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Autore: FCq    22/06/2012    1 recensioni
In un modo spietato e celato egregiamente ai miopi occhi umani, qualcosa cambierà nel momento in cui un giovane incontrerà due occhi fieri e innocenti e comprenderà che non tutte le cose iniziano per finire... non quelle che contano davvero.
≪La legge? Nel nostro mondo non è altro che una parola senza senso né fine≫...
≪La mia legge non ha i volti e i nomi degli anziani, ma il mio viso e la mia coscienza. Parlo di legge morale. Dovresti riflettere sulle conseguenze che questo complotto arrecherà al mondo degli immortali e a quello degli umani≫.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1 Fratelli

Il sole era appena sorto, riflettendo i tiepidi raggi d’alba sulle acque cristalline del lago, come ogni altra mattina a Eilean Donan. Il giovane Darren era sveglio da tempo, disteso supino sul suo letto d’epoca, lavorato a mano da artigiani Italiani - per cui la madre aveva perso la testa - e fissava il soffitto, con il capo posato sugli avambracci che teneva incrociati dietro la testa. Le lenzuola di seta ricoprivano il suo corpo, lasciando scoperto il petto ampio e muscoloso. Voltò il capo verso la finestra, le tende svolazzavano sospinte dalla leggera brezza mattutina. Per la prima volta nella sua vita, Darren aveva realmente prestato attenzione al sorgere dell’alba o alla stessa notte. Il ragazzo non aveva idea del tempo che avesse passato a fissare il soffitto. Si era risvegliato qualche ora prima, il respiro ansante e le lenzuola attorcigliate attorno al corpo, a causa di un sogno che ricorreva ormai da diverse notti: una settimana, per l’esattezza, in coincidenza con l’ultima conversazione avuta con il padre nella sala dei banchetti. Alcuni anziani avevano appoggiato la richiesta fatta al padre dai gemelli, di aiutarli nella loro diserzione al governo di Selene. Personalmente aveva sentito parlare molto poco della principessa vampiro. La risplendente - com’era maggiormente conosciuta da tutti - era salita al trono dopo la morte del padre, precedente sovrano, apportando enormi cambiamenti al mondo dei vampiri. Aveva abolito la caccia agli umani, considerata ormai barbara e selvaggia nel nuovo millennio. Da quasi un secolo, in fatti, i vampiri si cibavano di sangue umano donato e di  sangue animale. Molti la avversavano, e succedeva che a volte qualcuno infrangesse la legge, pena la morte, ma nessuno aveva mai osato montare una vera e propria rivoluzione, almeno fino a quel momento... Selene aveva fatto in modo di mettere a conoscenza dell’esistenza del mondo soprannaturale alcuni umani: tre uomini e due donne. Darren non sapeva quale criterio avesse usato la principessa per scegliere i cinque, ma tutti, nessuno escluso, avevano una grande influenza nel mondo umano. Così che, se le fosse successo qualcosa di male, gli umani sarebbero stati avvisati e di conseguenza pronti a difendere la propria specie dall’assalto dei vampiri tradizionali, aiutati dalle forze degli assassini di Edvard. I vampiri ribelli avevano servito con dedizione il precedente sovrano e vivevano nel ricordo di quell’impero. Il padre di Selene era morto improvvisamente, tanto che i primi sovversivi avevano accusato la principessa stessa della sua morte o un mercenario, assoldato sempre da quest’ultima con il compito di uccidere il sovrano. Con l’aiuto della reale sarebbe stato semplice per qualsiasi di loro, porre fine alla vita del re. Neanche Darren sapeva se la seconda ipotesi fosse corretta, i mercenari delle varie famiglie nobili non erano tenuti a sapere nulla delle spedizioni degli altri. Perciò, se così fosse stato, ora il segreto giaceva nella tomba con il suo portatore. I mercenari non erano certo immortali!

Oltre al mistero della morte del padre, altre numerose leggende circolavano sulla principessa. La più conosciuta narrava che la risplendente si fosse innamorata di un uomo umano, tanti anni prima e che non avesse voluto trasformarlo. Da allora amava la razza umana più della sua. E questo era certo un buon motivo per mettere il suo mondo in difficoltà soltanto per concedere un’adeguata protezione agli umani. E anche un motivo sufficiente perché decidesse di uccidere il padre, in modo tale da imporre le sue leggi.

Un sorriso nacque spontaneo sul volto di Darren al pensiero dell’odio profondo del padre per gli assassini: alla continua ricerca di una possibilità di redenzione per le loro “colpe”, a chiedersi in continuazione cosa fosse giusto e cosa sbagliato, una vita impossibile, a dire di Alexander. La scissione tra mercenari e assassini era avvenuta quasi contemporaneamente alla salita al trono di Selene. Gli assassini erano stati mercenari, un tempo, finché Edvard senior, come raccontava la loro storiografia, non contagiò altri con la sua “pazzia” della coscienza. Naturalmente, i mercenari non ebbero remore nel dichiarare che gli assassini andavano uccisi. La battaglia che ne seguì vide le due fazioni per la prima volta l’una contro l’altra: da una parte gli assassini combattevano per le proprie idee e la propria libertà individuale, dall’altra i mercenari lottavano per difendere la specie ed estirpare le erbacce o le noie, se lo si preferiva, nell’equilibrio fasullo del loro mondo...

Quello che voleva essere un gesto simbolico e diplomatico da parte del vecchio Edvard è tutt’oggi il motivo principale per cui i Mercenari odiano gli assassini. La battaglia volgeva a favore degli assassini, contrariamente a tutte le aspettative – Darren si era sempre chiesto, benché non avesse mai avuto il coraggio di esternare i propri dubbi, se le loro motivazioni non fossero più valide rispetto a quelle della sua specie e perciò non avessero un motivo in più per vincere – e anziché continuare il massacro, si arresero. I mercenari non costituivano più una minaccia, essendo rimasti in poche centinaia sul campo di battaglia e non poterono opporsi al gesto: una ferita profonda per il loro orgoglio, anche se nessuno lo ammetteva o lo avrebbe mai ammesso. Gli assassini non avevano sete di potere, né di sangue, questo li fermò. 

Ciò che distingueva principalmente i mercenari dalle altre specie, oltre che dagli umani,  era la totale assenza di emozioni e sentimenti, la straordinaria velocità e la vasta conoscenza su arte e tecniche di guerra. I bambini venivano educati sin dalla culla alle ostilità e al totale controllo della loro emotività: esuberanza, dolore, paura, nostalgia, gioia... Nomi astratti, per Darren, di emozioni mai sperimentate. E ciò che lo turbava maggiormente, se così avrebbe potuto definire la sensazione di inquietudine che lo avvolgeva, era la consapevolezza che nessuno, nella sua famiglia o semplicemente nella sua specie aveva mai sognato alcunché. Il controllo sul proprio subconscio era la prima capacità richiesta ad un mercenario e Darren, per la prima volta in vita sua, aveva oltrepassato quel sottile confine tra realtà e onirico, separato da mura di cinta e filo spinato.

Darren era troppo bravo in ciò che faceva e la sua spudorata eccellenza nella menzogna lo convinse a non prendersi gioco di se stesso. La sua mente infallibile ricordava con chiarezza cristallina l’ulteriore incontro avuto quel giorno di una settimana prima e che senza dubbio lo aveva sconvolto più della conversazione con il padre e i quattro anziani. Improvvisamente un paio di occhi verdi, innocenti e sfrontati al tempo stesso si frapposero tra lui e il soffitto.  

Il giovane scosse la testa, drizzandosi di scatto sulla schiena e passando una mano nei capelli scuri. Possibile che i suoi sogni fossero collegati alla comparsa della bambina nella sua vita? In fondo, perché avrebbe dovuto avere così importanza una piccola umana, tanto da sconvolgere le sue notti?

Darren si lasciò alle spalle la su stanza e s’infilò nel lungo corridoio, diretto alle cucine. La sua mente, come mai gli era capitato, brancolava nell’incertezza. Le sue domande sarebbero rimaste senza risposta e lo inquietava la possibilità di star perdendo le sue capacità e la sua risolutezza. L’idea di risvegliarsi ancora in preda a un incubo non lo allettava...

Nella sala dei banchetti, occhi scuri fissavano un altro soffitto, non più in pietra ma ligneo.

≪Credi alla leggenda di Selene, Alexander? Pensi davvero che sia stata innamorata di un umano, un tempo?≫, chiese Isobel al marito, che abbassò il capo per incrociare i suoi occhi, sorridendo dell’espressione oltremodo disgustata della compagna.

