarsi salutandola con un gesto della mano.
 
Pazza ecco che cos’era.
 
Erano le dieci e mezza di sera e Isabel si stava preparando per andare a letto, indossò il pigiama e si mise sotto le coperte, quella giornata era stata stressante, fisicamente e psicologicamente. Chiuse gli occhi e si addormentò nel giro di pochi minuti.
 
Si trovava in un roseto lo stesso dell’altra volta, indossava lo stesso vestito e stava camminando lentamente. La luna spendeva come una regina nel cielo e tante stelle la circondavano per celebrarla. Un movimento alla sua destra la bloccò. Daniel era di fronte a lei e le sorrideva. Una strana luce negli occhi neri come gli abissi, una scintilla famelica li animava ed Isabel iniziò a tremare, il suo corpo si tendeva per scappare ma rimase ferma. Daniel la raggiunse e si chinò portando il suo viso nell’incavo del collo di Isabel
- hai un ottimo profumo- sussurrò all’orecchio al suo orecchio. La strinse a se e dopo averle posato un bacio sul collo in corrispondenza della vena che pulsava sangue con forza la morse. Isabel spalancò gli occhi stupita e si aggrappò alle forti spalle di lui cercando di trattenere i lamenti che prememvano sulla sua bocca. Aveva paura ma erano inutili i suoi deboli tentativi di allontanarlo era troppo forte per lei, sentiva le forze venire meno. Daniel si staccò dal suo collo, Isabel poté vedere la sua bocca imporporata dal suo sangue prima di cadere a terra e chiudere gli occhi.
 
 

***

 
 
- papa, sicuro che vada tutto bene? - gli chiese per l’ennesima volta Isabel. Era da diversi giorni che il padre non la chiamava e così era stata lei a prendere l’iniziativa, ma da subito le sembrava strano, la voce del padre appariva stanca e falsamente tranquilla. Ma dopo tutte le sue continue rassicurazioni, Isabel aveva chiuso il discorso iniziando a parlare dei corsi delle sue giornate, omettendo il particolare di Daniel visto che il padre continuava ad  essere restio verso il ragazzo.
 
 

*

 
 
Mr. McKinley stava sudando freddo. Aveva tirato troppo la corda ed ora ne pagava le conseguenze. Stava andando tutto bene fino a che Mr. Gibsonnon aveva iniziato ad avere sospetti che poi si rivelarono certezze. Si era presentato davanti alla sua porta urlandogli contro e minacciandolo. Mr. McKinley era sbiancato, il suo mondo stava crollando.
L’US Securities and Exchange Commission si era messa subito al lavoro, mettendo luce sulle sue attività. Presto tutti lo sarebbero venuti a sapere. Anche le sue figlie.
Aveva appena chiuso la chiamata con Isabel e si sentiva malissimo per averle mentito, ma voleva che per un po' le sue figlie non sapessero ancora niente.
Si sentiva malissimo, nella sua vita non avrebbe mai immaginato di fare quello che aveva fatto ma c’erano le sue figlie doveva pensare a loro e alla loro felicità si era detto che ne valeva la pena per loro che avevano già sofferto molto per la madre. Ma ora? Rischiavano anche di perdere il padre.
 

*

 
 
Il giorno dopo stava pulendo la cucina quando ricevette una chiamata da una persona inaspettata, Heather. Appena finita la chiamata, Isabel era scioccata, perché papa non le aveva mai detto nulla? E soprattutto che cosa succederà adesso?
 
Compose il numero del padre diverse volte ma lui non rispondeva. Finalmente dopo diversi tentativi andati a vuoto, Mr. McKinley rispose, aveva una voce forzatamente allegra, Isabel lo immaginava seduto alla sua scrivania a muoversi irrequieto, era sempre lui a chiamarla e forse quelle chiamate lo avevano messo in agitazione.
 
- ho appena ricevuto una chiamata molto interessante - non lo salutò nemmeno, voleva sapere la verità dalla sua bocca. Subito.
Dopo diversi tentativi di depistaggio da parte del padre, Isabel riuscì a estorcergli la verità. Un’agitazione dei titoli azionari lo aveva lasciato in una situazione finanziaria disastrosa, che lo aveva portato a svendere le azioni dei clienti ed intascarsi i guadagni. Ed ora suo padre si era ritrovato indagato dalla US Securities and Exchange Commission per le sue attività, quando Heather gli aveva detto che le sue carte e quelle della sorella erano state bloccate e che il padre aveva problemi economici non credeva che la  situazione fosse così grave.
Aveva appena riattaccato che il campanello suonò. Era Daniel.
 
- che è successo? - chiese appena la vide in viso. Isabel si sentiva spossata e prosciugata di tutte le sue forze. Aveva piena fiducia nel padre e lui le aveva mentito. Capiva le sue motivazioni ma per quanto si sforzasse, non riusciva ad accentarle.
- ho ricevuto una chiamata che mi ha buttato l’umore sotto i piedi - e si spostò per lasciarlo passare.
- hai voglia di parlarne? - e come poteva si chiese Isabel se lui è parte del problema. E come un fulmine a ciel sereno realizzò veramente quello che succedeva. Anche Daniel era stato truffato. Si girò di scatto verso di lui con gli occhi spalancati.
- Isabel, mi sto preoccupando. Che è successo? - le chiese allarmato, vedendola in quello stato.
- papa - sussurrò in risposta e quello sembrò bastarle perché vide il viso di Daniel adombrarsi - lo sapevi? - Daniel la prese per mano e la condusse nel salotto. A vederla da fuori sembrava che fosse Isabel l'ospite e non il contrario. Si sedette sul divano e la fece sedere sulle sue gambe e la abbracciò.  Il viso di Isabel era sistemato nell’incavo del collo di Daniel e ne annusava il profumo di muschio di quercia, che aveva sempre avuto la proprietà di calmarla.
- lo sapevi? - gli richiese questa volta con voce più decisa. Daniel annuì. Isabel che stringeva la maglietta di lui, intensificò la sua presa - da quanto? Da quanto è in questa situazione? -
- le indagini sono iniziate il mese scorso ma hanno agito solo all’inizio di questo mese -
- com’è potuto succedere - suo padre è sempre stato un uomo con la testa sulle spalle, com’è finito in questa situazione! E poi come faremo! Come faremo a pagare gli avvocati, dove vivremo?
- andrà tutto bene vedrai - le disse Daniel accarezzandole la schiena con la punta delle dita.
- come puoi parlarmi dopo quello che ha fatto mio padre? - disse guadagnandosi uno sguardo stupito da parte di Daniel che poi le sorrise dolcemente.
- ma tu non sei tuo padre - e le accarezzò la fronte - sei una ragazza dolce - e le accarezzò la guancia - gentile - e scese ad accarezzarle il collo - pura - con le dita le accarezzo le labbra e avvicinò il suo viso al suo - sei peretta - disse soffiando le parole sulle sue labbra e la baciò.
 
