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Autore: Aine Walsh    29/05/2012    2 recensioni
In quella calda giornata di metà Giugno l’aeroporto straboccava di gente da tutte le parti, come se le vacanze estive fossero state anticipate per tutti. C’era chi saliva e chi scendeva dalle scale mobili, chi entrava e usciva dai gate, chi salutava amici e parenti con un «Torno presto» e chi esclamava trionfante «Sono tornato!», chi perdeva tempo passeggiando tra i negozi o sorseggiando qualcosa allo Starbucks e chi si affrettava per paura di non riuscire a prendere il volo, e così via.
Ma posso assicurare che tutti, proprio tutti, erano in compagnia.
Eccetto me, naturalmente.
[...]
Amanda Blair Morris, ventidue anni. Nata da padre americano di Baltimora e madre italiana, da otto anni risiedeva a Roma, Città Eterna, ma era stata invitata dal sottoscritto a trascorrere l’estate negli USA.
Ed era la mia migliore amica.
Genere: Comico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo cinque - Alex
 
Amanda non aveva pranzato. Se per questo, non aveva neppure cenato. Non era uscita più di camera sua da quando c’era entrata, un bel po’ di ore prima, ormai.
E io avevo sbagliato di grosso.
Aveva ignorato tutte le richieste mie e di Jack di poter entrare e anche tutte le nostre scuse, ed io non sapevo più che fare. Ci avevo rinunciato; mi avvicinavo alla sua porta e me ne stavo zitto, sotto lo sguardo sconsolato del Barakat che aspettava un segnale che però non arrivava.
Neanche io avevo molta voglia di cenare e, dopo aver finto di mangiare un sandwich, uscii in giro per la zona, evitando di passare per le strade troppo affollate: essere riconosciuto era l’ultima cosa che volevo in quel momento.
Mentre camminavo ripensavo ai vecchi litigi avuti con la Morris anni prima, quando eravamo più piccoli, e pochissime volte lei si era arrabbiata così tanto da smettere di parlarmi. Eppure non avevo intenzione di rovinarle la giornata così, stavo solo scherzando e pensavo che lei l’avesse capito.
Lo ammetto, mi sentivo un verme, e mi sentii ancora peggio dopo aver pensato che lei stesse esagerando a comportarsi in quel modo: non avevamo più quindici anni, cazzo!
E così continuai a passeggiare, confuso e malinconico, con la testa bassa coperta dal cappuccio della felpa che avevo indossato prima di uscire, perdendo il senso dell’orientamento e la cognizione del tempo. Poi mi vibrò il telefono in tasca.
Sbrigati e vieni subito. E’ disposta a parlare.
«Santo Barakat!» esclamai in mezzo alla strada, fregandomene altamente di poter essere preso per pazzo. Jack era riuscito ad entrare e parlare con lei, quindi potevo finalmente farlo anch’io. Sì, le avrei chiesto scussa e l’avrei ascoltata mentre mi avrebbe valangato di espressioni poco affettuose senza dire una sola parola… Magari davanti ad un bel gelato, però.
Corsi verso casa più veloce che potessi, anche se ad un certo punto dovetti abbandonare la strada secondaria e immettermi sulla via principale, pullulata di gente. Ma non importava e corsi velocemente, fingendo di non sentire i «Ehi, ma quello era…?!» provenienti dalla bocca di alcuni che mi avevano riconosciuto.
Quando arrivai, i ragazzi stavano dormicchiando sul divano, a parte Bassam che mi guardò assonnato.
«Dormi Bassam, dormi. Sei stato bravo» dissi inconsciamente. Cosa volessi dire, non lo so neanche io; forse era il mio modo di esprimere la gratitudine per quell’sms.
Presi i barattoli di gelato dal freezer e cercai di combinare qualcosa che sembrasse almeno un poco decente e gustoso all’apparenza. Se c’era una cosa a cui Amanda non sapeva dire mai di no, quello era proprio il gelato.
