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Autore: KatnissGrey    20/06/2012    4 recensioni
La storia di una ragazza che cresce. La storia di un'orfana da parte di madre. Cosa è successo in quella notte, al cimitero? E cosa vedrà Elizabeth entrare nella sua vita senza alcun preavviso? Sarà una buona scelta?
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Secondo Capitolo-Memories

 
 
Quella notte, fui colta di sorpresa da mio padre. In un primo momento, nella foga della corsa e dello spavento, con tutte quelle domande che mi frullavano per la testa, non mi accorsi di essere osservata da lontano nella mia fuga dall’obitorio. Quando mi schiantai sulla pancia di una persona, alta rispetto a me, ma in realtà che sfiorava appena il metro e settantacinque, mi spaventai ancora di più. Nel buio, mio padre sembrava un omone minaccioso e cattivo che troneggiava con uno sguardo truce rivolto a me. Dopo ciò che era successo alla mamma qualche notte prima, fui presa da tremendi tremori, e non riuscii nemmeno ad urlare dalla paura. Dalla mia boccuccia rosea di bambina non uscì nemmeno un po’ di fiato, e rimasi per un po’ lì, immobilizzata ma allo stesso tempo tremante, con la bocca aperta come un pesce lesso. Poi, l’omone si avvicinò a me, e si abbassò alla mia altezza. Allora capii che non si parlava di un malintenzionato, e che la mia prima impressione era sbagliata. Quell’uomo panzuto, alto (per me) e baffuto, con degli scintillanti occhi azzurri, era mio padre, che era lì per farmi tornare in camera. Sapeva bene, immagino, quale fosse la mia meta.
-Beth- mi disse, con aria sconsolata, accovacciatosi davanti a me, -la mamma è andata via, e questo lo sai.- mi spostò una ciocca di capelli per accarezzarmi il viso paffuto –Ma lei non avrebbe voluto che tu stessi così, non avrebbe voluto che tu l’andassi a cercare in posti così brutti come il posto dove sei andata tu questa notte. Avrebbe voluto che tu continuassi a vivere la tua allegra vita. E soprattutto che gonfiassi palloncini per lei.- concluse poi, strapazzandomi una guancia e tentando di farmi sorridere. Gonfiare palloncini era, infatti, una mia passione fin da bambina, insieme al pattinaggio. Ma la mamma non amava il pattinaggio, lo riteneva pericoloso. La mamma era molto apprensiva, questo è certo, ma nonostante ciò  avevo sempre continuato a praticare quello sport che mi piaceva tanto, e proprio quell’anno avevo vinto il primo premio in una gara di corsa che si era svolta nel parco della mia città. Comunque, alla mamma piaceva che io addobbassi la casa con mille palloncini. E così era ogni domenica. Ed ogni domenica i colori erano diversi: una volta blu, una gialli, una verdi, e così via.
Annuii, asciugandomi il viso dalle lacrime che erano cadute a fiotti e smettendo di tremare.  –Voglio dei palloncini rossi.- dissi a mio padre, -voglio decorare la mia cameretta.-
Rossi, come il sangue. Nessuno avrebbe mai saputo il motivo per cui, quella notte, chiesi palloncini rossi a mio padre, tranne me. Il rosso era l’ultimo ricordo che associavo a mia madre ed ogni notte si ripresentava nei miei incubi, puntualmente. Mi riscuotevo sempre sudata, reduce da una corsa disperata che in realtà non era mai avvenuta, e mio padre doveva cambiarmi la camicia da notte ogni notte. Il rosso mi riconduceva alla chiazza di sangue, sparso attorno al corpo esanime di mia madre, che vidi come ultima cosa prima di prendere la rincorsa verso l’uscita del cimitero.
Ebbi quei palloncini rossi. E non appena mi arrivarono, iniziai a gonfiarli in maniera ossessivo compulsiva tutto il giorno. Papà me ne aveva comprati due pacchetti. –Così puoi gonfiarne un po’ oggi ed un po’ domani, piccola Beth.- mi aveva detto. Ma io gonfiai palloncini tutta la notte, tanto che la mia stanza non era più azzurra pallida, come è tipico di una stanza di ospedale, ma i muri erano nascosti da centinaia di palloncini rossi. Per la prima volta mi scappò un sorriso, che non durò che un secondo, poiché il secondo dopo caddi addormentata come una pera.  Erano notti, ormai, che mio padre sorvegliava il mio sonno, e dormiva solo poche ore a notte per lasciar dormire me. Un giorno, a questo proposito, gli dissi: -Perché non dormi anche tu? Non faccio più incubi ormai, da quando ho gonfiato quei palloncini.- E da quella notte, perfino quell’omone riuscì a dormire.
Il funerale fu organizzato per quella domenica, giorno in cui sarei uscita dall’ospedale. I medici avevano dichiarato che ero di nuovo capace di ragionare come una bambina sana, di undici anni. Ma era poco, davvero poco, ciò che riuscivano a capire davvero di me. Partecipai alla messa, anche se non me lo volevano lasciar fare, mio padre li convinse. Ma tutti concordarono che fosse meglio per me non andare al cimitero. Allora, rimasi a casa con una baby sitter affittata da papà per l’occasione, ma che non sopportavo. E a quanto pareva la cosa era reciproca. Mi chiusi nella mia camera dopo aver recuperato un grande album di foto di famiglia (più grande anche di me),mi misi sul letto stesa comoda, ed iniziai a sfogliarlo, per recuperare tutti i momenti più belli della vita di mia madre.
  
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