Isabel era rimasta incantata dal suono della sua voce e dai suoi gesti, non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo. Era come ipnotizzata. La sua mente aveva smesso di fare pensieri coerenti, il suo cuore batte furiosamente e il suo respiro era corto. E quando l’aveva baciata tutte le sensazioni provate con il loro primo bacio tornarono prepotenti, tutti i timori che aveva provato durante la settimana svanirono all’istante, quel bacio era come il primo, dolce, lento e pieno d’amore. Le mani di Isabel non smettevano di accarezzare il viso di Daniel di intrecciare le sue dita con i capelli di lui, se nella biblioteca era rimasta inerme nelle sue mani questa volta Isabel vuole sentirlo sulla sua pelle.
Daniel si allontanò da lei giusto il tempo per parlare
 
- mi piaci Isabel, anzi “mi piaci” è riduttivo mi sono innamorato di te - per poi riappropriarsi della sua bocca facendola sorridere ebete.
 Isabel lo allontanò subito per pochi centimetri, giusto per dirgli quello che la sua mente continuava a urlare.
- credo di essermi innamorata di te Daniel - la luce che illuminò gli occhi di Daniel era ben visibile come il sorriso che increspò le sue labbra. Si fiondò ancora una volta sulla sua bocca e questa volta il bacio fu più irruento, passionale e famelico e in quel momento non esisteva più niente, non esisteva suo padre, la bancarotta o il mondo e i suoi problemi. Solo loro due.
 
- vieni da me - le sussurro tra i capelli. Erano distesi sul divano, Daniel la abbracciava stretta al suo petto, come se avesse paura che lei scappasse ma Isabel non aveva nessuna intenzione di muoversi da li, si sentiva al sicuro tra le sue braccia e la sua proposta le riempiva il cuore di gioia ma allo stesso tempo di tristezza. Come poteva pensare a lei quando suo padre era in quella situazione?  
 
Si alzò e si mise a sedere sul brodo del divano, anche se il suo corpo e il suo cuore volevano rimanere tra quelle braccia calde e accoglienti.
 
- papa ha bisogno di me, non posso lasciarlo e poi cosa farei qui? Senza soldi non posso pagare l’università e non posso stare da te per sempre - come poteva comportarsi da egoista. Era innamorata di Daniel ma suo padre era suo padre.
- ehi…ehi… - le disse alzandosi e prendendole il viso tra le mani per guardarla dritta negli occhi - tu non sarai mai un peso - le disse con tono dolce e accarezzandole il viso - non puoi esserlo vali molto per me. Io voglio aiutarti - nei suoi occhi Isabel poteva leggere tutta la sincerità delle sue parole e solo Dio sapeva quanto volesse cedere alle sue parole, seguirlo ma la parte razionale di se le ricordava di suo padre, delle sue sorelle. Chi si sarebbe preso cura di loro?
- Daniel - disse scostando il viso dalla presa delicata delle mani di lui e prendendole nelle sue, intrecciando le loro dita. Un sorriso amaro si dipinse sul suo viso. Aveva appena ammesso quello che provava e già doveva rinunciarvi.
- forse tu ti prenderai cura di me, ma la mia famiglia? Non sarei felice sapendoli in questa situazione. Le mie sorelle possono essere irritanti - disse accennando una risata - ma sono comunque le mie sorelle e papa ha fatto tanto per noi dopo la morte della mamma -
- vieni da me e io ti prometto che risolverò la situazione con tuo padre, ti prometto che lo tirerò fuori dai guai -
- c…cosa!? - chiese sbalordita
- farò in modo che tuo padre non vada in prigione, potrà ricominciare da zero e lo aiuterò fino a quando si sarà ripreso -
- perché fai questo per mio padre? -
- non lo faccio per tuo padre. Lo faccio per te -
 
 

***

 
 
- ecco questa sarà la tua camera -
Daniel due giorni dopo la sua proposta Daniel, aveva mandato una società di traslochi per portare tutte le cose di Isabel alla Villa, vestiti, soprammobili, quadri. In poco tempo la casa era stata svuotata, la stessa che suo padre aveva affittato. Al pensiero del padre Isabel si rattristò.
 
- non ti piace? - le chiese Daniel poggiando una mano sulla sua spalla - puoi scegliere quella che vuoi se questa non va bene -
- eh?...oh no è perfetta grazie Daniel - disse sorridendo, per poi alzarsi sulle punte e dargli un bacio a stampo.
- mi fa piacere - disse arricciando solo un angolo delle sue labbra. Daniel aveva uno sguardo strano, sembrava assente e timoroso.
- ehi, tutto bene? - gli chiese poggiando la mano sulla sua guancia fredda.
 
la sua pelle era fredda ma diventa calda quando si era appena nutrito di sangue e poi piano piano si raffreddava…
 
Perché le erano venute in mente le parole di Jaqueline?
 Daniel sbatté gli occhi come se si fosse appena svegliato da un sogno e le sorrise rassicurante.
- è tutto perfetto - le rispose appoggiando la sua mano sulla sua per poi portala davanti alla bocca e depositarvi un bacio - vieni sono le otto passate dovrai cenare -
- e tu non ceni? -
- ehm si certo - però non mangiò quasi nulla.
 
…si diceva che in queste zone vagava un demone che si nutriva di sangue…
 
Perché le parole di Jaqueline continuavano a tornare a galla, erano solo assurdità!
 









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In questo capitolo è arrivato un nuovo personaggio... lei e Daniel si conoscono, che cosa rappresenterà per Daniel? Spero di leggere qualche vostro commento sulla storia : )

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ed eccoci all'ultimo capitolo della storia. So che non è un gran che e che ci sono storie migliori sul sito ma è la prima volta che provo a scrivere sul sovrannaturale e devo dire che non è venuto poi così male, spero di non aver annoiato nessuno, certo ho ancora mooooolta strada da fare ma spero di migliorare. Avevo pensato di fare altri due capitoli che non aggiungono nulla alla storia se non spiegare alcune cose che Isabel ha solo accennato e un piccolo salto indietro nel tempo per vedere come tutto ha avuto inizio...Voi che dite? uno è mezzo scritto ma se non vale la pena evito di andare avanti... è tutto nelle vostre mani.

