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Autore: annetta chan    12/06/2012    7 recensioni
Questa fanfiction è basata interamente sul profondo amore di Goku e Chichi, il quale dovrà superare una durissima prova: la perdita di un figlio.
Il profondo e straziante dolore si impossesserà di Chichi, che allontanerà il marito da sè e si chiuderà nella sua sofferenza, isolandosi da tutto e da tutti. E' proprio in queste situazioni che il vero amore si farà valere e supererà ogni stacolo. Goku dovrà affrontare un nuovo nemico, diverso dai precedenti: il dolore. Ce la farà a sconfiggerlo? Riuscirà a portare nuovamente la pace nel cuore della moglie? Sicuramente questa si rivelerà la sfida più impegnativa che egli abbia mai intrapreso.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Chichi, Gohan, Goku, Goten
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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BEYOND THE PAIN

 

SETTIMO CAPITOLO: TEARS, COME AND GET ME

 

C'era buio, un buio pesto in quello strano luogo.

Ovunque guardasse vedeva soltanto il nero più assoluto.

Dove mi trovo? pensò, sopraffatta dall'angoscia.

Scoprì di avere il fiato corto: ansimava... perchè? Avvertì anche uno strano dolore alle gambe, le sentiva stanche e indolenzite...

Ma sto correndo?

Sì, correva. A perdifiato, anche!

Voleva fermarsi, sentiva il corpo stremato chiederle un po' di riposo; i muscoli le bruciavano, le mancava il fiato... voleva respirare!

Ma perché non ci riusciva? Perché non riusciva a controllare il suo corpo?

Kami, che mi succede? Pensò tra le lacrime, mentre l'angoscia le prosciugava quel poco di fiato rimastole nei polmoni.

Cominciò a boccheggiare, voltando la testa freneticamente, cercando un appiglio, una scappatoia a quella disperazione crescente. Ma niente. Solo tenebra; lugubre oscurità infernale che la disorientava, mentre il silenzio le rimbombava in testa, divenendo insopportabile.

Perché non c'è nessuno?

Sentì le lacrime sgorgarle dagli occhi; scorrevano lentamente, tracciando sentieri umidi e tiepidi sulla pelle ghiacciata. Alzò una mano, tremante, per asciugare quel fastidioso umidiccio, sobbalzando quando sentì la strana consistenza delle dita sul viso: erano viscide, melmose, ricoperte di una sostanza densa e dall'odore molto forte, quasi stordente.

Il naso le bruciò: un pizzicore fastidioso che le aumentò il senso di nausea.

Mossa da un bruttissimo presentimento ma incapace di controllare la terribile curiosità, lasciò che gli occhi affaticati mettessero a fuoco la mano davanti a sè, senza non poca difficoltà a causa della cecità e del tremore frenetico che scuoteva tutto il suo corpo.

Non osò respirare per tutto il tempo dell'analisi, sicura che inspirando quell'aria torbida non sarebbe riuscita a controllare il senso di vomito.

Sebbene fosse difficile metterle bene a fuoco, le dita - scosse da tremiti innaturali - sembravano in qualche modo più spesse, quasi fossero state avvolte in un guanto di... liquido.

Chichi fu costretta ad avvicinare ulteriormente la mano al viso per capire meglio di cosa si trattasse.

Vide che lo strano liquido, denso e appiccicoso, le scivolava dalla mano con lentezza raccapricciante, scorrendo in basso fino a raggiungere il gomito.

Sentì la pelle d'oca; segnale abbastanza chiaro che avrebbe dovuto fermarla da quell'analisi tenebrosa, cosa che invece non accadde. Infatti, sebbene tutti i suoi sensi le stessero urlando di non farlo, Chichi decise sfrontatamente di accostare le dita al naso per captarne l'odore.

Fece quello che non avrebbe dovuto fare, ossia inspirare l'odore dolciastro, quasi metallico del liquido.

Sangue.