≪Non sarebbe comunque un motivo valido per esporre tutti noi e la sua stessa specie, che è tenuta a governare e di cui deve proteggere il segreto, alla possibilità di un tale pericolo... E’ un’incosciente. Non era pronta a governare≫, continuò la donna, senza attendere una risposta dal marito.

Da una settimana, ormai, discutevano nei dettagli il modo migliore di procedere.

≪Dobbiamo ancora mettere al corrente Hannah della situazione.. E non sono certa che le cose andranno come devono. Tu credi che riusciranno a portare a termine la missione?≫, chiese ancora, questa volta attendendo una risposta dal marito.

Alexander si mosse con velocità inumana, arrestandosi alle spalle della moglie. Con una mano le afferrò un fianco e con l’altra le scostò i capelli, chinandosi per lasciare umidi baci sul suo collo. Isobel reclinò il capo per facilitargli il compito, sospirando. L’unica emozione che fosse loro pienamente concesso di provare, era l’attrazione fisica e il piacere di un amplesso. Per questo motivo non si lasciavano mai sfuggire un’occasione...

 ≪Non temere: sono i nostri figli. Darren è geniale e puntiglioso e Hannah è il mercenario più veloce e il più silenzioso del vecchio continente. Inoltre entrambi hanno ereditato da noi alcune caratteristiche fondamentali: possiedono la mia razionalità assoluta su ogni cosa e i loro cuori sono freddi come il tuo≫, udite queste parole, Isobel lo attirò sulle sue labbra, coinvolgendolo in un bacio pieno di passione, ignari delle orecchie che involontariamente avevano udito tutto e fatto di quelle parole molto più di quanto i due avrebbero mai potuto immaginare.

Il giovane Darren si allontanò dalla porta, percorrendo nuovamente il precedente tragitto. Le sue braccia si posarono stancamente sul sottile muretto di una delle tante finestre che affacciavano sul lago, inspirando l’aria tiepida del primo pomeriggio. Al vento che scuoteva le cime degli alberi, si aggiunse una nuova brezza, tanto delicata che brividi persistente lo percorsero lungo tutta la spina dorsale. Uno di questi lo scosse tanto da farlo drizzare in tutta la sua maestosa altezza, neanche avesse appena ricevuto una scarica elettrica. Avrebbe potuto giurare di aver percepito un alito gelido alla base del collo, come fosse il respiro della morte che aleggiava sulla sua testa. Tutto ciò non avrebbe comunque potuto distrarlo dalla consapevolezza che qualcosa in lui era profondamente cambiato. Le parole del padre avevano risvegliato delle consapevolezze da tempo sopite. Non poteva negare che ogni cosa detta fosse la pura verità, ma si chiese se la descrizione che Alexander aveva fatto di lui fosse ciò che davvero desiderava. Non si era mai posto questa domanda, perché non ne aveva mai sentito la necessità. Ogni cosa era automatica nella sua vita. D’improvviso cessò di sottovalutare e deridere gli esseri umani per la vastità di emozioni che li investivano quotidianamente, sottomettendoli al loro volere. Certamente, la forza dimostrata dalla bimba, che aveva sostenuto il suo sguardo e reagito all’immobilità della madre trascinandola via, era nata con non altra intenzioni se non quella di proteggere la donna. Il motivo di tale comportamento era rimasto ignoto a Darren, fino a quel momento. L’amore per la donna, ecco cosa aveva mosso le azioni avventate della piccola. L’amore: un sentimento di cui era stato derubato. La sua specie, che era riuscita là dove gli uomini non sarebbero mai arrivati - il pieno controllo di se stessi - aveva abbandonato lungo il cammino le cose più importanti o quanto meno ciò per cui valeva davvero la pena di vivere la vita o di morire, in caso. Ai bambini, fin dall’infanzia, veniva mostrato soltanto un lato della medaglia. E gli umani non sarebbero mai riusciti a capire quanto fortunati fossero a poter esprimere o anche solo provare tutte quelle emozioni che riempivano l’anima, scacciando l’opprimente senso di vuoto che per diciotto anni aveva inconsapevolmente scavato dentro di lui una voragine tanto profonda da non riuscire a vederne il fondo.

Le sue labbra si curvarono all’insù, nella perfetta riproduzione di un ghigno, scoprendo soltanto in quel momento che la differenza tra quest’ultimo e un sorriso consisteva semplicemente nelle sensazioni che si volevano trasmettere attraverso di esso.  

Quella bambina aveva davvero sconvolto la sua vita e ogni sua precedente certezza. Come l’alba in una notte buia, aveva portato la luce dentro di lui.

I suoi occhi blu si posarono sulle acque chiare ai suoi piedi e sui monti e le colline che circondavano il castello, cui non aveva mai prestato attenzione. Pensandoci bene, Darren amava la Scozia. Tra tutti i luoghi che aveva visitato e in cui aveva abitato, Eilean Donan, o più precisamente quel piccolo pezzo della Gran Bretagna, era il suo preferito. Stare disteso su un prato semplicemente verde, con il sole sul volto e il silenzio a circondarlo gli aveva sempre fatto dimenticare, anche se solo per pochi istanti, ciò che era e suo malgrado sarebbe sempre stato.

Un improvviso senso di nostalgia e di solitudine lo colpirono al petto. Un braccio si levò dal muretto e Darren portò una mano sul cuore, dove lo sentiva battere, al centro dei polmoni che inspiravano ed espiravano con un ritmo serrato quanto i sui battiti. Strinse la maglia nera che indossava tra le dita, provocando pieghe e solchi nel tessuto e chinò il capo, sopraffatto ed ansante. Nonostante la sua inesperienza a riguardo, intuì immediatamente a cosa fossero dovute quelle forti emozioni. La prima, la nostalgia, derivava dalla consapevolezza di tutto ciò cui aveva dovuto rinunciare fino ad allora: un carezza, un bacio, una parola gentile. Non aveva mai desiderato la normalità umana, ma in quel momento ne sentì la mancanza. Perché Isobel ed Alexander non avrebbero mai potuto fare un gesto tanto semplice e significativo, che in qualche modo rimaneva nella memoria e permetteva a un bambino di riconoscere, nel tocco materno e paterno, la propria casa. Di quella dolcezza che aveva visto nei pochi gesti compiuti dalla donna castana, qualche giorno prima, non aveva mai scorto neanche la parvenza nelle intenzioni della madre. Il suo rapporto con il padre era stato incredibilmente affiatato e idilliaco, fino a quel momento. Le loro menti viaggiavano sempre sulla stessa lunghezza d’onda ed entrambi  decidevano di agire allo stesso modo che avrebbe scelto l’altro, se questo fosse stato al suo posto. Il ricordo di quel rapporto oggi lo lasciava sconcertato. Quell’uomo non era mai stato un padre, non come lui avrebbe voluto che fosse, si era limitato a plasmarlo come creta nelle sue mani, a sua immagine e somiglianza, perché nessuno avrebbe mai potuto dire che Alexander Jonathan Reed non fosse stato un ottimo, severo insegnante.

Oramai non possedeva più quella razionalità e quel cuore così freddo e insensibile di cui il padre lo aveva vantato poco prima e che lo avevano reso uno dei migliori mercenari degli ultimi decenni. Il suo pensiero volò immediatamente agli assassini, suoi nemici naturale e contro i quali non sentiva di aver nulla in contrario. In cuor suo sapeva che la coscienza lo avrebbe portato lentamente alla pazzia. Il ricordo dei gesti compiuti e delle vite strappate senza neanche mai chiedersi cosa avessero fatto per meritare quella fine, mentre vedeva la luce spegnersi negli occhi delle sue vittime, lo attendevano, silenziosi come fantasmi. Percepì nuovamente l’alito gelido della morte sul collo, quella perfida megera che sembrava attenderlo con tanta ansia.

Ingiusto, pesò Darren, proprio ora che avevo iniziato a vivere.

La sensazione di solitudine nasceva, invece, dall’amara conoscenza della scelta fatta, seppur inconsapevolmente, non appena aveva intuito l’enormità del suo cambiamento. Non gli risultava più così difficile comprendere le ragioni degli assassini, teorie sulle quali in segreto gli anziani riflettevano ormai da tempo. Edvard senior aveva scoperto cosa fosse la coscienza, la morale e il rispetto per gli altri, ma allo stesso tempo sapeva che, chi nasce mercenario muore come tale. Sarebbe stato impossibile sfuggire alla propria natura, al richiamo spontaneo della propria specie e aveva scelto il male minore: un modo costruttivo per utilizzare le proprie capacità, conoscenze e debolezze.