Prima della storia voglio ringraziare nihalmalfoy per aver aggiunto la storia nelle ricordate e per aver recensito lo scorso capitolo; Lyri per aver aggiunto la storia tra le seguite e Hermiuna per la recensione del primo capitolo. GRAZIE 1000  a tutte!
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Capitolo 4










Isabel si trovava nella biblioteca dell’università per preparare svolgere una ricerca e stava vagando per il reparto delle riviste quando l’occhio le cade su una rivista lasciata aperta in mezzo al corridoio. Lo raccolse, l’articolo mostrava quello che doveva essere un vampiro attaccare una giovane donna e le frasi in grassetto raccontavano come un vampiro si approccia alla sua vittima, tenendo il segno guardò la copertina e ne lesse il titolo“Medicina, morte e il sovrannaturale-quello che non è mai stato spiegato ”
 

si diceva che in queste zone vagava un demone che si nutriva di sangue…

 
Era da giorni che le parole di Jaqueline le vorticavano nella mente.Non riusciva a capire perché, se lo era ripetuto mille volte che erano assurdità ma gli strani comportamenti di Daniel la incuriosivano.
Anche l’altra sera non aveva praticamente toccato cibo e spesso spariva per pomeriggi interi ma soprattutto aveva notato che la sua pelle prima di uscire era fredda e quando tornava era calda come la sua.
Isabel si dava della stupida, stava viaggiando troppo con la fantasia e poi per chi? Per le parole di un ragazzo che le faceva venire i brividi appena le si avvicinava.
Ma la curiosità era tanta e fu inevitabile per lei portare la rivista al suo tavolo e leggerla.
 
- vedo che qualcuno si è dato alle letture particolari - le sussurrò una voce all’orecchio facendole perdere qualche battito. Jaqueline stava appoggiata con una mano al tavolo e la stava scrutando divertita. Isabel colta sul fatto arrossì e chiuse di scatto la rivista nascondendola sotto alcuni fogli.
- l’ho trovata per terra e ci stavo dando un’occhiata - si giustificò.
Jaqueline si piegò e annusò l’aria a pochi centimetri da suo volto, lei era paralizzata non riusciva a muovere un muscolo.
- hai un buon profumo lo sai? Daniel non te l’ha mai detto? - adesso aveva superato il limite, ma in quel momento scattò qualcosa nella sua mente, un ricordo o meglio un frammento di un sogno che aveva dimenticato e solo in quel momento tornò a galla.

 - hai un ottimo profumo -

 
Scosse la testa per scacciare quel pensiero. Era un sogno senza significati nascosti.
 
- tu hai seri problemi lascia telo dire - gli disse indispettita raccogliendo le sue cose e allontanandosi da lui. Solo una risata arrivò alle sue orecchie ma quando si girò verso il tavolo, rimase sconcerta, lei non c’era già più. Si guardò attorno ma era come volatilizzata e senza pensarci troppo, corse fuori dall’edificio e tornò alla Villa.
 

***

 
 
Isabel aveva passato tutta la notte a pensare alla discussione avuta nella biblioteca e anche il giorno successivo non prestò attenzione alle lezioni, troppo concentrata a ripensare a quello che aveva letto nella rivista, morti misteriose, strane ferite provocate da armi ignote.
Alla fine dell’ultima ora aveva deciso. Avrebbe controllato i documenti sulla morte di Drew appena costatato che era tutta invenzione e che Jaqueline aveva mentito solo per indispettirla avrebbe dimenticato tutto e sarebbe andata avanti con la sua vita.
L’ultima campanella era appena suonata e Isabel si stava dirigendo a passo svelto verso la fermata degli autobus che portavano a Lebanon e quindi al Dartmouth-Hitchcock Medical Center.
 
Dopo quasi due ore, era davanti al centro medico ma non sapeva dove andare, era la prima volta che ci veniva ma essere una studentessa di medicina della Dartmouth le aveva facilitato le cose. Con la scusa di consultare dei libri dell’archivio, un uomo della sicurezza, dopo il consenso del primario, il Dottor Weeks, suo professore di medicina generale, la condusse nel piano interrato dove erano conservati gli archivi e dove c’era anche il laboratorio per le autopsie e di conseguenza tutti i documenti relativi a tutti i morti che passavano per quelle stanze.
Dopo che la guardia la lasciò sola, Isabel aspettò un quarto d’ora prima di sgattaiolare fuori. Velocemente raggiunse la sala, dove tenevano i documenti sugli ultimi casi, apri il cassetto con la lettera “ C ” e iniziò a sfogliare i fascicoli.
 Caberson
 
Caholan
 
Calon
 
Capeti
 
e finalmente Carter.
“ ferita profonda alla tempia sinistra…” “profonda lacerazione all’addome….” “Traumi sulle braccia e sulle gambe…” “ ustioni di IV° sul 90% del corpo…”
 
Ma quello che la colpì maggiormente fu la sezione delle osservazioni in cui il coroner segnalava la presenza sul collo di una doppia incisione, in corrispondenza della vena giugulare, come appariva nella foto allegata, e segnalava inoltre che il corpo appariva quasi del tutto dissanguato.
 
 

***

 
 
Erano le dieci di mattina era seduta sul suo letto a studiare quello che aveva scoperto l’altro giorno l’aveva scombussolata molto.
Ogni volta che era in compagnia di Daniel, ripensava a quello che aveva letto sia in quella rivista sia nel rapporto e doveva ammettere che Daniel delle volte, aveva comportamenti sospetti ma come poteva chiedere al ragazzo che amava se era un vampiro? Insomma le avrebbe riso in faccia.
 
