PARTE SECONDA: Un terribile
errore.
1. La spia
perfetta.
Non appena ne fu
realmente consapevole, la dolcezza di Silente parve insopportabile al giovane
mago.
Si alzò di scatto,
allontanando bruscamente le mani del vecchio dalle sue e scagliando via il
calice, che andò ad infrangersi poco lontano sull’antico pavimento di pietra,
tingendolo di un rosso cupo troppo simile al colore del sangue. Distolse lo
sguardo, disgustato.
I pensieri si fecero
parole, gridate senza alcun controllo – “Non sia gentile con me. Non voglio la
sua gentilezza! Non me la merito. Non merito che disprezzo. Non sono venuto qui
per chieder perdono… non è questo. Non sono qui per me stesso…
“.
“E per cosa, allora,
ragazzo?” – lo interruppe calmo il Preside – “Cosa ti ha portato da me? Non
credi che sia venuto il momento di dirmelo?”.
Occhi chiari fissi nei
neri abissi di quelli del ventenne tremante dinnanzi a lui. Occhi che non
conoscevano ancora la risposta, pur dopo aver scrutato a fondo la sua mente
torturata.
Devi dirmelo tu,
Severus. E’ qualcosa che ti fa troppo male, l’ho capito. Male al punto che
vorresti rivelarmelo, ma, per tutto il tempo, la tua mente ha tentato di negarlo
e rimuoverlo. Perciò, ho conosciuto ogni tuo pensiero, ma questo è rimasto
intoccabile, come assente. Saresti un ottimo occlumante,
sai.
Forza dillo, il
coraggio ormai non ti manca.
“La Profezia” –
mormorò il mago bruno, con la voce ridotta ad un soffio – “Ho commesso un
terribile errore![1]”
Poi, una nuova
esplosione, in tono ancora parzialmente infantile, non del tutto adulto –
“Quella maledetta Profezia che ho inavvertitamente ascoltato alla locanda. Se la
ricorda? Quelle dannate parole… e non ho nemmeno sentito la fine…
“.
Lo sguardo di Albus
Silente lampeggiò dietro alle piccole lenti. Scordò all’istante dispiacere e
compassione. Il Preside paternamente preoccupato per l’ex studente scomparve,
lasciando il posto solo all’indomabile combattente; al più temibile dei nemici
di Lord Voldemort.
“Va avanti” – intimò,
imperioso.
Il giovane Piton prese
fiato, gli parve che un nodo gli risalisse su dalle viscere per poi bloccargli
la gola. Infine passò e riuscì a mormorare – “L’ho riferita all’Oscuro Signore…
“.
Un’altra pausa. Ora,
erano fin troppe le parole che premevano per poter uscire dalle sue labbra
martoriate.
Le lasciò andare, con
confusa veemenza – “Non sapevo… non potevo immaginare… Non avevo alcun modo di
sapere come Lui poteva interpretarla; il senso che avrebbe potuto darle[2].
Ma parlavano di Lui e io… sono stato un imperdonabile sciocco, un bambino, uno
stupido” – si tormentò le mani, prima di continuare – “Volevo… credevo ancora
che potessero esservi vera gloria ed onore presso l’Oscuro Signore, per chi lo
serviva con solerzia, o forse avevo solo paura di cosa sarebbe accaduto se Lui
avesse scoperto da altri che io avevo ascoltato la Profezia, ma gliel’avevo
taciuta. Come potevo sapere che Lui… “.
“Non potevi” –
constatò Silente, ancora interamente concentrato sulla rivelazione,
inaspettatamente importante, che stava per ascoltare – “Ma ora, invece, lo sai.
Adesso sai come Voldemort può aver interpretato quella Profezia. Di qualunque
cosa si tratti, ragazzo, devi dirmelo. Non aver paura di me, parla liberamente.
Dimmi tutto, forza”.
“Non ho paura di lei”
– Severus scosse sconsolatamente il capo – “Ma di ciò a cui ho dato inizio. Non
volevo. E’ terribile! Lei l’ha visto con i suoi occhi, poco fa: ho bruciato la
mia anima, ma questo… è mille volte peggio… non volevo”.
Non ho paura di lei
Signore, ma la prego, la prego, lo fermi. Non glielo lasci fare. Lei deve
fermarlo, solo lei può riuscirci.
La supplico, deve
impedire che accada… non m’importa di me, non hanno senso le mie infantili
giustificazioni, ma lo fermi. Non voglio anche questa colpa, non ce la faccio a
sopportarlo.
