Recensioni per
Dear Watson,
di Machi16
“…virus, il mio nasce con il seme del perdono…”: Sh, la macchina perfetta impostata su un comportamento avulso dai rapporti sociali che potessero, in qualche modo, rallentare il moto di quegli ingranaggi costantemente al lavoro, ora si trova a dover considerare la possibilità di un modo di vivere diverso. Nella lettera che lui scrive a John, forse prevedendo un’altra sua scomparsa o, stavolta, vero suicidio, ancora non lo sappiamo, esprime il disorientamento di chi ha capito, troppo tardi per porvi rimedio, che, quel suo chiudere in maniera arrogante la porta di se stesso agli altri, ha causato inutili sofferenze. Basti pensare, per esempio, a Molly ed al Natale (SIB) al 221b, diventato, per lei, un vero e proprio incubo di fronte al gelido ed antipatico rapportarsi di Sh con lei. Nelle parole colme di tristezza e rimpianto per non aver saputo essere diverso, Sh mostra di accogliere in sé un nuovo elemento, ancora sconcertante per lui, perché non passibile di razionale catalogazione da parte della sua mente: il desiderio di essere vicino a qualcuno, di poter sentire del calore umano. Ed allora si aggrappa, come ad un’ancora di salvezza, a quella parola per lui, fino ad ora sconosciuta, e cioè “perdono”. Bel capitolo, dalla luce tenue dell’introspezione più sussurrata. |
In questo capitolo Sherlock non c'è, eppure se ne percepisce la presenza. La si sente attraverso la preoccupazione di Mycroft, la rabbia di John e persino dalle parole di Mrs Hudson. La cosa pazzesca di questa storia è che sì, i capitoli sono tutti molto brevi, eppure ogni parole e pensata, accuratamente concepita e serve ai fini della trama. Anche questo capitolo, meno psicologico e introspettivo rispetto ai precedenti, è stato straordinario. Lo è stato dalle parole di John, dai suoi occhi arrabbiati e ansiosi. Sono rimasta colpita da John in questo capitolo, si sarà capito... XD forse è un po' furioso con se stesso anche. E penso che lo si intuisca dalle parole di Mary. John dice che ha lasciato Sherlock solo perché ha una moglie incinta, il che è comprensibile. Ma la moglie incinta è Mary e non una donna qualunque. Con questo voglio dire che forse, come già avevo pensato in uno dei capitoli precedenti, è che John ha preferito scappare invece che affrontare Sherlock. Per questo l'ho visto tanto furioso, c'era un grande dolore in lui e forse tanta preoccupazione. |
Capitolo per certi versi più criptico, ma forse soltanto perché la parte finale conduce a un qualcosa che ancora non sappiamo e a risvolti di trama che ci sono ignoti. In buona parte, però, l'accuratezza psicologica e introspettiva di questo Sherlock Holmes, fanno sì che sia poco immediato il "quello che c'è dietro". L'andare a scoprire chi è Sherlock Holmes e il farlo attraverso le immagini che ci fornisci e le cose che pensa, è una cosa complessa. Una bella sfida, insomma. |
Questo capitolo è, lo confesso, una bella mazzata sui denti! XD Sì, non rende bene l'idea ma è la sola immagine che sono riuscita a paragonare con questo Sherlock che hai descritto alla fine. Uno Sherlock che quasi non si rende conto di ciò che dice, che si lascia scappare che doveva proteggerlo, in un modo o nell'altro (come se questo giustificasse un omicidio) e che alla fine quasi si scorda del fatto che John deve tornare da Mary, che è la persona che ha scelto e sposato e dalla quale aspetta un figlio. John è comprensibile nel modo che ha di agire e comportarsi, ma fa male lo stesso vedere Sherlock da solo a Baker Street. Lui che ha ucciso per proteggere la sola persona che gli sia entrata metaforicamente dentro, che si è fatto esiliare e il cui sentimento lo ha fatto quasi finire in overdose. John non capisce, si preoccupa, ma si ritrova davanti al solito muro e quindi se ne va. Forse va via perché davvero si preoccupa per Mary e la bambina, forse invece se ne va perché è più facile stare con Mary, che capire Sherlock. |