- hai visto che bello fuori? - Isabel sussultò per lo spavento. Daniel era seduto sul bordo del letto e la osservava preoccupato, mi portò una mano sul petto e poté sentire il suo cuore battere furioso.
- scusa non volevo spaventarti - e dopo essersi tolto le scarpe si sdraiò a fianco a lei giocherellando con i suoi capelli.
- no, ero sovrappensiero e non ti ho sentito entrare, sai, sei molto silenzioso - gli disse ridacchiando poi ricordandosi della sua domanda guardò fuori dalla grande finestra. Erano in dicembre e la prima neve era già caduta coprendo tutto con un manto di un candido bianco - è stupendo, sai ho sempre amato la neve -  disse rivolgendo l’attenzione a Daniel - e a te? Ti piace la neve? -
- non particolarmente… -
- perché? - gli chiese guardandolo interrogativa. La neve era una cosa fantastica.
- brutti ricordi - Isabel lo guardò dispiaciuta e vedendola con quell’espressione Daniel la rassicurò subito - no, e poi è passato tanto tempo. Non ha più importanza -
Passarono diversi minuti prima che Isabel si decidesse a parlare.
- Daniel? - si sentiva una stupida a chiederglielo ma tutti quei pensieri la stavano logorando dentro.
- dimmi - erano molto vicini, Daniel aveva la testa appoggiata sopra la sua testa e le lasciava leggere carezze sui capelli alternate da piccoli baci.
- tu credi nei vampiri? - gli chiese di getto. In risposta, Daniel si irrigidì, smise di accarezzarle i capelli e la strinse a se con più forza.
- perché questa domanda? - le chiese senza risponderle.
Isabel si sentiva una stupida, ok aveva fatto qualche sogno strano, aveva letto quella stupida rivista e poi aveva letto quel rapporto ma da li a dire che i vampiri esistevano il passo era lungo. Si scostò da Daniel e si alzò con l’intento di allontanarsi da li.
- lascia stare, è una cosa stupida. Sono solo suggestioni, stupidaggini, … - si stava ingarbugliando non sapeva come giustificarsi e la faccia seria di Daniel le faceva sentire una sciocca, pensava di aver rovinato tutto. Vagava per la stanza cercando qualcosa che potesse toglierla da quella scomoda situazione.
- Isabel - il tono deciso della voce di Daniel la fece bloccare in mezzo alla stanza. Daniel si era alzato dal letto e la stava raggiungendo, non aveva il coraggio di guardarlo in faccia e così si era voltata verso la grande finestra da cui poteva vedere i piccoli fiocchi di neve cadere. Daniel poggiò due dita sotto il suo mento e la obbligò a guardarlo. Nella stanza era calato il silenzio. Isabel poteva sentire il suo cuore battere forte e il suo respiro lento e cadenzato. Lo sguardo di Daniel era duro sembrava distante ma Isabel, ormai lo conosceva bene. poteva vedere il timore che imperversava nel suo sguardo la speranza che animava i suoi occhi e la rassegnazione.
 
- vieni con me, ti devo mostrare una cosa - e la afferrò la mano e la condusse lungo il corridoio opposto a quello dove lei aveva la stanza e dove c’era quella di Daniel. Non c’era mai andata e lui non l’aveva mai portata ma non le aveva dato fastidio, quella era casa sua ed era ovvio che volesse uno spazio solo suo.
 
Apri la piccola porta di ferro decorato vetri colorati e la condusse lungo un lungo corridoio poco illuminato. Daniel si fermò davanti a una porta di legno e la guardò intensamente prima di aprire la porta. Era una camera abbastanza grande, con un grande letto a baldacchino nel mezzo, un armadio dall’aspetto antico, un grande specchio infranto e una scrivania anche’essa dall’aspetto antico con un computer portatile sopra. Era una camera dall’aspetto antico e raffinato, come se fosse la camera di un nobile. Anche se lei se lo dimenticava sempre Daniel, era un Conte.
Daniel si fermò davanti a un dipinto di medie dimensioni.
 
 - lei era Clara Della Rosa, una contessa italiana, arrivò in Inghilterra nel 1760 e vi morì due anni dopo a Londra - Isabel non aveva prestato attenzione al dipinto, troppo occupata ad osservare la camera che quando si girò per vedere questo dipinto rimase scioccata. La dama dipinta era la sua fotocopia, esteticamente erano identiche, con la differenza che Clara, aveva occhi azzurri e capelli castani. La ragazza indossa un abito tipico del finire del ‘700, rosso, e Isabel non poté che riconoscerlo come quello che indossava lei nei sogni dove c’era Daniel, la sua postura era rigida, lo sguardo dritto verso il pittore era dolce e gentile.
Cercò lo sguardo di Daniel per avere una qualche spiegazione e lui che la guardava in attesa di una sua reazione.
 
- com’è possibile? - chiese con voce incredula. Daniel le sorrise amaramente.
- ti assomiglia molto vero? Anche come carattere vi somigliate -
- come fai a dirlo? - gli chiese in un sussurro. La sua mente iniziava a elaborare tutte le informazioni che Daniel le aveva appena indirettamente dato e il suo corpo reagì d’istinto indietreggiò ma Daniel non le permise di allontanarsi troppo, le loro mani erano ancora intrecciate e lui, appena aveva intuito la sua mossa, aveva rafforzato la presa sulla mano di Isabel.
- perché era la donna che amavo e a cui, bestia quale sono, ho distrutto l’esistenza - e in quel momento tutto il mondo scomparve, Isabel riusciva solo a percepire l’eco delle sue parole e il loro significato.
- c…che cosa sei? - non sapeva se volesse saperlo davvero e se preferisse rimanere nella sua falsa ignoranza ma le parole le uscirono dalla bocca.
- mi hai chiesto se credo nei vampiri - e senza lasciare la sua mano si girò completamente verso di lei - e questa è la mia risposta - i suoi occhi erano fissi nei suoi, erano freddi e distanti - sì, ed io ne sono la testimonianza diretta - e le forze la abbandonarono e per Isabel fu il buio totale.
 
Quando riprese conoscenza, si ritrovò in una stanza estranea sdraiata su un letto a baldacchino che le sembrava familiare e in un attimo ricordò tutto quello che era successo. Il dipinto, Clara, la sua confessione.
Si alzò di scatto timorosa che Daniel fosse li in quella stanza, ma di lui nessuna traccia. Isabel tirò un sospiro di sollievo, si passò stancamente una mano sul viso. Sperava che tutto quello che fosse successo fosse solo un sogno, ma il fatto di trovarsi in quella stanza le toglieva ogni dubbio.
Daniel era un vampiro e lei se ne era innamorata.
Uno scatto alla porta le fece alzare la testa e vide Daniel entrare, con in mano un vassoio pieno di cibo.
 
- hai bisogno di mangiare qualcosa sei rimasta svenuta a lungo - disse rispondendo alla muta domanda di Isabel. Appena Daniel si avvicinò al letto per posare il vassoio fu istintivo per lei indietreggiare e portarsi una mano sul collo, aveva letto che quello era il loro punto preferito. A quel gesto un lampo di rabbia e dolore sconvolse il viso di Daniel, gli occhi si assottigliarono e la guardarono freddamente.
- credi davvero che io possa attaccarti? - sputò a denti stretti. Quell’accusa la fece sobbalzare, era piena di risentimento e dolore. Con il suo comportamento lo stava ferendo.
- i…io non lo so - soffiò Isabel.
 
Daniel sbuffo e poggiò il vassoio sul tavolino vicino al letto e si lasciò cadere a peso morto sul bordo del letto mantenendo le distanze da Isabel ma mettendosi in una posizione che gli permettesse di guardarla negli occhi.
 
