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Autore: Belt4    12/05/2012    0 recensioni
Anita è una ragazza normale che si ritrova davanti una nuova realtà, totalmente differente dalla precedente, e con cui deve iniziare a fare i conti dato che tante persone stanno aspettando solo lei. Se vi dicessi altro sarebbero spoiler e il regolamento me lo vieta, spero che questi primi capitoli vi piacciano!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Realtà.

< Sono ormai quattro giorni che non dà nessun segno. Io sono molto preoccupata.> Era la voce della madre di Anita, Clelia, la sua dolcissima mamma.

< Vedrai che si riprende, è più forte di quanto credi.> Anita rimase bloccata. La seconda voce, nonostante fosse maschile non era né di suo padre né di suo fratello, ma la sentiva terribilmente familiare e faceva parte del terribile incubo che aveva cercato di negare con tutta se stessa.

< E se stesse per…> La voce di Clelia si spezzò e poi Anita la sentì singhiozzare.

< Sono sicuro di no. Dai, fatti forza. Non può essere come dici tu. Sarebbe morta prima. Lei è perfetta Clelia, perfetta.> Anita si rifiutava di aprire gli occhi. Aveva paura che avrebbero smesso di parlare e sentiva che c’era qualcosa che invece avrebbe dovuto sapere. Sentendo, però, i singhiozzi di sua madre continuare, Anita si decise a farle capire che era sveglia. La luce le fece male gli occhi.

< Mamma…>

< Tesoro mio, finalmente ti sei svegliata! Io, tuo padre e Phil eravamo molto preoccupati.> Clelia tratteneva a stento la felicità e la commozione. Quando finalmente Anita riuscì a mettere a fuoco ciò che le stava intorno, si voltò verso l’ospite sconosciuto che stava alla destra di sua madre. Eccolo, il suo incubo era realtà. Poteva mai essere vero? No, stava continuando a sognare. Anita aveva visto quel volto due volte, in due sogni diversi, anche se solo per pochi attimi entrambe le volte. Uno era l’incubo che la tormentava da due anni, l’altro era più recente. Gettò un urlo e presa dalla paura prese sua madre per mano e cercò di scappare. Scese al primo piano e trovò suo padre Paolo in cucina, il quale al primo sguardo le rivolse un bel sorriso smagliante, poi aggrottò la fronte preoccupato.

< C’è un uomo in casa, papà. Dobbiamo scappare e chiamare la polizia al più presto!>

< Ma di chi stai parlando?> Paolo si affacciò dalla porta da cui erano arrivate Anita e Clelia e cercò di armarsi con la prima cosa che trovò, ovvero un cucchiaio da cucina.

< Non lo so chi è, so che è pericoloso.>

< Anita credo tu stia fraintendendo qualcosa. Paolo posa quella cosa, Anita si è spaventata vedendo Phil.> Poi si rivolse verso Anita, che in preda al panico stava cercando il telefono per chiamare il 991. < Phillip non è un tuo nemico tesoro, lui non ti farebbe mai del male. Fidati di me.>

< Mamma tu non puoi capire, quell’uomo era…> Silenzio. Per proseguire la frase si trovava davanti tre strade. Ammettere che il sogno dell’omicidio era realtà, con tante conseguenze che non aveva intenzione di accettare mai e poi mai, oppure che il rapimento non era stato un sogno, o addirittura che erano entrambi veri. Perché lui c’era. Era in entrambe le occasioni presente, e ora c’era anche nella sua realtà. Le tre condizioni non si sposavano affatto bene con il volere di Anita, ma la quarta via era considerare irreale tutto, compresa la reale presenza di quel tipo in casa sua. Paolo e Clelia la guardavano con un misto di preoccupazione e compassione.

< Era presente nel tuo sogno, quella della donna morta.> Clelia si fermò a guardarla.

< Il fatto che fossi presente non fa di me uno dei cattivi.> Anita si bloccò, non aveva ancora deciso niente ma attorno a lei la verità cercava di abbattere le sue difese. La voce dell’uomo che le stava davanti le era familiare ma non era un ricordo dei suoi incubi. Era la stessa voce che l’aveva chiamata qualche giorno prima e che lei aveva pensato le stesse facendo uno scherzo. Le girò la testa e si fermò a contemplare le persone che le stavano attorno. Il loro sguardo ansioso e impaurito insieme le ricordò quello dei colossi. Il loro ricordo la fece spaventare. Perché tutti la guardavano così? Era forse lei la cattiva? Cadde priva di sensi tra le braccia di Clelia che continuava a invocare il suo nome.

