< Sono
ormai quattro giorni che non dà nessun segno. Io sono molto preoccupata.>
Era la voce della madre di Anita, Clelia, la sua dolcissima mamma.
< Vedrai
che si riprende, è più forte di quanto credi.> Anita rimase bloccata. La
seconda voce, nonostante fosse maschile non era né di suo padre né di suo
fratello, ma la sentiva terribilmente familiare e faceva parte del terribile
incubo che aveva cercato di negare con tutta se stessa.
< E se
stesse per…> La voce di Clelia si spezzò e poi Anita la sentì singhiozzare.
< Sono
sicuro di no. Dai, fatti forza. Non può essere come dici tu. Sarebbe morta
prima. Lei è perfetta Clelia, perfetta.> Anita si rifiutava di aprire gli
occhi. Aveva paura che avrebbero smesso di parlare e sentiva che c’era qualcosa
che invece avrebbe dovuto sapere. Sentendo, però, i singhiozzi di sua madre
continuare, Anita si decise a farle capire che era sveglia. La luce le fece
male gli occhi.
<
Mamma…>
< Tesoro
mio, finalmente ti sei svegliata! Io, tuo padre e Phil eravamo molto preoccupati.>
Clelia tratteneva a stento la felicità e la commozione. Quando finalmente Anita
riuscì a mettere a fuoco ciò che le stava intorno, si voltò verso l’ospite
sconosciuto che stava alla destra di sua madre. Eccolo, il suo incubo era
realtà. Poteva mai essere vero? No, stava continuando a sognare. Anita aveva
visto quel volto due volte, in due sogni diversi, anche se solo per pochi
attimi entrambe le volte. Uno era l’incubo che la tormentava da due anni,
l’altro era più recente. Gettò un urlo e presa dalla paura prese sua madre per
mano e cercò di scappare. Scese al primo piano e trovò suo padre Paolo in
cucina, il quale al primo sguardo le rivolse un bel sorriso smagliante, poi
aggrottò la fronte preoccupato.
< C’è un
uomo in casa, papà. Dobbiamo scappare e chiamare la polizia al più presto!>
< Ma di
chi stai parlando?> Paolo si affacciò dalla porta da cui erano arrivate
Anita e Clelia e cercò di armarsi con la prima cosa che trovò, ovvero un
cucchiaio da cucina.
< Non lo
so chi è, so che è pericoloso.>
< Anita
credo tu stia fraintendendo qualcosa. Paolo posa quella cosa, Anita si è
spaventata vedendo Phil.> Poi si rivolse verso Anita, che in preda al panico
stava cercando il telefono per chiamare il 991. < Phillip non è un tuo
nemico tesoro, lui non ti farebbe mai del male. Fidati di me.>
< Mamma tu
non puoi capire, quell’uomo era…> Silenzio. Per proseguire la frase si
trovava davanti tre strade. Ammettere che il sogno dell’omicidio era realtà,
con tante conseguenze che non aveva intenzione di accettare mai e poi mai,
oppure che il rapimento non era stato un sogno, o addirittura che erano
entrambi veri. Perché lui c’era. Era in entrambe le occasioni presente, e ora
c’era anche nella sua realtà. Le tre condizioni non si sposavano affatto bene
con il volere di Anita, ma la quarta via era considerare irreale tutto,
compresa la reale presenza di quel tipo in casa sua. Paolo e Clelia la
guardavano con un misto di preoccupazione e compassione.
< Era
presente nel tuo sogno, quella della donna morta.> Clelia si fermò a
guardarla.
< Il fatto
che fossi presente non fa di me uno dei cattivi.> Anita si bloccò, non aveva
ancora deciso niente ma attorno a lei la verità cercava di abbattere le sue
difese. La voce dell’uomo che le stava davanti le era familiare ma non era un
ricordo dei suoi incubi. Era la stessa voce che l’aveva chiamata qualche giorno
prima e che lei aveva pensato le stesse facendo uno scherzo. Le girò la testa e
si fermò a contemplare le persone che le stavano attorno. Il loro sguardo
ansioso e impaurito insieme le ricordò quello dei colossi. Il loro ricordo la
fece spaventare. Perché tutti la guardavano così? Era forse lei la cattiva?
Cadde priva di sensi tra le braccia di Clelia che continuava a invocare il suo
nome.
< Anita!
Che hai, Anita?>
< Clelia,
la piccola è semplicemente stanca. Non ti preoccupare si rimetterà presto.