Qualcosa infiammò nella sua anima, utilizzando come materiale combustibile le nuove idee e gli umani pensieri che imperversavano nella sua mente. Non esisteva nulla di benevolo e solidale nella loro specie, ma qualcosa, ancora, li distingueva dalle bestie; una legge creata, forse per umano senso di colpa, forse per comodità, e che il complotto del padre e dei quattro anziani fedifraghi intendeva violare, cancellando così anche l’ultima parvenza di coscienza dal loro mondo. Probabilmente fu il filo sottile che ancora lo legava ai mercenari o la consapevolezza che la sua intera famiglia facesse parte di quel mondo a farlo esitare, ma le sue nuove idee e la sua stessa, fiorente morale, non gli permettevano di voltarsi e ignorare ciò che sarebbe avvenuto di lì a qualche giorno. Darren sapeva che la scelta era definitiva. Non avrebbe semplicemente potuto avvertire la principessa Selene del complotto e sparire. Sapeva che avrebbe scatenato un putiferio e la sua famiglia, insieme agli altri, avrebbe pagato con la vita il tradimento, riconosciuto per mano sua. Per un attimo sentì la mancanza della sua vecchia risolutezza e la sensazione di totalità provocata dalle sue emozioni lo sconvolse. Non era abituato a sentirsi così confuso e incerto. Un tempo non avrebbe avuto remore a schierarsi contro la sua famiglia per un qualsiasi motivo, che sarebbe stato certamente meno nobile di quello perseguito. Darren non avrebbe saputo dire cosa fosse meglio, ma una cosa era certa, quel nuovo cambiamento era irreversibile.  

Il giovane dovette comprendere in poche ore, ciò che gli umani imparavano dopo anni: arriva un momento, nella vita, in cui bisogna scegliere da quale parte stare e prendere una decisione difficile, accettandone le conseguenze, positive o meno che siano. E Darren non avrebbe potuto sopprimere il suo nuovo senso del giusto e negare che la principessa vi fosse dentro pienamente, così da continuare a condurre una vita insulsa e nociva per se stesso e gli altri. Così prese la sua decisione, avvertendo di conseguenza un immediato senso di vuoto e poi di leggerezza nel proprio cuore, stupendosi di quante emozioni, anche in contrasto tra loro, un cuore poteva sopportare.

Darren sapeva che quello sarebbe stato il gesto che più di tutti lo avrebbe in seguito tormentato, ma una parte di lui sapeva anche che non avrebbe potuto fare altrimenti per come erano andate le cose. Sperava comunque che il padre e la madre non fossero tanto sciocchi e mettessero, come sempre, se stessi dinanzi agli altri, riuscendo a salvare le proprie vite.

Il pensiero di una vita giovane e silenziosa gli balenò in mente. Aveva rinunciato quasi immediatamente ad instaurare un rapporto con la sorella. Hannah viveva in un mondo totalmente lontano dal suo, e pensandoci bene, lontano da quello di chiunque altro, umano e mercenario che fosse. Aveva avuto rare occasioni di parlare con lei, se si poteva definire tale lo scambio di brevi e telegrafiche richieste da parte di uno o dell’altra, essendo rari persino i convenevoli. Ormai non succedeva da anni e il ricordo del suono della sua voce si faceva sfocato. Quando non era in missione rimaneva rintanata nella grande biblioteca e se succedeva che si trovassero tutti nella stessa stanza e non le si richiedeva espressamente un’opinione, puntava i grandi occhi in un punto preciso e si perdeva nei suoi stessi pensieri, o almeno così credeva. Un moto di tenerezza lo pervase. Hannah non sapeva nulla del complotto e forse, avrebbe potuto impedire che almeno lei ci andasse di mezzo.

Il tramonto era ancora alto sul lago, quando Darren si incamminò lungo un corridoio largo e coperto quasi per intero da quadri e antichi vasi di ceramica e terracotta, svelto nel raggiungere le camere del padre.

Nessuno sapeva dove si trovasse la residenza della principessa, ma immaginava che il padre, così determinato nel complottare contro di lei, ne fosse a conoscenza. Aveva escluso fin dal primo momento l’eventualità di rivolgersi agli anziani: non sapeva se, a parte i quattro, vi fossero altri traditori e comunque, sarebbe stata la sua parola contro la loro. Gli assassini erano creature nomadi e avrebbe impiegato troppo tempo a cercarli, perdendo così la sua occasione. Non rimaneva che la principessa.

Il motivo del suo muoversi così lesto e furtivo era presto detto. Alexander odiava che qualcuno si aggirasse nelle sue stanze, tanto meno se non era stato precedentemente invitato, cosa più unica che rara. E se quella era la prima volta che disubbidiva ad un comando diretto del padre, a preoccuparlo era la possibilità che qualcuno potesse trovarlo lì dentro, se non Alex stesso e lo fermasse ancor prima che la sua ribellione avesse inizio. Avrebbe dovuto vestire ancora i panni dell’assassino, se avesse voluto portare a termine il suo compito, la prima vera missione che considerasse significativa. Quando fu di fronte alla grande porta di legno, chiaro e lucido, una piccola ruga di preoccupazione si formò tra le sopracciglia scure. Percepì che all’interno non vi era nessuno, grazie al suo sviluppato senso di autoconservazione che lo avvertiva sempre della presenza di altre persone e aprì un’anta della porta quel tanto che bastava per poterci passare attraverso e la richiuse alle sue spalle quando fu all’interno. Con le labbra serrate e lo sguardo attento, voltò il bel viso nella stanza e si guardò intorno cautamente. Le tende chiare svolazzavano alle finestre e il tramonto illuminava d’arancio il pavimento in pietra e parte della grande scrivania posta in modo da dare una visione completa della stanza a chiunque vi si fosse seduto dietro. Il ragazzo non volle perdere ulteriore tempo e si avvicinò alla scrivania, iniziando a cercare l’informazione di cui necessitava, benché non avesse idea di cosa aspettarsi esattamente. Naturalmente immaginava che non sarebbe stato affatto facile, conoscendo il padre, ma non poté impedire alla delusione di abbatterlo, quando anche i cassetti chiusi e aperti grazie alle sue ottime capacità di scassinatore si rivelarono un tentativo vano. Soppresse uno sbuffo di frustrazione e iniziò a pensare come la mente assai creativa del padre. All’improvviso intuì che Alexander non avrebbe mai fatto uso del detto umano secondo cui bisogna mettere le cose in bella vista, perché non venissero notate, ma non sarebbe stato neanche tanto sciocco da conservare gli oggetti importanti nei cassetti chiusi della scrivania o in qualsiasi altro nella stanza. Con convinzione poggiò la grande mano sui mattoni del muro e cercò anche la più  piccola insenatura. Non si sorprese di trovarla, accanto alla finestra.

Scostò il mattone, che venne via facilmente, tentando di non lasciare traccia del suo passaggio, come frammenti di calcestruzzo. Infilò la mano all’interno del buco creatosi nel muro e dopo poco percepì qualcosa di freddo e liscio sotto i polpastrelli. Aiutandosi con la mano sinistra tirò fuori ciò che aveva soltanto percepito e si ritrovò a fissare, tenendolo stretto tra le mani, un scrigno in ceramica bianco, alto ma piccolo, e fu certo di aver trovo ciò che cercava.

Lo aprì lentamente, quasi timoroso di scoprire i segreti del padre e allo stesso tempo perversamente curioso di farlo. Nel cofanetto vi erano lettere datate agli anni della giovinezza di Alexander, banconote ordinatamente infilate in graffette di metallo con lo stemma della loro famiglia e messaggi di vecchie missioni. Tra tutto ciò qualcosa in particolare colpì l’occhio di Darren: una cartoncino bianco, piccolo quanto il palmo di una mano. Poche parole incidevano la carta pregiata, con la calligrafia stranamente frettolosa del padre.

Selene

Succh. Anthony e Natalie Blanch, Londra, Notting Hill Ladbroke Grove n.158 X  

Darren non ebbe difficoltà a decifrare il messaggio. Erano rare le occasioni in cui Alexander dava particolari indicazioni per una missione. Si limitava a consegnare, attraverso la servitù personale dei figli - un uomo o una donna incaricati di seguirli, servirli e rispettarli – un bigliettino simile, con su scritto il nome, la specie e il probabile luogo in cui trovare le vittime. E Alexander abbreviava spesso il termine vampiro, con un ironico succh. .La x era un modo per indicarne la morte, anziché la prigionia o la tortura. L’unica cosa che il giovane non riuscì a carpire fu il legame che univa la principessa Selene ai due vampiri londinesi.