< Anita! Che hai, Anita?>

< Clelia, la piccola è semplicemente stanca. Non ti preoccupare si rimetterà presto. Questo improvviso risveglio è stato troppo carico di emozioni e non è riuscita a reggerle. Mettiamola a letto, per adesso credo sia troppo confusa per poter reggere.>

< Sì, Clelia. Phillip ha ragione, lasciamola riposare per adesso, e non ti abbattere così. Dobbiamo essere forti anche per lei.> Poi le due forti mani di Phil presero in braccio Anita e la riportarono al piano di sopra, al sicuro.

Anita si svegliò e guardò subito il cellulare per vedere che ore fossero. Erano già le otto meno venti! Di sicuro aveva continuato a dormire dopo che i suoi avevano tentato di svegliarla. Si alzò in fretta, felice di aver finito di sognare. Si preparò il più velocemente possibile e cercò di non pensare a nulla. Una volta finito tutto scese in cucina per fare colazione.

< Buongiorno.> Anita si aspettava che i suoi la rimproverassero per aver fatto tardi, come sempre d’altronde.

< Buongiorno.> La loro voce era pesante, ma non aggiunsero altro quindi Anita si rasserenò. Paolo e Clelia invece continuavano a guardarla, anzi a fissarla, immobili.

< Avrei bisogno almeno di 5 euro per la benzina oppure ho paura che non arriverò a scuola.> Entrambi si sbloccarono come di colpo e ricominciarono a mangiare.

< Preferirei accompagnarti io.> Disse Paolo senza alzare gli occhi da ciò che stava mangiando.

< Perché? Piove di nuovo? Ditemi di no, vi prego. Oggi pomeriggio avevo intenzione di uscire con le ragazze per un giro di negozi.>

< Non credo sia una buona idea che tu esca oggi pomeriggio. Anzi, credo che non dovresti neanche andare a scuola.> Disse Clelia, non molto sicura di cosa stesse succedendo. Tutta quella normalità per lei era fuori luogo.

< Perché mamma? È successo qualcosa?> Clelia rimase impietrita, e con uno sguardo torvo si girò verso Anita. Paolo, invece, era quasi rasserenato e, nonostante fosse anche lui alquanto incredulo, fece cenno a Clelia di lasciarla fare.

< Non ci penso neanche. Credo sia invece il caso di parlarne, senza fare finta di niente!>

< Ma non vedi che Anita sta meglio? Lasciamo perdere quanto è successo, no?> Paolo avrebbe preferito che niente fosse accaduto, non solo per il fatto in se, ma perché sapeva che il futuro che attendeva Anita dopo quell’episodio era tutt’altro che gradevole.

< E intendi lasciarla andare in giro da sola? Non penso sia la scelta migliore.> I toni si erano leggermente alzati, ma Anita era assolutamente fuori da tutti quei discorsi.

< Mi state facendo preoccupare. Ripeto, è successo qualcosa?> I suoi genitori si girarono verso di lei e la fissarono intensamente senza dire una parola. I loro sguardi erano pieni di emozioni diverse, dallo stupore, all’incredulità, alla preoccupazione.

< Lo yogurt era avariato per caso? Voi due non avete una bella cera. Comunque io vado perché sono già parecchio in ritardo. Ciao!> Anita si diresse verso la sua camera a prendere il casco e la borsa per poi dirigersi verso la porta d’ingresso quando dalla porta del salone uscì un uomo.

< Phillip la accompagni tu, per favore?> Anche Clelia e Paolo ora erano nell’ingresso.

< Phillip?> Ad Anita quel nome non era totalmente estraneo, ma non riusciva a ricordare niente.

< Sì, te l’abbiamo presentato ieri, ricordi? Prima che tu svenissi di nuovo.>

< Prima che io svenissi?> Qualcosa si accese in lei per un periodo di un nanosecondo. Poi qualcosa la bloccò. < No mamma, ti sbagli non l’ho mai visto. Sei sicura di star bene? Dovresti andare dal dottore, mi sa proprio di sì…> Detto ciò, girò i tacchi e uscì. Era però abbastanza sicura di aver già visto quell’uomo e di aver anche sentito quel nome.

