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Autore: Sybelle    30/04/2012    1 recensioni
Lui era un vampiro. Sarebbe sempre stato tale: bello e perfetto per l’eternità.
…E lei?
Lei sarebbe lentamente cresciuta, cambiata.
Sarebbe diventata ancora più debole, il suo cervello si sarebbe rattrappito prima o poi, la sua pelle si sarebbe infiacchita…
Sarebbe diventata….vecchia.
E forse sarebbe anche diventata noiosa.
Forse sarebbe diventata brutta.
Ed allora avrebbe perso Armand.


Buona lettura a tutti voi =) Sybelle
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4 cap starless night
Forse ti capirò

Qualche giorno dopo, non appena Diana era stata in grado di parlare senza che la voce le raschiasse la gola, era arrivato puntualissimo l’interrogatorio.
“Avete fatto amicizia???? E’ fantastico lui, vero??? E dimmi, ti ha detto qualcosa? Magari di se stesso... magari di me???”
Micol si era resa conto per la prima volta della profondità dei sentimenti dell’amica, che quando parlava del ragazzo si agitava, balbettava, probabilmente il suo cuore batteva a mille. Le era mancato il coraggio di dirle che Armand la considerava solo un’amica, una ragazza simpatica e nulla più; la notizia l’avrebbe annientata. No, meglio: non le avrebbe creduto, avrebbe provato ad adescare Armand e, al rifiuto di lui, sarebbe crollata a pezzi.
Aveva sempre ritenuto ridicoli i colpi di fulmine della biondina, a maggior ragione quando il ragazzo di cui diceva di essere innamorata era molto fumo e niente arrosto; Diana infatti tendeva a giudicare un ragazzo dall’aspetto fisico, non tanto per superficialità, quanto per ingenuità. Tra l’altro, quando scopriva l’assenza di intelligenza o di valori, allora si dichiarava subito disillusa e lasciava perdere quei suoi amori passeggeri. Ma Armand non era così: Armand era bello sia fuori che dentro; sembrava creato apposta per intrappolare giovani prede nel suo charme.
Diana non l’avrebbe dimenticato tanto facilmente.
Comunque, con il tempo i loro rapporti andavano migliorando: divennero un trio inseparabile.
Armand le accompagnava in facoltà, si sedevano affianco durante le lezioni, spesso uscivano al pomeriggio e lui andava a trovarle mentre lavoravano (le due ragazze avevano trovato lavoro in un centro commerciale, Diana come commessa e Micol in una gelateria).
Tutte le ragazze intorno a loro le invidiavano, morivano di gelosia solo al vederle: ma se accettavano la presenza di Diana, data la sua avvenenza, erano ancora più irritate da Micol, che sì era bella, ma non al punto da meritarsi l’amicizia di un uomo tanto affascinante, tanto irraggiungibile.
In più era ricco, ricchissimo: non lavorava ma vestiva come un gran signore, spendeva denaro come se si fosse trattato di caramelle, adorava fare regali. Per il diciannovesimo compleanno di Diana aveva portato alla festeggiata una felpa verde smeraldo, sulla manica della quale imperava, a caratteri cubitali, una scritta dorata: D&G.
Ovviamente non si era limitato ad una maglia griffatissima: era anche un pezzo unico, fatto per l’occasione; infatti Armand vi aveva fatto cucire una scritta in brillanti con il nome della ragazza.
Esagerato, aveva pensato Micol, fare un regalo simile ad un’amica conosciuta solo un mesetto fa.
Che razza di regali avrebbe potuto fare ai suoi parenti o alla sua ragazza?!
Che regalo avrebbe potuto fare a lei?
Aveva scacciato quel pensiero con profondo fastidio; dovette ammettere, però, che Armand era sicuramente un bel tipo – difficile da inquadrare e piuttosto sospetto, ma pur sempre un bel tipo.
Possedeva, a dispetto di quanto potesse sembrare, una personalità piuttosto varia, al limite del lunatico. Non che alzasse mai la voce, o litigasse, o assumesse un atteggiamento indispettito, per carità!
D’altronde Micol si era presto accorta di quanto il suo comportamento oscillasse tra due opposti: l’avvenente uomo sicuro di sé e il ragazzo ingenuo e sorpreso da tutto.
Era intelligentissimo (a lezione non ascoltava neanche una sillaba, eppure ai test brillava), affabile con tutti ma veramente amichevole con nessuno: teneva il mondo a debita distanza, scusandosi di ciò con un sorriso splendente; era molto più diffidente di Micol, una specie di miracolo.
In più, sembrava perennemente a dieta: non mangiava mai, declinava gentilmente ogni tipo di offerta riguardante il cibo. Diceva di soffrire di disturbi alimentari e di preferire non mangiare in pubblico; però beveva, eccome se beveva! Si portava appresso una fiaschetta argentata da cui, ogni tanto, beveva qualche sorso.
Micol lo osservava; lo osservava molto e, pur non capendolo, sentiva di capirlo. Era confusa.