Strabuzzò gli occhi, rabbrividendo, staccandosi immediatamente quell'obbrobrio di mano dalla faccia, portandola sulla coscia per asciugarla, ma con orrore si accorse di avere anche le cosce ricoperte di sangue, che le bagnava la pelle nuda e ruvida per i brividi.

Riuscì a reprimere un urlo acuto di totale terrore, soffocandolo in gola. Aveva ripreso a respirare dal naso per forza d'abitudine, ma la nausea pazzesca la colpì come un pugno in pieno stomaco, così Chichi si sforzò di inspirare dalla bocca, sebbene sentisse che fosse sul punto di vomitare da un momento all'altro.

Sopraffatta dal terrore e dal disgusto, strisciò la mano dalla coscia insù fino al ventre, notando con orrore che fosse quella la fonte dell'emorragia.

Urlò, fino a che la voce non le morì in gola con un gemito strozzato.

Goku! Goku! Goku!

Con le lacrime agli occhi aveva urlato il nome di suo marito, convinta che sarebbe spuntato dal nulla per venire a salvarla. Come aveva sempre fatto, d'altronde.

Scrutò la micidiale tenebra con occhi sbarrati, sperando invano di cogliere anche il più piccolo movimento in quel luogo di desolazione.

Niente.

Le gambe furono scosse da movimenti secchi e rigidi che le fecero perdere il senso dell'equilibrio. Cadde a terra, sbattendo le ginocchia contro qualcosa di duro e affilato: sembrava roccia.

Cominciò a singhiozzare, stringendosi le braccia al petto nudo per controllare le ondate di freddo pungente che la investirono. Le labbra livide e secche si schiudevano e sigillavano ad un ritmo incessante, rilasciando un mormorio confuso e spezzato, simile alla preghiera fervida di un penitente contrito che supplicava e invocava tra le lacrime il nome del suo salvatore.

Chichi pregava Goku di trovarla, sussurrando dolorosamente il suo nome - spesso interrotto o spezzato a metà da un singulto improvviso - nutrendo l'amara speranza di essere portata in salvo, anche in modo doloroso se necessario, purché la trascinasse via da quel posto schifoso.

Aveva così tanta paura che quasi stentava a voltare leggermente il viso, perché l'incubo inquietante di essere spiata da una forza maligna le offuscava i pensieri in modo sconvolgente.

Poi, un lampo improvviso di lucidità le attraversò la mente, facendole spalancare gli occhi, calmandole addirittura il pianto.

Quando si era toccata il ventre insanguinato... non si ricordava di aver sentito il gonfiore...

Il terrore, fattosi ancora più vivido a quell'orrenda constatazione, le fece strabuzzare gli occhi, mentre la mano sporca di quello che ora si augurava fosse il suo sangue, tornava tremante e lenta a riaccostarsi al ventre.

Piatto.

Le bruciarono di nuovo gli occhi, inondati da un ennesimo torrente di lacrime, poi continuò; il cuore che le si squarciava in petto ad ogni centimetro di pelle che perlustrava.

Spostò le dita rigide insù, con un movimento quasi impercettibile, salvo sentire l'ultimo spiraglio di speranza nel suo povero cuore di madre sfuggirle via dal petto, ridursi in polvere, scomparire definitivamente lasciandole un vuoto incolmabile.

La pancia... non c'era più.

Un fiume di lacrime rotolò giù da quelle guance sempre delicate e morbide, ora fattesi aride e sciupate.

La mia... la mia-

Non riusciva nemmeno a pensarlo. 

Si morse le labbra, ma un singhiozzo doloroso sfuggì comunque al suo controllo.

"La mia bambina..." piagnucolò, mentre una serie di singhiozzi cominciarono a scuoterle il petto con movimenti veloci, irregolari, che le spezzavano il respiro con violenza, lasciandole il tempo necessario per prendere una piccola boccata d'aria; destinata, poi, ad essere inghiottita nel singulto successivo.

"No..." singhiozzò. 