< Impossibile.> Disse fra sé e sé. < E poi proprio ieri io ho studiato tutto il giorno… oppure sono uscita? Mmmm… Non me lo ricordo in effetti… Comunque sia non è detto che io debba per forza conoscere tutti gli amici dei miei. Quel tipo, ad esempio, non lo conosco affatto.>

< Il fatto che tu non voglia ricordare è molto diverso dal non ricordare e, cosa più importante, non ti da il diritto di farlo. Torna subito qua. Non sei in condizioni di uscire di casa, per tanti motivi.> Quella voce era così fastidiosa per Anita che si scaldò al solo sentirla.

< Così come il fatto che tu non voglia tenere la bocca chiusa, non ti dà il diritto di parlare.>

< Allora ammetti di ricordare?> Anita diventava sempre più irritabile. Quel Phil osava troppo.

< Non ricordo niente, perché non c’è niente da ricordare.>

< Non mi prendere in giro, non serve a niente, né a me né a te.>

< Inizi a diventare una scocciatura, lo sai? Dovresti andartene il più velocemente possibile via da qui e lasciarmi in pace una buona volta. Stare vicino a te non porta a niente di buono.>

< Davvero hai intenzione di andare avanti ignorando quanto è successo?>

< Non ho la minima idea di cosa tu stia parlando e ribadisco meglio il concetto, nel caso non l’avessi capito: mi dai ai nervi!>

< È una cosa che possiamo sistemare poi, intanto se vieni dentro ti spiego meglio ciò di cui stiamo parlando.>

< Devo andare a scuola. Magari un’altra volta, eh?> Convinta di aver finalmente chiuso il discorso, Anita continuò per la sua strada.

< A scuola ci saranno i “colossi”, come li chiami tu, ad aspettarti. Preferisci affrontare loro?>

< I colossi…> Tutto ciò che la mente di Anita stava cercando di bloccare con tutte le sue forze, ora volava davanti ai suoi occhi.

< …erano due, no erano quattro… Mi hanno tenuta dentro una stanza chiusa e buia, mi hanno picchiata… no. Era un sogno. Avrei dovuto avere il naso rotto e il corpo come minimo pieno di lividi.>

< Vieni dentro e ne parliamo meglio> Phil tirò un sospiro di sollievo, ma cercò di non darlo a vedere. Temeva profondamente che Anita non avrebbe accettato la situazione, mai. Ma aveva cantato vittoria troppo presto. Dopo un breve periodo di silenzio, infatti, Anita ritornò a parlare con gli stessi toni di prima.

< Va via. Farai spaventare mia madre con tutte queste storie assurde.> Anita, però, non si mosse ancora. Phil prese fiato e coraggio e usò l’ultimo espediente che gli restava.

< Amanda. Questo era il nome di tua madre. Di lei ti ricordi?> Tutto le tornò alla mente. Improvvisamente tutta la verità era esplosa dentro la testa di Anita e Phil sperò che ciò non comportasse danni collaterali. Tutto ciò di cui Phil stava parlando era vero e Anita lo sapeva perfettamente. Tutti i sogni che avevano popolato le sue notti, lo scienziato pazzo, i colossi e, più importante di tutti, Amanda, sua madre. Quel nome era stato come una campanella, che aveva svegliato una parte di lei assopita da tempo, e con lei aveva portato a galla tutto ciò che Anita aveva sempre classificato come irreale per pura comodità. Le ginocchia crollarono, insieme alla sua mente.

< Era tutto così chiaro perché era tutto vero. Lo sparo, Phil, il laboratorio e tutti quegli uomini in nero. Tutto vero.> Anita si sentì soffocare. Qualcosa la stringeva, ma non dall’esterno. Era qualcosa che l’attanagliava da dentro.

< A-aiuto… s-sof...foco> Anita respirava a stento, accasciata ai piedi delle scale. A Phil, nel frattempo, occorsero qualche istanti per riprendersi dallo stupore per la velocità della reazione.

< Anita, ANITA!>

< Mi sta soffocando…> Anita sussurrava così piano che a stento si sentiva lei stessa.

< Di cosa stai parlando? Anita!>

< Non respiro!!>

< Maledizione! Non immaginavo succedesse così presto.> Phil iniziò a diventare più operativo e lucido.

< Cosa succede, Phil, Anita?> Clelia li aveva raggiunti.

< Chiama Paolo, digli di aiutarmi a caricarla in macchina. Per lei è ora di andare.>

< Sì, l’avevamo immaginato. Paolo, vieni presto!> Paolo lo raggiunse il più in fretta possibile mentre invece Clelia cercava di preparare una specie di valigia dell’ultimo minuto. Anita ansimava.

