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Autore: Inucchan    30/12/2006    8 recensioni
Due vite. Due stili diversi. Due modi d'essere diversi. Un passato in comune forse... Il Mondo Visto da Lei. Il Mondo Visto da Lui. A volte non è il fato a far si che due persone s'incontrino...sono loro che si cercano...si trovano... e a volte...
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Simply Mine

Simply Mine

 

 

Atto I : Il Mio modo d’essere…

 

 

 

 

Esiste un bivio ad un certo punto della vita, in cui ci si domanda se quel che ci riguarda e quel che c’è riguardato sin ora, abbia effettivamente un senso.

Il celebre “To be or not to be”  Shakespiriano calza perfettamente sulle domande che giorno per giorno riguardano tutti, ci sono mille modi per raccontare una storia, costellata di momenti tristi, scoperte tragiche, di liete notizie, di felicità…

Quasi fosse un copione già scritto, del quale gli attori s’apprestano ad imparare le parti.

La vita è il nostro palcoscenico.

Noi siamo gli attori…

Sotto le luci dei riflettori sembriamo tutti uguali, finchè dietro le quinte non strappiamo quella maschera e torniamo ad essere semplicemente noi …

 

Ebbene. Due maschere non possono essere uguali, così due copioni, così due attori.

Ognuno è capace di recitare al meglio la propria vita, lasciando che sotto i riflettori appaia idilliaca. La sua vita aveva lo stesso sapore,appariva’ e basta.

Senz’anima. Un fantoccio che osservava il vuoto senza un apparente interesse, vivendo in simbiosi con la realtà circostante senza apprenderne il vero motivo.

Cos’era che lo spingeva a percorrere, ogni giorno lo stesso tragitto, sostare alla medesima piazzola, ritrovarsi nel medesimo gruppo di ‘amici’ se dentro di lui questo aveva solamente il nome di ‘routine’?

Non esistevano mezzi termini. Il gruppo e basta. Non il singolo, non la persona, ma il branco.

Personalità uniformate, plasmate nel medesimo essere, quasi a formare un’abominio di caratteri rimescolati.

Non capiva. Non voleva capire.

S’ergeva attorno a lui un mondo di barricate, imposte dalla società, dalle istituzioni.

Le regole.

Un’altra cosa che non capiva era perché ognuno doveva seguire queste maledette prescrizioni. Sforarne solamente una equivaleva all’anarchia.

Ciondolava con la mano apatico, lasciando dondolare con una spinta delle dita le chiavi di casa appese alla cintola. Il tintinnìo che queste producevano s’estingueva lento nell’aria circostante, spenta d’ogni rumore che non fosse il chiacchiericcio adoloscenziale delle quattordicenni.

Sbuffò sonoramente, distendendo l’altra mano sulla panca dove s’era appostato ormai da due ore buone.

La sua vita, infondo, non aveva nulla di sbagliato. Era iscritto ad uno dei college più rinomati del Giappone, seppur svolgesse, dopo l’orario già appesantito delle lezioni, anche la cosa che più lo distraeva da quel mondo sbagliato. Essere un Dj.

Si, si divertiva a muovere la mano su quel disco che riusciva a produrre, quasi magicamente mille sfumature diverse nel suono, riusciva in pochi giri a trasformarsi in quello che più lui desiderava, un miscuglio di sensazioni e rumori atipici che lo rendevano però diverso da altri.

Il lavoro d’un Dj regolato ad arte, non poteva somigliare a quello d’un altro.

Gli avevano sempre detto che era una stupidaggine, uno come lui che impiastrava con la sua musica un luogo accidioso come la discoteca.

Bè, cosa c’era di male infondo. Nulla. Ma gli altri non la vedevano di buon grado, gli altri non capivano…o forse…non volevano capire.

Non s’era dato un nome particolare, odiava quei nomignoli che s’affibbiava la gente solamente per essere qualcuno, se poi, a ben riflettere…tutto tornava ad uniformarsi. Tutti i Dj avevano un appellativo che li rendeva a loro parere diversi.

Eh no.

Altro sbaglio, scegliendo tutti, nessuno escluso d’essere qualcuno, si finiva inevitabilmente ad essere uniformati. Non c’era cosa che poteva renderti diverso.

Lui, di disparato qualcosa ce l’aveva.

L’antrophomorfismo. Lui apparteneva a due mondi diversi, contemporaneamente.

Da una parte demone.

Da una parte umano.

Diversità? No…semplice incongruenza. Non era di certo l’unico mezzo e mezzo al mondo, e questo sino ad ora non gli aveva creato particolari complicazioni emotive.

