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Autore: Sailor Saturn    14/06/2012    2 recensioni
La trama di questa storia ha partecipato al concorso "Sarete Scrittori" ma, non essendosi classificata, ho deciso di allungarla un po' e pubblicarla. Che altro dire, buona lettura!
Sarah Jane e Mirko si conoscono da sempre, sono migliori amici e si considerano fratelli. Condividono tutto, in particolare il sogno di partecipare alle Olimpiadi... La vita dei due ragazzi sembra perfetta finchè la realtà non decide di bussare alla loro porta, facendo crollare i loro sogni...
Dalla storia "(...) Per quanto tempo passasse, non si sarebbe mai abituata all'esuberanza e all'allegria di Mirko. Lo conosceva da sempre, visto che le loro madri erano amiche, ed era l'unica persona che riuscisse a strapparla alla monotonia. Con lui parlava di tutto: della scuola, dei ragazzi che le interessavano e, sopratutto, del suo sogno di diventare campionessa olimpica di nuoto (...).
(...)Conosceva S.J. da quanto, quindici anni? Erano talmente uniti che il ragazzo sospettava fossero gemelli separati alla nascita e, se non fosse stato assolutamente certo della sua discendenza e di quella della ragazza, probabilmente avrebbe indagato. Sarah Jane era incredibile: agli occhi degli altri appariva timida e insicura ma lui sapeva bene che non era così (...)".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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* * *

Alzarsi, quel lunedì, per S.J. fu la prova più faticosa alla quale avesse mai partecipato. Il week-end passato tra le lacrime le aveva lasciato in ricordo due occhi molto rossi e due occhiaie da far invidia alle streghe dei suoi amati libri.

Quando la ragazza giunse in cucina, vide sua madre seduta al tavolo mentre faceva colazione. Con un sospiro, si sedette accanto a lei e prese a mangiucchiare di mala voglia un toast.

La donna guardò con occhi colmi di dolcezza la figlia e, finito l'ultimo sorso di caffè, si alzò dalla sedia, posando sui capelli della ragazza un tenero bacio.

S.J. sorrise: adorava la sua mamma oltre ogni dire. Lei riusciva sempre a capire cosa avesse, senza il bisogno di sentirglielo dire. Quel week-end aveva rispettato con tatto e gentilezza il suo bisogno di solitudine e di tranquillità, senza dirle nulla.

Quel lunedì, però, con quel bacio a colazione e il sorriso prima di uscire di casa, Sarah Jane si rese conto che la sua mamma le stava trasmettendo la forza per affrontare Mirko. Perché lei lo aveva capito: più che il dolore della perdita del suo sogno, quello che aveva fatto più male ad S.J. era stato proprio il fatto di aver odiato il suo migliore amico.

Guardando, senza vederla veramente, la tazza del latte, S.J. tirò un profondo sospiro: la notizia della scoliosi le faceva ancora male, ma sapeva di non poterci fare niente. La cosa più importante, ora come ora, era chiedere scusa a Mirko e parlare con il professor Trezzi. Sarah Jane aveva bisogno di lui, aveva bisogno di qualcuno che la capisse davvero.

Sospirando un po' più forte, la ragazza si alzò dal tavolo, lavò la sua tazza di latte e, dopo essere andata in bagno ed essersi lavata i denti, uscì di casa, quasi pronta ad affrontare quella giornata.


 

* * *

Giunse a scuola con qualche minuto di ritardo, con il risultato che tutti erano già in classe. Sarah Jane si fermò qualche minuto nell'atrio della scuola, riflettendo.

Bé, ritardo per ritardo, tanto vale...” con questi pensieri, la ragazza si diresse a passo spedito verso l'ufficio del professor Trezzi. Giunta davanti alla porta, la ragazza sentì tremare le gambe, ma si fece forza e bussò. Immediatamente la voce del professore disse di entrare. S.J. fece un sospiro profondo prima di aprire la porta.

