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Autore: _morph_    17/04/2012    5 recensioni
le cose sono cambiate dall'inizio della prima serie, nulla è più come prima, troppe domande sono state lasciate in sospeso, questa storia parla dei problemi che derivano dalle scelte fatte da chocola e pierre.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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E quando quella mano fredda,
come la pietra dove s’era posata,
si ferma sulla mia guancia,
io so che la amo.
[…] come non ho mai amato nessuno.
La amo come un mendicante, come un lupo, come un ramo d’ortica.
La amo come un taglio nel vetro.
Margaret Mazzantini- Non ti muovere
 
Si rigirò per l’ennesima volta in quelle candide lenzuola. Sentì il pigiama pungerle il taglio all’altezza della spalla. Disegnò una smorfia indolenzita su quelle labbra rosse. Si poggiò sui gomiti ragionando sul da farsi «Chocola, sono ore che ci rigiriamo nel letto. Potresti per favore farmi la cortesia di dirmi cosa c’è che non va?» snocciolò il suo ragazzo aprendo per la millesima volta gli occhi, sentendosi in dovere verso quella minuta figura che giaceva accanto a lui. Riscontrò i suoi occhi, rendendosi conto che i raggi della luna, che fuori troneggiava sul resto, aveva un’importanza anche in quella stanza. Sorrise. Non era poi così buio.
«mi fanno male i tagli!» si difese lei a sua volta, stizzita dalla noncuranza del fanciullo.
«non dormire» ironizzò lui con la solita punta laconica nella sfumatura della voce.
«antipatico!» lo colpì scatenando le sue risa. L’attirò successivamente a se, facendo combaciare il suo petto con quel viso da lui amato «che fai?» balbetto dandosi dell’incapace e maledicendo la sua pelle di assumere quel colore purpureo sulle gote ogni qualvolta lui facesse o dicesse qualcosa di assolutamente inaspettato.
«proviamo così, vediamo se sei più comoda» la fece praticamente stendere su di se, lasciando che le braccia barcollassero all’estremità del suo corpo, in modo da non dare fastidio alle lacerazioni agli estremi dei suoi arti. Le carezzò i capelli lasciandole in custodia un bacio sulla tempia.
«va bene…» si limitò a dire sentendo il cuore pulsare nella gola, nelle orecchie. Deglutì a fatica pregando il suo inconscio di darsi un contegno.
«Chocola» la richiamò in procinto di porle una domanda, assicurandosi prima che fosse sveglia, ritenendo una situazione in cui parla da solo, fin troppo imbarazzante.
«mmh?» le passò una mano sulla guancia, lasciandola posata su quella pelle di porcellana.
«hai mai pensato a cosa fare se non ci fosse il trono?» lei sbarrò gli occhi, colpita dalla domanda improvvisa e sicuramente troppo diretta per avere una risposta degna. Socchiuse nuovamente le palpebre.
«tu cosa faresti?» sorrise della sua non-risposta.
«il pasticcere» avvertì la risata di lei alleggerire la situazione.
«ti ci vedo» sorrise divertito anche lui «dai, sul serio».
«ti ho fatto prima io la domanda» le fece presente notando la difficoltà di lei nel rispondere «sinceramente» aggiunse appurandosi dopo qualche istante.
«non lo so. Non so fare niente di speciale» la fece sollevare in modo da poterle puntare le iridi addosso.
«io credo che chiunque sarebbe fortunato ad averti accanto» lei arrossì violentemente cadendo vittima di una crisi respiratoria per la spontaneità della frase, non le aveva mai detto nulla del genere, a meno che non stessero prima di litigare o fare pace. Si avventò sulle sue labbra, grata di poter percepire la veridicità di quei suoni armoniosi e in perfetto accordo l’uno con l’altro.
«a me basterebbe restarti accanto» ammise infine impregnando la sua bocca della fragranza di lui.
«non dici sul serio»
«sì invece» si scambiarono un ulteriore bacio, esausti della ligia decisione di non sfiorarsi in presenza degli altri, a cui dovevano tener fede.
«perché?» domandò lui, trovando la forza di volontà per staccarsi da lei.
«perché…» gli rivolse uno sguardo febbrile scoprendo il mondo in quelle meraviglie cristalline «perché ti amo» ammise in un sussurro, imponendosi di aspettare che fosse lui a parlare. Lo trovò talmente stupito e fermo da sentire il cuore prendere una piega sbagliata. Quel moto accelerato le stava per trapanare le orecchie. Desiderò con tutte le sue forze correr via. Scappare da lui e dalla realtà, rifugiandosi in quegli attimi in cui la stringeva tanto forte, da non farle più dubitare dei suoi sentimenti.