- non potrei farti del male ne soffrirei e poi ne morirei anch’io -
- perché? -
- perché sei la mia sposa - le rivelò guardandola dolcemente. Ma Isabel non capiva il significato che avevano quelle parole, che al contrario, per Daniel sembravano valere tutto. Probabilmente vedendo l’incertezza di Isabel, Daniel continuò il suo discorso - è colei che è destinata a diventare la compagna di un vampiro, è l’altra metà della mela per citare uno dei vostri filosofi famosi - disse ridacchiando forse per smorzare la tensione di Isabel. Ma non servì a molto, a Isabel quel discorso sembrava assurdo - è una cosa istintiva. Quando la si incontra, la si riconosce - Lei doveva essere la sa compagna?perché? Che cosa hanno le “spose” di così speciale.
- ma non ci può essere un errore, magari è un'altra la tua sposa. Non puoi scegliere qualcun’altra? - lui ridacchiò
- non ci sono errori. Sei tu - le disse confermando i suoi timori.
- quindi se tu non mi avessi mai incontrato all’aeroporto, non lo avresti mai saputo - affermò Isabel.
Un incontro che aveva condizionato tutto.
Ma la reazione di Daniel la stupì. Si era messo a ridere piano e scuotere la testa. Come se il loro incontro fosse stato inevitabile e la cosa era impossibile, prima di allora non si erano mai visti.
- tuo padre mi ha fatto vedere una tua foto quando è stato qui in estate e la somiglianza con Clara ha scatenato in me la curiosità di incontrarti. Sapevo che saresti arrivata quel giorno e così ti ho aspettato - confessò lasciandola a bocca aperta.
- allora mi trasformerai in vampiro? Anche se non volessi? - Daniel scosse la testa.
- no, lo devi volere tu. Se deciderai di essere trasformata, il nostro è un legame particolare, condivideremmo tutto. Le nostre emozioni… i nostri timori… sapremmo dov’è l’altro o se è in pericolo. Adesso io posso solo percepire fievolmente i tuoi stati d’animo -
- come se non mi hai trasformato? - gli chiese cercando di capire qualcosa di quella spiegazione che l’aveva stordita.
- una notte ho bevuto una goccia del tuo sangue - confessò imbarazzato grattandosi la testa.
- c…come!? Quando? - come aveva fatto a bere il suo sangue senza che lei se ne fosse accorta? E ancora si toccò il collo nell’intento di trovare qualche traccia del morso.
- la sera che mi hai invitato a cena per la prima volta, quando ti sei addormentata, sono entrato nella tua stanza. Era per poterti proteggere - più di un mese fa!
Daniel poteva leggerle le emozioni, sapeva quello che provava e ora si riusciva a spiegare le volte in cui lui sembrava leggerle nel pensiero, tanto riusciva a capire le sue necessità.
- e se io non volessi? Cosa succederebbe? - l’idea di trasformarsi in un vampiro era per lei impensabile, tenendo conto che fino al giorno prima credeva che questi esseri fossero solo frutto dell’immaginazione dell’uomo, ora il fatto di poter essere trasformata in uno di questi esseri leggendari, la scombussolava non poco.
Il viso di Daniel si adombrò e strinse le mani con forza.
 
- in quel caso non ti deve interessare quello che succederà - disse con un velo di tristezza e sofferenza nella voce. Isabel si preoccupò, che cosa sarebbe successo ora?
 
Poi un lampo.
Le tornarono alla mente le parole lette nel rapporto su Drew, aveva ferite sul collo. Guardò Daniel sconvolta, il suo corpo tremava dalla paura e dalla rabbia, sgattaiolò fuori dal letto dalla parte opposta a quella di Daniel e barcollante si diresse verso la porta della stanza. Non poteva rimanere lì un minuto di più.
Ma Daniel fu più veloce, se lo trovò davanti alla porta impedendole di usare l’unica via di fuga che aveva.
 
- ti prego non andartene, permettimi di spiegare… - le disse alzando le mani verso di lei. Che si ritrasse inorridita.
- spiegare cosa!  Di come hai ucciso Drew? - sputo con disprezzo. Non poteva credere di aver creduto di amare un assassino. Aveva ucciso Drew per cosa? Per cibarsi? Poi un ricordo.
 

- volevo chiederti…insomma tu mi piaci molto…ecco…volevo chiederti se sabato ti andrebbe di uscire con me -

 
Daniel era presente, era nella sala accanto quando Drew le aveva chiesto di uscire e lui dal giorno dopo era sparito.
 
- oh mio dio! L’hai ucciso perché gli piacevo e mi aveva chiesto di uscire!? - lo accusò. Le lacrime stavano forzando per uscire, era lei la causa della sua morte, era tutta colpa sua.
Daniel spalancò gli occhi sorpreso e con uno scatto le afferrò le braccia.
 
- non ho ucciso io Drew. Per quanto stessi morendo dalla gelosia, non lo avrei mai ucciso. Mi nutro di sangue è vero, ma non uccido mai nessuno, prendo quello che mi serve senza ucciderli. Ma Drew non l’ho mai toccato -
- ah si !? e tu conosci qualche altro vampiro che va in giro a mordere la gente !? No perché quei buchi sul suo collo non me li sono immaginati, c’è una foto a testimoniarli! -
- Jaqueline - a quel nome Isabel smise di dimenarsi e guardò con occhi impauriti il ragazzo di fronte a lei - è l’unica oltre a me in questa zona e lei non si fa problemi ad uccidere le sue prede. Per questo ti avevo detto di starle lontana -
- Jaqueline - sussurrò come cercare una conferma che arrivò dal gesto di assenso di Daniel. Jaqueline, solo il nome le faceva venire i brividi. Quella ragazza era una vampira. E di vampiro aveva tutto, era bella quanto inquietante.
 

- vi conoscete? -
- siamo conoscenti di vecchia data -

 
Quindi si conoscevano da chissà quanto tempo, ma la reazione della tavola calda non faceva intendere che tra i due scorresse buon sangue.
 
La testa di Isabel era sopraffatta dalle troppe informazioni che le avevano rovesciato addosso. Le gambe non la reggevano più e se non fosse stata per la presa di Daniel, Isabel sarebbe finita col sedere a terra. Daniel la prese in braccio e la riportò sul suo letto mentre Isabel si lasciva trasportare come un burattino.
 
- ti lascio riposare un po'. Devi riordinare le idee - e le accarezzo una guancia cercando forse di rassicurarla. Isabel alzò lo sguardo per guardarlo e vide la sofferenza di Daniel, che era come una coltellata al suo cuore.
- ma ricorda una cosa. Non ti farei mai del male, neanche a quelli che ami. Non voglio vederti soffrire, voglio vederti sempre con il sorriso sulle labbra. Isabel io ti amo, sei la mia linfa vitale - il tono era lento ma deciso. Daniel non le stava mentendo, era sincero - quindi ti prego cerca di accettarmi così come sono, una  bestia, ma sono una bestia che ti ama - e dopo un ultima carezza e un bacio sulla fronte Daniel usci silenzioso dalla stanza, lasciandola ad affrontare i suoi pensieri.
 