No, no, no! Perché lei, Kami... perché! Perché la mia piccina? La mia dolce creatura! Perché me l'hai portata via? No Kami, ti prego! Prendi me, me! Non la mia piccola...

Non riuscì più a trattenere il suo dolore. Chichi urlò di nuovo; un grido straziante, stridulo, scosso da un dolore profondo, mai provato in tutta la sua vita. Sentiva il cuore stracciarsi in un suono secco, lo sentiva triplicato in quel silenzio tombale, sentiva il suono inquietante di membra stracciate echeggiarle nelle orecchie; crudele, assassino, stordente!

Eppure, tutto quel rumore non le impedì di sentire quel piccolo, dolce, infantile singulto.

Sempre piangendo, Chichi scrutò il vuoto davanti a sé per l'ennesima volta.

E stavolta la vide: una piccola sagoma rivestita di luce di fronte a sé, lontana... ma che si avvicinava, lenta e terrificante.

Fu tentata di chiudere di nuovo gli occhi, perché aveva davvero paura di quello che avrebbe potuto vedere in quell'essere.

Ma di nuovo non diede retta al suo istinto.

La sagoma aveva preso forma: era un neonato, rivestito di un panno talmente bianco da infastidirle la vista, ormai abituata alle tenebre. Il bambino piangeva: le manine erano strette in due piccoli pugni, i piedini e le gambine si dimenavano sotto l'involucro di stoffa immacolata, i capelli neri si fondevano con l'oscurità che lo circondava, gli occhi serrati dal pianto disperato, la boccuccia che si apriva e socchiudeva al ritmo della vocina straziante, la piccola lingua tesa a causa dello sforzo disperato.

Chichi osservava quella creatura, combattuta tra l'istinto più debole che la supplicava di indietreggiare, e quello più forte che la incitava a tendere le braccia per prenderlo con sé e stringerselo al petto.

Vinse quello più forte.

Chichi tese le braccia per prendere il neonato, ma appena gli fu ad un centimetro di distanza quello scomparve, lasciando dietro di sé un silenzio... rumoroso, piombato troppo in fretta in quel luogo di desolazione, calato troppo bruscamente perché il suo cervello riuscisse a vincere lo stupore, lasciandole come un fischio continuo e insopportabile che la rendeva pazza. Tuttavia, vinto lo stordimento iniziale, l'eco di quel pianto sembrò estendersi in lungo e in largo per quella laguna oscura, oltre che nel suo petto vuoto.

Chichi cadde di nuovo a terra, incapace di sostenere oltre il peso del suo corpo. Sbatté ancora le ginocchia, sbucciandosele contro il suolo ruvido, ma il dolore fu quasi inesistente se comparato a quello che le riempiva il petto.

Si accucciò a terra, assumendo una posizione fetale, salvo riprendere a piangere come una bambina, mentre le labbra screpolate mormoravano altre dolorose suppliche al Divino che sicuramente la vedeva dall'alto.

 

***

"Molto bene, signori. Il taglio è stato ricucito alla perfezione, abbiamo fatto un ottimo lavoro."

"Dottore, che cosa dobbiamo farne del feto?"

"Prendilo, lavalo e mettilo in una culla. Questo bambino sarebbe nato di qui a giorni, a giudicare da come è ben formato. Credo che i genitori vogliano vederlo comunque."

"Bene signore."

Ci fu un attimo di silenzio. Il 'bip' continuo e breve di una macchina cominciava a darle sui nervi.

Bip. Bip. Bip. Bip.

Contò venti di quegli odiosi 'bip', poi una voce interruppe violentemente quel suono ripetitivo.

"Attenta, Yumi! Devi essere più delicata."

"Mi scusi dottore."

Ma chi erano quelle persone? Cosa le stavano facendo? Dove si trovava?

Chichi tentò di aprire gli occhi, ma non ci riuscì.

Perché?

"Dottore," intervenne una voce maschile e giovane, mai sentita prima. "Credo sia sveglia."

Un altro attimo di silenzio, poi quella che le sembrava fosse la voce più anziana, presumibilmente quella del dottore, risuonò ancora.