Il professor Trezzi era seduto alla scrivania con vari fogli davanti e, quando sentì la porta aprirsi, alzò lo sguardo, non nascondendo la sorpresa di vedere lì Sarah Jane.

:<< Signorina Destefano, cosa ci fa qui? >> chiese il professore, la meraviglia nella voce.

S.J. si mordicchiò il labbro inferiore diverse volte cercando di parlare. Improvvisamente, però, i suoi occhi si riempirono di lacrime e la ragazza strinse le labbra: sapeva che se avesse aperto la bocca sarebbe scoppiata a piangere.

Il professore guardò il viso di una dei suoi migliori allievi cambiare radicalmente espressione e vide gli occhi della ragazza riempirsi di lacrime. Quella vista lo turbò: conosceva Sarah Jane da molto e non l'aveva mai vista piangere. Mai. Dopo una sconfitta particolarmente pesante era lei a tirare su di morale i suoi compagni di squadra, per poi presentarsi con due ore di anticipo agli allenamenti la mattina dopo. Dopo una sgridata particolarmente pesante, Sarah Jane stringeva i pugni, abbassava la testa, ma non piangeva.

Per questo, vedendo quegli occhi così colmi di lacrime, il professore intuì che dovesse essere successo qualcosa di grave alla ragazza. Avvicinandosi a lei, le mise una mano sulla spalla, senza parlare. Un semplice contatto per fargli capire che lui era lì, lui non se ne sarebbe andato.

E Sarah Jane crollò. Scoppiò a piangere, senza ritegno. Per la prima volta, quella cocciuta e timida ragazzina mostrava a qualcuno che non fossero Mirko, o i suoi genitori, i suoi sentimenti.

Sarah Jane non seppe dire quanto tempo passò a piangere: il professore l'aveva fatta sedere su una sedia e si era seduto di fronte a lei, senza parlare. Sarah Jane gliene fu grata.

Quando riuscì a smettere di singhiozzare, raccontò al professore della visita, della diagnosi, del week-end passato a piangere, della paura di non poter più perseguire quel sogno così importante... Raccontò dell'invidia provata per il suo migliore amico, per quell'amico che c'era sempre stato per lei.

Raccontò tutto a testa bassa, con i pugni stretti sulle ginocchia, con la rabbia di chi non può fare altro che accettare la verità... Con la disperazione di una ragazzina di quindici anni che vede crollare il sogno più importante della sua vita.

Il professor Trezzi ascoltò attentamente la ragazza, senza interromperla, sentendo ad ogni parola il cuore farsi più piccolo. La capiva, forse meglio di quanto lei stessa credesse. La lasciò sfogare, lasciò che quel fiume in piena che erano i suoi sentimenti scorresse libero, per una volta senza controllo.

Quando Sarah Jane smise di piangere e di parlare, il professore si alzò dalla sedia e prese un bicchiere d'acqua, che passò alla ragazza. S.J. sorrise e ringraziò, ma non bevve, tenne semplicemente il bicchiere tra le mani.

:<< Quando avevo tredici anni >> il professor Trezzi iniziò a parlare con voce stanca, come se non volesse dire quello che stava dicendo << avevo un sogno, come tutti i bambini. Volevo diventare un calciatore professionista e molti dicevano che ce l'avrei anche fatta dato che, giovane com'ero, facevo già parte di una società calcistica molto importante. Avevo il mio sogno, i miei amici e la mia famiglia: cosa poteva andare storto? >>

S.J. osservava il suo professore con occhi attenti: non capiva per quale motivo gli stesse raccontando la sua storia ma sapeva, sentiva, che doveva ascoltare.

:<< Durante un allenamento feci una brutta caduta e mi lesionai i legamenti. Il medico mi disse che avrei dovuto saltare almeno tre mesi di campionato, per permette al mio corpo di guarire completamente. Ma io non l'ascoltai >>

Vincenzo Trezzi si alzò e si diresse alla finestra, di spalle alla sua alunna, e lo fece per due motivi: non voleva che lei lo vedesse con gli occhi colmi di lacrime a causa di quell'errore di gioventù che lui ancora rimpiangeva, e non voleva vedere la compassione nei suoi occhi.