Probabilmente i due conoscevano il luogo in cui era ubicata la residenza della reale o quantomeno, possedevano informazioni su di lei. Naturalmente, una volta avuto ciò che voleva, Alexander non avrebbe esitato a far uccidere i due vampiri...

Nonostante le conseguenze, Darren non si pentì mai di aver visto e vissuto una vita al di fuori del loro grigio e razionale mondo di mercenari, in cui tutto aveva uno scopo e ogni azione era mossa dall’ingordigia e dal dovere e la mente era costantemente all’erta: sempre in attesa di un possibile attacco alle spalle. Probabilmente, se quella mattina di una settimana prima Darren avesse ritardato di qualche minuto dal momento in cui Sara - la sua personale cameriera - lo aveva avvertito di esser desiderato dal padre nella sala dei banchetti e non avesse perciò incontrato la bimba dagli occhi verdi, le cose sarebbero andate diversamente: lui non avrebbe mai preso coscienza di se stesso e non si sarebbe trovato nelle camere del padre, violando uno dei suoi comandi diretti e la sua privacy, cui Alexander teneva più di qualsiasi altra cosa, nel momento in cui la stessa Isobel passava di fronte alla grande stanza. E certamente, se l’avesse fatto, per un qualsivoglia motivo, non sarebbe stato tanto umanamente sbadato da lasciarsi sorprendere con “le mani nel vasetto della marmellata”, tanto per utilizzare un tipico detto umano.

≪Che cosa stai facendo?≫.

Quando il giovane udì la voce della madre, si voltò di scatto, lasciando scivolare dalle mani lo scrigno bianco che si frantumò al suolo con un suono assurdamente rumoroso, cui né madre né figlio badarono.

Isobel stava attraversando il lungo corridoio che conduceva alle sue stanze personali, quando aveva avvertito il lieve fruscio di fogli che sfregavano tra loro. In un’altra circostanza, non avrebbe neanche fatto caso a quel genere di rumore, provenendo esso dalle stanze di suo marito. L’unico motivo per cui si arrestò di fronte alla porta fu la consapevolezza di aver appena lasciato il marito nella stanza principale e che per ciò non avrebbe mai potuto raggiungere un luogo tanto periferico del castello prima di lei. Così Isobel si ritrovò sull’uscio della porta. Riconobbe immediatamente le spalle larghe del figlio e i suoi capelli scuri. Teneva uno scrigno tra le mani e leggeva un foglio con tanta di quella concentrazione da non averla notata. Qualcosa stonò immediatamente in quell’immagine. Darren non aveva mai disubbidito a un ordine del padre. In fondo, erano così simili e in sintonia, avrebbe detto, che un’idea del genere non l’aveva mai sfiorata. Eppure, benché ciò le sembrasse assurdo, dovette in fine dare retta alla sua esperienza accumulata negli anni da mercenaria e accettare l’evidenza che le si parava davanti. Era certa che Alexander non avesse autorizzato Darren ad accedere alla stanza e il fare cospiratorio del figlio le fece immediatamente pensare che Darren stesse facendo qualcosa che non avrebbe dovuto. Inoltre, Darren Reed, come lo conosceva lei, non si sarebbe mai fatto sorprendere in un modo così banale... Benché Isobel non fosse dotata di quel tanto decantato istinto materno notò immediatamente la differenza negli occhi del figlio, quando questi si voltò nella sua direzione. I suoi occhi blu, che tanto le ricordavano gli zaffiri, erano talmente diversi dall’ultima volta che li aveva visti che anche un cieco avrebbe notato la differenza: brillavano di una luce diversa e non della solita piattezza che le ricordava un mare calmo e cristallino. Ora il mare era in tempesta e le onde battevano contro gli scogli con una tale forza e vitalità da lasciarla basita e forse per questo motivo non riuscì a muovere un muscolo, quando il figlio le passò di fianco e fuggì dalla stanza.

Darren non aveva mai prestato attenzione all’aspetto fisico della madre, se non ai tratti che avevano in comune, come le labbra e il taglio degli occhi. Il volto di Isobel non aveva mai vissuto nei suoi ricordi più importanti o nei momenti fondamentali, ma i suoi occhi erano sempre stati estremamente espressivi. Riconosceva chiaramente la luce di soddisfazione che le accendeva lo sguardo e quella di preoccupazione e turbamento che lo scurivano in modo sorprendente. Per non parlare del ghigno glaciale che le incurvava le labbra e della linea dritta che assumevano nel momento in cui qualcosa la disturbava. Quel momento non fu diverso dal solito, nonostante la preoccupazione di essere stato beccato a infrangere le regole. Darren sapeva che la madre, benché fosse tale per lui, non avrebbe esitato a raccontare ogni cosa al padre e quest’ultimo non avrebbe impiegato molto a comprendere ogni cosa. Avrebbe notato la mancanza del cartoncino e intuito il suo tradimento. Darren non avrebbe mai capito il motivo per cui proprio lui si sarebbe dovuto occupare della sua morte, se fosse una forma di affetto o di malvagità e freddezza, ma era certo che Alexander non avrebbe mai permesso a qualcun altro che non fosse lui di fermarlo.

Il giovane riuscì a sorprendere persino se stesso, con il pensiero successivo. La morte non lo spaventava quanto la prospettiva di non riuscire a portare a termine la sua personale missione. Non aveva mai preso in considerazione, neanche all’età di otto anni, l’idea di fallire un compito che gli era stato assegnato. Aveva imparato molto tempo prima a non temere per la propria vita. Ora, il pensiero della sua inettitudine e incapacità di gestire le nuove condizioni in cui versava fece cadere definitivamente la maschera che indossava. La rabbia, l’emozione che tra tutte aveva sempre considerato la più barbara e ridicola, gli offuscò la mente per qualche istante. Si sentì preda del desiderio di ritornare ad essere ciò che era sempre stato, per sfogare cattiveria e frustrazione. Darren si chiese se anche per gli essere umani le sensazioni fossero le stesse. La differenza tra di loro consisteva nel fatto che Darren conosceva bene le conseguenze e il buio di una vita del genere, perciò scacciò la rabbia e ragionò a mente lucida. Non intendeva abbandonare il suo intento originale, se c’era qualcosa che avrebbe potuto portare con se come ricordo del padre era la sua capacità di non mollare mai una battaglia. Forse per lo stesso motivo Darren sapeva che la loro sarebbe stata una lotta “all’ultimo sangue”. Alexander e Darren erano ancora troppo simili in questo: l’incapacità di arrendersi, mollare e sottomettersi. Il giovane lo sapeva bene. Eppure, non avrebbe cambiato la propria direzione, per non inciampare nel padre. A costo di cadere, avrebbe perseguito il proprio obbiettivo. In quel momento realizzò che tra lui e il padre era nata un’enorme differenza, portata dal suo cambiamento: non era fondamentale che fosse lui stesso a portare a termine la missione,  a differenza dell’egocentrico Alexander, l’importante era raggiungere l’obbiettivo.

La mente di Darren figurò nell’istante esatto in cui il ragazzo scattò in piedi il volto della persona che cercava, l’unica che non era mai riuscito a capire e che aveva sempre ignorato così come gli altri. Lei era l’unico membro della sua famiglia a non avere nulla da perdere e tutto da guadagnare. Se era di una via di fuga che aveva  bisogno, lui gliela avrebbe offerta.

A qualche porta di distanza, Joseph, il quale aveva appena concluso di stilare il rapporto sull’ultima missione di Hannah, sua protetta e padrona, dispose il foglio firmato e sigillato sulla propria scrivania, appuntando mentalmente che avrebbe dovuto consegnarlo ad Alexander. Joseph non apprezzava il proprio lavoro, ma era sempre stato molto rigoroso per quanto riguardava il proprio mestiere. Fin da bambina Hannah si era dimostrata una ragazza... particolare. Tanto che, durante il periodo di crescita, il padre gli aveva espressamente chiesto di badare a lei in modo altrettanto particolare. Ciò andava contro i suoi doveri, ma aveva imparato che Alexander era un uomo che era meglio non contraddire. Ricordava perfettamente il momento in cui lo aveva chiamato nelle proprie stanze...

