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Autore: Eikochan    10/04/2012    2 recensioni
Tsunade è cresciuta segnata dalla tragedia più grande della sua vita; precipitata in un torpore emotivo e interiore non riesce a dare una svolta alla sua vita... finché un'evento non le darà questo opportunità. Ma non tutte le scelte sono giuste e alcune volte la serpe si nasconde proprio tra i tuoi amici. E' davvero necessario vendicarsi?
Dal primo capitolo:
“Pensi di essere una dura?”
Gli rispose con un sott’inteso, muto, cenno d’assenso.
“Allora dimmi cosa spinge una tredicenne a pestare a sangue due ragazzi.”
L’altra stette in silenzio per qualche minuto, sotto lo sguardo inquisitore del sovraintendente.
“Se una persona mi fa un torto, e chi deve punire essa non fa niente, non è forse lecito farmi giustizia da sola? Occhio per occhio, dente per dente”
Per Tsunade era sempre stato un vizio rispondere ad una domanda con un’altra domanda.

{Coppia principale: Tsunade/Orochimaru}
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Orochimaru, Tsunade
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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CAPITOLO II:

 

“Perfetto! Siete arrivati tutti.” esclamò entusiasta Sarutobi.
Oltre a loro tre c’era una  ragazzina che sembrava più grande di loro, sui sedici anni circa, che masticava volgarmente una big-babol, i capelli biondissimi tagliati alla maschietta; vicino a lei stava, invece, un ragazzo dall’aria annoiata e dai lineamenti quasi grotteschi, i capelli color liquirizia, scompigliati a donargli un’aria selvaggia.
“Iniziamo la nostra prima lezione.”
E mentre il sovraintendente ciarlava sull’ordine della polizia, sulle loro regole e via dicendo, il ragazzino di nome Orochimaru le si avvicinò.
“Ieri non abbiamo avuto occasione di presentarci. Piacere, io sono Orochimaru Kusanagi.” le tese la mano mentre il volto si apriva in un sorriso allo stesso tempo subdolo e affascinante che stonava del tutto con il suo volto bello e fine.

Io sono Tsunade Senju.” gli rispose lei stringendo la sua mano.
“Hei, se fate la riunione dei graziati voglio esserci anch’io.” si intromise l’altro ragazzo dai capelli bianchi. “Io sono Jiraya Myoko, piacere di conoscervi!” Le sorrise anche lui e, a differenza del moro, il volto di Myoko godeva del suo riso: sembrava splendere ora.
“Voi tre, li infondo. Vedete di fare attenzione o vi rispedisco al vostro destino.” li richiamo Sarutobi.

Si ritrovò a pensare a Orochimaru. In quelle due settimane di vicinanza si era rivelato una persona calma e sicura, di quelle che sembrano sapere tutto dalla vita. Era estremamente riservato e lei aveva ancora da capire per quale motivo si fosse inguaiato in quella situazione: Jiiraya era stato chiaro fin da subito fornendo un resoconto dettagliato della sua malefatta ai danni di un professore bastardo; lei, di risposta, aveva accennato superficialmente ad una rissa, Orochimaru invece aveva semplicemente serrato le labbra e ignorato la questione.
I giorni si alternavano in una monotona e triste ridondanza: scuola la mattina, pranzo, visita alle tombe del fratellino e dell’(ex)fidanzato, lezione alla centrale, cena e finalmente abbandonarsi al torpore del sonno. Sopravviveva, niente di più. La ferita della perdita era ancora aperta e sanguinante.

 

 