Questo improvviso risveglio è stato troppo carico di emozioni e non è riuscita
a reggerle. Mettiamola a letto, per adesso credo sia troppo confusa per poter
reggere.>
< Sì,
Clelia. Phillip ha ragione, lasciamola riposare per adesso, e non ti abbattere
così. Dobbiamo essere forti anche per lei.> Poi le due forti mani di Phil
presero in braccio Anita e la riportarono al piano di sopra, al sicuro.
Anita si
svegliò e guardò subito il cellulare per vedere che ore fossero. Erano già le
otto meno venti! Di sicuro aveva continuato a dormire dopo che i suoi avevano
tentato di svegliarla. Si alzò in fretta, felice di aver finito di sognare. Si
preparò il più velocemente possibile e cercò di non pensare a nulla. Una volta
finito tutto scese in cucina per fare colazione.
<
Buongiorno.> Anita si aspettava che i suoi la rimproverassero per aver fatto
tardi, come sempre d’altronde.
<
Buongiorno.> La loro voce era pesante, ma non aggiunsero altro quindi Anita
si rasserenò. Paolo e Clelia invece continuavano a guardarla, anzi a fissarla,
immobili.
< Avrei bisogno
almeno di 5 euro per la benzina oppure ho paura che non arriverò a scuola.> Entrambi
si sbloccarono come di colpo e ricominciarono a mangiare.
<
Preferirei accompagnarti io.> Disse Paolo senza alzare gli occhi da ciò che
stava mangiando.
< Perché?
Piove di nuovo? Ditemi di no, vi prego. Oggi pomeriggio avevo intenzione di
uscire con le ragazze per un giro di negozi.>
< Non
credo sia una buona idea che tu esca oggi pomeriggio. Anzi, credo che non
dovresti neanche andare a scuola.> Disse Clelia, non molto sicura di cosa
stesse succedendo. Tutta quella normalità per lei era fuori luogo.
< Perché mamma?
È successo qualcosa?> Clelia rimase impietrita, e con uno sguardo torvo si
girò verso Anita. Paolo, invece, era quasi rasserenato e, nonostante fosse
anche lui alquanto incredulo, fece cenno a Clelia di lasciarla fare.
< Non ci
penso neanche. Credo sia invece il caso di parlarne, senza fare finta di
niente!>
< Ma non
vedi che Anita sta meglio? Lasciamo perdere quanto è successo, no?> Paolo
avrebbe preferito che niente fosse accaduto, non solo per il fatto in se, ma perché
sapeva che il futuro che attendeva Anita dopo quell’episodio era tutt’altro che
gradevole.
< E
intendi lasciarla andare in giro da sola? Non penso sia la scelta migliore.>
I toni si erano leggermente alzati, ma Anita era assolutamente fuori da tutti quei
discorsi.
< Mi state
facendo preoccupare. Ripeto, è successo qualcosa?> I suoi genitori si
girarono verso di lei e la fissarono intensamente senza dire una parola. I loro
sguardi erano pieni di emozioni diverse, dallo stupore, all’incredulità, alla
preoccupazione.
< Lo
yogurt era avariato per caso? Voi due non avete una bella cera. Comunque io
vado perché sono già parecchio in ritardo. Ciao!> Anita si diresse verso la
sua camera a prendere il casco e la borsa per poi dirigersi verso la porta d’ingresso
quando dalla porta del salone uscì un uomo.
< Phillip
la accompagni tu, per favore?> Anche Clelia e Paolo ora erano nell’ingresso.
<
Phillip?> Ad Anita quel nome non era totalmente estraneo, ma non riusciva a
ricordare niente.
< Sì, te l’abbiamo
presentato ieri, ricordi? Prima che tu svenissi di nuovo.>
< Prima
che io svenissi?> Qualcosa si accese in lei per un periodo di un nanosecondo.
Poi qualcosa la bloccò. < No mamma, ti sbagli non l’ho mai visto. Sei sicura
di star bene? Dovresti andare dal dottore, mi sa proprio di sì…> Detto ciò,
girò i tacchi e uscì. Era però abbastanza sicura di aver già visto quell’uomo e
di aver anche sentito quel nome.
<
Impossibile.> Disse fra sé e sé. < E poi proprio ieri io ho studiato
tutto il giorno… oppure sono uscita? Mmmm… Non me lo ricordo in effetti… Comunque
sia non è detto che io debba per forza conoscere tutti gli amici dei miei. Quel
tipo, ad esempio, non lo conosco affatto.>
< Il fatto
che tu non voglia ricordare è molto diverso dal non ricordare e, cosa più
importante, non ti da il diritto di farlo. Torna subito qua. Non sei in
condizioni di uscire di casa, per tanti motivi.> Quella voce era così
fastidiosa per Anita che si scaldò al solo sentirla.