Joseph aveva bussato alla porta, quasi timoroso, benché fosse sempre ritto nella propria posizione a pancia in dentro e petto in fuori, con le mani allacciate dietro la schiena, che muoveva soltanto nel momento in cui aveva necessità di utilizzarle, il ché avveniva molto spesso nel suo lavoro di educatore...

La voce di Alexander gli aveva naturalmente concesso il permesso di entrare. Quando Joseph gli fu di fronte questo non esitò a pronunciarsi, non che lui si aspettasse che lo avrebbe invitato a sedere, ma una tale urgenza da parte dell’uomo lo preoccupava.

≪Ti ho chiesto di venire perché avevo necessità di parlarti per quanto riguarda Hannah. Fin ora hai fatto un ottimo lavoro con lei, ma ho bisogno che tu faccia qualcosa in più che istruirla e proteggerla. Devi sorvegliarla. Le sue particolarità... non hanno mai creato problemi, è vero, ma temo per il futuro≫, concluse Alexander, alzando un sopracciglio in attesa di una risposta.

≪Il mio lavoro mi obbliga fedeltà nei confronti di vostra figlia. Ciò che mi chiedete di fare andrebbe contro i miei doveri...≫.

Alexander non gli diede il tempo di finire, scostò l’aria con un gesto della mano, a voler sottolineare quanto poco contassero le sue argomentazioni.

≪E’ per la tua efficienza e diligenza che ti ho assunto, Joseph. Questo è un favore personale. Sai bene quanto la mia parola sia influente e se ti distinguessi per un qualsiasi motivo, al mio servizio, potrebbe giovare alla tua carriera≫.

Quelle parole erano state più che un ottima spinta ad accettare la proposta di Alexander. Si limitò ad un silenzio d’assenzio.

Alexander sogghignò e disse: ≪Al termine di ogni spedizione dovrai consegnarmi un rapporto con un resoconto completo di ogni azione di Hannah, di progressi e regressioni, strani comportamenti ecc... ≫.

Joseph aveva annuito ed era uscito dalla stanza con un ghigno stampato in volto, identico a quello di Alexander...

Da quel giorno aveva provveduto a consegnare personalmente ad Alexander un rapporto per ogni spedizione portata a termine. Hannah non aveva mai dato problemi di alcun genere, era semplicemente silenziosa: non avrebbe potuto descriverla diversamente. Il motivo per cui aveva accettato la proposta di Alexander, assumendo un impegno che non gli competeva, era il desiderio  mal celato di avanzare di carriera. Il loro mondo si divideva sostanzialmente in famiglie nobili e di ceto medio. Lui apparteneva a queste ultime. Soltanto le famiglie nobili avevano il potere ed il diritto di accettare e portare a termine le missioni. Le famiglie, come quella cui apparteneva Joseph, erano destinate a servire i nobili. Soltanto nel caso in cui ci si distinguesse e ciò venisse riconosciuto dagli anziani, vi sarebbe un passo avanti. Joseph aspirava da anni a diventare un mercenario a tutti gli effetti e aspettava con trepidante attesa un’occasione. Alexander gliene aveva offerta una su un piatto d’argento.

Benché non praticasse lo stesso mestiere degli abitanti della casa, il suo lavoro includeva una preparazione adeguata e pari a quella dei nobili. Per questo motivo udì senza alcun problema i passi che si avvicinavano in gran fretta.

Quando la grande porta si spalancò rivelando il giovane Darren, Joseph ne stava già fissando la superficie, in attesa che, chiunque fosse, si facesse avanti. Essendo Hannah la sua protetta, nel tempo che aveva trascorso con la famiglia Reed, aveva avuto poco a che fare con il giovane da capelli scuri. Ma era certo di non avergli mai visto in volto una simile espressione.

≪Preparatevi, Joseph, dovete partire. Aspettate Hannah al portone principale, lei vi raggiungerà presto. Dovete essere pronti ad affrontare un lungo viaggio con ritorno a tempo indeterminato≫.

Il ragazzo proruppe nella stanza con quelle parole e, nonostante la confusione, Joseph annuì immediatamente, nel riflesso incondizionato di esser sempre pronto per le emergenze, come gli avevano insegnato gli anni di esperienza.

Ricevuto il consenso di Joseph, Darren non attese un minuto in più per uscire dalla sua camera e dirigersi là dove sapeva che avrebbe trovato la sorella.

Nella grande biblioteca posta sulla torre del castello di Eilean Donan, la giovane Hannah godeva del calore degli ultimi raggi del sole, come le permetteva di fare la sua posizione adagiata all’ampia finestra. La ragazza sedeva sul davanzale interno dell’imposta, costituito da poltroncine in pelle nera. Posava il capo sul vetro, le gambe distese quanto l’esiguo spazio le permetteva, tanto che le ginocchia potevano farle da appoggio per il grande tomo che teneva tra le mani. I raggi del sole, nascosto per metà dalle acque del lago che sembravano inghiottirlo, le carezzavano i capelli lunghi e castani e il volto bianco come la porcellana. I suoi occhi abbandonarono le pagine e le parole del  libro e fissarono con impazienza il sole. Se c’era qualcosa che Hannah amava quanto la letteratura erano i viaggi. All’età di cinque anni si chiedeva dove andasse a finire il sole, se davvero il lago lo inghiottisse, ma non aveva mai posto la domanda a nessuno. Ogni volta che parlava ed esprimeva un pensiero qualcuno la smentiva o la derideva. Le sue curiosità e i suoi pensieri venivano puniti con occhiate truci e schiaffi sul volto, dietro la nuca e sulle mani da parte di Joseph, Isobel e più raramente Alexander. La ragazza non sapeva se fosse meno propenso all’uso delle mani degli altri due o se, semplicemente, non amasse prestare tante attenzioni ad altre persone e a lei in particolare. Con il tempo aveva perso la voglia di esprimersi a parole e l’interesse verso la propria voce. Preferiva leggere parole e pensieri altrui. E soprattutto amava sottolineari le frasi, le parole e la stessa punteggiatura, quando questa era inserita in modo particolarmente appropriato, così che avrebbe ricordato i passaggi su cui avrebbe voluto porre delle domande, magari in attesa di qualcuno disposto a risponderle con altre parole. Aveva viaggiato tanto fino ad allora e scoperto che il sole non moriva mai, semplicemente viaggiava anch’esso, ma ora erano altre le domande che le affollavano la mente. Il suo sguardo ritornò nuovamente sulle pagine consunte. Dire che gli occhi di Hannah fossero blu sarebbe stata una definizione troppo banale per descrivere l’incontro di tutte le sfumature del freddo, dal grigio-bianco color ghiaccio al profondo blu notte degli abissi marini. Un colore, questo, considerato a prescindere freddo e distante. Perciò le persone evitavano di guardarla negli occhi. Perché incrociare il suo sguardo era come avventurarsi in acque profonde, che a guardarle da lontano, così buie e distanti, fanno paura. Nessuno era mai stato così coraggioso da gettarsi in mare e seguire la corrente. Forse, se lo avessero fatto, avrebbero scoperto che in mare aperto i fondali sono talmente belli che visti una volta non si avrebbe più il desiderio di ritornare a riva. In questo neanche Hannah credeva e allora nulla la legava al resto del mondo. Tutti la evitavano, persino gli stessi membri della sua razza le stavano lontano. La vita della giovane era un susseguirsi di conseguenze. Lei non parlava con nessuno e per questo gli altri la evitavano; ciò la portava a nascondersi dietro mura di libri e lunghi silenzi, dall’isolamento derivava la solitudine che l’avvolgeva e da ciò conseguiva la sua totale assenza di emozioni. Neanche là dove il paragone fosse stato fatto con altri della sua specie,  avrebbe mai trovato chi, come lei, semplicemente non provavano alcunché. Non era schiava delle emozioni istintive, come potevano essere la passione tra Isobel ed Alexander, la dedizione di Darren e l’aspirazione di Joseph. La ragazza era talmente abituata all’assenza di emozioni da non percepire neanche il vuoto lasciato da esse nella propria giovane anima. La sua differenza era evidente a tutti. Finché avesse portato a termine i propri compiti, suo padre e sua madre non si sarebbero lamentati, ma il loro rapporto era diverso rispetto a quello che avevano con Darren. Non che ad Hannah ciò desse alcun fastidio: era ella stessa consapevole della differenza con il fratello. Hannah non aveva bisogno di troppe parole e troppo tempo per comprendere le persone. Le bastava osservarle e quando ne condivideva la quotidianità, come con il fratello, era fin troppo facile. Darren era uguale ad Alexander, perciò era logico che neanche con lui avrebbe mai trovato un punto d’incontro o che li accomunasse.