"Sì, hai ragione." rimase zitto un paio di secondi, poi riprese. "Questo però non è ancora il momento adatto. Immaginatevi lo shock."

Chichi aggrottò la fronte, in totale disaccordo col medico.

"Shizuka, preparale un'altra dose di morfina."

"Sì, signore."

"Piccola, mi raccomando."

Morfina?

"No..." mugugnò con voce quasi inudibile.

Sentì dita troppo lisce e puzzolenti di materiale sintetico e sterilizzato accarezzarle una guancia, poi i capelli.

"Shh. Non preoccuparti. Riposa."

NO! Ritornare in quell'incubo? Mai!

Riuscì a muovere le gambe, ma un dolore atroce la fece gemere.

"Shizuka," tuonò la voce del dottore, severa. "Quanto ti ci vuole, dannazione!"

"Eccola."

Chichi tentò di protestare di nuovo, ma non fece in tempo a dire nulla perché sentì qualcosa di appuntito - sicuramente l'ago - perforarle la pelle nella piega del braccio, mentre uno strano liquido prendeva a spargersi dal braccio intorno a tutto il corpo.

Sentì di nuovo le lacrime pungerle gli occhi.

Quella gente voleva davvero che lei soffrisse...

Poi di nuovo le tenebre.

 

***

 

Goku era stanco di aspettare, l'attesa lo rendeva sempre più ansioso, sempre più pazzo. Aveva mandato a casa tutti gli amici, tranne Juman che si era categoricamente rifiutato di lasciare l'ospedale senza prima vedere la figlia.

Aveva una gran voglia di sfogarsi, di combattere. L'apatia, come l'attesa e il senso di inutilità, lo stavano lentamente indebolendo, rosicchiando la sua volontà, consumando l'umanità estranea a tutti gli altri suoi fratelli Saiyan.

Sentiva uno strano malessere crescere dentro il suo cuore, preoccupante e malvagio, mentre i pensieri confusi cominciavano a radunarsi, dando vita ad una convinzione malsana ma piuttosto palusibile che nell'ultima ora l'aveva torturato e incollerito come mai prima d'ora.

La calma lo abbandonava col passare dei minuti, mentre la sensazione che quell'idea appena nata fosse giusta aumentava la sua irrequietezza, il suo senso di vendetta.

Un uomo in particolare aveva attirato la sua attenzione; un uomo che la sua mente, appena concluso il colloquio con il chirurgo, aveva istantaneamente rievocato come se volesse suggerirgli la causa di quella orrenda tragedia, il colpevole di tutto quel dolore.

Quel maledetto dottore...

Goku non riuscì a reprimere un ringhio animalesco, che spaventoso e gutturale gli uscì dalle labbra facendo accapponare la pelle del suocero gigante; ora immobile nel suo posto con gli occhi sbarrati per la paura.

Il Saiyan tremava convulsamente, sebbene si stesse trattenendo con tutte le forze.

Il sangue gocciolava lento e denso dalle dita irrigidite, sporcando il pavimento lindo e puzzolente di disinfettanti, ma Goku nemmeno se n'era accorto dato che la rabbia e l'odio stavano intaccando ogni sezione del suo cervello, facendogli dimenticare tutto il resto.

Il ricordo dell'umano ecografo che aveva visitato sua moglie qualche giorno prima, continuava a ripetersi ininterrottamente nella sua testa con una minuziosità di dettagli fuori dal normale.

Riesaminava ogni espressione, ogni parola; ed ogni volta la convinzione che quell'ignobile essere umano fosse il principale colpevole della morte di sua figlia s'intensificava a tal punto da farlo scoppiare di rabbia.

Lo rivedeva mentre aggrottava la fronte e corrugava le sopracciglia quando aveva preso a fissare un punto sullo schermo del computer, vedeva l'espressione dei suoi occhi che cambiava, assumendo un'opacità allarmante che avrebbe dovuto insospettirlo di più. Lo vedeva rimuginare sul problema, quasi poteva sentirne l'intensità, il frullare dei suoi pensieri.