Quando terminai le mie piccole opere d’arte, presi le due coppe e andai dritto dritto a bussare alla porta della mia migliore amica, che però non rispose, o meglio, lo fece ma non con l’uso delle parole: la ragazza emise uno strano grugnito contrariato. Spinsi la porta col gomito per evitare di far cadere i gelati che avevo preparato con tanto amore e la trovai distesa sul grande letto dalle lenzuola turchesi, tutta intenta a leggere Sherlock Holmes. Non mi guardò nemmeno, ma non ci feci molto caso; entrai, appoggiai le coppe sul comodino accanto al letto e scostai le tende, in modo che la camera venisse illuminata anche dalle luci esterne oltre che da quella che emetteva la piccola abat-jour. Era anche una bella serata e forse, pensai, la vista sull’Oceano Pacifico rischiarato dalla luna poteva essere d’aiuto.
«Quindi… Hai accettato le scuse di Jack» dissi sistemandomi nel letto accanto a lei. Aveva la testa china sul libro e i capelli le ricadevano davanti, ma sapevo che non stava leggendo perché il suo sguardo era fisso sempre sullo stesso punto. «Ma non vuoi accettare le mie… Spiegami almeno perché».
La vidi sospirare mentre chiudeva il libro, per poi mettersi in ginocchio accanto a me e sfilarsi la maglietta dei Nirvana, ma da bravo viscido depravato che sono, la prima cosa che notai fu il suo reggiseno blu e cosa esso reggeva.
«Sei un coglione, guardami la schiena! Guarda cosa mi hai fatto!» sbottò adirata.
Forse avrei potuto fare a meno di osservare il suo petto in quel modo…
Mi spostai più indietro e osservai la sua schiena beige, dove un bel livido nerastro faceva capolino lungo le vertebre centrali: dire che avrei voluto sprofondare e patire le pene dell’Inferno era molto, molto riduttivo.
«Oh cazzo… Amy, io…» cercai di dire qualcosa.
«Amy, io? Amy, io un cazzo, Alexander, Amy, io niente!» urlò.
«Amanda, hai ragione, va bene? Mi dispiace, non sai quanto, me ne vergogno, mi faccio schifo, mi sento uno stronzo e pure coglione! Volevo solo scherzare, e non avevo intenzione di farti male… E… E… Gelato?» azzardai non sapendo cos’altro dire. Quando faceva così mi metteva in soggezione, oltre a farmi letteralmente cagare sotto.
Mi scrutò come solo lei sapeva fare, guardandomi con una tale forza e una tale insistenza che temetti potesse leggermi nella mente - anche se questa era una cosa che riusciva a fare sempre, normalmente -, e i miei pensieri, al momento, non erano proprio così puri visto che lei mi stava accanto con indosso solo la biancheria intima.
Impallidii.
Da quando provavo il forte desiderio di fare sesso con la mia migliore amica?
D’accordo, lei era cresciuta ed era diventata davvero bella, ma restava sempre la mia migliore amica storica, di una vita, e mai e poi mai le avrei fatto un torto simile.
Era colpa del gin che mi ero scolato prima, quando andavo a zonzo per la città con aria triste, solitaria e depressa? Sperai vivamente di sì.
Non distogliendo nemmeno per un attimo lo sguardo dal mio volto imbarazzato e confuso, la Morris si posizionò proprio di fronte a me, prese la sua coppa di gelato e disse fredda: «Smettila di guardarmi le tette, mi inquieti».
«Tu copritele» ribattei.
«Perché, non sei capace di controllare il tuo istinto animale?».
In trappola, risposi: «E se così fosse?».
«Ti verserei questo gelato addosso. E passami quella maglietta, su».
Gliela passai e se la infilò, anche se ciò non bastò a rimuovere quei pensieri dalla mia mente.
Promemoria per me: mai bere gin quando sono malinconico: causa strani effetti.