Infine, proruppe
disperatamente, tutto d'un fiato – “I Potter, Signore. Lui ha saputo della
nascita del loro bambino. Le date coincidono. Potrebbe credere che la Profezia
sia riferita al bambino, a Harry Potter; al figlio di
Lily…”.
Silente imprecò contro
se stesso per aver perduto tanto tempo infliggendo al ragazzo il tormento dei
propri ricordi, anche se, in fondo al cuore, era certo di non aver scelto la via
sbagliata. Nonostante tutto, le ore trascorse dall’arrivo del giovane mago nel
suo studio erano servite a dargli la certezza che poteva fidarsi pienamente di
lui e che non si trattava solo di una trappola escogitata da Tom
Riddle.
“Cosa esattamente gli
hai riferito? Quanto hai sentito della profezia?” – domandò
immediatamente.
“Solo l’inizio” –
rispose Piton agitato – “Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere
l’Oscuro Signore… nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull’estinguersi del
settimo mese”[3].
“Solo questo” – ripeté
in un roco mormorio – “Ho sempre avuto una certa facilità nel mandare a memoria
ciò che ascolto… e ora non riesco più a levarmi questa frase dal cervello. Io…
so che lui ha quasi ucciso i Potter per tre volte e il loro bambino è nato il 31
di luglio.‘Sull’estinguersi del settimo mese’… il 31 di luglio… Lui potrebbe
credere… forse ha già pensato che si tratti del figlio dei Potter. Sono corso
qui da lei subito, appena ho capito che l’Oscuro Signore avrebbe potuto pensare
che la profezia si riferiva al piccolo Harry Potter… “.
Gli mancò la voce,
mentre continuava a tormentarsi le mani in preda
all’ansia.
“Aspettami qui, non ti
muovere e se dovesse entrare qualcuno non dire una parola di ciò che mi ha
appena riferito e di tutto quel che è successo finora. A nessuno!” – un ordine
perentorio, privo di fronzoli e Silente era già fuori della stanza, dopo averla
percorsa a grandi falcate.
Il primo di una lunga
serie di comandi, anche se il ventenne disperato e spaventato non poteva
saperlo, ma era già pronto ad obbedire lealmente.
Silente tornò quasi
due ore dopo e non appena posò gli occhi sul ragazzo scordò nuovamente di essere
il più fiero oppositore di Voldemort, per tornare ad essere solo un uomo e un
educatore che non poteva che riconoscere i propri errori.
Lo sguardo di Piton
era una supplica dolorosissima, una muta invocazione spaventata. Nel nero delle
iridi si leggeva il terrore che fosse troppo tardi.
Povero Severus. Avrei
davvero dovuto fermarti prima che tu scegliessi la via sbagliata. Affrontarti
duramente e rivelarti che avevo compreso a cosa potevano condurti le tue
insicurezze, i tanti desideri, la solitudine, le amicizie sbagliate che
frequentavi e soprattutto la tua sete di sapere.
A guardarti mi stringe
il cuore. Ho avuto qui Voldemort in persona, con tutta la sua melliflua
arroganza, a fingersi umile, seduto su quella stessa sedia, ma non ho mai
ritenuto che ci fosse speranza per lui.
Invece, per te c’era,
ragazzo, per questo avrei dovuto lottare.
Ma forse non sarebbe
servito. Che potevo fare, in fondo? Magari non mi avresti dato
ascolto.
Ora però, sei qui e
anche se dovrò chiederti un sacrificio enorme, ti giuro che troverò il modo per
tenerti per sempre lontano dall’abisso. Non ti lascerò cadere di nuovo,
Severus.
Se lo facessi ancora,
sarebbe imperdonabile.
Lo raggiunse e gli
posò lieve una mano sulla spalla. Era ancora poco più che un ragazzino, un bimbo
rispetto ad un vegliardo come lui.
Severus sollevò il
capo e il Preside non indugiò oltre – “Sta tranquillo. Ho preso le mie
precauzioni. Sarà fatto tutto il possibile per proteggere i Potter. Per ora, in
ogni caso, non è accaduto loro nulla di male. Lascia che ci pensi
io”.
Era talmente calma la
voce di Silente, che Severus non potè che credergli e confidare totalmente in
lui. Aveva un disperato bisogno di credere e sperare.
Si sentiva sfinito, ma
ora era facile parlare, finalmente – “La ringrazio”.
Uno dei grazie più
sentiti che il vecchio avesse mai ascoltato.
Poi, con fermezza –
“Sono pronto ad andare ad Azkaban. Avverta pure gli Auror perché vengano a
prendermi”.
E’ quel che merito.
Solo quel che realmente mi spetta e forse è perfino troppo poco. Non ho più
timore, nemmeno dei Dissennatori.
