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Autore: _Deina13    30/05/2012    7 recensioni
Johanna rimane in silenzio qualche attimo, finchè io non capisco che 'è qualcosa che non va.
«Allora.. rimani con me» sussurra.
«Te lo prometto.» [...]
«Sarebbe bello, no?»
«Sarebbe bello cosa?»
«Una vita. Con te, Peeta e il bambino.Tu non hai sempre voluto un fratello?» «...O una sorella. Si, ma ora..Beh, non credo sia il momento più adatto» «Non penso esisiti un momento per avere un bambino, io non ero pronta quando lo era Peeta, ad esempio. Ma, se vogliamo parlarne, sono io che devo fare tutto il lavoro, lui deve solo stare a guardare, no?»
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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   Per come la so io, le domeniche nel vecchio Distretto 12, erano considerate sacre da parte di Katniss e del suo ex compagno di caccia Gale. In una frattura di tempo che divideva la normalità dal surreale a Panem, infatti, la domenica era l'unico giorno che i due potevano passare insieme andando a caccia. Kat mi racconta sempre delle sue giornate intere a cacciare, anche prima dei suoi primi Giochi, e di come la facessero sentire libera, soprattutto con un amico tanto fidato come Gale. Fiducia che è sfociata in un odio profondo e in una serie di ripensamenti da parte della mia Kat.
    In cielo non c'è nemmeno una nuvola, e questo fa paura. Sembra che il mondo inizi e finisca con una serie di sfumature cineree. Vorrei tanto che la mia insegnante di caccia sia qui con me ora, lei adorerebbe questa perfezione; ma è ancora a letto con suo marito mentre io sono qui che mi diverto a sua insaputa.
Dal mio orecchio destro sento, dietro di me, il rumore di qualcosa che si rompeva – quasi sicuramente un ceppo secco – sotto il peso di qualche animale. Mi volto lentamente e di scatto allo stesso tempo e tendo l'arco verso la preda.
Un cerbiatto. Non ne vedo uno dal mio primo addestramento con Katniss, anni fa. Sorrido, chi sa quanto sarà fiera di me dopo che le avrò portato questa prelibatezza per pranzo.
    Sto lì per sganciare la freccia dalle mie dita e mandarla dritta sull'occhio del mio obiettivo - la prima cosa che mi ho imparato la mia insegnante -, ma prima che potessi farlo, il cerbiatto si ritrova un'altra freccia dritta nell'occhio sinistro. Che differenza, io miravo al destro.
  «Devi imparare ad essere più veloce, mio caro J., non ti si può aspettare per sempre»
  Mi giro e la vedo che dondola le gambe giù di un ramo a tre o quattro metri da terra. Da quanto tempo mi segue?
  «Comunque bisogna riconoscerlo, niente male sgattaiolare di casa e rubare uno dei miei archi preferiti per un quindicenne qualsiasi» continua lei, sgranocchiando una mela.
  «Non sono un quindicenne qualsiasi, sono figlio di due vincitori, cresciuto da due vincitori e..» inizio la mia solita cantilena.
  «..Tre vincitori» mi corregge: dimentico sempre di contare mia madre. «ricorda: tre vincitori e una serie di gatti spelacchiati non ti servono a niente in un bosco pieno di insidie come questo»
    Mi lascio sfuggire un sorriso dalle labbra. Tre vincitori (quattro se si conta Haymitch) e un gruppetto di gatti spelacchiati sono stati la mia infanzia, e bisogna anche aggiungere il treno che percorreva il tragitto così familiare dal Distretto 4 al 12 all'inizio e alla fine di ogni estate e a ogni Natale; bei tempi quelli.

Tratteniamo i sogghigni solo per un po'; la sua allusione al bosco pieno di insidie è sempre stato solo un modo stupido per ricordarmi chi ero e da dove venivo. Dalla guerra.
  «Come mai sei qui? Quando sono passato tu e Peeta dormivate beatamente, non volevo svegliarti e avevo voglia di andare a caccia..» aspetto che mi interrompa, ma non lo fa, quindi continuo «...mi dispiace»
  Lei si stringe nelle spalle e scende giù dal ramo, a una buona mezza dozzina di passi da me «sarai passato verso le cinque, sono le sette; in due ore mi sono svegliata, ho preparato il caffè, e ho avuto la solita litigata con Peeta, domenica mattina negli standard»

 Sgrano gli occhi alle sue parole «ancora?!»

 Kat scrolla le spalle, noncurante. «già. E credo che questa volta fosse più arrabbiato del solito: è andato ad aprire la panetteria in pigiama, dimenticandosi persino che oggi è giorno di riposo»

   In queste ultime settimane le loro discussioni sono triplicate. Per non parlare della domenica, quando nessuno dei due lavora. Negli anni precedenti passavano le ore solitarie assieme a farsi le coccole e, molto spesso, Peeta ritraeva Katniss in qualche vecchio album da disegno, oppure sfogliavano il Libro di famiglia l'uno stretto fra le braccia dell'altro. Quel calore dell'ambiante familiare mi mancava tanto, anche se dovevo staccarmi da loro e crescere in pace.

Tuttavia mi dispiaceva per come dovessero passare tesi quei momenti assieme, da quando Peeta aveva ritirato fuori la faccenda dei figli. Durava da qualche mese dopo la loro Luna di Miele, io avevo solo un anno e non posso ricordarlo. Per un po', da quando sono arrivato io, le acque si erano calmate. Anche se non erano proprio tornate al loro splendore precedente, litigavano raramente e crescermi faceva avere la sensazione a Mellark di essere mio padre e, infondo, io mi ero sempre sentito un po' parte della loro famiglia tanto imperfetta.

Adesso che i litigi sono ricominciati più violenti di prima, io non so proprio da che parte stare. Da una parte sono d'accordo con Peeta – sarebbe un ottimo padre, con me lo è stato –, ma non può costringere Katniss a fare una cosa del genere.

 Pensando a come mi ha cresciuto, non posso fare a meno di chiedermi come lo avrebbe fatto mio padre. Così, sulla strada del ritorno, con le numerose prede catturate che ci dondolano in mano, le domando: «Kat, mi parli di papà?»

Lei mi rivolge un sorriso, al solito. Mia madre non mi parlava mai di lui, oppure lo aveva fatto e non me lo sono mai ricordato, è che lei stava davvero male e non era nelle condizioni anche solo di ricordare. Invece, i miei attuali 'tutori', non avevano mai parlato di lui, tranne qualche accenno; non ho mai avuto una sua foto, qualcosa di suo, tutto quello che riesco a strappare a Kat sono tutte cose che già so. Continuo a fare domande su di lui a entrambi, ma senza aspettarmi mai troppo, dev'essere stato molto doloroso anche per loro.

 «Tuo padre era bellissimo» risponde.

   Questo è il massimo che esce dalla sua bocca a proposito.
 Le rispondo con un sorriso e continuiamo, stanchi di già, il nostro cammino verso casa.



            F.

   
 
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