Iniziammo a mangiare quel che restava del gelato silenziosamente, fino a quando dissi: «Quindi, scuse accettate?».
«Mi hai fatto male».
«Lo so».
«E te la farò pagare».
«Lo prevedevo. Allora, mi perdoni?».
«Riesci sempre a far uscire il peggio di me».
«So anche questo, e ti farò incazzare ancora se entro cinque secondi non mi dici che hai smesso di avercela con me. Uno… Due…».
«Ho smesso di avercela con te, contento? Non è vero, ma te l’ho detto. Il fatto è… Devo parlarti di una cosa…» concluse vaga e leggermente imbarazzata.
«Uhm, ok. Di cosa devi parlarmi?» chiesi curioso. Altri pensieri pericolosi sguazzavano allegramente all’interno della mia corteccia celebrale. Basta, non avrei più bevuto gin in vita mia.
«Di Jack» rispose con un filo di voce.
«Jack? Che è successo? Ha detto o fatto qualcosa di strano?» domandai allarmato.
«No no, lui non ha fatto niente… Ho fatto tutto io... E’ solo che, Lex, credo che Jack mi piaccia».
Attimo di silenzio. I brutti pensieri scomparvero via all’istante.
Respira, Alex, respira. Alla tua migliore amica piace il tuo migliore amico, può succedere.
«Lo so, è una cosa folle…».
«No, perché? Vi conoscete ormai da tanto tempo… Può capitare».
Subito dopo aver saputo dell’interesse che Amanda provava nei confronti di Bassam, certi atteggiamenti da entrambe le parti - vedi occhi dolci e rossore delle guance da parte di lei, occhiate strane e battute equivoche da parte di lui - mi furono subito più chiari.
Bene, erano uno invaghito dell’altra a quanto pareva. Congratulazioni e figli maschi.
«Non credere che io sia un’idiota ingenua che si fa prendere una cotta da un momento all’altro. – continuò – Io e Jack ci sentiamo sentiti in quest’ultimo anno, non sempre ma spesso, e lui è stato gentile e divertente… Mi ha mostrato una parte di lui che non conoscevo e che pensavo che nemmeno esistesse, pensa! Poi boh, mi è bastato vederlo apparire dalla porta due settimane fa e non so… Non sono innamorata, ma… Ho paura di essere sulla buona strada. Mi sento stranissima, ti giuro, non so cosa voglio! Perché un attimo prima mi dico che non può essere possibile e mi elenco anche le varie motivazioni, e un attimo dopo, quando mi accorgo che mi sta guardando, anche così, senza nessun motivo, mi sento le farfalle allo stomaco e sono confusa», parlò tutto d’un fiato e mi sorprese notare che non si fermò per far prendere aria ai suoi poveri polmoni sottoposti a tale atroce supplizio.
«E tu pensi che io possa dirti che fare?».
«Lo spero, visto che lui è il tuo migliore amico».
Non lo nascondo, la notizia mi aveva alquanto agitato e mi dovetti togliere la felpa e restare con la sola maglietta perché non volevo squagliare.
«Perciò, se non ho capito male, tu vuoi sapere se sarebbe disposto a ricambiare un ipotetico amore o se invece vuole solo portarti a letto» riassunsi.
«Esattamente» annuì convinta.
«E vuoi che sia io a scoprire qualcosa».
«Se non ti stufa».
«In realtà sì, ma so che poi tirerai in ballo i musi lunghi e il livido che ti ho procurato stamattina per farmi sentire in colpa… Se non dovessi accettare ora, mi costringerai a farlo presto».
Sorrise raggiante, emise un gridolino e mi si buttò addosso. «Tutto sommato, non fai tanto schifo come migliore amico, William» sussurrò al mio orecchio.
Sorrisi a mia volta e la strinsi forte a me.