Come posso temere
l’oblio? Quanto vorrei poter davvero dimenticare. Non desidero
altro.
Silente fece un cenno
di diniego col capo.
No, ragazzo, niente
Azkaban. Non sarà questo il tuo destino.
Sei un dono e saprò
far tesoro di te. L’ho compreso subito.
Non ti piacerà, ne
sono consapevole. Ti farà male. Ancora sofferenza per te, ma sei più forte di
quel che credi, o non saresti qui, e io ho bisogno di
te.
Sei perfetto, Severus
Piton. Assolutamente perfetto per me e per la causa, più di qualunque altro
collaboratore io abbia mai avuto. Perfetto e fidato. Lo sei, perché vorrai
esserlo.
Ad Azkaban saresti
solo sterile preda del tuo inferno. Io, invece, ti darò la possibilità di
costruire, laddove finora hai solo distrutto e un giorno, forse, sarà importante
per te aver avuto l’occasione che sto per offrirti.
Un giorno, forse,
qualunque cosa accadrà, farà la differenza, quando tirerai le
somme.
“Niente Azkaban. Non
ci andrai” – rispose senza staccargli la mano dalla
spalla.
Piton sgranò gli
occhi, incredulo.
“Non… “ – domandò
nuovamente confuso – “Che cosa intende dire?”.
Silente non ritenne di
doversi affidare a giri di parole. Meglio essere diretti, perfino
concisi.
“Hai dimostrato
coraggio e pentimento per le tue colpe” – disse semplicemente – “Vero
pentimento. Gettarti in una cella in balia dei Dissennatori sarebbe uno spreco.
Invece, rimedierai ai tuoi errori e lotterai perché non vengano più commessi i
crimini orrendi che ora ti ripugnano tanto. Farò di te un collaboratore, una
spia. Se lo vorrai”.
Le ultime tre parole
suonarono decisamente retoriche al giovane, ancora incapace di credere alle
proprie orecchie.
Io una spia? Come una
spia?
Poi comprese cosa
poteva significare e si alzò di scatto, arretrando istintivamente, tanto da
rovesciare la pesante sedia intagliata.
“Intende…? “ – gli
mancò il fiato.
“Tornerai da
Voldemort” – affermò sicuro il vecchio – “Ti fingerai ancora suo leale servitore
e raccoglierai informazioni per me e per coloro che come me lo
combattono”.
Il mago bruno scosse
convulsamente il capo – “No, no. Non posso, non me lo chieda. Non posso! Non mi
rimandi tra i miei incubi. Farò qualunque altra cosa lei mi domanderà, ma non
voglio tornare da Lui”.
Non dall’Oscuro
Signore. Non a guardare i suoi Mangiamorte mentre uccidono ancora, mentre
torturano, mentre godono del dolore e del terrore altrui. Non da Lui che
potrebbe impormi di uccidere nuovamente. No! Non voglio più essere un assassino.
Non posso più uccidere. Mai più!
Silente continuava a
guardarlo con sicurezza, come se fosse già certo di poter contare su di
lui.
“Ti sto dando una
seconda possibilità, ragazzo” – replicò – “Ti sto offrendo una scelta. Non sono
tanti coloro che possono vantarsi di aver avuto una simile opportunità nella
vita, per rimediare ai propri errori. Ti sto dando, Severus, una via da
percorrere per poterti un giorno guardare nuovamente allo specchio senza
disgusto o vergogna e poter dire a te stesso: sono caduto, ma ho saputo
rialzarmi. E ti sto offrendo piena fiducia; nella tua correttezza e lealtà,
nelle tue capacità e nel coraggio che hai dimostrato”.
Fiducia in me? In un
assassino. Mi ha visto uccidere. Mi ha visto con i suoi occhi nel pensatoio.
Fiducia nelle mie capacità? Lei crede in me?
Nessuno mi ha mai
offerto altrettanto. Mi hanno sempre condannato per quel che ero, anche quando
non avevo ancora le mani sporche di sangue. Mi hanno giudicato anche solo per la
Casa d’appartenenza, per il mio interesse per le Arti Oscure, perché ero cupo,
goffo, diverso e impacciato.
Che altro poteva mai
diventare Severus il secchione, il moccioso sempre vestito di nero, sempre a
leggere libri e rimuginare incantesimi, anche proibiti, se non un
Mangiamorte?
Ho finito per crederci
anche io.
Ma tornare nel cerchio
dei Mangiamorte, no. Non ce la faccio. Non ho vero coraggio, non fino a questo
punto, no.
