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Autore: Dayne    08/04/2012    4 recensioni
Questa storia è ispirata alla saga di Star Wars. E' nata alcuni anni fa, quando le mie figlie erano piccole ed io, nei giorni di pioggia, mentre eravamo in montagna, ho cominciato a raccontargliela per divertirle.
Poi ho deciso di metterla per iscritto, ma è diventata un'opera monumentale e, per la verità, non è ancora finita.
L'idea era quella di raccontare le vicende di Star Wars dal punto di vista di un nuovo personaggio.
Così è nata Dayne. Esatto, proprio come il mio nickname! Anzi, ora come ora, non ricordo se è nato prima il nome e poi la storia o viceversa. Comunque questo non è importante, importante è che vi piaccia e vi diverta come è piaciuta ed ha divertito le mie figlie.
Dayne è la cugina di Padme, la compagna di Anakin Skywalker. E' lei il cavaliere smarrito. E' una Jedi, ma non è sicura di volerlo essere. La faccenda si complicherà di più quando incontrerà Obi Wan Kenobi e se ne innamorerà.
La vicenda parte all'epoca della "Minaccia fantasma" e dovrebbe arrivare fino al "Ritorno dello Jedi". Avverto che nello stile ho seguito l'originale, ma ho fatto delle variazioni nella trama.
Commentate e consigliate.
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 1°

Dayne Amidala uscì sul terrazzo della sua camera. Respirò profondamente l’aria profumata di fiori e chiuse gli occhi.
Se chiudeva gli occhi e si concentrava, poteva vedere se stessa a due anni, davanti alla culla di sua cugina Padme.
Quello era il primo ricordo della sua capacità di usare la Forza.
Oh, certo, c’erano stati diversi episodi precedenti, sua madre, un tempo, glieli aveva rammentati di continuo, ma quelli erano troppo vaghi, dispersi nella profondità della sua coscienza di bimba piccolissima o, addirittura, di neonata.
Quel ricordo, invece, era lucido, nitido, fermo nella memoria e...sempre identico, simile ad un ologramma.
Lei, in piedi, davanti a quella culla e sua cugina, Padme, che dormiva.
C’erano le voci di sua madre e della zia, ovviamente. Forse le dicevano qualcosa, ma non era importante.
Importante era il suo sguardo che saliva, dal viso paffuto e sereno della piccola neonata, alla giostrina di campanelle appesa sopra la culla.
La giostrina cominciava a girare, lentamente, da sola. Le campanelle tintinnavano gioiose...vorticavano, poi, sempre più veloci, in una specie di sarabanda, quasi minacciando di staccarsi e di franare pericolosamente sull’ignara neonata che dormiva.
La spinta di sua madre era stata molto meno dolorosa del suo sguardo e della voce gelida che le aveva ferito le orecchie e il cuore:
“Smettila, stupida!”
La giostrina si era fermata di colpo.
Non seppe mai se sua zia si fosse accorta o meno che lei non aveva sfiorato il gioco con le mani. Ricordava come avesse ascoltato con tollerante comprensione le scuse di sua madre e come, poi, le avesse rivolto un sorriso.
Quel giorno, comunque, aveva imparato una cosa importante: era meglio non far sapere in giro che lei, Dayne Amidala, aveva strani poteri. Almeno se intendeva essere considerata una bambina come le altre.
 