*

Iniziava lentamente a capire meglio il carattere di Micol, che, una volta avvicinata, non era affatto severa e imbronciata come appariva a occhi esterni: era anzi una ragazza sorridente e amabile, molto alla mano e pragmatica. Aveva un forte senso etico e l’educazione era un suo chiodo fisso; non provava il bisogno di omologarsi o di cercarsi molti amici, al contrario preferiva starsene con poche persone selezionate.
Con quelle dava il meglio di se stessa: elargiva abbracci e sorrisi, battute e consigli; ovviamente, il suo sguardo innamorato non aveva potuto celargli anche qualche difetto... Ad esempio, Micol odiava essere presa in giro.
Non che non sapesse stare agli scherzi, o che non accettasse qualche battuta sul suo conto, ma alla lunga il gioco la infastidiva, scavando nel suo orgoglio e facendone scaturire cattiveria e nervosismo.
In più, difficilmente accettava aiuto: voleva sempre e comunque farcela con le proprie forze; le vittorie voleva sudarsele.
Era una ragazza estremamente atletica, del resto: aveva praticato per anni il nuoto e il karate, ed andava regolarmente in palestra per seguire corsi di boxe e di autodifesa. Sempre sport individuali, perché lei era fatta così: preferiva primeggiare. In una squadra si sarebbe sentita oppressa.
Diana era l’esatto opposto in quel senso: espansiva, solare, sempre alla ricerca di nuovi amici e di compagnie numerose (anche se, in fondo, alla fine rimaneva sempre ancorata alla migliore amica, sua roccia, sua fortezza); adorava gli sport in cui si faceva gioco di squadra e ad una giornata da sola in casa preferiva un infernale giro al centro commerciale con chiunque le capitasse a tiro. Nella stessa situazione Micol, se poteva, se ne stava a casa a leggere (o a fare zapping, perché no!), oppure usciva per godersi lunghe passeggiate solitarie.
Armand notò come le sue due nuove amiche, nonostante queste palesi differenze caratteriali, vivessero in assoluta simbiosi: se l’altra non c’era si sentivano perse.
L’aveva notato ritrovandosi da solo con Diana, un pomeriggio: girovagavano per il centro, chiacchierando amabilmente, eppure, nonostante il vampiro sapesse perfettamente di essere l’oggetto dei sogni della ragazza che era lì con lui, la bionda appariva distante, a tratti completamente assente. Il discorso ricadeva spesso su Micol e quasi sempre per iniziativa di lei.
Per Micol lo stesso: poteva anche passare un intero pomeriggio a lamentarsi della coinquilina, ma alla fine tutto ciò che Armand sentiva non erano le lamentele, ma la pressante necessità di Micol di avere vicino l’amica, anche nel male.  
Le due si adoravano e si odiavano come sorelle.
E lui che ruolo aveva, in tutto ciò? Doveva ammettere di essersi sentito più volte escluso, sensazione per lui completamente nuova e inaspettata, alle volte graffiante, alle volte insidiosa.
Aveva passato quasi tutta la vita in compagnia di altre due persone: era abituato ai trii, che considerava come una sorta di piccola famiglia; in quel trio, però, lui era un intruso.
Non credo di poter tollerare la solitudine, oramai; potevo, non posso più.
Puntualmente, ogni volta che i pensieri più cupi ottenebravano la sua mente e gravavano sul suo sguardo, Micol giungeva a salvarlo con piccoli gesti inaspettati e colmi d’affetto: un tocco sulla spalla, un sorriso, una battuta, oppure il delicato lavoro delle sue dita sui suoi capelli, quando sedevano l’uno davanti all’altra e lei si metteva a intrecciargli le ciocche, confessandogli quanto preferisse la sua compagnia a quella dei chiassosi compagni di facoltà.