«sei la cosa più importante che ho, il sentimento più forte che io abbia mai provato» si decise a sibilare cauto, senza esporre il suo viso a una scena troppo romantica di un film. E, nonostante le parole la dovessero confortare, non riuscì a trovare riparo sotto una tettoia piena di falle. Si stava scatenando una tempesta. E per quanto quando si tocca il fondo si è sicuri di cosa si sta perdendo, per quanto solo quando si arriva a smarrire tutto si hanno finalmente delle certezze, in quel momento, l’unica cosa di cui erano sicuri, era la concretezza della loro presenza in quegli attimi di cui ancora non avevano assaporato la fine. Cercò un frammento di calore che era consapevole non avrebbe trovato, scavò con la guancia sul suo petto alla ricerca di qualcosa che non riusciva a prendere, si ritrovò annegata nelle lacrime che facevano solo da ornamento ai flebili singhiozzi che la consapevolezza dei sentimenti le avevano dato proprio quella notte. Una voragine, uno squarcio tanto profondo quanto intangibile le stava spaccando il cuore. Sentì le mani di lui tentare in vano di consolare quella pioggia posata su una bambola impassibile ai gesti, ma tanto fragile da rompersi nel parlare di emozioni. Si rifugiò nel silenzio, attendendo che la quiete placasse quegli spilli che lentamente si infrangevano sulla sua pelle. Artigliò la camicia del ragazzo alla ricerca della tenacia per non urlare. Sapeva di non poter trovare un riparo sicuro in lui, che, non quella notte almeno, non avrebbe alleviato le sue sofferenze.
 
Il trambusto provocato dal tempo le fece arricciare il naso, spaurita. Aprì un occhio, poi l’altro. Esaminò la situazione, cercando di mettere a fuoco le immagini che imperiose si spingevano contro la sua visuale. Percosse il braccio di Pierre prima di vedere le palpebre schiudersi debolmente da quella culla di sogni prodotta dal solo inconscio «guarda…» sussurrò lei imbronciata, fissando con rammarico la grande vetrata.
«cosa?»
«piove» concretizzò a voce quell’orribile realtà «non è giusto» notò i movimenti di lui diventare quasi meccanici nello stiracchiare lentamente le braccia. Lo affiancò timorosa di essere respinta dopo gli avvenimenti di quella stessa notte. Sentì il suo braccio circondarle calorosamente le spalle spingendola verso di se «non parliamone più, ok?» propose lei, certa che avrebbe capito a cosa si riferiva.
«va bene» si strinsero l’un, l’altro donandosi quel silenzioso amore che nessuno dei due riusciva ad ammettere «solo… non dubitare di me» sibilò lui aggrappandosi alla vana speranza che dimenticasse i suoi silenzi negli attimi in cui lei lo supplicava di parlare, di dimostrare ciò che si mascherava infondo al suo cuore, ciò che ignorava, ciò che fingeva non esistesse «Chocola, sei la cosa più preziosa che ho, a cui non rinuncerò mai…» si ritrovò a ricredersi rammendando il futile ricatto di cui era vittima. La ragazza spalancò gli occhi nel sentire il rumore soffice e tumultuoso nella sua gabbia toracica. Quelle semplici parole cambiarono ancora una volta la visione del loro rapporto, portandolo nella visuale di un’altra prospettiva.
«io lo sento il tuo cuore battere per me… e tu? Tu lo senti?» Pierre, alle sue dolci parole, intonate di una melodia in perfetto accordo con il contesto, si ritrovò ad annuire ammutolendosi del tutto, seppur pentito dell’orrenda menzogna a cui stava assistendo.
 
Per essere insostituibili bisogna essere diversi.
Coco Chanel
 
Hai mai avuto il coraggio delle tue azioni? E’ una domanda che molte persone forse nella vita dovrebbero porsi.