< Così
come il fatto che tu non voglia tenere la bocca chiusa, non ti dà il diritto di
parlare.>
< Allora
ammetti di ricordare?> Anita diventava sempre più irritabile. Quel Phil
osava troppo.
< Non
ricordo niente, perché non c’è niente da ricordare.>
< Non mi
prendere in giro, non serve a niente, né a me né a te.>
< Inizi a
diventare una scocciatura, lo sai? Dovresti andartene il più velocemente
possibile via da qui e lasciarmi in pace una buona volta. Stare vicino a te non
porta a niente di buono.>
< Davvero
hai intenzione di andare avanti ignorando quanto è successo?>
< Non ho
la minima idea di cosa tu stia parlando e ribadisco meglio il concetto, nel
caso non l’avessi capito: mi dai ai nervi!>
< È una
cosa che possiamo sistemare poi, intanto se vieni dentro ti spiego meglio ciò
di cui stiamo parlando.>
< Devo
andare a scuola. Magari un’altra volta, eh?> Convinta di aver finalmente
chiuso il discorso, Anita continuò per la sua strada.
< A scuola
ci saranno i “colossi”, come li chiami tu, ad aspettarti. Preferisci affrontare
loro?>
< I
colossi…> Tutto ciò che la mente di Anita stava cercando di bloccare con
tutte le sue forze, ora volava davanti ai suoi occhi.
< …erano
due, no erano quattro… Mi hanno tenuta dentro una stanza chiusa e buia, mi
hanno picchiata… no. Era un sogno. Avrei dovuto avere il naso rotto e il corpo
come minimo pieno di lividi.>
< Vieni
dentro e ne parliamo meglio> Phil tirò un sospiro di sollievo, ma cercò di
non darlo a vedere. Temeva profondamente che Anita non avrebbe accettato la
situazione, mai. Ma aveva cantato vittoria troppo presto. Dopo un breve periodo
di silenzio, infatti, Anita ritornò a parlare con gli stessi toni di prima.
< Va via.
Farai spaventare mia madre con tutte queste storie assurde.> Anita, però,
non si mosse ancora. Phil prese fiato e coraggio e usò l’ultimo espediente che
gli restava.
< Amanda.
Questo era il nome di tua madre. Di lei ti ricordi?> Tutto le tornò alla
mente. Improvvisamente tutta la verità era esplosa dentro la testa di Anita e
Phil sperò che ciò non comportasse danni collaterali. Tutto ciò di cui Phil
stava parlando era vero e Anita lo sapeva perfettamente. Tutti i sogni che
avevano popolato le sue notti, lo scienziato pazzo, i colossi e, più importante
di tutti, Amanda, sua madre. Quel nome era stato come una campanella, che aveva
svegliato una parte di lei assopita da tempo, e con lei aveva portato a galla
tutto ciò che Anita aveva sempre classificato come irreale per pura comodità.
Le ginocchia crollarono, insieme alla sua mente.
< Era
tutto così chiaro perché era tutto vero. Lo sparo, Phil, il laboratorio e tutti
quegli uomini in nero. Tutto vero.> Anita si sentì soffocare. Qualcosa la
stringeva, ma non dall’esterno. Era qualcosa che l’attanagliava da dentro.
< A-aiuto…
s-sof...foco> Anita respirava a stento, accasciata ai piedi delle scale. A
Phil, nel frattempo, occorsero qualche istanti per riprendersi dallo stupore
per la velocità della reazione.
< Anita,
ANITA!>
< Mi sta
soffocando…> Anita sussurrava così piano che a stento si sentiva lei stessa.
< Di cosa
stai parlando? Anita!>
< Non
respiro!!>
<
Maledizione! Non immaginavo succedesse così presto.> Phil iniziò a diventare
più operativo e lucido.
< Cosa
succede, Phil, Anita?> Clelia li aveva raggiunti.
< Chiama
Paolo, digli di aiutarmi a caricarla in macchina. Per lei è ora di andare.>
< Sì, l’avevamo
immaginato. Paolo, vieni presto!> Paolo lo raggiunse il più in fretta
possibile mentre invece Clelia cercava di preparare una specie di valigia dell’ultimo
minuto. Anita ansimava.