< Ho installato una stanza in cui lei potrà stare tranquilla. Mi spiace dovercela portare così presto. Pensavo avessimo ancora un po’ di tempo…>

< Prima inizia, prima finisce, no?> Paolo cercava di essere il più positivo possibile così come la sua natura gli consigliava, ma nel suo volto l’amarezza era stampata a lettere cubitali.

< Spero di sì.> Phil non era altrettanto ottimista. Appena Clelia arrivò con la borsa, Anita e Phil partirono immediatamente. Anita non riusciva più a parlare, né a muoversi. Tutto intorno a lei si offuscava, ma era stanca di essere incosciente e sentiva il bisogno di dover prendere il controllo della situazione. La macchina in cui l’avevano messa suo padre e Phil era molto grande e l’aria condizionata l’aiutò un minimo a riprendersi anche se avrebbe preferito aprire i finestrini. Questi però erano oscurati e in un certo senso davano l’idea di “meglio-non-toccare”. Si sentì un minimo meglio e quindi cercò di capire meglio cosa stava succedendo.

< Dove mi stai portando?> Sentiva di essere completamente in balia di nessuno e meno di tutti di se stessa, considerato che la sua mente era un puro caos e il suo corpo uno straccio.

< In un posto sicuro in cui potrai sfogarti. Appena starai meglio potrai tornare a vivere con i tuoi genitori, forse.>

< Credi di poter fare tutto quello che vuoi?> Sentiva che la sua voce aveva qualcosa di profondamente diverso, persino la tonalità. Eppure era sicura di aver pronunciato lei quelle parole. Notando il cambiamento repentino, Phil si portò una mano alla testa. Il volto crucciato dall’ansia. Sembrava quasi triste, e Anita provò un po’ pena. Poi però, lo sentì ridere, e la rabbia di prima si quadruplicò, producendo, però, effetti positivi sul suo corpo che sentiva un minimo più libero.

< È incredibile il modo in cui ti stai difendendo! Non c’è niente che puoi fare, e di sicuro non è scappando che la aiuterai.> La rabbia diminuì un po’, e per un momento la testa tornò a vorticarle.

< E tu invece come pensi di fare, sentiamo.> Quella che sentì era una voce lontana. Non era la sua voce, non veniva dalla sua mente né dalla sua bocca e la sentiva esterna sia a lei, che a Phil, che alla stessa macchina. Eppure l’aveva sentita.

< Oltre ad una buona dose di difesa personale, ha estremamente bisogno di essere informata dei fatti, prima di cadere nella schizofrenia.>

<  Posso occuparmi di lei da sola, grazie.> Ora capiva cosa c’era di strano. Non la stava sentendo, la stava percependo. Nessuno stava parlando, ma una voce esisteva tra loro due, ed era esterna ad entrambi.

< Non essere così orgogliosa. Hai bisogno di me, lo sappiamo entrambi.> Anita prese un po’ di coraggio e ignorando ormai completamente le sue condizioni fisiche si rivolse incredula a Phil.

< Ma con chi stai parlando?> Chiese con un filo di voce, che tradiva il terrore che le teneva bloccato tutto il corpo.

< Con te.> Il cuore di Anita prese a battere all’impazzata. Aveva paura a mostrarlo, però, perché sentiva che doveva restare impassibile: non si poteva fidare di quell’uomo. Lui si girò piano per guardarla. Ormai l’aria divertita era completamente svanita. Poi fermò la macchina. Anita non riusciva a capire cosa le stesse succedendo. Si guardò intorno e si rese subito conto che non era tanto lontano da casa e che nonostante non fosse stata attenta alla strada sapeva come scappare.

< A dimostrazione del fatto che non sono affatto un serial killer, o una spia o roba simile, ti presento la Casa. Qui è dove vivo, e dove vivrai tu. Ti posso dare l’indirizzo ma credo che tu già lo sappia e ti posso anche dire gli orari dei bus che passano da qui e si fermano sotto casa tua. Ma sono sicuro che ti renderai presto conto da sola che non è affatto un luogo pericoloso o con persone pericolose.> La rabbia si ripresentò, ma questa volta Anita era sicura che non la stesse provando lei, nonostante la percepisse come fosse sua.

< Che… che cos’è?>

< Entra e ti spiegherò tutto. Siamo qui per questo.> Quindi scese dalla macchina e aiutò Anita a scendere.

  
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