Si sentiva morire al
solo pensiero di Voldemort. Non della sua collera, ma della sua sola presenza,
dei suoi possibili ordini, di tutto l’orrore che gli ruotava
intorno.
Si sentiva minuscolo e
impotente; perduto e spaventato. Nauseato; troppo debole.
Gli tremavano di nuovo
le gambe. In fondo, aveva sperato, quasi bramato Azkaban. La prigione pareva un
luogo di pace rispetto alla cerchia dell’Oscuro Signore. Il bacio del
Dissennatore poteva porre fine alla sofferenza.
La tensione spazzò
definitivamente via ogni orgoglio.
“NO! Mi mandi ad
Azkaban. Mi uccida, mi faccia fare qualunque altra cosa, ma non mi rimandi di
nuovo indietro in quell’inferno, la prego” – scongiurò, mentre le lacrime
premevano di nuovo contro il bordo dei suoi occhi neri, dilatati dallo sgomento
– “Tutto, ma non questo, non di nuovo da Lui. Non so fingere fino a questo
punto. Io… e se mi ordinasse di uccidere ancora? Preferirei morire, glielo
giuro. Non me lo chieda”.
Silente si lisciò la
fluente barba bianca e rispose sereno – “Ti darò una copertura, che convinca
anche Voldemort, anzi che lui potrà credere vantaggiosa per sé. Una copertura
che ti ponga in una situazione tale per cui perfino Voldemort troverà poco
conveniente farti commettere nuovi delitti. Non subito, ma ci lavoreremo e,
appena saremo pronti, faremo in modo, io e te, che lui creda di aver avuto la
brillante idea di mandarti da me. Imparerai a fingere perfettamente. Per ora
Voldemort non ha alcun motivo per non fidarsi di te, e non ne avrà per lungo
tempo. Intanto imparerai. Anche se oggi non ti sei opposto alla mia
legilimanzia, un giovane riservato come te non dovrebbe aver problemi a
diventare un buon occlumante. Un ottimo occlumante; ti istruirò personalmente. E
se mai Voldemort dovesse dubitare sarà troppo tardi”.
“E se non riuscissi?”
– un grido soffocato, uscito da labbra tremanti – “Non m’importa di essere
ucciso, ma se, invece che aiutarla dovessi danneggiarla? Se dovessi
deluderla?”.
Silente sorrise – “Non
lo farai. Perché ci metterai tutto il tuo impegno. So quanto profondo può
essere. Sono certo che ti impegnerai, perché tu per primo vorresti vedere
Voldemort sconfitto. Se lui cadesse non ci sarebbero più omicidi, torture,
stupri, sparizioni. Se lui cadesse, nessuno darebbe la caccia ai Potter.
Diventerai la mia spia e proteggerai personalmente Lily, James e il bambino,
perché se davvero Voldemort dovesse decidere di far loro del male tu potresti
riferirmi immediatamente che è sulle loro tracce”.
Sono crudele con te,
ragazzo. Pretendo di metterti interamente in gioco. Ti chiedo te stesso, corpo e
anima. Ti sto domandando la vita intera. Ma devo e tu accetterai, perché c’è
ancora in te la luce che ho potuto vedere con tanta
chiarezza.
Severus pensò che il
Preside aveva ragione. Lui avrebbe per sempre fatto i conti con i propri
rimorsi, ma desiderava con tutto se stesso che l’Oscuro Signore cessasse la sua
tremenda, folle avanzata e che fosse fermato, prima che potesse compiere
qualcosa di orrendo a causa della Profezia che gli aveva sconsideratamente
riferito.
Oh, vederlo sconfitto
e poter dire a me stesso di essere stato anche solo in minima parte l’artefice
di quella disfatta… Saperlo non più in grado di nuocere…
Ma tornare da lui, e
replicare ogni notte l’orrore, ancora, ancora, senza fine, ora che aveva creduto
che, invece, il legame di sangue con il suo odiato mentore si sarebbe potuto
spezzare, era troppo doloroso.
Cadde in ginocchio,
tremante come lo era stato nel rivivere i propri strazianti ricordi, infelice
come non mai, forse nuovamente febbricitante.
Si prostrò,
ripentendo, singhiozzante – “Non me lo chieda. Qualunque altra cosa, la
supplico, ma non questo” – e afferrò la veste del vecchio mago per portarla alle
labbra, com’era solito fare con l’Oscuro Signore, per far comprendere al Preside
quanto era conscio della propria inadeguatezza e pochezza e fino a che punto era
disperato.
