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Autore: shesafeandsound    11/06/2012    9 recensioni
"Continuai la mia corsa ed una volta che fui fuori dallo stabilimento mi precipitai in macchina. La schiavai, lanciai la borsa blu nel sedile del passeggero e trattenni un grido quando mi misi seduta e una volta lasciato passare il dolore, uscii dal parcheggio senza curarmi troppo delle macchine che avrebbero potuto venirmi contro. Non vedo molta differenza fra essere morta e condurre la vita che facevo io."
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sabbia bianca della California scivolava fuori dalle mie mani passando per le fessure delle mie dita. La mia mano sinistra la smuoveva e la riprendeva e la feceva scivolare di nuovo a terra. Ho sempre amato questo: sentire la sabbia fra le mie dita, sul mio corpo. Aveva il potere di calmarmi. Si cominciò ad alzare il vento e fui costretta ad appiattirmi a terra per evitare che la sabbia mi arrivasse sulla schiena e mi pungesse come aghi conficcati nella pelle. Aprii il mio libro e mi persi nella lettura. Lanciai un'occhiata al mio telefono che si era illuminato, lo presi fra le mani ed aprii il messaggio.
 
"ti rivoglio a casa fra venti minuti."
 
Feci fatica a trattenere le lacrime ma, a quel punto, mi alzai e raccolsi il mio asciugamano, il libro e misi il cellulare dentro la tasca dei pantaloni che non mi ero mai tolta, così come la maglia. Gettai tuto dentro la borsa e cominciai a correre.
 
"oh, scusi!" urlai, voltandomi, ad una signora a cui avevo tirato della sabbia.
 
Continuai la mia corsa ed una volta che fui fuori dallo stabilimento mi precipitai in macchina. La schiavai, lanciai la borsa blu nel sedile del passeggero e trattenni un grido quando mi misi seduta e una volta lasciato passare il dolore, uscii dal parcheggio senza curarmi troppo delle macchine che avrebbero potuto venirmi contro. Non vedo molta differenza fra essere morta e condurre la vita che facevo io.
Un auto mi suonò e, quando mi sorpassò, ricevetti un bel dito medio come omaggio.
Spinsi l'accelleratore e mi sbrigai ad arrivare davanti al cancello di quella casa che tanto odiavo e da cui non vedevo l'ora di andarmene. Schiacciai il bottone a sinistra sul telecomando e quell'ammasso di ferro cominciò a muoversi. Quando la distanza fra la prima e la seconda colonna fu abbastanza ampia, entrai dentro. Spensi la macchina davanti il garage, presi la borsa e scesi dal mia vecchia chevrolet. Feci entrare quanta più aria possibile nei polmoni e poi la rigettai tutta fuori con uno sbuffo. L'incubo ricominciava.
 
"Dove cazzo sei stata?" urlò mio padre alzandosi dalla sedia.

Si alzò così velocemente che la sedia cadde sotto il suo corpo. Si avvicinò a me e mi stampò uno schiaffo a piene dita sulla mia guancia sinistra. Ingoiai il mio urlo di dolore, abbassai la testa e corsi in camera. Avevo fatto solo dieci scale ma il fiatone cominciava già a farsi sentire: un po' per la paura, un po' per l'esasperazione.

 
"Scendi subito!" continuò a gridare.

Lo sentii salire le scale. Entrai in camera, e cercando di fermare le mani tremanti, cercando di mantenere quanta più calma possibile, riuscii ad impugnare la chiave e a girarla per inchiavarmi in un posto sicuro. Lui cominciò a tirare pugni sulla porta imprecando

 "Tanto dovrai uscire da questa maledetta stanza!" gridò queste ultime parole e poi calò il silenzio.