Hannah non credeva nel destino, ma era certa dell’esistenza delle coincidenze. Ciò, però, non le impedì di sorprendersi per l’entrata improvvisa del fratello nella grande biblioteca nel momento in cui si ritrovava a pensare a lui, anziché leggere il suo libro. In un'altra circostanza non gli avrebbe prestato attenzione, ma l’espressione sul suo volto, sempre così calmo e imperscrutabile, attirò la sua attenzione. Avrebbe addirittura potuto dire che l’avesse... incuriosita.

Aveva letto della curiosità da piccola, in un fumetto di Dylan Dog:  si dovrebbe vivere se non altro per soddisfare la propria curiosità.  E in tanti altri scritti successivamente. Perciò immaginava che fosse, la curiosità, quel qualcosa che le impediva di abbassare il capo sul proprio tomo.

Darren chiuse la porta dalla biblioteca alle proprie spalle, con la massima delicatezza di cui era in possesso. Gli occhi grandi di Hannah lo fissavano e, piccola nella posizione in cui sedeva, gli diede l’impressione che anche un rumore potesse spaventarla e sconvolgerla. Benché sapesse che la sorella era un’ottima mercenaria e perciò dotata di tutte quelle capacità che non si potevano attribuire ad un essere fragile, così la vide in quel momento e come tale cercò di trattarla.

I fratelli si guardarono a lungo negli occhi, sorprendendosi del fatto che nessuno dei due avesse ancora abbassato lo sguardo.

Darren mosse qualche passo nella direzione della sorella, che irrigidì automaticamente la propria posizione. Non aveva timore della figura che, felina, le andava incontro. Non perché avesse la certezza di non doverne avere, ma perché non sapeva cosa fosse il timore. In compenso, Joseph le aveva insegnato a contrarre i muscoli e preparare il corpo ad un possibile attacco, in situazioni simili. Era abbastanza intelligente da capire quando qualcuno avesse torto o ragione, nel secondo caso si limitava a seguire le istruzioni.

Darren notò il cambiamento e sorrise per rassicurare la piccola e pallida figura.

Hanna sperimentò in quel momento un’altra sensazione di cui aveva soltanto letto: la confusione. Aveva visto, sì, qualcosa di simile prima d’allora sul volto del fratello, ma sentì che il gesto di sollevare labbra, in quel caso, aveva un significato diverso. Non seppe più se irrigidire il corpo o meno, perciò agì di propria iniziata e si rilassò nella sua posizione.

Darren sorrise ancora e disse: ≪Ciao≫.

≪Ciao≫, contraccambiò la sorella. La voce sottile si levò delicatamente dalle labbra.

≪Sapevo che ti avrei trovato qui, sommersa nei libri≫.

Hannah annuì, aspettando. Non sapeva bene cosa attendesse, ma era certa che ci fosse qualcos’altro.

≪Ho bisogno di parlarti e voglio che tu ti fidi di me≫, disse il ragazzo, andando subito al sodo.

Hannah fu certa che attuare anche il concetto di fiducia, quel giorno, dopo aver scoperto curiosità e confusione, fosse troppo.

Darren si avvicinò ancora alla sorella, prese il libro e lo ripose e le sfiorò una mano con la propria.

La giovane non la ritrasse, troppo... curiosa per quel contatto. Era sorpresa che quelle dita fossero capaci di delicatezza, oltre ad irruenza e forza, e che la utilizzassero proprio con lei. Il giovane le strinse delicatamente la mano e la incitò a sollevarsi. Hannah si alzò in piedi, senza staccare lo sguardo dal suo.

Darren ripose nella sua mano il foglio che stringeva saldamente tra le dita. Hanna abbassò il capo e lo fissò, ora nella propria mano.

≪Che cos’è?≫, chiese.

Se qualcuno avesse tenuto il conto, avrebbe potuto dire che, con quelle ultime parole, avessero effettivamente portato a termine la conversazione più lunga avuta prima di quel momento.

≪So che non abbiamo mai parlato molto, Hannah. Io ero ciò che ero e tu eri ciò che sei. Qualcosa è cambiato per me...≫, il giovane si guardò alle spalle, in attesa che qualcuno facesse irruzione dalla porta da un momento all’altro.

≪Non ho tempo e non ho nessun’altro a parte te. Sei l’unica di cui io sia disposto a fidarmi. Dobbiamo raggiungere Londra e... ho bisogno di te per quello che sto per fare≫.

Hannah era sorpresa – ed ecco che sperimentava un’altra emozione: in pochi minuti aveva provato già più di quanto avesse fatto in diciassette anni di vita – dall’urgenza che udiva nella voce di suo fratello e dalla preoccupazione che gli segnava il volto. Ma non paura. Era certa che lui non la provasse mai. Era forte, Darren. Questo era il tratto dominante del suo carattere, il primo che lei aveva letto in lui.

≪Devi andare. Sei la mia speranza in caso io...≫, il giovane esitò e alla ragazza non sfuggì.

≪Cosa potrebbe succedere?≫,chiese Hannah.

Darren aveva imparato che Hannah non amava parlare, ma quando lo faceva poneva sempre le domande esatte e non sprecava mai il fiato.

≪Potrei non farcela, Hanna, nostr...≫, le sue parole furono bloccate dal sopraggiungere di rumori dall’esterno. I due si voltarono simultaneamente. Lui era consapevole, lei no.

Darren poggiò una mano sulla schiena di Hannah e la spinse verso porta.

≪Lo farai?≫, le chiese soltanto.

I loro sguardi s’incrociarono nuovamente. Hannah lesse all’interno del suo sguardo una scintilla che non aveva mai notato prima e lei notava ogni cosa. Non le erano sfuggite le parole del fratello: io ero ciò che ero. L’uso del passato non era un caso. Darren le stava dicendo che era cambiato. Nessuno dei due seppe cosa fu a spingere la ragazza a rispondere affermativamente – forse quella sensazione di buon umore pensando al futuro: la speranza che potesse trovare un punto d’incontro con i fratello, forse il suo istinto che, per la prima volta, le suggerì qualcosa, ovvero che Darren era in qualche modo nel giusto – sta di fatto che annuì.

Gli occhi del giovane brillarono come il riflesso dei raggi del sole sulle acque e sorrise ancora.

≪Vai, Joseph ti aspetta di sotto. Cercherò di raggiungerti: non voglio abbandonarti. Devi ancora sapere tutto, ma non c’è tempo...≫. Il rumore di poco fa si fece più vicino.

Darren aprì la porta e i due uscirono.

Una volta all’esterno presero a camminare velocemente verso le scale.

≪Non fare loro del male, mi raccomando. Devi far si che ti dicano dove si trova la principessa e metterla in guardia...≫.

I passi divennero udibili ad orecchio umano. Darren tirò la sorella tra le proprie braccia.

≪Ce la farai piccola, lo so. Non riavrò gli anni che ho perso, ma cercherò di guadagnarne. Sta attenta. Sento che sei importante. Ti voglio bene≫.

Quelle parole sorpresero, confusero, fecero sperare Hannah, dalla prima all’ultima. Darren le stava dando fiducia e lo aveva fatto ancor prima che lei decidesse di dargliela a sua volta. Il fatto che fosse andato proprio da lei era una prova.  Se non errava, ciò che provava Darren era rimpianto per aver perso del tempo che avrebbero potuto trascorrere insieme. Credeva che potesse fare qualcosa. Forse, se avesse parlato con lui gli avrebbe risposto con altre parole. Scoprì che desiderava saperlo. L’affetto era un concetto astratto per gli altri, figurarsi per lei. Hannah non pensava che il fatto di non essere mai stata contagiata da sensazioni quali odio, rancore ecc... la rendevano la più probabile esponente a provare quell’emozione. Tra le braccia del fratello scoprì che avrebbe voluto provare anche lei l’affetto. Se non altro, per saziare la propria curiosità su di esso.

Darren sciolse l’abbraccio, guardò la confusione sul suo volto e sorrise teneramente.

≪Spero per te che riesca a capire cosa significa. Trova l’affetto, Hannah≫, le augurò.

≪Vai≫, disse poi, in tono frettoloso.

≪Vieni≫, chiese lei, con voce bassa e delicata. Qualcosa le suggeriva di non lasciarlo.

≪Tenterò≫, fu la sua risposta.