*

Era stato faticoso sconfiggere il proprio orgoglio ed ammettere che, effettivamente, Armand era una persona piacevole. Era stato faticoso ma necessario, perché la presenza del francese stava diventando costante e lei si ritrovò inconsciamente a ricercarla, sperando in un contatto, in una parola, in un sorriso.
Le piacevano i suoi sorrisi: avevano il potere di farla sentire a posto.
Un’altra cosa che le piaceva erano i capelli del ragazzo; oramai era diventato un passatempo rilassante quello di pettinarli con le dita, tra una lezione e l’altra. A dirla tutta, provava una certa invidia per quei capelli più lucenti e setosi dei suoi (erano persino più lunghi!), d’altronde Armand giurava di non prestare loro alcuna attenzione particolare.
Non era vanitoso e tendeva ad annullare l’aria arrogante con gli atteggiamenti più umili (Micol non si sarebbe mai scordata l’assurdo momento in cui si era ritrovata ad insegnarli cosa fossero i cartoni animati come se si fosse trattato di un argomento dalla rilevante importanza socio-politica).
Diana la invidiava per la facilità con cui si rapportava ad Armand: la bionda era sempre troppo nervosa con lui, temeva sempre di non piacergli e quindi tentennava. Micol non la capiva, ma non glielo diceva; del resto, quando mai capitava che Diana si sentisse a disagio con qualcuno? Era un evento epocale.
E spaventoso.
Armand non amava Diana, né provava per lei qualcosa che non fosse una tiepida amicizia; Diana invece bruciava, ardeva, lo voleva per sé ma non aveva il coraggio di rivendicarlo.
E Micol? Micol stava lì e li osservava, cercando di dimenticare le assurde parole che lui le aveva detto tempo prima e tentando di non pensare a quanto fosse evidente che Armand cercava sempre e solo lei.
E poi a lei lui non piaceva, quindi la situazione era davvero improbabile – anche se, a pensarci bene, trovava irreale che ad un simile adone potesse interessare una tipa come lei. In definitiva, preferiva non rifletterci troppo su; preferiva piuttosto godersi quelle belle giornate, le risate, le passeggiate, le ore spese a fare shopping in tre e quelle a chiacchierare tranquillamente, quando la gelateria era vuota e Armand passava a salutarla con quel suo modo di fare che sembrava casuale e che invece non lo era mai.