Lo vedeva scuotere la testa, denigrando il giusto sospetto, condannando a morte la creatura che stava esaminando, maledicendo per sempre la vita della madre che naturalmente avrebbe sofferto per la perdita di un figlio, e infine attirando su di sé l'inevitabile e giusta, tremenda e violenta vendetta di uno spietato padre Saiyan.

Un sorriso diabolico intaccò il suo viso angelico, trasformandolo più similmente ad un angelo della morte.

Sorrideva perché riusciva a pregustare la soddisfazione, il piacere di uccidere lentamente, di torturare quell'insignificante pulce indegna di vivere.

Immaginava di trovarlo solo nel suo studio maledetto, completamente abbandonato al suo destino, preda della sua vendetta. Riusciva a leggergli il terrore negli occhi, acuto come il grido che avrebbe rilasciato nel momento in cui avrebbe capito che lo spietato angelo della morte era venuto a prendersi la sua vita. Lo vedeva cadere dalla sedia, indietreggiare fino all'angolo più buio del suo fragile nascondiglio, sbiancare dal terrore e tremare come una foglia. Già percepiva il fremito di disgusto quando lo avrebbe sentito piagnucolare suppliche indecorose sul fatto di risparmiargli la vita, ma lo avrebbe messo a tacere prendendolo per la gola e attaccandolo al muro. Lo avrebbe guardato fisso negli occhi con tutta l'intensità del suo odio, col viso talmente vicino da sentirne il respiro convulso. Avrebbe mantenuto la stretta salda, gustandosi la visione di quel viso paffuto che diveniva sempre più livido, sempre più vicino al soffocamento, per poi allentare la presa e farlo precipitare a terra un attimo prima che spirasse.

Poi avrebbe incominciato a colpirlo, a graffiarlo, a lacerargli la pelle, a smembrarlo; sempre lentamente, sempre a distanza di qualche minuto perché potesse indugiare nel dolore e disperarsi quando avrebbe capito che la fine non sarebbe mai arrivata troppo in fretta.

Poteva sentirne il sangue caldo e maligno sulle mani, sulla faccia, sui vestiti; riusciva persino a percepirne l'odore acre che in quel momento sarebbe stato il profumo più piacevole della terra. Vedeva il mostro umano che si dibatteva per terra, gli occhi sgranati dal terrore, urlante, indemoniato, fino a quando non avrebbe incominciato anche a dolergli la gola e avrebbe quindi rinunciato a chiedere aiuto, così come a supplicare pietà, risparmiando la voce solo per dargli piacere nel momento in cui avrebbe di nuovo urlato di dolore.

"Goku!"

Il Saiyan sbattè forte le palpebre, sentendosi stranamente stralunato. Si guardò intorno e vide il viso mortalmente pallido di Juman che lo fissava come se davanti a sé si trovasse il demonio in persona.

Lo guardò con preoccupazione, chiedendosi che cosa fosse successo, se fossero in pericolo, perché suo suocero era così pallido e perché continuava a fissarlo come se avesse fatto qualcosa di terribile.

Si sentiva nervoso, insoddisfatto. Aveva voglia di uccidere...

Quel pensiero lo fece inorridire. Rabbrividì, sebbene all'interno dell'ospedale facesse caldo, e incominciò a tremare senza spiegazione.

Kami, che mi succede? Perché ho sete di sangue? Sono diventato un mostro...

L'enorme mano di Juman che si adagiava sulla sua spalla lo fece sussultare, nonostante fosse stato molto delicato. Guardò in volto l'amato suocero, quasi un secondo padre per lui, e scorse nei suoi occhi dolore e compassione.

"Figliolo, sei sicuro di stare bene?"

Gli tremava la voce, aveva gli occhi lucidi. Era davvero così spaventato?