Ma Severus Piton non
baciò mai l’orlo di quella lunga tunica azzurra, perché Albus Silente lo
agguantò con foga per il bavero del mantello e lo sollevò, con forza
insospettabile in un vecchio tanto esile, rimettendolo in piedi
all’istante.
“Mai in ginocchio
davanti a me, Severus!” – esclamò con vigore, fissandolo con occhi perfino più
eloquenti delle parole – “Mai! Ti ho forse chiesto di umiliarti? Sono forse
Voldemort io, che un uomo debba degradarsi ai miei piedi perché io possa
camminare a testa alta? Credi che mi reputerei degno di stima se ti lasciassi
calpestare la dignità che nelle ultime ore hai dimostrato di possedere? O che ti
costringerò, se realmente non lo desideri, ad accettare il ruolo di spia e
ritornare in tale veste da Voldemort? Io non voglio schiavi, Severus, io non
compro le persone e non ti prometterò folli e falsi doni, né ti ricatterò con lo
spauracchio di Azkaban, che non temi e che ti eviterò in ogni caso. Io guardo
alla persona, e all’uomo che ho davanti lascerò libera scelta. Sei tu che
decidi”.
Il cuore del giovane
mago batteva all’impazzata.
Nessuno prima d’ora
l’aveva mai trattato così: realmente da pari a pari. Ma Silente non vantava
verso di lui altro titolo di superiorità se non l’età e la maggior
esperienza.
Essere rispettato, era
tutto ciò che sempre aveva desiderato. Rispettato davvero. Invece, era stato
spesso umiliato e mai si era sentito realmente stimato.
Né se lo sarebbe
aspettato ormai, con le colpe che gli schiacciavano ferocemente le spalle;
fermamente convinto di non meritarlo più.
Voldemort per primo
l’aveva sempre e solo ingannato e aveva distrutto ogni briciolo della sua
dignità. L’aveva reso schiavo, assassino, animale marchiato, facendo sì che lui
stesso non potesse più tributarsi rispetto.
Come può trattarmi
come se fossi degno di stima? Come fa a fidarsi di me? Proprio di
me?
Come fa a sapere che
non lo tradirò? Anche se è vero: non lo tradirei mai, morirei oggi stesso
piuttosto che ripagare così il dono che mi ha appena fatto. Il regalo di cui mi
sento indegno: una fiducia totale e incondizionata.
Darei qualunque cosa
per non deludere la fede che depone in me.
Il vecchio, non solo
non lo aveva condannato, ma gli tendeva la mano ed era disposto a credere in
lui, perfino a difendere il suo onore e la sua dignità, impedendogli un gesto
servile.
Anche solo il modo in
cui aveva pronunciato il suo nome era un privilegio inaspettato che lo lasciava
senza fiato. Non come tutte le altre volte, quel giorno, in tono paterno come
con un bambino spaurito, ma come rivolgendosi ad un uomo.
Lui si era sentito
realmente adulto per la prima volta.
Ho creduto d’essere
diventato uomo, prima d’oggi. Ho creduto d’essere intelligente e sapiente. Ho
pensato: sono un cresciuto, sono padrone della mia vita, non più l’adolescente
insicuro che può essere oggetto di scherno.
Sbagliavo. Ero ancora
un ragazzetto immaturo, incosciente e accecato. Solo quella mano che mi ha
sollevato da terra e le sue parole mi hanno fatto veramente sentire un uomo e
non un bambino.
Mi hanno fatto sentire
libero.
Prima ancora di aprir
bocca per rispondere, Severus Piton seppe con certezza che il primo tratto della
sua nuova via era segnato e sarebbe stato il Preside ad indicargliela. Ma lui
solo l’avrebbe tracciata. Lui l’avrebbe imboccata.
Comprese, senza ombra
di dubbio, che per la persona straordinaria che era Albus Silente, non per la
sua innegabile potenza, o per l’enorme aura magica, non per le conoscenze
innumerevoli o per la saggezza, ma solo per la profonda e sincera umanità di
quel vecchio incredibile lui sarebbe andato ovunque, perfino da Voldemort,
perfino ad immergersi nel più profondo degli incubi, nel più oscuro abisso,
volontariamente.
[1] La frase pronunciata dal mio giovane
Piton è volutamente la medesima frase con cui Silente, parlando del fatto che
Piton rivelò a Voldemort la profezia, risponde a Harry nel cap. 25 (“La veggente
spiata”); pag. 497 de Harry Potter e il Principe
Mezzosangue.
[2] Anche in questo caso le parole di Piton
coincidono quasi perfettamente con quelle di Silente, ancora da HP6, cap. 25,
pag. 498.
[3] Da HP5; pag.
777.