*

La facoltà di criminologia era un luogo interessante se non per le materie, per le persone che dentro vi circolavano: poliziotti, detective, professori dal passato oscuro, studenti con i più improbabili passatempi...
Il mondo, in quel piccolo ateneo, era davvero vario.
Armand si beava di tutte quelle sfaccettature della realtà, analizzando le persone con la stessa cura di uno scienziato: raramente si fermava a parlare, molto più spesso osservava. Dunque, se c’era una cosa che aveva notato, era la massiccia presenza di uomini e ragazzi; uomini e ragazzi che, spesso e volentieri, si facevano avanti sia con Diana (piuttosto comprensibile, quel corpo e quel viso avrebbero mandato in visibilio qualunque umano) che con la sua Micol. Non che Armand volesse sminuire il valore della bella castana –lui avrebbe dato l’anima solo per passare la vita a corteggiarla, ad elemosinare anche un’unica carezza-, ma non poteva che innervosirsi quando un giovane umano le si avvicinava con fare amichevole o persino interessato.
Per esempio si ritrovò a detestare un certo Paul, un ragazzo alto, trasandato e col naso storto che faceva parte della cerchia d’amici delle due ragazze; Paul era allegro e vivace e si intratteneva volentieri a chiacchierare con le due colleghe di studio. Armand lo odiava. Dal profondo. Lo odiava perché sorrideva a Micol in modo sfacciato, sicuro del suo charme da essere umano.
Quando vedeva la sua pelle scura pensava con rammarico e dolore al proprio pallore di spettro. Quasi a sentirsi inadeguato.
Quel giorno, quel fatidico quindici di ottobre, Paul riuscì a rivelarsi più irritante del solito con una sola, agghiacciante esclamazione.
“Ehi Mic, Didi, avete saputo? Ci faranno vedere un cadavere, all’obitorio! E’ un cadavere senza sangue!”
Armand riuscì per un momento ad ignorare il fatto che quel tale appellasse le sue due amiche con nomignoli (cosa che lui non faceva) e riuscì anche a non pensare all’incredibile maestria con cui l’aveva palesemente evitato, non salutandolo: Armand ebbe orecchi solo per la notizia.
Un cadavere senza sangue...
Quello era un serio problema.

*

“Non era una mia vittima Armand, non lo era.”
“Sei sicura?”
“Al cento per cento. Attualmente mi sto nutrendo a New York, e Constantine è con me. Non è nostro.”
“... Io... Io temo di esserne il responsabile.”
“Tu?!?! Non sei più un bambino! Come hai potuto lasciare un cadavere in mostra?”
“... Non ci scopriranno, comunque.”
“No, certo che no, ma è ugualmente seccante tesoro.”
“...Mi dispiace.”

*

L’obitorio. Un luogo asettico e spaventoso, un tesoriere di cadaveri. Lì i corpi venivano smembrati, studiati, rivoltati e infine venivano messi in una scatola.
Lei un giorno vi avrebbe lavorato, in quel posto. Lei voleva assolutamente lavorarci.
Non sapeva come spiegarlo... Ciò che era mistero l’affascinava; ciò che era irrisolto la ammaliava. Sentiva il perenne bisogno di trovare soluzioni, dare risposte a quel mondo così pieno d’incertezze.
Tante persone morivano senza che si sapesse l’identità del loro assassino: troppe. Micol voleva stanare quell’assassino.
“Il corpo è stato trovato da un pescatore, appena fuori dal centro urbano. Come vedete si tratta di un uomo che doveva avere circa una sessantina d’anni, ma attualmente non è ancora stato identificato. La particolarità del caso consiste in questo elemento: il corpo è stato ritrovato senza una goccia di sangue, come svuotato. E non è stato trovato alcun segno di ferite da taglio o armi da fuoco. Si stima che il decesso sia avvenuto circa quattro, cinque giorni fa.”
Quello era decisamente un mistero.

*

Micol era straordinaria, senza dubbio; questo si ritrovò a pensare, osservandola con attenzione.
Gli era bastato uno sguardo per capire che il cadavere era proprio la sua vittima, così, poiché già lo conosceva, si era dedicato all’analisi di ben altri soggetti.
Diana era pallida, a tratti disgustata: l’obitorio la metteva in soggezione, lei era nata per la luce, il prato, il Sole ed il cielo. Non per i cadaveri. Scrutava, sì, il morto, ma cercava di concentrarsi sui dettagli meno sgradevoli; Micol, al contrario, era una macchina da guerra.
Fissava, annotava, rimuginava, chiedeva e fissava ancora: quello era il futuro che si era scelta, non poteva mostrarsi debole. Certo... inizialmente anche lei, come altri, aveva avuto bisogno di qualche minuto per poter affrontare quella vista (e lui era stato ben lieto di offrirle la sua spalla come appoggio); poi si era fatta coraggio, aveva distaccato la mente da ogni emozione e si era concentrata sul resto.
E Armand si ritrovò a pensare che non avrebbe potuto desiderare compagna migliore.
I cadaveri non la sconvolgono!, pensò.
Ma lui, che era cadavere tanto quanto quel morto lì disteso, si sentì ugualmente orribile.