Nella sua mente tante immagini. Il primo incontro con Daniel, la cena a casa con il padre poi alla Villa, l’incontro con Jaqueline, la rivista e il rapporto dell’ospedale, e tutti, anche i più piccoli, indizi acquistarono senso e Isabel si spaventò nel realizzare di essere finita in un gioco di cui non conosceva le regole e che l’avrebbe schiacciata senza pietà se avesse fatto qualche mossa sbagliata.
 
Aveva passato un mese in quella Villa, che ormai considerava come casa, si era sempre sentita a suo agio ma ora vorrebbe essere in tutt’altro posto. Diede retta al suo istinto, senza pensare alle conseguenze o altro e lentamente uscì da quella camera. Il corridoio era deserto, quando si ritrovò fuori dalla porta di ferro che aveva passato non incontro Daniel. La casa era silenziosa come sempre, scese le scale cercando di non fare neanche il minimo rumore e ancora di Daniel nessuna traccia. Forse era uscito per lasciarla in pace, si guardò, le grandi porte finestre erano aperte. Daniel non l’aveva imprigionata. Andò all’ingresso, prese il cappotto e, dopo aver dato un’ultima occhiata, uscì.
 
L’aria fredda d’inizio gennaio la colpì subito facendola rabbrividire, si strinse maggiormente nel cappotto e s’incamminò verso il grande cancello. Il cielo era coperto da pesanti nubi ma fortunatamente aveva smesso di nevicare. La Villa si trovava in una zona periferica del paese, attorno a essa vi erano poche case il resto erano tutti prati e campi. Isabel non incontrò nessuno, ma aveva paura di andare in giro da sola, così chiamò un taxi che nel giro di dieci minuti la raggiunse e la portò nel centro paese. Il taxista avendola vista scossa le chiese se andasse tutto bene e Isabel si limitò ad annuire e dirgli dove doveva portarla.
 
 

***

 
 
Stava camminando per le vie di Hanover, deserte a causa della neve, solo qualche studente era ancora in giro. L’orologio sopra ad un grande edificio segnava le tre di pomeriggio. Isabel non riusciva a credere come fosse possibile che poche ore le avessero sconvolto l’esistenza.
 
La suoneria del suo telefono la fece ritornare alla realtà. Si era dimenticata di averlo portato con sé. Lo estrasse dalla tasta posteriore dei jeans e quando guardò il mittente, il suo cuore scoppiò di gioia, quella parola rappresentava la normalità, la tranquillità e l’affetto.
Sul display, faceva bella mostra di se la scritta “ papà ”.
 
- pronto? -
- tesoro! - esordì la voce squillante del padre, automaticamente un sorriso increspò le labbra di Isabel. Era bello risentire una voce familiare.
- ciao papà, come stai? - era passato un mese da quando aveva scoperto i guai del padre, Isabel sperava che la faccenda si risolvesse in fretta, era in pensiero per suo padre tutta quella pressione non lo aiutava di certo.
- magnificamente! Il Conte non ti ha detto nulla? - Isabel si adombrò, lei e Daniel avevano avuto altro di cui parlare.
- non…non l’ho ancora visto. Che cosa doveva dirmi? -
- Gli avvocati del Conte sono riusciti a evitarmi la galera. Ma devo ripagare i clienti dei danni causati. E’ andata meglio di quanto sperassi -
- davvero! - gli chiese incredula ma felice Isabel. Finalmente si era risolto tutto, le sembrava che le avessero tolto un enorme macigno dal petto - è magnifico! Vedrai adesso andrà tutto bene. dovremmo solo fare qualche sacrificio ma si risolverà tutto. Vedrai papa andrà tutto bene - gli disse convinta. Dopo pochi minuti chiuse la telefonata, era felice. Suo padre era uscito dai guai e tutto grazie a Daniel.
 

- Non ti farei mai del male, neanche a quelli che ami. Non voglio vederti soffrire, Isabel io ti amo, sei la mia linfa vitale, quindi ti prego cerca di accettarmi così come sono, una bestia, ma sono una bestia che ti ama -

 
Daniel la amava e lei, nonostante quello che le aveva confessato, anche Isabel lo amava ma ancora non sapeva se era disposta a rinunciare a tutto per lui. Era un vampiro ma lei non aveva mai avuto paura, al contrario la sua compagnia la rassicurava, la faceva sentire protetta. Era Jaqueline quella di cui aveva sempre avuto timore, attorno a quella ragazza sembrava ci fosse un’aura maligna e crudele e ora capiva il perché.
 
Doveva tornare alla Villa, doveva sapere tutta la storia, per poter capire e prendere una decisione definitiva. Voleva sapere che cosa c’entrava Clara e come si sono conosciuti Daniel e Jaqueline. Sperava solo che Daniel non fosse ancora tornato e non si sia accorto della sua uscita. Guardò l’ora del suo telefono, erano le cinque e il cielo si era fatto scuro. Rapidamente si avviò alla ricerca di un taxi.
 
Un brivido le percorse la schiena, si sentiva osservata. Si guardò attorno ma non vide nessuno, solo ragazzi e signori che cercavano di non scivolare sulle lastre di ghiaccio, eppure quella sensazione non spariva. Iniziò a camminare velocemente, per quello che la strada le permetteva. La sensazione di essere osservata aumentava le sembrava di avere il fiato sul collo e appena vide un taxi lo fermò, salendoci di slancio. Mancavano dieci minuti alle sei quando il taxi la lasciò davanti al cancello.
 
La Villa aveva un non so che di sinistro non un suono nell’aria, circospetta Isabel iniziò a camminare, il fruscio della neve, schiacciata dai suoi piedi, risuona tutto attorno. Ad un certo punto un boato, dei vetri che si infrangono.
Isabel iniziò a correre, incespicando e cadendo.
Entrò trafelata nella Villa, un’aria fredda arrivava dalla grande sala, avanzò velocemente e poté vedere il corrimano delle scale distrutto, come se qualcuno ci fosse caduto addosso, e i pezzi erano sparsi sul pavimento. Un’aria fredda le colpi la schiena. Si girò di scatto e poté vedere una delle grandi porte finestre che dava sulla terrazza, distrutta.
Isabel non riusciva a capire quello che stava succedendo, chi potrebbe avere tanta forza per fare tutti quei danni?
Come risposta a queste sue domande giunse dal giardino una risata, sadica e cattiva. Una risata fin troppo familiare. Jaqueline.
Isabel aveva paura, ma non per lei ma per Daniel, se Jaqueline era lì, Daniel la stava affrontando. Corse fuori dalla porta finestra rotta calpestando i frammenti di vetro che si erano sparsi per la terrazza.
Il giardino era immacolato. Attorno a lei c’era neve, solo candida neve, che copriva ogni cosa. Dove trovarlo? Scese la scalinata velocemente e solo in quel momento vide su quella neve candida delle piccole gocce di sangue, rosse che segnavano un percorso.
 