Fu un episodio decisamente più drammatico e doloroso, però, a rafforzare in lei questa convinzione.
Sua madre era improvvisamente morta. Le avevano detto che era malata da tempo, ma lei, sebbene avesse all’epoca solo otto anni, sapeva benissimo che non era vero.
Tutti, pietosamente, le avevano nascosto che si era tolta la vita. Tutti, compreso suo padre.
Ma lei, Dayne Amidala, non era affatto stupida: aveva trovato e letto il diario di sua madre.
Sua madre era stata un cavaliere Jedi. Questo lo sapeva: era da lì che venivano i loro poteri, quelli che lei era costretta a nascondere come qualcosa di vergognoso.
Anni prima, sul pianeta Couruscant, si era innamorata di colui che sarebbe diventato suo marito. Ma i Jedi non potevano sposarsi.
Non i Jedi dell’Accademia, almeno. Non coloro che giuravano fedeltà alle regole monastiche del Tempio, che sceglievano una vita di rinuncia per seguire gli ideali di giustizia, amore e pace universali.
Sua madre si era invece sposata.
Aveva seguito il principe Mowdee Amidala fino al suo pianeta, Naboo, e lì era nata la loro bambina.
L’Accademia Jedi l’aveva espulsa. Era diventata una dei Venti Perduti: i cavalieri Jedi che avevano lasciato l’Ordine e che venivano ricordati tutte le mattine, con preghiere, dai Jedi fedeli alla Regola.
“Un po’ come essere morti.” Le aveva detto sua madre una volta.
Nel diario c’era dell’altro, però.
“Quando si è cavalieri Jedi, lo si è per sempre. Non si possono dare le dimissioni.
La Regola, talvolta è ingiusta, è assurdo aver paura dei sentimenti. Ma non è questo che mi tormenta. Io l’ho voluto, io ho scelto! E’ lei che mi preoccupa, e lei che...”
Quelle erano state le ultime parole che sua madre aveva scritto, il diario terminava così.
Qualche mese dopo, suo padre, incapace di rimanere a Naboo dopo la tragica scomparsa della moglie, era partito per una missione diplomatica sul bellicoso pianeta Ansean. Nella capitale erano scoppiati violenti disordini fra i rappresentanti degli abitanti del Sud del pianeta e quelli del Nord. e lui, coinvolto, era rimasto mortalmente ferito.
Dayne rimproverava ancora adesso i suoi genitori per aver anteposto i loro problemi a lei e per averla lasciata sola con un’infinità di domande senza risposta.
Dopo la perdita era stata affidata allo zio Ruwee, il fratello di suo padre, e alla zia Jobal.
Circondata d’affetto, era cresciuta con le sue cugine: Sola, che aveva la sua età, e Padme.
Aveva comunque continuato gli esercizi di meditazione e di levitazione che sua madre le aveva insegnato. Lo faceva in segreto, nella sua camera. Ma, soprattutto, aveva studiato seriamente, duramente: filosofie comparate, antiche religioni, archeologia per mondi...
Poi, verso i quattordici anni, osservando con attenzione la spada laser di sua madre, se ne era costruita una propria e, con questa, aveva sempre più perfezionato lo stile di combattimento.
Provava e riprovava le mosse e le posizioni, ispirandosi alle tecniche più classiche perché erano quelle che sua madre le aveva mostrato. Movimenti fluidi, lenti ed eleganti , caratteristici dello stile Makashi.
Ricordava ancora le lezioni materne; da un lato quei momenti erano stati piacevoli perché permettevano a lei ed a sua madre di condividere qualcosa che nessuno, in quel luogo, possedeva, ma, dall’altro, aveva ben viva nella memoria l’espressione di rabbia che, ogni tanto, compariva negli occhi di sua madre.
Era una delle domande che erano rimaste senza risposta: perché mi alleni se detesti che io abbia questi poteri?
Ora erano passati altri due anni, la spada le pendeva dalla cintura che le stringeva l’ampio abito a tunica.
Certo, nessuno poteva immaginare che nella piccola, elegante custodia agganciata alla cintura ci fosse un’arma così micidiale.
 
Dayne sospirò. Posò le mani sulla balaustra del balcone e riaprì gli occhi.
I ricordi svanirono in un attimo e la sua mente ritornò attiva al momento presente, al “qui” ed “ora”.
Le acque del lago si frangevano sugli scogli, sotto di lei. Dayne lasciò vagare lo sguardo attorno.
Il profilo scuro delle montagne si stagliava contro il cielo, infiammato dal tramonto, e il loro riflesso tremolava nelle acque profonde.
Lentamente, una alla volta, le lune argentee di Naboo sorgevano nel cielo che, gradatamente, diventava color indaco. Poi fu tutto un tripudio di stelle.
“Meraviglioso” mormorò la ragazza e inspirò ancora, profondamente, l’aria, mentre raccoglieva con le mani i lunghi capelli biondi che portava sciolti sulle spalle.
“Dayne, tau das posar atta!”
La domestica ansiatica era comparsa sulla soglia della porta-finestra e la stava osservando preoccupata, le lunghe orecchie verdi vibravano, tradendo una certa irritazione.
“Ora vengo Mo. Hai ragione, devo riposare. Domani sarà una giornata pesante, temo.”
Mo si rilassò un poco e le orecchie si ripiegarono leggermente sulle spalle.
Dayne lanciò un’ultima occhiata al lago, alle sponde lontane, punteggiate dalle luci dei paesi. Poi si staccò dalla balaustra e, giratasi, seguì la sua domestica in casa.
Più tardi, distesa sul letto, Dayne pensò al Consiglio, a Sio Bible ed ai rappresentanti del popolo di Naboo.
Avrebbe dovuto spiegare loro perché non era il caso che scegliessero lei come regina e perché sua cugina Padme avesse sicuramente migliori requisiti per ricoprire quella carica.
Ce n’era abbastanza per passare una notte insonne...
Ma Dayne Amidala sapeva lasciarsi cadere nella Forza e sapeva abbandonarsi ad essa.
Dieci minuti dopo era già addormentata.
 
 
 
  
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