*

“Tu cosha ne penshi?”
“Scusami?”
Diana sputò nel lavandino l’acqua, decretando la fine della toeletta mattutina.
“Del cadavere, della giornata di ieri... Insomma...”
Si trovava parecchio a disagio, a parlarne: quel corpo, quel viso, quell’odore... Non erano stati un toccasana. Affatto. E visto che Micol sembrava tanto (ma tanto) più tranquilla di lei, sperava che parlarne avrebbe alleviato anche solo di poco il suo netto fastidio.
“Beh...”, cominciò infatti la castana, sedendosi su una sedia, “...penso che sia stata una giornata importante per noi. Quello è il lavoro per cui sto studiando, quindi sono stata contenta. Inorridita, certo, ma contenta. E poi dai, insomma... Era senza sangue! Capisci?”
Ecco, Diana non aveva avuto torto: l’entusiasmo di Micol (un po’ stonato forse, dato il contesto, ma pur sempre sincero) riuscì subito a calmarla.
“Sì, magari è stato Edward Cullen spuntato fuori dal suo bel libro rilegato!” Ironizzò, ridendo di gusto insieme all’altra, che la corresse ricordandole i gusti vegani del personaggio in questione.
“Allora si sarà trattato di Armand.”
Allo sguardo alquanto esterrefatto di Micol, Diana si accorse dell’errore fatale: “Oh cazzo, non intendevo il nostro Armand! Io intendevo quello dei libri!”
Micol scoppiò a ridere, tanto forte da farsi venire le lacrime agli occhi.
“Questa dobbiamo dirgliela!” Ripeteva.
“Questa dobbiamo proprio dirgliela!”

*

La sua bara.
La sua bara era lunga e stretta ed il legno ormai consunto non poteva più vantare il colore intenso di un tempo; nonostante questo, era sempre riuscito a mantenerla in condizioni ottimali. Era scampata a incendi, terremoti, umidità, viaggi, crolli...
Non che lui necessitasse per forza di dormire in un sepolcro, figurarsi. Semplicemente poteva rivelarsi utile avere un luogo così riparato dove riposare, nei momenti di più cupa stanchezza. Soprattutto quando il nutrimento veniva a mancare per lunghi periodi o la luce iniziava a diventare fastidiosa, come se ancora avesse potuto bruciargli la pelle.
In verità quella sua bara lo spaventava da sempre: claustrofobico fino al ridicolo.
“Io sono vivo.” Decretò a se stesso sfiorando quel legno.
“Io sono vivo.” E dormo in una tomba, si trattenne dall’aggiungere. Con un gesto secco l’aprì, andando a svelare l’imbottitura interna, a tratti sfilacciata, a tratti stinta.
Aveva decisamente bisogno di un nuovo sepolcro; magari più resistente, magari più bello.
Eppure, eppure... Eppure niente sarebbe mai stato come quello che già aveva.
Dovette ammettere, seppur con rammarico, che quel pezzo di legno sudicio oramai sapeva di casa.