Dovevo essere bravo a riuscire in quella specie di missione e, soprattutto, avrei dovuto essere sincero: non volevo affatto che lei soffrisse ancora e non volevo neppure rovinare l’estate a tutti quanti con piagnistei, accuse e tutto ciò che sarebbe potuto scaturire. Anche il Barakat doveva essere sincero; lui non aveva una relazione seria da anni ormai e non sapevo più se fosse ancora capace di considerare altro al di fuori del sesso in una coppia.
Quando sciolsi l’abbraccio e feci per andare in camera mia, Blair mi fermò. «Resti qui stanotte?» chiese. Domanda semplice e diretta.
Sbuffai stanco e mi buttai al suo fianco. «A patto che non ti togli di nuovo la maglietta».
Rise impercettibilmente prima di commentare: «Eppure eri abituato a vedermi a petto nudo…».
«E’ vero, ma ti ricordo che, quando ero abituato a vederti a petto nudo, tu avevi quattro o cinque anni ed eri completamente piatta» mi difesi.
«Smettila di fare quel tono da saputello, hai torto».
«Adesso la saccente acida sei tu» osservai.
«E sta’ zitto!» rise mentre si accucciava con la testa sul mio petto.
Passò qualche minuto, ma poi non riuscii più a trattenermi e domandai: «Hai fatto vedere il livido anche a Jack? O meglio, per far vedere il livido a Jack ti sei denudata come hai fatto con me?».
«Punto primo, non ho fatto vedere il livido a Jack, gli ho detto solo che mi avete fatto un gran male. Punto secondo, io non mi sono denudata. Punto terzo… Sei geloso?» concluse con un pizzico di malizia nella voce e negli occhi.
No. No, assolutamente no. Certo che no, cosa diamine va a chiedere? Non potevo essere geloso, lei era la mia migliore amica, la mia Amy. La mia Amy. In senso affettivo, però. Come la sorella che non avevo mai avuto, ecco come! …Eppure pochi minuti prima volevo portarmela a letto… Un incesto! No, no no no no no. No categorico. Assoluto. Era una bella ragazza e probabilmente me la sarei già fatta… Ma si chiamava Amanda Blair Morris e quindi era escluso.
Tutto questo baccano mi confondeva, ma fui ben in grado di rispondere: «Di te? No. Di Bassam sì, invece».
La sentì ridere divertita contro il mio petto.
«Non hai altre osservazioni pungenti da fare sulla nostra presunta omosessualità?».
«Per carità! Sai com’è, per quanto mi odi ho un minimo di spirito d’autoconservazione che mi impedisce di ritrovarmi con l’osso del collo spezzato in due».
«Carina» ironizzai.
Continuammo a parlare per almeno un’altra mezz’ora, fin quando notai che i suoi sbadigli di facevano più frequenti e le chiesi se volesse dormire.
«In tutta onestà, sì… Però, posso chiederti l’ultimo favore di questa notte? - si interruppe per aspettare la mia risposta e, vedendomi annuire, proseguì - Mi canteresti una canzone?».
Non avevo intenzione di dirle no, ma il suo tono di voce, dolce e assonnato, mi attirarono ancora di più verso il proposito di accontentarla.  Non dovetti riflettere molto perché sapevo già quale cantarle e di conseguenza attaccai piano: «Time to lay claim to the evidence fingerprints sell me out…».
 

All together now! C:

Contro oltre ogni previsione... Tà tàn! Ho aggiornato oggi!
E' quasi passato un mese, lo so, ma pensavo che avrei aggiornato più tardi...
In pratica il capitolo doveva essere più lungo, ma non volevo farvi aspettare troppo e non volevo avere ripensamenti che mi avrebbero fatto cancellare tutto quello che avevo scritto per adesso.
Quindi, eccolo :D - odiatemi, vi autorizzo u.u
Credo che il prossimo capitolo arriverà dopo la fine della scuola, giàgià... Anche perchè per adesso non ho idea di cosa scrivere di preciso ._.
Spero che abbiate pazienza, in caso.

#Thanks #muchlove #summeriscoming

A.

P.S.: In caso di scazzo acuto, mi fareste un enorme piacere a passare di qui u.u

  
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