Ciao, innanzitutto mi scuso per il ritardo mostruoso con cui arrivo a recensire. Diciamo che per una serie di sfortune e cose che si sono accavallate, sono rimasta indietro con la lettura. Ma ora recupererò tutti i capitoli che mi mancano. Incomincio da questo e citando la frase finale che è, forse, quella che fino ad ora mi ha più colpita: "Eppure era tutto lì davanti a lui, come prima che se ne andasse con Mary, si era seduto su quella poltrona che era la sua poltrona in quella casa che era la sua vera casa." Fino adesso abbiamo assistito a uno Sherlock molto più mentale e che, dal proprio Mind Palace, tenta di ristabilire l'ordine, cerca di riprendere il controllo. Perché? Perché i sentimenti non sono un vantaggio e perché John, nella sua testa, è ovunque. In questo passaggio è come se la razionalità di Sherlock Holmes che è uno dei pilastri su cui si basa il personaggio, andasse a farsi benedire. Sherlock è offuscato dai propri sentimenti, al punto da scordarsi quasi della faccenda Moriarty e tanto che in un primo momento fa addirittura fatica a riprendere coscienza. Forse è la droga, la responsabile, ma io credo che sia anche provato non soltanto dai troppi viaggi onirici, ma soprattutto da quanto accaduto. Sherlock sembra quasi sconvolto dal suo aver quasi detto addio a John. Si chiede come si faccia a dire addio a qualcuno e per assurdo se lo domanda quando già il pericolo è scampato. |
Quello che rappresenti è uno Sh malinconico ed in forte difficoltà, perché, nonostante la sua superiore intelligenza, riesce a malapena a trattenere l’impeto del sentimento nei confronti di John. Una cosa sconosciuta e mai provata prima lo sta travolgendo e lui è impaurito dalla possibilità che, ciò che realmente prova, possa rivelarsi agli latri prima che lui ne abbia trovato la giusta catalogazione e soluzione. E qui mi esprimo parlando come egli stesso ragionerebbe di fronte ad un caso davvero difficile. John tenta il dialogo ma le sue domande sbiadiscono, spente dal lavorio incessante di una mente che non vuole ammettere di non riuscire a capire quello che sta succedendo. La scena si chiude tristemente con l’irruzione della realtà in quella stanza al 221b che era tutto il loro mondo ma che, ora, sembra essere diventata un luogo estraneo (“…Devo tornare da Mary e lo sai…”). Sh, allora, trova l’unica strada che possa, momentaneamente, dargli conforto lasciandogli esprimere ciò che prova: la voce del suo violino. Un bel capitolo, questo. |
Sh torna dall’incursione nel suo Mind Palace, tormentato, come abbiamo visto, dalla sensazione di essere seguito da qualcuno che, dunque, comincia ad invadere il suo personalissimo spazio di libertà. Consapevole di questo, Holmes sta vivendo il violento contrasto tra l’ ordine della ragione, freddo ma privo di complicazioni a lui fino ad ora sconosciute, e quello che, per lui, è un disordine inesplorato, creato da un sentimento, da un intruso che sta comunque animando il silenzio e la quiete del suo personale labirinto mentale. Silenzio e quiete che, però, non hanno il calore di una presenza, di qualcuno che sta diventando sempre più indispensabile (“…Uno sciocco e stupido sentimento senza valore che in verità valeva moltissimo…”). John è di nuovo con lui, per Mary non c’è spazio, lì, tra loro due e Moriarty, forse, ha fatto l’unica cosa utile della sua vita criminale: ha fatto in modo, morto o no, che Londra avesse nuovamente bisogno di lui, dell’unico detective consulting al mondo. E Sh ha bisogno di Watson. |