Tre anni dopo avevano già completato metà corso e si apprestavano a iniziare la fase finale che li avrebbe portati alla nomina di poliziotti: a questo punto era necessario creare delle squadre di collaborazione. Il caso volle che si ritrovò in team con Orochimaru e Jiraya...e da li le cose iniziarono a farsi sempre più difficili.
Stavano assistendo alla cattura di un prigioniero evaso due mesi prima dal carcere centrale di Tokyo e fungevano solo da spettatori: la loro preparazione non era ancora completata e non potevano quindi prendere parte alle operazioni.
Osservò i poliziotti a capo della retata forzare la porta della casa; si concentrò per capire le dinamiche ma all’improvviso, dopo aver vagato un po’ con lo sguardo, la sua attenzione fu catturata da due persone, al limitare della zona, che osservavano il tutto.
Fu come un pugno tra le costole e un calcio nello stomaco, le si mozzò il fiato. Aveva già visto quei due bastardi e li avrebbe riconosciuti tra mille: il naso sporgente e gli occhi, neri, sfuggenti dell’uomo, la corporatura esile della donna con una cicatrice sullo zigomo destro che partiva dalla base del naso e arrivava quasi fino all’orecchio che Tsunade stessa le aveva, orgogliosamente, provocato. In un attimo i flashback di quel giorno le tornarono in mente e sentì montare la rabbia, fino a offuscarle gli occhi. Il pensiero volò istintivamente alla pistola di riserva poggiata sul sedile anteriore dell’auto, a nemmeno un metro da lei; si costrinse a non dare vita ai suoi pensieri mentre la mano destra bruciava dal desiderio di appropriarsi dell’arma.
Iniziò a tremare di rabbia mentre cercava di darsi un contegno.
Gli altri avevano iniziato a intuire che c’era qualcosa che non andava.
“Tsunade, tutto a posto?” le chiese Jiiraya, preoccupato, avvicinandosi.
Iniziò a prendere fiato, facendo dei respiri brevi e veloci.
“S..si, sto bene.”
Finalmente aveva ripreso a respirare in maniera decente, la mano aveva smesso di tremare e i due erano spariti dalla sua visuale. Era tornato tutto normale… circa.

 
Quella sera era tornata a casa, si era preparata da mangiare in uno stato catatonico e si era fatta una doccia. Ora era seduta sul davanzale della finestra, i capelli ancora umidi che gocciolavano lungo la sua schiena, e guardava Tokyo, illuminata dalle luci, che si stagliava contro il cielo nero.
Era ancora turbata dalla scena del pomeriggio: aveva sguazzato per anni nella sete di vendetta e nel rancore per poi riuscire ad uscirne con difficoltà una volta per tutte.. o almeno era quello che credeva. Se lo sentiva nelle ossa,  glielo urlava il cervello: se non fosse stata in servizio, circondata da una trentina di persone, si sarebbe comportata esattamente come quel pomeriggio invernale di tre anni prima.
Che debole. Non riusciva a credere di avere così poco autocontrollo.
Lo squillo del cellulare la riscosse dai suoi pensieri; recuperò l’apparecchio dal pavimento e lesse il messaggio che le era appena arrivato.

 

Da: Orochimaru

A: Tsunade

 

Vieni e bere qualcosa?

 

 Getto un’occhiata fugace alla sveglia sul comodino: 23.27. Era tardi per uscire ma del resto non riusciva a prendere sonno; decise di rispondere affermativamente, aveva proprio bisogno di bere qualcosa.
Si diedero appuntamento alla stazione di Shibuya di li a quindici minuti –entrambi abitavano relativamente vicino-; era in anticipo ma, nonostante questo, Orochimaru era già li: appoggiato mollemente sul muro accanto all’uscita dell’edificio, nella sua aria distaccata e affascinante.
“Ciao.” lo salutò avvicinandosi.
“Ciao.” le rispose lui.
Poi scese un silenzio imbarazzante che nessuno dei due si apprestava a rompere.
“Conosco un bar qua vicino, gestito da un mio amico, che non è niente male..” riprese quindi lui, iniziando a camminare. “Te lo mostro.”
Come sempre non aveva chiesto il suo parere: Orochimaru sceglieva e toccava agli altri adattarsi.