La ragazza scese i primi scalini, prima di scomparire si voltò un’ultima volta. Gli occhi blu brillavano, le sopracciglia scure erano contratte. Incrociarono gli sguardi, prima che un rumore attirasse l’attenzione di lui e si voltasse, con uno sguardo agguerrito e la mascella serrata. Non vide chi fosse, ma si affrettò a scendere di sotto, memore delle parole del fratello.

Quando scese l’ultimo gradino alzò il capo e trovò Joseph ad aspettarla. Il ricordo dell’affetto del fratello, di fronte alla freddezza di lui, la portò ad irrigidirsi. Lui  non le dava fiducia e le tappava le parole. Non aveva mai avuto nulla di diverso dal comportamento di Joseph, da quello del padre, della padre e degli altri in generale, ma i gesti e le parole di Darren le fecero credere che ci fosse qualcos’altro. E lei lo preferiva: era migliore. Hannah e Joseph si guardarono, senza dire alcunché. La ragazza si avvicinò.

≪Dobbiamo andare?≫, chiese lui. Hannah annuì.

Joseph era ancora incerto, ma non poteva disobbedire al volere di Hannah.

Si avviarono velocemente alla porta. Lui confuso, lei certa di dover fuggire, benché non sapesse il perché. Prima di lasciare il palazzo entrambi si guardarono alle spalle, provando sensazioni diverse. Lo stomaco della ragazza protestava e il suo cuore batteva con un ritmo più veloce del solito. Il respiro era mozzato. Timore, forse. Si avventurarono nella sera, lasciandosi alle spalle Eilean Donan, correndo verso il bosco dopo aver attraversato lo stretto ponte di pietra, l’unica cosa che legasse il castello alla terraferma.

Il ragazzo dagli occhi color zaffiro, ancora all’interno della rocca, attendeva la morte con un sorriso sul volto, consapevole di aver assicurato il proprio obbiettivo a mani sapienti, e una determinazione nello sguardo e sul volto che indusse ad arrestarsi Alexander, in testa al piccolo manipolo di uomini che si apprestava a seguirlo. Forse fu il sopraggiungere della figura femminile e scattante di Sarah, che si parò di fronte a Darren stringendo in mano il suo pugnale, a fermarli. Alexander aggrottò le sopracciglia e ghignò in direzione della donna che si era parata di fronte al figlio, con fare protettivo. Nel suo sguardo non vide alcunché se non una freddezza glaciale e calcolatrice. Faceva ciò per cui era stata assunta dall’ uomo stesso, alla nascita del figlio. Sarah era consapevole di non avere alcuna possibilità di vittoria contro Alexander e il numero dei suoi uomini, ma per ciò non si tirò indietro.

Una mano si posò sulla spalla della donna, una trentenne dai capelli lunghi e mori, e i suoi occhi abbandonarono per la prima volta la figura di Alexander per posarsi su quella ben più giovanile del figlio. Darren le sorrise e fece un cenno con il capo perché si allontanasse. Sarah lo conosceva da quando ancora non aveva imparato a camminare ed era certa di non avergli mai visto una simile luce negli occhi o un sorriso così umano sulle labbra. Non avrebbe riconosciuto Darren in quell’uomo se non fosse stato per la ferrea determinazione che lo animava e per il coraggio con cui aveva deciso di affrontare il padre senza alcun aiuto esterno.

≪Darren...≫, sussurrò la donna.

≪E’ meglio che tu vada via, Sarah. Io posso affrontare da solo mio padre≫.

Il rimprovero nelle sue parole verso il padre non sfuggì né a Sarah né ad Alexander. La donna aveva immediatamente raggiunto Darren non appena aveva capito il motivo del fermento di Alex e delle guardie. Non aveva preso in considerazione l’eventualità di defilarsi, forse perché soltanto poche settimane prima i due avevano condiviso il letto, forse per diligenza sul lavoro.

Sarah scosse la testa e si limitò ad affiancare Darren: non intendeva andar via. Darren sospirò ma non aggiunse altro.

Isobel, qualche passo alle spalle degli uomini capeggiati dal marito, sussultò. Immaginava che Sarah avrebbe approfittato della prima via di fuga offertagli anziché rimanere al fianco del figlio. Si sentì improvvisamente in difetto e di meno, rispetto a quella donna. Era dalla parte sbagliata?

Non appena aveva riacquistato le proprio capacità cognitive, si era diretta a passo svelto dal marito. Alexander aveva ascoltato silenziosamente la sua spiegazione, che Isobel sentiva come un peso sulla propria anima e aveva tratto le proprie conclusione, le stesse della donna. Eppure lui non aveva visto quella scintilla nello sguardo di Darren, non avrebbe potuto capire fino in fondo e, quando Alexander si allontanò per radunare qualche guardia, Isobel si chiese se lei avesse capito davvero. Isobel era sempre stata una donna ambiziosa, amava l’arte, la cucina e le belle cose. Aveva accettato di buon grado il piano del marito, fin dall’inizio. Avrebbe soltanto guadagnato grazie ad esso, ma non era pronta a perdere qualcosa. Perché avrebbe perso Darren, ne era certa. Dallo scontro di due determinazioni così furiose e grandi, una era destinata a perire, se non entrambe.  

Isobel incrociò gli occhi del figlio, che le rivolsero uno sguardo che avrebbe definito malinconico, prima che questo lo dirigesse sul volto del padre.   

≪Mi hai deluso, Darren, riponevo grandi speranze in te. Perché?≫. Le parole di Alexander lo colpirono con la stessa violenza dei suoi schiaffi.

≪Per poter parlare di delusione, dovresti prima conoscere la fiducia, papà. Ma tu non hai idea di cosa sia, perciò non mi aspetto che mi comprenda. Sappi che non ho intenzione di prendere parte al vostro complotto, né di rimanere con le mani in mano mentre infrangete la legge. Rinuncia ai tuoi propositi e io rinuncerò ai miei≫.

Alexander strinse i denti per l’insolenza del figlio e nascose la sua irritazione dietro una risata sguaiata.

≪La legge? Nel nostro mondo non è altro che una parola senza senso né fine≫, controbatté lui, gesticolando con una mano.

≪Eppure tu ti ostini a schierarti dalla sua parte. Nessuno, neanche coloro che tu consideri la legge, ti spalleggerebbe, figliolo≫. Un’altra risata sferzò l’aria.

≪La mia legge non ha i volti e i nomi degli anziani, ma il mio viso e la mia coscienza. Parlo di legge morale. Dovresti riflettere sulle conseguenze che questo complotto arrecherà al mondo degli immortali e a quello degli umani≫.

Le risa di Alexander si arrestarono e la consapevolezza si fece largo nella sua mente. Il figlio era sotto l’influenza del morbo della coscienza, sporca nemica dell’uomo. Gli unici animali senzienti e si ostinavano come stupidi a seguire emozioni e istinti dannosi per la mente!

≪Parli di coscienza e di conseguenze? Non sei più figlio mio, ma di Edvard e sei suoi sporchi principi.  Non ti permetterò di interferire con i miei piani≫, così dicendo si voltò in direzione dei propri uomini, ≪occupatevi di lei. Lui è mio≫.