L’anfiteatro!
Corse a rotta di collo lungo in sentiero, inciampando e ferendosi riuscì a raggiungere le rovine e la scena che le si presentò davanti le ghiacciò il sangue nelle vene.
Daniel era steso a terra, sulla scena, ferito all’addome, e Jaqueline lo sovrastava minacciosa. Un’amazzone pronta a colpire.
 
- DANIEL! - urlò Isabel scendendo le gradinate. Il suo grido aveva attirato l’attenzione dei due. Mentre Daniel la osservava con occhi sbarrati e terrorizzati, Jaqueline la guardava famelica. A Isabel si ghiacciò il sangue nelle vene, il volto della ragazza era diverso dal solito, gli occhi erano completamente neri, la fronte era corrugata e le labbra, schiuse, in un ghigno malvagio, su una fila di denti appuntiti come quelli di un animale predatore.
 
- ma guarda chi è tornata. Mi risparmi la fatica di venirti a cercare -
- ISABEL! ALLONTANATI SUBITO! - le urlò invece Daniel cercando di alzarsi. Subito Jaqueline lo colpì con un calcio al petto facendolo ricadere a terra.
- NO! - gridò impaurita Isabel ormai arrivata all’orchestra. Jaqueline rise e con una velocità sorprendente la raggiunse, prendendola per il collo e lanciandola sulla scena dove Daniel la prese al volo, salvandola dall’impatto con la pietra.
- Isabel! Isabel stai bene? - le chiese preoccupato accarezzandole freneticamente il viso. Isabel lo guardava con occhi sbarrati, aveva paura, voleva scappare ma non poteva lasciare Daniel ferito e prossimo alla morte se Jaqueline avesse continuato a colpirlo.
Si limitò ad annuire alla domanda che le aveva fatto, ma delle mani che battevano, attirarono la sua attenzione e quella di Daniel che con sguardo rabbioso, fissata un punto alle spalle di Isabel. Jaqueline era tornata sulla scena, si muoveva sinuosa come un serpente in procinto di dare il colpo mortale alla sua preda. Un ghigno a piegarle le labbra mentre i suoi lineamenti erano tornati quelli di sempre.
 
- ma che scena commovente. Ora mi metto a piangere - disse imitando teatralmente l’atto di asciugarsi gli occhi.
Daniel si mosse a fatica e dopo essersi alzato, si mise davanti a Isabel per proteggerla.
- Daniel chi credi di proteggere conciato in quel modo? La ucciderò e tu resterai inerme a guardarla. Ma non preoccuparti ucciderò anche te dopo -
Isabel iniziò a tremare e si strinse con forza alla camicia di Daniel che appena sentì il corpo di lei poggiarsi sulla sua schiena, girò la testa per guardarla e le sorrise.
 
- stai tranquilla, non le permetterò di toccarti neanche un capello - disse provocando l’ilarità di Jaqueline.
- non hai protetto Clara e pretendi di riuscire a proteggere lei? - gli chiese continuando a ridere.
- Taci! Non ti permetterò di avvicinarti a lei! - e Isabel riuscì a vedere i lineamenti di Daniel trasformarsi, conferendogli un aspetto umanoide. Tremò per la paura ma non mollò la presa sulla camicia di lui. Daniel la voleva proteggere, non le avrebbe fatto del male.
 
Jaqueline si fece seria in viso e alzò la mano sinistra, solo in quel momento Isabel si accorse che Jaqueline nella destra teneva un pugnale finemente decorato in argento, insanguinato.
 
- uccidila, come hai ucciso Clara - disse usando un tono autoritario - e vieni con me - concluse addolcendo il tono e lo sguardo perse per un attimo quel cipiglio malvagio che tornò subito appena Daniel le rispose.
- mai! Ero giovane e non sapevo controllarmi. Adesso è diverso e te la farò pagare per tutto il dolore che hai provocato - la minacciò e il suo sguardo se possibile s’indurì ancora di più.
- come hai ucciso Clara? - chiese Isabel scioccata. Daniel le aveva detto che la amava, come ha potuto ucciderla?
- mi aveva rifiutato e io mi sono vendicata. L’ho trasformato e gli ho messo sotto il naso la sua cara amata. Quale vendetta migliore? - fu Jaqueline a risponderle e per la seconda volta a Isabel si ghiacciò il sangue. Come si poteva essere così crudeli e vanitosi?
 
- uccidere la donna che si ama. Allora Daniel pronto a rivivere questo infausto destino? - gli domando iniziando ad avanzare verso di loro con il pugnale pronto a colpire - Di addio alla tua bella Isabel - e con un balzo fu davanti a loro.
Daniel però riuscì a bloccarla e con un urlo disumano la lanciò contro un pilastro, facendole cadere il pugnale proprio davanti a Isabel.
 
I due vampiri continuarono a lottare. Ogni volta che Jaqueline tentava di avvicinarsi a Isabel, Daniel la bloccava ma Isabel vedeva che Daniel faticava ogni minuto di più.
 
Poi successe tutto troppo velocemente perché l’occhio di Isabel potesse registrare l’azione. Jaqueline riuscì a superare la difesa di Daniel e scaraventarsi verso di lei. Jaqueline le era praticamente davanti, pochi centimetri e l’avrebbe presa. Chiuse gli occhi spaventata ma un tonfo glieli fece riaprire subito.Daniel aveva afferrato Jaqueline e la teneva ferma a terra. Jaqueline si dimenava ma lui riusciva a tenerla a bada fino a che Jaqueline con uno scatto di reni capovolse le posizioni.
Daniel sarebbe morto, Isabel l’aveva capito. Doveva decidersi ad agire prima che fosse troppo tardi. Impose al suo corpo di muoversi e afferrare il pugnale.
 