Una volta seduti nel locale, una grande sala illuminata a intermittenza dalle luci fluorescenti e cullata dal suono soffuso delle ultime hit giapponesi, Orochimaru le fece la domanda che Tsunade temeva più di tutte.
“Dimmi, cos’è successo questo pomeriggio?”
La frase era stata formulata come domanda ma lei non mancò di notare il tono deciso dell’ordine, mascherato nell’interrogazione; non voleva rispondere, voleva tenere per sé quel segreto così gelosamente custodito, quelle ferite che ogni volta che venivano sfiorate rischiavano di sommergerla con ondate di dolore. Ma poi intercettò lo sguardo di Orochimaru, i suoi tratti fini che l’adolescenza aveva scolpito in maniera impeccabile, quel suo sorriso così insopportabile e al tempo stesso intrigante, quegli occhi di pece insondabili: in pochi secondi perse la sua determinazione. Cosa diavolo le provocava quel ragazzo? Non riusciva a capacitarsene, sembrava la ipnotizzasse: gli raccontò
tutto.
Finì il racconto e Orochimaru continuò il suo silenzio; a quel punto si arrischiò a domandare anche lei.
“Te per cosa sei finito in questo casino?”
Ancora silenzio.
Poi, dopo qualche minuto, il ragazzo aprì di nuovo la bocca.
“Truffa.” rispose laconico.
“Truffa?” esclamò lei, incapace di capire come un tredicenne potesse essere indagato per un tale crimine.
“Mi sono affiancato ad un’organizzazione non proprio lecita che stava organizzando una truffa con agguato ai danni della sua rivale.”
“Perché?”
Quel ragazzo l’affascinava sempre di più. Insondabile e imprevedibile.
“Perché ‘l’organizzazione rivale’ ha rapito i miei genitori quando avevo sei anni.”
Calò di nuovo il silenzio: Tsunade non sapeva cosa dire… non immaginava che il movente fosse quello.
“Mi dispiace, capisco come ti puoi sentire a perdere le persone a te care..” cercò di consolarlo a suo modo: non era molto brava con le parole.
“Hai ragione. Io e te riusciamo a capirci..siamo nella stessa barca” le disse, strascicando le parole, aprendosi in quel sorrisino che le procurava sempre brividi la cui origine non era ben specificata.. paura o eccitazione?
Ingollò il bicchiere di vodka che Orochimaru aveva ordinato –era la sua prima bevuta alcolica- e considerò che il ragazzo aveva ragione, erano decisamente nella stessa situazione. Entrambi privati delle persone a cui tenevano di più da terzi, entrambi aveva cercato la vendetta, avevano tentato di colmare il vuoto del baratro che si apriva nel loro petto… non poteva negare l’affinità che sentiva con lui.
Perse il filo dei pensieri, sentiva la testa girare e gli occhi farsi sempre più pesanti.

 

Si ritrovò sdraiata su un letto dalle lenzuola di raso rosso.
Inquietante.
Si girò su un fianco e scorse Orochimaru dormire accanto a lei, i capelli perfettamente ordinati anche nel sonno, le palpebre chiuse e a petto nudo. Improvvisamente i ricordi della notte precedente le piombarono addosso con la forza di un tifone.
Si alzò piano cercando di non svegliare il ragazzo e, tenendo gli occhi lucidi ben aperti per non iniziare a piangere, recuperò la borsa e i vestiti per poi attraversare la stanza in punta di piedi e chiudersi in bagno.
Si sedette sulla tazza e frugò alla ricerca del portafoglio; una volta trovato- sul fondo della borsa- lo aprì e tirò fuori una vecchia fototessera spiegazzata: su uno sfondo bianco un ragazzino dai capelli tinti di un blu cielo e con il sorriso furbo e gentile la salutava allegramente. La appoggiò sullo specchio e piano una lacrime le solcò il viso per poi cadere nel lavandino; subito ne segui un’altra e poi un’altra e ancora un’altra… in poco tempo era scoppiata in un pianto, silenzioso naturalmente  –non voleva assolutamente farsi trovare da Orochimaru in quello stato-, che non accennava a diminuire. Il peso dei sensi di colpa le schiacciava il petto e le mozzava il respiro: osservava Dan guardarla allegramente dalla foto e immaginò il rimprovero e il disgusto che avrebbe avuto stampati in volto se l’avesse guardata in quel momento.
Dio, che mostro che era! Aveva appena scopato con un ragazzo –per di più sotto l’effetto dell’alcol- che non era il
suo Dan, aveva infangato la sua memoria in un modo talmente becero da darle il voltastomaco.
Stupidastupidastupidastupida.
“Come puoi avermi fatto una cosa del genere?” la voce seria e delusa di Dan le risuonava nel cervello ad un volume altissimo… come se glielo stesse urlando nell’orecchio.
Si accasciò a terra, rannicchiò le gambe al seno e pianse tutte le lacrime che aveva in corpo.
Poi anche quelle finirono e si asciugarono, si strofinò quindi gli occhi irritati e si rivestì.

Si guardò allo specchio: aveva un paio di pensanti occhiaie violacee sotto gli occhi gonfi e arrossati dal pianto, i capelli scarmigliati e annodati, il trucco colato della sera precedente e la tristezza stampata in volto. Uscì dal bagno e gettò un’occhiata a Orochimaru che dormiva ancora; si infilò le scarpe e si chiuse l’uscio alle spalle ripromettendosi che non sarebbe mai, mai, mai più successo.

SPAZIO AUTRICE:
Eccoci qua con il sencondo capitolo! Bè, che dire? Spero che questo capitolo riscutoi più successo del primo...
Ci tengo a precisare che questo è in corsivo e che quindi è un luuuunghissimo flashback! 
Detto questo: alla prossima! Sono ansiosa di ricevere i vostri commenti e i responsi, quindi.. recensite e mi farete felice! ^^
Baci, Eikochan.

 

   
 
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