La tua ff è un cammino introspettivo minuzioso e, come ho già scritto nella precedente recensione, connotato da una capacità espressivo-linguistica di non comune varietà lessicale e di convincente esposizione di concetti non semplici da condividere. Forse qualche pausa in più (punto, punto e virgola…) in certi passaggi, avrebbe aiutato il lettore a gustare di più questa “prelibatezza” che è “Dear Watson” ma, d’altra parte, sono più che mai schierata in difesa dell’assoluta libertà espressiva che si traduce anche nel non lasciarsi troppo “ancorare” da problemi puramente tecnici. Quindi prendi la mia osservazione come l’atteggiamento di chi stia guardando attraverso un cristallo nitido e gli sembri di scorgere un microscopico alone che ne opacizza una piccola area. Nulla di più. In effetti sto proseguendo nella lettura della tua ff, invogliata da forma e contenuto, che sono perfettamente coerenti ed in equilibrio: una forma espressiva più scarna non potrebbe rendere la profondità di quello che ci comunichi. Tanto più che siamo partecipi del percorso interiore di un personaggio, Sh, che è uno dei più affascinanti e complessi della letteratura e delle serie televisive. |
Ad una prima lettura, salta agli occhi l’accuratezza stilistica con cui hai costruito la tua ff e cioè la preparazione minuziosa dell’atmosfera e dell’ambiente in cui collocare le vicende. Bene hai ricreato il clima piovoso di Londra e il suo indifferente ed anonimo fluire di passanti, ognuno con le loro storie e le loro angosce. Poi, hai come avvicinato la lente d’ingrandimento a Baker Street e ad una figura, ormai familiare, che sembra interessato a ciò che succede fuori dalla finestra ma che, in realtà, sta guardando dentro se stesso. È Sh che, infatti, sta cercando di trovare una via d’uscita dalla situazione, per lui caotica, in cui l’hanno portato sentimenti ed emozioni, cose assolutamente nuove ed infide per lui. |
Più andavo avanti a leggere il tuo racconto, e più mi convincevo del fatto che si tratta di una storia eccellente. Ciò che stai costruendo, riga dopo riga, è un lavoro di raro valore e soprattutto molto attento dal punto di vista della costruzione stilistica e della scelta lessicale, che è di un livello non poi così comune. I capitoli sono brevi, ma d'impatto e tanto che l'introspezione di questo Sherlock rimane aggrappata addosso anche quando la lettura termina. La cosa pazzesca è la profondità che sei in grado di dare, e con un personaggio emotivamente contorto e intellettualmente complesso come Holmes. Sono impressionata dai concetti che sei stata in grado di sviscerare. Su tutti, quello che più mi è rimasto addosso, è proprio l'immagine che dai sul finale ovvero di uno Sherlock che non riconosce nemmeno più il proprio palazzo mentale e di conseguenza se stesso. L'idea lo disturba e lo sconvolge, perché la sua mente è una sorta di rifugio sicuro e placido, ma che ora non riconosce nemmeno più. C'è un qualcosa che non controlla e che si manifesta in una figura che si aggira per i corridoi e che lui stesso chiama John, sebbene non riesca a distinguere le sue fattezze. Questa idea che Sherlock abbia un qualcosa di legato a John che non è in grado di controllare mi scalda il cuore, che sia un sentimento o un pensiero... insomma qualsiasi cosa sia sta prendendo il possesso del cervello di Sherlock Holmes, invadendogli tutti gli spazi più intimi. |
Ciao, trovare una storia che dichiara di essere introspettiva fin dal primo capitolo, non può che attirare le mie attenzioni fin da subito. Il prologo è davvero breve, ma introduce già diverse tematiche interessanti che vengono riprese da The Abominable Bride e che riguardano il trincerarsi di Sherlock in se stesso, il rifiutarsi di accettare di provare dei sentimenti... tutte cose che di quello special ho adorato perché contribuiscono nella creazione di un personaggio, Holmes, che diventa via via sempre più profondo. E io sono davvero curiosa di capire come svilupperai la sua introspezione e che tipo di viaggio gli farai fare. |