Non rispose subito perché non sapeva cosa dire. No, non si sentiva affatto bene; aveva bisogno di calmarsi, di sfogare quell'istinto raccapricciante che nonostante tutto continuava ad attanagliargli il cuore. Ma non poteva farlo... non poteva lasciare la sua Chichi. No, no, no!

"Sì-" cercò di mormorare, ma gli morì la voce in gola. Sospirò, prese un bel respiro e continuò. "Sto bene, Juman."

Il gigante scosse la testa in disaccordo, guardandolo con preoccupazione crescente.

"No, figliolo. Non è vero. Tu stai male, hai uno sguardo..." impallidì, scostando persino la mano dalla sua spalla.

Goku sospirò e distolse gli occhi, poi si alzò e andò ad appoggiarsi al muro di fianco alla porta della sala operatoria.

Non se ne sarebbe andato. Mai!

Juman continuò:

"Goku, forse dovresti andare-"

"No."

Il Saiyan guardò il gigante con un'espressione che non ammetteva repliche. Forse avrebbe dovuto controllare lo sguardo, cercare di riottenere quella gentilezza che ormai sentiva lontana, persa, ma che era stato sempre abituato ad utilizzare con le persone che amava.

Ma non ci riusciva, non sapeva nemmeno dove andare a cercarla. Era inquieto e soffriva; per ora non sentiva altro che sentimenti malevoli, ma non per questo se ne sarebbe andato. L'amore per Chichi era forse l'unico spiraglio di bontà rimastogli in corpo, e anche solo il pensiero di abbandonarla per ritrovare sé stesso costituiva un dolore troppo intenso da sopportare.

Juman capì tutto e non osò controbattere. Conosceva bene suo genero, lo rispettava, e in quel momento lo temeva pure. Era in una condizione piuttosto allarmante; pochi attimi prima lo aveva sentito ringhiare come un animale, gli occhi si erano iniettati di sangue e il volto si era sfigurato in un'espressione demoniaca.

Aveva quasi temuto per l'incolumità di tutti, dato che una trasformazione del genere avrebbe potuto causare una terribile strage.

Per fortuna, però, era finito tutto. Goku si era ripreso subito, l'espressione demoniaca si era dileguata. Era tornato l'uomo sofferente delle ultime ore; sofferente ma pur sempre innamorato di sua figlia. Chiedergli di andarsene, perché temeva per la vita di lei, era una richiesta che non sembrava più giusta.

Juman sospirò, passandosi una mano tra i capelli brizzolati. L'attesa lo stava sfinendo, e per Goku doveva essere anche peggio.

E lo era; ne aveva appena avuto la prova.

 

Goku sbuffò. Perché il chirurgo ci stava mettendo tanto? Aveva detto che nel giro di un'ora Chichi sarebbe stata fuori.

Lanciò l'ennesima occhiata all'orologio affisso al muro, accigliandosi. Era passata un'ora e mezza. Se entro cinque minuti non fossero usciti-

Poi il rumore di una porta che si apriva lo fece sussultare.

Dall'uscio ne uscì un lettino; troppo piccolo per essere quello di sua moglie.

Guardò meglio e vide che era una culla: quella di sua figlia.

Spalancò gli occhi, il corpo s'immobilizzò, il fiato gli si gelò in gola, un nodo bruciante si formò in quello stesso punto.

La bambina era interamente coperta sotto un candido lenzuolo: immobile, inanimata. La culla si fermò proprio davanti a lui, condotta da non sapeva chi perchè quel pensiero non lo interessava minimamente.

Sentiva un mormorio confuso; forse qualcuno stava parlando, ma ancora una volta non era di suo interesse. Soffriva troppo per curarsi degli altri.

Voleva vederla.. ma non aveva il coraggio di scostare il telo.

"Figliolo.." la voce piangente di Juman lo risvegliò dal trauma.

Goku non riuscì a distogliere lo sguardo dalla sua creatura, ma era in ascolto.

"L'infermiera ti ha chiesto se la vuoi vedere.." continuò singhiozzando.

Il Saiyan annuì con il capo, senza parlare.