Hai mai sfidato il 30, per poi fare 31? Hai mai guardato in faccia la realtà per poi avere il fegato necessario per accertarla? Non credo… Io credo solo che sei un bambino. Un bambino che ha affrontato l’esagerazione, quando era troppo piccolo per riuscire a reggere, ma abbastanza grande da poter capire. Credo che tutto quello che pensi sia dettato da una specie di vocina che non sei capace di azzittire, da un istinto che per troppo tempo ti sei trascinato dietro. Finché non hai capito di stare sbagliando. E in quel caso allora è troppo tardi, e ti ritrovi come un incapace, ti ritrovi a non saper fare niente, a piangere di fronte a me come se mi dovessi una giustificazione per l’accaduto. Ma tu non mi devi niente. E guadarti adesso come una persona fallita, un po’ mi fa pena. Perché menti? Perché non riconosci gli impulsi? Perché non mi dici “ti amo”? Perché non riesci a starmi accanto ora, nel momento in cui ne ho più bisogno? Perché devo restare a guardare, mentre le nostre vite colano a picco nelle mani di qualcun altro?
 
La ragazza si morse un labbro concentrandosi sulla ciocca di capelli che sembrava impossibile da domare, passò la lingua sull’angolo della bocca, come di solito fanno i bambini impegnati in un gioco di logica. Lanciò la spazzola per terra, esasperata dalla situazione. Sentì il telefono squillare, per qualche istante rimase impietrita, poi si decise a rispondere. La voce della donna dall’altra parte della cornetta riuscì in qualche modo a stabilizzare il suo respiro «Chocola… Chocola, mi senti?» la ragazza rilassò i muscoli delle spalle chiudendo per un attimo gli occhi.
«sì. Sì, ti sento…» balbettò voltandosi verso la porta, in cerca di una conferma che Pierre non fosse lì.
«va tutto bene? Ti trema la voce» le fece notare, incolore come sempre.
«Pierre si insospettisce per queste chiamate» si sedette sullo sgabello appostato di fronte alla toletta. Passò le minute dita tra la folta chioma rossa riflettendo sui molteplici sbagli che stava commettendo nei confronti della persona che amava. Si inumidì le labbra sospirando lievemente, incerta su cosa dire, cosa fare «dovete incontrarvi».
«Chocola…» cominciò intonando una cadenza più severa e quasi monotona nel suo rimprovero.
«dovete incontrarvi» ribadì il concetto duramente in modo da imprimerlo «non voglio perderlo, ed ho paura che se non lo venisse a scoprire dalle dirette interessate, non mi perdoni» snocciolò la frase con deliberata lentezza, in modo che il concetto oltrepassasse quel muro creato dalla donna, in difesa del figlio e di tutto ciò che poteva contrastare la sua vita ovattata.
«ne riparliamo quando torni, mh? Adesso scappo» non aspettò una risposta per attaccare. La ragazza emise un gemito straziato per la testardaggine adottata da entrambi. Sentì la porta del bagno aprirsi, la figura minuta di Vanilla si stagliava nella sua visuale, offuscandole quasi la vista per quella splendente grazia.
Si alzò grugnendo nel notare per l’ennesima volta le gocce di pioggia posate sulla vetrata «ti cerca Pierre» la informò con il consueto sorriso, costruito sulla maschera posata sul volto, che tendeva a togliersi solo in sua presenza, quando erano sole, quando riuscivano a ritrovare quella tipica intimità che hanno le migliori amiche. Si affrettò verso il salone per correre tra le braccia del suo biondo, che la strinse a se con quanto più impeto gli era concesso in quella determinata situazione.
«dov’eri finita?» le chiese con finta preoccupazione, passando le labbra sui lunghi capelli.
«in camera» lo guardò in tono ovvio sghignazzando per lo sguardo ironico che le aveva gentilmente donato.
«dove sono le socie?» il fatto che ancora non si fossero presentate con prepotenza nel suo piccolo bozzolo di felicità.
«sono andate a prepararsi, vorrebbero uscire nonostante il tempo» nella sua testa, per un istante, si fece largo l’immagine di Yurika e le altre cadute vittima del “mostro della pioggia”. Sorrise tra se e se nel notare che effettivamente si augurava accadesse «vai anche tu» la incitò ridestandola dalle sue fantasie.
«e se invece ce ne restassimo qui?» il ragazzo si apprestò a posarle un bacio sulla punta delle labbra alla fuori-uscita di un tenero broncio sul cipiglio della sua bocca, bacio giustamente guadagnatosi dalla dolce supplica che aveva tanto il ricordo di una vecchia ninna.
«io e te?» lei annuì esaltata all’idea di starsene con il suo fidanzato, cosa non certamente occasionale, ma comunque esaustiva per i suoi sensi. Notò qualche secondo dopo l’entrata trionfale delle ragazze nella sala, pronta solo per quelle 4 vittime del sistema bigotto della società in cui vivevano. Notò le labbra gonfie di lucidalabbra e gli occhi cerchiati di ombretto troppo appesantito e prepotente per quei già incantevoli volti. Tornò con gli occhi su Pierre.