*

“Mic, sei sveglia?”
“No.”
La coperta si scosse e ridacchiò: Diana era sepolta là in mezzo, da qualche parte, stretta al cuscino e per nulla intenzionata a chiudere gli occhi.
Anche Micol rise, contagiata dalla demenzialità del momento: “E’ tardi Didi! Che vuoi ancora?”
“Scusamiii...” Qualche movimento, silenzio, altri movimenti; con uno scatto Diana si liberò dalle coperte, scese dal letto e si intrufolò in quelle dell’amica, sorridendo birichina.
“Ah no, non se ne parla sai?” Commentò subito l’altra, cercando prima solo con le mani, poi anche coi piedi, di spingerla giù dal suo umile giaciglio monoposto. Gli sforzi furono vani: le due più che lottare si solleticavano a vicenda, più che discutere ridevano e, più Micol cercava di cacciare Diana, più Diana si aggrappava a Micol strappandole quasi via il pigiama.
La castana dovette infine dichiararsi vinta, mentre l’usurpatrice proclamava vittoriosa la riuscita del colpo di stato.
Naso contro naso, le due iniziarono a chiacchierare, pizzicandosi le gambe con i piedi giusto per ricordarsi a vicenda l’odio reciproco, di tanto in tanto.
“Non riesco a non pensare ad Armand, sai?” Disse improvvisamente Diana, svelando il motivo di tutta quell’inquietudine.
“Credo... non so, credo sia una cosa seria stavolta. È che lui è così dolce e gentile! È diverso da tutti gli altri, e vabbè, è anche bello sì, molto bello, però...cioè... E’ come se...Oddio, che sto blaterando?” Rise di se stessa, ma era tutta rossa in viso.
Micol sorrise: “Dicevi che non è solo bello, ma anche dolce e gentile, diversamente dagli altri.”
Diana annuì con convinzione: “Perché vedi, lui è... è speciale. Ha un sorriso tanto dolce! E poi non guarda solo le mie tette o il mio culo, e questo è...wow.”
Micol provò a buttarla sul ridere: “Magari è gay!”, disse. Il pensiero la disturbò e decise di non pensarlo mai più. Perché lei già sapeva che a lui Diana non piaceva. Ma se fosse stato omosessuale allora... allora...
Allora cosa?
“Non dire stupidaggini!” Diana capì la battuta e rise, spintonandola.
“Però sai cosa?”
Micol improvvisamente non era più in vena di scherzare: “Cosa?”, mormorò.
“A volte mi sento inadeguata. Lui è così tutto ed io sono così... niente.”
L’abbracciò stretta: “Non è vero che sei niente. Sei bellissima.”
L’inadeguata era lei.


Fine 4° capitolo

E va bene... sono in ritardo. LEGGERO, LEGGERISSIMO ritardo.
Scusatemi, è un periodo della mia vita davvero delirante. I 18 anni sono una brutta cosa, eeeeh.
Mi auguro che il capitolo sia in qualche modo piaciuto e abbia ripagato l’attesa di...ehm...quel qualcuno che l’ha letto, immagino.
E’ successa una cosa bizzarra che mi ha spinta a chiudere qui il capitolo, piuttosto che continuarlo ulteriormente.
E’ successo che, a distanza di molti, molti giorni, io abbia usato il termine “inadeguato” senza ricordarmi di averlo usato anche per Armand, poche righe più sopra. Questa cosa mi ha esaltata al punto da farmi dire: voglio che il capitolo si concluda così.
A proposito: il titolo è dovuto al fatto che i due si stanno reciprocamente studiando.
Ah! Ho citato, così, tanto per fare dell’auto-ironia, sia Twilight che il libro Armand il Vampiro; l’uno perché la trama lo ricorda, il secondo perché il mio Armand è uguale a quell’Armand lì (perdonami Anne!).
Si fa per ridere insomma!

Sybelle


Aphrodite: Armand è un sacco cuccioloso <3. Lui è... educato. Credo sia il termine esatto. Non è uno di quei vampiri tutto sangue e rock'n'roll, né tanto meno è un vecchietto ammuffito. Vuole vivere, come tutti. Vuole amare.
Micol... Micol si scioglierà un po', andando avanti. Poveraccia, anche lei di tanto in tanto si rilassa! o.ò
A me piace, mi infonde sicurezza. :) E' molto tosta!
Dimmi che pensi del capitolo quando puoi <3.
   
 
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