:<< Non ascoltai il medico perché quei tre mesi erano fondamentali per le selezioni che mi avrebbero permesso di giocare nella primavera del mio club, come semi-professionista. Per raccontare la versione breve della storia, mi ruppi i legamenti e mi procurai altre lesioni che non mi permisero più di giocare. Fu un inferno accettare quello che mi successe, Sarah Jane, e ancora oggi, non sono sicuro di essermi perdonato quell'errore >>.

Il professo Trezzi si voltò verso S.J. e la guardò con un sorriso. La ragazza aveva gli occhi spalancati: non credeva che il suo professore, il suo mister, l'uomo che li incitava sempre a dare il 110% dell'impegno, potesse avere alle spalle un passato così triste.

Quello scambio di sguardi durò per qualche minuto: entrambi stavano riordinando i pensieri, chi per un motivo, chi per un altro.

:<< Col tempo, capii che la mia vita non era finita: scelsi di diventare insegnante di ginnastica per un motivo preciso: non potevo più realizzare il mio sogno, ma potevo aiutare gli altri a realizzare il loro >>.

S.J. sgranò gli occhi e, solo in quel momento, sentendo quelle parole, capì davvero. Forse per il suo sogno era tardi, forse non sarebbe mai diventata una campionessa olimpica di nuoto, forse ci avrebbe messo anni a superare quella delusione, ma in quel momento c'era qualcosa di più importante: il suo migliore amico. Mirko, che c'era sempre stato, che ci sarebbe stato sempre.

:<< Non sarà una cosa facile da superare Sarah Jane, sopratutto perché hai dedicato al nuoto tutta la vita. Ma tutto questo non ti impedisce di avere altri sogni o di stare vicino a Mirko e aiutarlo a realizzare il suo, di sogno >>.

Sarah Jane si alzò dalla sedia e si avvicinò al suo professore, abbracciandolo stretto. L'uomo rispose all'abbraccio, sorridendo, felice di essere riuscito a calmare la sua allieva.

:<< Mirko è in palestra, aveva le prime due ore buche e ne ha approfittato per allenarsi >>

:<< Grazie >> disse S.J. avviandosi verso la porta.

Si voltò un 'ultima volta verso il professore e gli sorrise. Lui sorrise a sua volta e le disse che avrebbe chiamato in classe per avvisare che sarebbe entrata alla terza ora, munita di una sua giustificazione. Ringraziando, Sarah Jane uscì dall'ufficio del professor Trezzi e si mise a correre a perdifiato verso la palestra.

Quando vi entrò, vide Mirko intento a rimettere nel cesto tutti i palloni da basket che aveva usato. S.J. prese un profondo respiro e si avvicinò al suo migliore amico. Sentendo dei passi, Mirko girò il viso e vide la ragazza avvicinarsi a lui. Le corse incontro e, senza neanche salutarla, le chiese

:<< Che fine avevi fatto si può sapere? >>.

S.J. non rispose. Prese, invece un pallone da basket e disse :<< Fammi vedere se hai migliorato o no il tiro da tre punti >>

Mirko guardò stupito la sua amica ma, senza fare troppe domande, prese il pallone che lei gli porgeva e si mise in posizione di tiro. Passarono così un tempo indefinito, Mirko che tirava e S.J. che lo correggeva quando notava errori, e nessuno dei due si accorse di un uomo che li osservava sorridendo da dietro le porte a vetri dell'entrata della palestra.

In quel momento, non c'era bisogno di altro. Ci sarebbe stato tempo per parlare, tempo per le scuse, tempo per trovare un altro sogno per cui lottare. In quel momento, tutto quello di cui aveva bisogno S.J. era aiutare il suo migliore amico e tutto quello di cui aveva bisogno Mirko era sentire la sua migliore amica vicina. Per tutto il resto, c'era tempo.

  
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