Da tempo aveva imparato adabituarsi’ a quel suo stato di precarietà emotiva. Era bella come contraddizione, non voleva che i sentimenti s’immischiassero a corrompere la sua vita, eppure, li possedeva inevitabilmente.

Non si può traviare una verità. C’era chi la considerava una maledizione, o chi, come lui…sfruttava a suo vantaggio l’essere un hanyou.

Ormai con il passare del tempo, aveva imparato ad essere un volta faccia. Era Falso. Una delle sue mille qualità infondo.

Aveva tutte le carte in regola per essere piacente. Le donne seguono, per natura, come del resto gli uomini…l’utopia.

Quello che risulta essere irraggiungibile è perseguito come oro. Lui come il Vento, era inarrivabile.

Le sue storie? Mordi e Fuggi. Non s’era mai ‘fermato’ più d’un mese o due con la stessa donna.

Un po’ per i suoi gusti, un po’ per il suo carattere.

Impervio per natura. Tutto questo per impedire al sentimento di consumarlo definitivamente e di trasformarlo in qualcosa di omogeneo alla società.

Lui non desiderava conoscere l’amore. Forse perché ritenuto superfluo, non gli serviva.

Così come non ne aveva mai ricevuto, mai ne avrebbe donato. A nessuno.

Scorse le iridi ambrate al cospetto di chi si doveva esser presentato ormai da un’ora. Ognuno, secondo lui, possedeva uno stigma, un’etichettatura insomma. Quello che ora sostava in piedi dinanzi a lui era Il Dongiovanni.

Per riconoscerne uno bastava guardare tre cose : La posizione. Gambe incrociate, braccia sovrapposte al petto, e volto che non rimane mai abbassato. Lo sguardo. Ovviamente, a differenza del viso, rivolto tendenzialmente verso il basso, piegato all’osservazioni delle parti più interessanti senza che l’interlocutore se ne renda effettivamente conto. Il modo di comportarsi. A record di logica, il Dongiovanni, esclude i mezzi termini, puntando su complimenti, accenni a riferimenti puramente sessuali ovviamente nascosti dal classico doppio senso.

Miroku era il massimo esponente di quella categoria. Non v’era giorno che non esprimesse la sua gioia di vivere attraverso battute sarcastiche rivolte al mondo femminile, adocchiate provocanti rivolte al medesimo soggetto o elogi sconsiderati o fuori luogo.

Non sapeva nemmeno come fossero divenuti amici. Loro due. Il Diavolo e L’Acqua Santa.

L’espressione di ‘Acqua Santa’ rivolta al mezzo demone ovviamente, espressa in modo prettamente voluto per delineare lo stato mentale completamente differente dei due.

Forse Inuyasha, era più riservato e meno ‘espansivo’ rispetto all’amico.

Un umano e Un mezzo demone. Pareva fossero stati presi da un fumetto e messi assieme contro la loro volontà.

Quello che per Inuyasha era Acqua, per Miroku era Vino. Mai d’accordo su nulla, sempre in discussione, ma amici.

“Ti pare l’ora d’arrivare?” formulò l’hanyou, evidentemente irritato dallieve’ ritardo dell’amico che aveva sgarrato ‘solamente’ di un’ora e poco più.

Le sopracciglia del mezzo demone erano inarcate, fronte corrugata, mezzo ringhio ed orecchie spostate ai lati del capo, già, perché le orecchie d’un mezzo demone potevano avere tratti d’ogni genere, animali, vegetali (Avete mai visto un incrocio tra un finocchio ed un’insalata? …Bè nemmeno io…) o qualsivoglia, nel suo caso, due orecchie canine. Bianche.Morbide…e tanti nomignoli del genere che gli venivano affibbiati, insomma, questo ‘spostamento’ equivaleva al primo stadio lampante della sua incazzatura.

Dal canto suo, il Dongiovanni, se la cavava (O almeno credeva di farlo) con un sorrisetto forzato, piegato sul lato destro delle labbra e quell’espressione da completo deficiente che s’era guadagnato negli anni della sua esistenza.

Non aveva funzionato.

Il silenzio delmonaco delle sventole’ aveva innestato nell’hanyou il secondo stadio della sua ira. Mani tremolanti, in fibrillazione da nevrotismo serrate sulle ginocchia. Un susseguirsi di bestemmie che solamente una visita nel più remoto dei santuari avrebbe potuto espiare e il successivo ringhio di disapprovazione che profondo s’osannava nelle profondità della gola del mezzo.

Miroku sapeva bene che, giunto al terzo ed ultimo stadio, il meticcio sarebbe passato alle mani.