"Seguitemi." rispose lei, salvo riprendere la marcia funebre della piccola neonata verso un luogo più consono.

Goku fece come richiesto, e per tutto il tempo camminò senza mai scostare lo sguardo da quel piccolo batuffolo protetto nella culla, sentendo il cuore liquefarsi ogni secondo di più.

Giunsero in una sala vuota, semibuia. Un obitorio.

Che orrido posto per la sua adorata! pensò accigliato, ma senza alcuna voglia di parlare.

L'infermiera accese una luce fioca, donando poco più calore alla stanza funebre e poi cercò il suo sguardo.

"Preferisce rimanere solo? Io posso aspettare fuori, se vuole." sussurrò docilmente, forse nel tentativo di alleviare il suo dolore.

Goku la fissò in volto, notando che la ragazza aveva le guance umide, solcate da lacrime e gli occhi ancora lucidi.

Furono quegli occhi ad intaccare il suo dolore, furono quelle lacrime a sollecitare le proprie.

Il Saiyan annuì, muto e sul punto di piangere. Lei si dileguò silenziosamente, lasciandolo solo con sua figlia; la sentì mormorare parole dolci di conforto al povero suocero, che era crollato in un pianto disperato.

Con mano tremante e rigida, Goku andò a cercare l'orlo del lenzuolo per scostarlo gentilmente dal corpicino esamine della sua piccola creatura, ma più volte fu costretto a ripetere quel movimento, perchè incapace di portarlo a termine.

Infine si fece coraggio e adempì al suo compito.

Gli bastò un solo sguardo, una sola occhiata perchè le lacrime scaturissero dalla loro prigione e gli impedissero di vedere oltre. Ma quel poco che aveva visto bastò per rimanere per sempre impresso nella sua mente.

Pianse, pianse disperatamente.

Cadde in ginocchio di fianco al lettino di morte, con una mano a sfiorare quella minuscola e gelida della sua adorata. Risalì poi il braccino carnoso, quasi cecamente, piangendo, piangendo perchè tanta dolcezza, tanta tenerezza, tanta bellezza non esisteva più.

Le carezzò un guancia liscia e morbida, gli occhietti chiusi, i bellissimi capelli scuri, soffici e lisci come quelli della madre...

Non resistette più a tanto dolore: appoggiò la testa contro il bordo del lettuccio, permettendo alle lacrime e al pianto di sopraffare ogni cosa.

 

To be continued...

 

Salve a tutti i miei lettori,

lo so che siete infuriati con me per via della mia discontinuità e degli enormi ritardi con cui pubblico i nuovi capitoli, ma la giustificazione è la stessa che ho dato nello scorso capitolo. Ribadisco, comunque, che ogni giustificazione è superflua e oltremodo inacettabile e che avete tutte le ragioni del mondo per esservi stancati del mio comportamento.

L'unica cosa che posso dirvi è che mi dispiace davvero tanto, e che non ho nessuna intenzione di accantonare la fanfiction, anche perché scriverla mi regala sempre tantissime emozioni.

Mi scuso anche per il capitolo che, come i miei lettori sapranno bene conoscendomi, è lungo, prolisso e non succede chissà che cosa. Purtroppo questo è il mio modo di scrivere, inoltre stiamo affrontando una situazione all'interno della storia che merita ben pochi nuovi avvenimenti, in quanto quelli già accaduti bastano e avanzano, dato che sono terribilmente drammatici. Per questo sto dando molta più importanza alla descrizione degli stati d'animo che al proseguimento della trama, e mi rendo conto che questo può rendere la storia un po' noiosa..

Comunque, bando alle spiegazioni, spero che tutto sommato non sia stato una vera e propria delusione.

Se vi fa piacere potete lasciare un commento, che è molto gradito ma non d'obbligo. :)

Ringrazio tutte le gentilissime ragazze che hanno recensito e aggiunto la storia tra i preferiti. Vi voglio bene!

Un bacione,

Annetta chan

 

 

 

 

 

 

 

  
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