«io vado a mettermi una felpa, tu informa le sorelle cattive del diavolo» si allontanò giusto in tempo per veder sorgere sul suo viso un sorriso divertito. Percorse le scale in tutta fretta, prima di arrestare improvvisamente il passo nel notare la candida persona di Yurika percorrere in tutta la sua maestosità, lo stesso corridoio che per una serie combinata di fattori sfortunati, stava percorrendo anche lei. Si accinse ad alzare il mento, in modo da sembrare il più possibile superiore a quell’angelo incorniciato da boccoli castani. Aggrottò le sopracciglia sentendosi sconfitta da quella camminata leggera a quel movimento lento e impercettibile, compiuto dalle braccia. Notò che stava per raggiungere la camera, ancora qualche passo e sarebbe stata al sicuro da lei.
Si ritrovò a ricredersi.
Si voltò molto lentamente nel sentirla parlare «non pensare di poterti comportare come se nulla fosse con Pierre» schiuse appena la bocca per l’affermazione. Notò le iridi scure puntate sul suo corpo, pronte per attaccarlo, divorarlo, distruggerlo nella sua piccolezza e apparente gracilità. Si rese conto di boccheggiare, quando la ragazza inarcò un sopracciglio. La sua arroganza e superiorità scuoterono in lei un impeto di rabbia.
«e perché mai ti dovrei dare ascolto?» snocciolò la questione sperando di riuscire a misurare il tono della voce. La risata ostentata che ne seguì, la fece nuovamente sussultare per la stranezza della situazione. Non si stava certamente comportando come al luna park, quando di fronte agli occhi dei ragazzi era sembrata la donna inviata a salvarli «perché ridi?» chiese al limite della sopportazione.
«tu credi di avere un qualche ruolo speciale nella sua vita?» ne seguì un ulteriore riso «non conti niente, proprio come tutte noi!» si portò una mano alle labbra pur di fermare quella ilarità «Chocola, dovresti conoscerlo Pierre…» con una sola falcata riuscì a raggiungerla, giusto in tempo per puntare gli occhi nei suoi «sei il nuovo giocattolino, non conti niente! Credi di avere qualche privilegio? Tra poco passerà, perché per lui, mi dispiace dirtelo, ma siamo tutte uguali» la rossa si sentì provata nell’orgoglio, un groppo si accanì all’altezza della gola, limitando il suo respiro.
«lui mi ama!» riuscì appena ad esclamare, percependo qualche lacrima rigarle il volto.
«sei tenera…»
«tu non sai niente!» tutto il residuo di pazienza che aveva, si esaurì, spingendo la sua mano fino alla sua guancia, schioccandole un sonoro schiaffo che echeggiò per tutto il corridoio, seguito dal suo sguardo stupito, che scaturì i sensi di colpa –immotivati- della giovane «mi dispiace» sibilò a mezza voce non certa della veridicità delle parole appena pronunciate.
«come ti sei permessa?!» le urlò contro con tutto il tono stridulo di cui era disposta.
Scorsero in lontananza Vanilla e Pierre affrettarsi a venirgli incontro. Il biondo avvolse il viso della sua fidanzata con le sinuose braccia bianche, stringendola a se come il più raro e prezioso dei gioielli.
«che è successo?»
«mi ha dato uno schiaffo!» gridò agitando le affusolate dita davanti al viso per ampliare il concetto.
«mi hai dato del giocattolino, tu sei…» tentò di giustificarsi, liberandosi dalla ferrea presa.
«Chocola, adesso basta, smettila!» lei, nel sentire che la persona di cui si fidava le stava dando contro, si voltò spaurita alla ricerca degli occhi sinceri e premurosi del ragazzo che credeva l’amasse. Boccheggio ritrovandosi di fronte due lastre di vetro azzurre, contenenti tutti i suoi sentimenti. Lo allontanò con una veloce spinta, andando a passo diretto verso la sua stanza, tradita dalle sue stesse aspettative ed illusioni, trovandosi in perfetto accordo con il discorso pronunciato dalla ragazza più sbagliata al mondo, che quella sera stessa, l’aveva condannata.
«Chocola, aspettami» avvertì distante la voce di Vanilla, riuscendo a percepire solamente i passi affrettati del fanciullo in cerca del suo perdono. Gli chiuse la porta in faccia, barricandosi nel suo rifugio, alla larga dalle sue parole.  
   
 
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