Aveva ragione, sarei dovuta uscire prima o poi e in quel momento mi avrebbe picchiata così forte da accentuare ancora di più i miei lividi e da farmeli venire altri. Mi lasciai scivolare lungo la porta e sentii la paura entrare di nuovo nella mia mente. Potevo già sentire il dolore di nuovi schiaffi, di nuovi calci. Un lamento di dolore uscii dalla mia bocca e crollai in un pianto struggente. Ogni sera era così, da due mesi ad allora.
Strisciai fino al letto, mi spogliai e misi a nudo il mio corpo che era coperto per lo più da lividi verdi-violastri. La mia pelle si poteva solo intravedere sotto i bozzi dei capillari danneggiati, sotto i tagli e le cicatrici. Presi il pigiama sotto il cuscino. Infilai la maglia ed emisi un gemito di sofferenza al contatto dei vestiti con i tagli sulla schiena. Era un dolore che mi faceva chiudere la gola. Ogni volta potevo rivivere quella scena e diventava molto semplice smettere di respirare, a quel punto. Chissà quanti pezzi di vetro rotto avrò avuto conficcati nella schiena. Adagai la borsa sulla scrivania e misi le scarpe fuori dalla finestra.
Mi infilai nel letto cercando di non gemere troppo per il dolore. Dormivo scoperta perchè le coperte si posavano sul mio corpo pieno di ferite in un modo così violento da farmi vedere le stelle.
La sveglia suonò alle sei  meno un quarto. Da tre giorni avevo capito che mio padre si svegliava alle sette e quindi, se non volevo essere picchiata anche la mattina, dovevo uscire prima da casa e tornare più tardi possibile. Mi vestii, guardai il calendario: 
 
4 luglio
 
Presi la borsa ed indossai un paio di scarpe. Coprii i segni della violenza sulla faccia con un po' di fondotinta e mi preparai ad un altro giorno di torture.
Feci un enorme respiro e pregai che non fosse dietro alla porta. Girai la chiave più sileziosamente possibile ma lo scattare della serratura mi tradì e lo vidi uscire dal bagno. Mi si congelò il sangue nelle vene e, per un attimo, morii dentro.
 
"Dove vai, puttana?" urlò sbattendo la porta del bagno.

Lui era alla fine del corridoio mentre io solo all'inizio. Davanti a me c'erano le scale e dovevo solo correre per evitare un altro massacro.
Mi diedi uno strattone, infondendomi coraggio, corsi giù per le scale che non mi erano mai sembrate così lunghe e complicate da percorrere. Ogni scalino era un bagno di sudore e sentivo il fiato mancarmi sempre di più. Lo sentii avvicinarsi e con lui sentii la mia caviglia cedere, caddi dalle scale ma, quando lo vidi dietro di me, troppo vicino a me e alla mia incolumità, mi alzai senza far caso al dolore che la caviglia mi provocava e schiavai il portone più velocemente possibile. Mi prese per i capelli e quando capii di essere in trappola cominciai a dimenarmi. Mi arrivò un pugno dietro alla schiena. Mi mancò il respiro per alcuni secondi, rivissi la scena tante di quelle volte che il dolore si amplificò. I miei occhi erano fissi su quel portone aperto da cui non riuscivo ad uscire. Tirai un calcio pur sapendo che se l'avessi mancato lui mi avrebbe fatto pagare quell'affronto con maniere molto più aggressive. Lui lasciò la presa per il dolore ed io feci in tempo ad uscire, chiudere il portone e salire in macchina. Una volta là dentro mi sentii al sicuro e mi concessi due minuti per riprendere fiato e per capire che ero ancora viva. Appoggiai la testa sul volante, cercando di ristabilizzare il battito.Accesi la macchina ed uscii da casa. Vidi dallo specchietto retrovisore mio padre  sbracciarsi e  muovere la bocca da cui saranno uscite bestemmie ed insulti.
L'autostrada era vuota. Guardai l'orologio. Le sei meno dieci. Erano passati solo cinque minuti eppure quando cercavo di sopravvivere pensavo stessero passando ore ed ore.
Mi diressi all'ospedale. Era la prima volta che ci andavo ma non dovevo far vedere le ferite, o almeno, non era il mio scopo principale.




*Writer's space 
ciao a tutti :) questa è la mia prima storia che scrivo che non è una ff quindi, devo dire che sono uscita molto dal mio tipico modo di scrivere e soprattutto questo è un argomento diverso dai soliti che scrivo, spero che vi piaccia e spero di vedere i vostri commenti in qualche recensione. se vedrò che questa storia piace continuerò a scriverla altrimenti la fermerò qui! Un bacio, Noemi. 
@shesafeandsound su twitter :D
  
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