Lentamente e con le mani tremanti, si avvicinò ai due vampiri. Stavano lottando e Jaqueline non faceva caso a lei.
Arrivò dietro la vampira e con un moto di rabbia, rabbia per quello che aveva fatto a Clara, per quello che aveva fatto a Drew e quello che stava facendo a Daniel affondò con decisione il pugnale nella schiena della vampira. Jaqueline urlo di dolore inarcando la schiena. Isabel tolse il pugnale e indietreggiò di un paio di passi.Ce l’aveva fatta!
Jaqueline si girò, gli occhi infiammati da una furia senza eguali. Ora era lei il bersaglio.
 
- il cuore Isabel! Colpisci il cuore! E non togliere il pugnale! - le urlo Daniel ancora sdraiato a terra. Isabel fece quello che gli aveva detto e con un ultimo sforzò conficcò il pugnale dritto nel cuore della vampira, ancora indebolita dal colpo alla schiena.
La vampira la guardò stupita prima di abbassare lo sguardo sulle mani di Isabel che spingevano il pugnale nella sua carne. Jaqueline rialzò lo sguardo, questa volta rabbioso, prese i polsi di Isabel e li strinse con forza, facendola urlare di dolore.
Ma un rantolo strozzato usci dalla bocca di Jaqueline e la presa sui polsi di Isabel divenne sempre più debole mentre i suoi lineamenti ritrovarono le fattezze umane.
Jaqueline scivolò a terra inerme, sembrava una bellissima bambola di porcellana.
Non avrebbe più fatto del male a nessuno.
 
Isabel aveva il battito accelerato, il respiro pesante e gli occhi spalancati che ancora non si staccavano dalla figura a terra che si stava raggrinzendo.
 
- Isabel - al suono del suo nome Isabel girò la testa di scatto. Daniel ancora disteso a terra si teneva una mano sull’addome, dove era stato ferito, e la guardava preoccupato.
“Sta bene” era il pensiero che si ripeteva come un mantra. Daniel stava bene.
Corse verso di lui inginocchiandosi al suo fianco e abbracciandolo con tutta la forza che aveva. Aveva bisogno di quel contatto e delle sensazioni che gli trasmetteva.
Daniel la abbracciò e le baciò i capelli, la allontanò da se quello che bastava per osservarla in viso, e le sorrise felice. Isabel in quel momento pensava che non ci potesse essere niente di più bello che quel sorriso.
Isabel asciugò con il dorso delle mani gli occhi e guardò preoccupata la ferita sull’addome di Daniel.
 
- dobbiamo fare qualcosa per questa ferita, dobbiamo pulirla dob… - ma Daniel non la lasciò continuare.
- shh… non è grave si rimarginerà da sola -
- m…ma… - Isabel cercò di controbattere, quella ferita aveva un pessimo aspetto -
- shh… te l’ho detto non è grave. Un paio d’ore e sarò come nuovo - le disse cercando di riassicurarla, appoggiò la sua fronte su quella di Isabel e dopo alcuni secondi di silenzio ricominciò a parlare - sei tornata - sussurrò stancamente -credevo che non ti avrei più rivisto -
- perdonami per essermene andata, ma avevo paura, era tutto così assurdo - disse accarezzandogli il volto amorevolmente - ma ora non scapperò più. Voglio stare con te per sempre - gli confessò con le lacrime agli occhi.
 
Ora che aveva rischiato di perderlo aveva capito che non poteva fare a meno di lui.  Daniel era la sua linfa vitale, come lei lo era per lui.
- vuoi diventare la mia sposa? - biascicò con voce visibilmente emozionata.
- si -
- per sempre? - le chiese Daniel a pochi centimetri dalle sue labbra.
- per sempre - rispose Isabel.
 
 

 Fine

 
 
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 Grazie di aver letto la storia. Spero di leggere qualche vostro pensiero : )


p.s. Se vi va fate un salto nelle altre storie
 
 

Buttare via tutto, e di nuovo ricominciare (originale)
lei era il bersaglio degli scherzi di lui, lei una bimba timida e ciocciottella che vedeva in lui il suo peggiore incubo. Che succede se lei se ne va, per tornare solo otto anni dopo? è tutto come prima o per una qualche ragione nascerà qualcosa di bello?
Dal capitolo:
Lei che stava porgendo la mano si blocca come fulminata- I-Ian?- la guardo interrogativo non capendo il suo cambiamento repentino, che le è preso? 
Si schiarisce la gola - Ian…Knight?- a quanto pare le hanno già parlato di me. Sorrido strafottente.
-il solo ed unico- sbianca completamente.
- in corso -

La donna giusta (originale)
Ancora prima di formulare un pensiero, il mio corpo scatta e il cervello da ordine ai piedi di muoversi e con l'ombrello copro la sua esile figura. Il suo profumo mi colpisce come un pugno in faccia, mi beo di quel momento.
Il mio corpo freme di desiderio, ne vuole di più, sempre di più, desidera un contatto più profondo, desidera prenderla e portarla in un posto solo per noi, dove lei é solo mia, dove io sono solo suo, dove lei suona solo per me.
- bisogno di aiuto signorina? - dico con voce resa roca dal turbinio di emozioni che sono in atto dentro di me.
Passione. Desiderio. Bramosia. Dolcezza. Tenerezza. Senso di protezione. Possesso. Devozione.
I suoi occhi, blu come un cielo d'estate, incatenano i miei e non posso impedire alla mia mente di ritornare al primo giorno che la vidi.
- in corso -

Red Fairytale - (twilight)
C’era una volta una bambina tanto vivace quanto sbadata, correva sempre anche per andare da una stanza all’altra, i genitori non sapevano come farla stare ferma soprattutto perché aveva la tendenza a sbattere contro oggetti fermi e inciampare sui suoi stessi piedini ed erano preoccupati che potesse farsi molto male, ma la amavano tanto e quando la vedevano a terra a piangere per l’ennesima caduta la rassicuravano e le davano un bacino sulla bua per fargliela passare e la piccolina rassicurata tornava felice a saltellare per la casa o il giardino mentre i genitori amorevoli, aspettavano la successiva caduta.
In un girono di fine giugno correva nei campi col suo fratellone, quando….
- conclusa -

Chi l'ha vista? (demenziale)
“Ennesima tragedia! " così ha esordito questa mattina Emilio Fede al TG4.
Non vuole essere offensiva o altro è solo una cavolata scritta dopo aver visto "una notte al museo 2" dove i doppiatori italiani hanno modificato alcune battute
- conclusa -

La ragazza che viaggia nel tempo  (in stop causa stupido virus che ha cancellato il lavoro, grrrrrrr....)
Non ha mai rischiato tanto, ma è la prima volta che si trova in una situazione simile e ha come il presentimento che qualcosa debba accadere e così rimane a guardare.
Sa chi è quella ragazza, poco più grande di lei, vestita secondo la moda della metà dell’ottocento, oh si…lo sapeva bene.
- in corso -

 

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