Darren fissò il volto del padre, le narici dilatate, i muscoli frementi e gli occhi lampeggianti, nell’istante che separò la quiete dall’attacco. Le tre guardie accerchiarono Sarah e Alexander si fiondò sul figlio. Uno scontro tra Titani avrebbe scatenato un polverone molto più piccolo. La concentrazione con la quale i due attendevano la mossa dell’altro e la potenza dei loro fisici e delle loro menti a confronto creò loro intorno un vuoto e un silenzio assurdi, nonostante i suoni degli scontri a pochi passi da loro. La finta di una finta assicurò a Darren la prima mossa verso il padre. Pian, piano comprendeva la frustrazione e la malinconia degli assassini. Davanti ad un nemico è impossibile non reagire, anche se una parte di loro vorrebbe risparmiarne la vita. Per Darren le cose erano ancor più difficili, trattandosi del padre, ma non avrebbe potuto permettersi alcuna distrazione e alcun tentennamento. L’idea di star combattendo per un fine nobile e non per se stesso o un invisibile mandante, gli dava la forza di non deporre l’arma. Era così difficile quella vita! Quando aveva scoperto di non voler più combattere, di non avere sete di potere e di vendetta, aveva scoperto qualcosa per cui avrebbe dovuto imbracciare le armi. Il suo obbiettivo lo costringeva ad affrontare difficoltà che si sarebbe volentieri risparmiato e ne detestava il peso, ma allo stesso tempo era esso stesso la sua forza. Cos’altro fare se non lasciarsi trasportare? L’attacco al fianco sinistro mancò Alexander di pochi millimetri, perché l’uomo aveva avuto la prontezza di scansarsi e afferrare il coltello che teneva nella cinta, puntandolo al fianco del ragazzo prima di cadere in avanti. Darren fu altrettanto veloce da evitarlo, ma la lama affilata tranciò un lembo della sua maglietta. I due si ritrovarono nuovamente uno di fronte all’altro. Benché ciò avrebbe costituito indubbiamente un vantaggio per il ragazzo, Darren non estrasse la propria arma. Qualcosa gli impediva di puntare un coltello alla gola del padre. Entrambi avevano il respiro leggermente accelerato, ma l’attacco da parte di Alexander fu fulmineo e improvviso quanto quello del figlio. Affondi e sferzate di lama risuonarono nel castello per diversi minuti. D’un tratto la lama di Alexander si avvicinò pericolosamente al collo del figlio e questo impedì che vi si conficcasse all’interno della trachea soltanto perché lo bloccò con il proprio pugnale, neanche fosse un combattimento a colpi di spada. Darren aveva una grande alleata dalla propria parte: la mente. Il suo ingegno era la caratteristica dominante della sua tecnica. Anche quel giorno utilizzò l’astuzia per vincere contro il padre: lo dribblò con una finta laterale e aiutato dalla parete e dalla sua velocità gli fu alle spalle, la lama si mosse in direzione del suo collo... In quel momento Darren imparò una lezione che nessuno aveva mai dovuto insegnargli, visto che l’eventualità non si sarebbe mai potuta presentare: non distrarre mai la concentrazione dal tuo nemico per assicurarti delle condizioni di un tuo compagno. Nel momento in cui un urlo di dolore si levò dalle labbra di Sarah, Darren interruppe la corsa della propria lama e fissò i suoi occhi su di lei giusto il tempo di vederla riversa a terra senza vita. La distrazione gli fu, come si suole dire, fatale. Alexander afferrò il suo pugnale dentellato e lo lanciò dall’altra parte del corridoio, afferrò le braccia e le costrinse dietro la sua schiena, sbattendolo violentemente sul pavimento, bloccato dalle sue ginocchia, con il proprio coltello premuto sulla pelle del suo collo. Nella violenza dell’impatto contro il pavimento Darren reclinò la schiena e il capo all’indietro e vide la figura della madre allontanarsi, sorretta dalle pietre della parete, scossa da tremiti convulsi.

Alexander lo sovrastava.

≪E’ questo ciò che comporta la coscienza figliolo: la morte. Un uomo che si abbassa alla compassione è un uomo finito. La ragione doveva essere la tua guida≫, sussurrò all’ orecchio del figlio Alexander.

L'ultimo passo della ragione è riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano. Hai mai pensato, padre, che ciò che ci rende uomini è la capacità di provare compassione verso gli altri?≫, rantolò il giovane e la lama si conficcò più a fondo nella gola.

≪Se così fosse, perché tu perisci e io vivo?≫, chiese l’uomo.

Darren sorrise.

≪Quando morirai, perché la morte prenderà anche la tua vita, di te non rimarrà nulla se non una lunga lista di nomi su lapidi di cemento. Io muoio, ma i miei principi, la mia compassione, la mia coscienza continua a vivere. Qualcun altro porterà a termine l’obbiettivo per cui ho dato la vita e le idee che lo hanno animato. Io continuerò a vivere in lui anche quando tu sarai cenere e ossa. Questo è il vero potere e l’immortalità: rimanere anche quando tutto il resto scompare≫.

Gli occhi e le narici di Alexander si dilatarono e i primi fissarono quelli del figlio, blu nel blu.

Uno spettatore inatteso osservava la scena, abbastanza silenzioso, come sempre, da rimanere taciuto ai loro sguardi.

Hannah, dopo aver percorso un discreto tratto di strada insieme a Joseph, aveva sentito una morsa stritolargli il torace. Aveva portato una mano al cuore, che batteva frenetico e si era voltata. Il suo istinto parlò ancora e la sensazione era così nuova che Hannah non poté che fidarsi ciecamente di ciò che gli suggeriva. Lasciò Joseph nella foresta e corse, ripercorrendo la strada verso Eilean Donan. La distanza che la separava dal fratello era troppa perché lei potesse sopportarla. Darren non l’aveva ancora raggiunta, eppure lo aveva promesso: non l’avrebbe abbandonata. E lei si era fidata di quelle parole, perciò, avrebbe visto con i suoi occhi il motivo per cui non l’aveva ancora mantenuta. Attraversò nuovamente il ponte di pietra e rientrò nel castello. Un allarme lampeggiò nella sua mente, rumori di battaglia si udivano dal piano di sopra. La morsa le afferrò il cuore e lo strinse nuovamente tra gli artigli. Qualcosa le suggeriva che Darren fosse in pericolo e avesse bisogno del suo aiuto. Risalì le scale silenziosamente e si appostò. Tre uomini sovrastavano una figura femminile riversa a terra, il volto deformato da tagli e lividi. Qualcuno, che riconobbe essere un uomo dal taglio del capelli, sovrastava un’altra figura maschile. E quel ragazzo fu l’unico che riuscì a riconoscere. I suoi capelli scuri, le labbra che le avevano sorriso, gli occhi che le avevano parlato, le braccia che l’avevano stretta: Darren. Immediatamente scattò in avanti per liberarlo del peso che lo costringeva sul pavimento, ma il braccio dell’uomo si alzò e il suo coltello si conficcò nella gola candida di Darren prima che lei potesse muovere un passo nella sua direzione.

Ogni cosa, per ognuno dei presenti, si fece improvvisamente silenziosa. Alexander estrasse il pugnale dalla gola del figlio e fissò i suoi occhi spalancati, lo vide boccheggiare in cerca d’aria. Lo zaffiro non perse la sua limpidezza mentre la morte gli rubava l’ultimo respiro.

La vista di Darren divenne un manto di punti di luce e oscurità, ma il ragazzo sapeva che a prevalere sarebbe stata la seconda. Lo aveva sempre saputo, fin dal momento in cui aveva deciso di perseguire una causa contro il padre. Neanche nella morte riuscì a portare rancore all’uomo che gli aveva dato la vita e gliel’aveva poi strappata. La sua condizione e i suoi fantasmi, la sua ignoranza erano una punizione sufficiente. Alexander non aveva bisogno anche del suo rancore. Darren consegnò la propria forza e la propria vita alla sorella, in un gesto simbolico, confidando in lei ogni cosa. Il giovane scoprì di non avere rimpianti. Non moriva inconsapevole. Aveva vissuto davvero, anche se solo per qualche ora, aveva vissuto. Chiese scusa al mondo e a se stesso per il male che aveva fatto, cosciente che quell’ultimo gesto non lo avrebbe liberato del peso di tutti gli altri errori. Ma non aveva rimpianti, se non uno.

Se avesse avuto del tempo a disposizione, una volta avvertita la principessa, avrebbe cercato la bimba e fatto di lei il suo nuovo obbiettivo. Avrebbe vegliato su di lei con costanza e dedizione, come soltanto un angelo dal passato di diavolo avrebbe potuto fare.

Avrei voluto conoscere il tuo nome, pensò Darren prima che la morte lo accogliesse tra le braccia, innamorata, questa, fin dalla nascita di quel bimbo dagli occhi blu come gli zaffiri. Da allora lo attendeva con impazienza.

A qualche passo di distanza, un cuore perse un battito, nell’istante in cui quello di Darren smise di battere. Hannah fu consapevole che il fratello fosse morto nell’istante in cui la luce si spense nei suoi occhi e la tenebre calarono sulle acque. Il suo capo si abbandonò sulle pietre fredde. Hannah corse, lontano dalla morte e dal dolore che gli stringeva il petto. L’unico che le avesse dimostrato quante cose ci fossero oltre ciò che lei già conosceva, l’affetto, la cosa più grande, non c’era più. Non aveva mantenuto la sua promessa di non abbandonarla, ma Hannah avrebbe mantenuto la propria. Quando fu nuovamente al di là del ponte, nella foresta, percepì qualcosa di bagnato scivolarle lungo il collo. Terrorizzata lo raccolse sulle dita e lo osservò a lungo, prima di capire di cosa si trattasse e meravigliarsi: una lacrima.

  
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