Si limitò dunque a chinare il capo, sconsolato e ad emettere un guaìto di scuse. Probabilmente questa sua sottomissione compiacque all’hanyou che tornò a disegnare un’espressione atona sulle labbra, sbollendo in seguito la rabbia.

“Non solo mi chiami facendomi perdere un’ora di lavoro, ma arrivi pure in ritardo…cosa cazzo vuoi? Ti giuro che se è un’altra delle tue fesserie ti pesto a sangue tanto è vero che sono mezzo cane” formulò quasi sillabando le ultime parole.

Quando Inuyasha faceva riferimento al suo essere ‘ibrido’ significava che parlava sul serio. Miroku deglutì.

“Veramente…ti ho chiamato perché…” prese una pausa, se gli avesse detto il reale motivo della sua convocazione sarebbe stato trovato il giorno dopo fatto a pezzi in un cassonetto.

[Pensa Miroku…] Il piede sinistro del giovane dondolava irrequieto da destra a sinistra, battendo in seguito sul terreno frenetico. Portò l’indice alla bocca, cominciando a mordicchiare le unghie già irrimediabilmente consunte.

Inuyasha si stava spazientendo ancora. Quel povero diavolo non sembrava nemmeno avere una più lontana idea di cosa fosse la pazienza.

Uno.Due.Tre minuti ci vollero al Dongiovanni prima di trovare una scusa che fosse diversa dal ‘prestargli le chiavi dell’appartamento per una notte osè con la sua nuova fiamma’.

Poi quasi come un fulmine a ciel sereno, gli si accese una lampadina.

“Ehm…Una…mi ha chiesto il tuo numero…”  buttò la senza rifletterci ulteriormente.

Il mezzo demone inarcò un sopracciglio, susseguendo ad esso un innalzarsi compiaciuto degli angoli della bocca.

“Una…chi?” indagò ‘interessato’ all’argomento.

Se c’era una cosa che poteva attrarre l’hanyou oltre il suo lavoro e le moto, erano le donne.

Il ningen si ritrovò qualche istante a pensare, aveva trovato una scusa ma…non pensava di doverla anche ‘esplicare’.

“Una…ragazza” si limitò, alchè Inuyasha lo guardò torvo.

“Bè…speriamo che sia una ragazza…non mi piacerebbe ritrovarmi ad uscire con un trans” proferì sarcastico, spostando il braccio dalla gamba al bordo della panca, appurandone la consistenza senza interesse.

“Una…ragazza…mora…” continuò il poveretto che ormai non sapeva più come divincolarsi da quell’assurda situazione , dove per giunta s’era cacciato da solo.

Le informazioni che forniva l’amico, non erano per Inuyasha né più né meno che semplici tentativi di corruzione. Sapeva benissimo che nessuna aveva chiesto il suo numero in realtà, ma voleva vedere sin dove il casanova sarebbe arrivato.

“E…?” riprese Inuyasha, il sogghigno che s’era impossessato delle sue labbra diveniva mano a mano sempre più soddisfatto. Se c’era una cosa che sapeva fare era quella di saper rivoltare il coltello nella piaga, ovvero, di rispondere ad una presa per il culo, con altrettanta astuzia.

Miroku che voleva mettere in difficoltà il re delle cazzate? Non c’era storia.

E…carina…” ormai l’umano non sapeva più a cosa aggrapparsi. Sudava freddo e questo non contrubuiva ad altro che a soddisfare maggiormente il mezzo demone.

“…E?...” ribattè ancora l’hanyou, portando il gomito destro a poggiarsi sul ginocchio, posandovi sopra il mento.

“…Oddio Inuyasha…sei proprio stressante…Vaffanculo…Va bene…era tutta una cazzata…volevo solo chiederti le chiavi di casa tua per stanotte tutto qua…” sputò tutto d’un fiato.

Il mezzo demone s’alzò dalla sua postazione. Alzò entrambe le sopracciglia fingendo un’espressione bonaria.

Ma Miroku…potevi dirmelo subito…sai già cosa ti risponderò…vero?” Il ragazzo era pronto ad afferrare le chiavi in qualsiasi istante, il quanto all’espressione Inuyasha pareva averla presa bene.

L’hanyou s’avvicinò lentamente all’amico, facendoglisi a pochi centimetri dal volto.

“Miroku…” sorrise stringendo i denti.

“Si?” rispose l’altro pronto ad elogiare sfarzosamente l’amico.

“Ti darò le chiavi di casa mia quando arriverai a farmi una sega” proferì con una naturalezza tale da indurre al casanova di indietreggiare di qualche passo,ovviamente modo ironico per mandare il deviato felicemente a fare in culo. Detto questo, senza più nulla aggiungere, lasciando un Miroku abbastanza deluso, il mezzo girò i tacchi dirigendosi altrove.