< Ho
installato una stanza in cui lei potrà stare tranquilla. Mi spiace dovercela
portare così presto. Pensavo avessimo ancora un po’ di tempo…>
< Prima inizia,
prima finisce, no?> Paolo cercava di essere il più positivo possibile così
come la sua natura gli consigliava, ma nel suo volto l’amarezza era stampata a
lettere cubitali.
< Spero di
sì.> Phil non era altrettanto ottimista. Appena Clelia arrivò con la borsa,
Anita e Phil partirono immediatamente. Anita non riusciva più a parlare, né a
muoversi. Tutto intorno a lei si offuscava, ma era stanca di essere incosciente
e sentiva il bisogno di dover prendere il controllo della situazione. La
macchina in cui l’avevano messa suo padre e Phil era molto grande e l’aria
condizionata l’aiutò un minimo a riprendersi anche se avrebbe preferito aprire
i finestrini. Questi però erano oscurati e in un certo senso davano l’idea di “meglio-non-toccare”.
Si sentì un minimo meglio e quindi cercò di capire meglio cosa stava
succedendo.
< Dove mi
stai portando?> Sentiva di essere completamente in balia di nessuno e meno
di tutti di se stessa, considerato che la sua mente era un puro caos e il suo
corpo uno straccio.
< In un
posto sicuro in cui potrai sfogarti. Appena starai meglio potrai tornare a
vivere con i tuoi genitori, forse.>
< Credi di
poter fare tutto quello che vuoi?> Sentiva che la sua voce aveva qualcosa di
profondamente diverso, persino la tonalità. Eppure era sicura di aver
pronunciato lei quelle parole. Notando il cambiamento repentino, Phil si portò
una mano alla testa. Il volto crucciato dall’ansia. Sembrava quasi triste, e
Anita provò un po’ pena. Poi però, lo sentì ridere, e la rabbia di prima si
quadruplicò, producendo, però, effetti positivi sul suo corpo che sentiva un
minimo più libero.
< È
incredibile il modo in cui ti stai difendendo! Non c’è niente che puoi fare, e
di sicuro non è scappando che la aiuterai.> La rabbia diminuì un po’, e per
un momento la testa tornò a vorticarle.
< E tu
invece come pensi di fare, sentiamo.> Quella che sentì era una voce lontana.
Non era la sua voce, non veniva dalla sua mente né dalla sua bocca e la sentiva
esterna sia a lei, che a Phil, che alla stessa macchina. Eppure l’aveva
sentita.
< Oltre ad
una buona dose di difesa personale, ha estremamente bisogno di essere informata
dei fatti, prima di cadere nella schizofrenia.>
< Posso occuparmi di lei da sola, grazie.> Ora
capiva cosa c’era di strano. Non la stava sentendo, la stava percependo.
Nessuno stava parlando, ma una voce esisteva tra loro due, ed era esterna ad
entrambi.
< Non
essere così orgogliosa. Hai bisogno di me, lo sappiamo entrambi.> Anita
prese un po’ di coraggio e ignorando ormai completamente le sue condizioni
fisiche si rivolse incredula a Phil.
< Ma con
chi stai parlando?> Chiese con un filo di voce, che tradiva il terrore che
le teneva bloccato tutto il corpo.
< Con
te.> Il cuore di Anita prese a battere all’impazzata. Aveva paura a
mostrarlo, però, perché sentiva che doveva restare impassibile: non si poteva
fidare di quell’uomo. Lui si girò piano per guardarla. Ormai l’aria divertita
era completamente svanita. Poi fermò la macchina. Anita non riusciva a capire
cosa le stesse succedendo. Si guardò intorno e si rese subito conto che non era
tanto lontano da casa e che nonostante non fosse stata attenta alla strada
sapeva come scappare.
< A
dimostrazione del fatto che non sono affatto un serial killer, o una spia o
roba simile, ti presento la Casa. Qui è dove vivo, e dove vivrai tu. Ti posso dare
l’indirizzo ma credo che tu già lo sappia e ti posso anche dire gli orari dei
bus che passano da qui e si fermano sotto casa tua. Ma sono sicuro che ti
renderai presto conto da sola che non è affatto un luogo pericoloso o con
persone pericolose.> La rabbia si ripresentò, ma questa volta Anita era sicura
che non la stesse provando lei, nonostante la percepisse come fosse sua.
< Che… che
cos’è?>
< Entra e
ti spiegherò tutto. Siamo qui per questo.> Quindi scese dalla macchina e
aiutò Anita a scendere.