[Ti conosco da diciannove anni…e in tutto questo tempo per tutte le volte che t’ho chiesto la chiave…chissà quante te ne avrei dovute fare…fortuna che non me l’hai mai data…La chiave] rabbrividì il ragazzo, sforzandosi di non pensare a nulla che non riguardasse una donna in quel momento.

 

Che opportunista la gente. La cosa migliore è dire no e basta.

Con un semplice no ti si risolvono mille e mille cose, mi dai una mano? No. Mi accompagni qui? No. Mi cerchi questo? No.

Le uniche cose a cui non si può mai dire di no sono due : 1) Quando una ragazza ti chiama chiedendoti ‘Hai mica gli appunti di Fisionomia?’

Certo che ho gli appunti, e se vuoi ti mostro anche le applicazioni.

2) Quando un amico disperato ti chiede se puoi dargli un ceffone, all’inizio forse dirai di no. Ma che cazzo, se continua, è da tempo che volevi dargli quel cazzotto nevvero?

 

Miroku era opportunista. Inuyasha No.

Miroku era cretino. Inuyasha No.

Miroku era umano. Inuyasha No.

Miroku però era sverginato. Inuyasha No.

 

Camminava con le mani in tasca, aveva lasciato la moto poco più in la. Figuriamoci se per fare quattro passi consumava benzina.

“Benza Costa” ripeteva tra sé L’hanyou. Una miriade di pensieri gli correvano a senso unico nella mente, in primis, come faceva quell’imbecille di Miroku ad avere già ‘provato’ e lui ancora a no. Cazzo. Aveva diciannove anni. Non era male, anzi.

E non aveva ancora…

Qua c’era qualcosa che non andava. Miroku veniva malmenato e picchiato perché non faceva altro che andare dietro alle studentesse del College…

Ma allora quelle zoccole facevano solo finta di rifiutarlo…

“Non riuscirò mai a capire la mente femminile…e nemmeno mai vorrò farlo…”. Sospirò.

Nel frattempo oltrepassò una caffetteria. Da tempo non rimetteva piede la dentro, chissà se quella vecchia befana che la conduceva prima era morta.

Al momento non aveva tempo di fermarsi però, era già in ritardo sul lavoro. Forse domani.

Forse aveva cambiato gestione. Il nome che ora v’era su scritto sull’insegna principale era ‘SYB’ chissà cosa diamine volevano dire quelle iniziali. Ma che cazzo gliene fregava a lui infondo?

Sbadigliò sonoramente. Giungendo finalmente alla moto parcheggiata accanto ad un vecchio stabilimento. Un’espressione crucciata gli traversò il volto nel notare il vecchio edificio, era scrostato, alle finestre non v’erano nemmeno più le tapparelle. Era disabitato, freddo.

Un’insegna traballante ancora portava qualche iniziale rovinata dal tempo.

INT.

Lui sapeva bene cosa significavano quelle iniziali.

Quando si perde una cosa. Inevitabilmente si torna a sognarla, si rivive il passato come un’esperienza trasportata nel presente. Non si dimenticano mai le cose, anche se queste son seppellite infondo all’animo, avvilite, sigillate nel cuore.

Solo una era la reminiscenza che lo riportava indietro, a quando quello stabilimento era in vita, a quando la sua stagione più bella era costellata da qualcosa alla quale aveva dato importanza.

 

Non so il tuo nome.

Che ti importa di saperlo? Tanto adesso me ne devo andare.

Perché mi hai regalato questa robaccia? . Una catena d’argento, nessun significato in particolare.

Perché sei buffo. Mi piacciono i mezzo demoni.

 

Non era un gran ricordo. Eppure, quella vocina ancora gli risuonava nella mente come un disco rotto. Quella bambina.

Portava da anni quel piccolo ‘regalo’ che all’inizio aveva disprezzato.

Poi, col passare del tempo, non se n’era più privato.

Seppur lo nascondesse sotto gli abiti, quel piccolo gioiello della sua infanzia dimorava sempre la, appeso al collo, come un segno inestinguibile di quel gesto.

A nessuno. Diciamo la verità. A nessuno piacevano i mezzi demoni, erano considerati ‘scherzi della natura’ o robe simili.

Gli era piaciuto quel gesto, che tra tanta ignoranza gli era sembrato il più considerevole.

L’innocenza non vede il male.

E di conseguenza è l’unica cosa che va preservata.

 

 

 

 

 

 

 

  
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