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Autore: Ami For a Dream    26/06/2012    1 recensioni
Cerco un motivo, una scusa plausibile per non correre a casa sua, per non prenderlo a pugni come invece ogni cellula che compone il mio corpo, mi grida di fare.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aoi, Ruki, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è passato molto tempo dal postaggio dell’ultimo capitolo di ‘Silenzio’ e questa è l’ultima ff intera che ho a disposizione, poi davvero non so quanto tempo passerà prima che scriva qualcosa di nuovo.

Il titolo ‘Tomosu uta ni kizu nado iyasenu  è un verso di Dim Scene, canzone che amo visceralmente. Il suo significato è pressoché questo: “ Ma la canzone luminosa non può guarire le mie ferite “. Credo che ci vada a pennello in questa ff.

Saranno tre capitoli in tutto, come al solito cercherò di postare un capitolo a settimana ^-^

Spero che sarà di vostro gradimento.

Titolo: Tomosu uta ni kizu nado iyasenu

Pairing: Uruha/Ruki - Aoi/Uruha

Questa storia tratta tempi omosessuali, anche se lievemente accennati, non racconto fatti realmente accaduti è tutto frutto della mia immaginazione, i personaggi non mi appartengono e infine, non scrivo a scopo di lucro.

 

Buona lettura.  

 

 

 

 

Tomosu uta ni kizu nado iyasenu.

01

 

 

 

Seduto sul divano di pelle nera, fissando un punto fisso dello schermo della tv a quaranta pollici rigorosamente spenta, una bottiglia di birra rigorosamente a metà; senza badare alle altre sette che sono riverse a terra abbandonate dopo essere state svuotate del loro liquido.

Cerco un motivo, una scusa plausibile per non correre a casa sua, per non prenderlo a pugni come invece ogni cellula che compone il mio corpo, mi grida di fare.

Le sento indistintamente, una ad una, loro che cercano di convincermi, vogliono che io commetta questo brutto gesto nei suoi confronti e non so fino a che punto sarò in grado di trattenermi.

Perché in realtà voglio farlo, voglio far sanguinare quelle superbe labbra rosee come boccioli di rosa; come lui sta facendo sanguinare il mio cuore da tanto tempo.

Si prende gioco di me, riesce a farmi fare cose che non farei mai per nessun altro al mondo, questo perché sono debole e lui lo sa.

Mi incazzo, perché IO non sono così, sono un ragazzo forte, deciso e testardo; solo di fronte al suo sguardo divengo una lumachina dal guscio debole, una di quelle che sicuramente sarà mangiata o schiacciata.

Lui riesce a fare tutto questo, ogni giorno mi mangia, mi schiaccia e poi mi getta via lontano; per iniziare il giorno dopo a fare tutto d’accapo.

Dovrei essere io a dire basta.

Dovrei essere io quello che ora, dovrebbe prendersi la sua rivincita.

Dovrei essere io adesso, quello felice e non lui.

Invece sono qui, a bermi il dolore che affligge il mio petto, fino a ubriacarmi e non ricordarmi neppure il mio nome; perché se penso al mio nome, lo sento sussurrato dalle sue labbra. Da quelle corde vocali che incantano il pubblico, che incantano me.

Fa male, dannatamente male, mi strazia il solo pensiero che domani mattina dovrò vederlo, dovrò parlarci, dovrò sorridergli, dovrò dirgli di fumare di meno, dovrò.

Ed è proprio qui che iniziano i pensieri malsani, quelli che mi fanno tramare alle sue spalle, quelli che mi spingono ad escogitare un piano per fargli male. Per vedere in quegli occhi che amo più di ogni altra cosa al mondo, sofferenza.

Perché avrei la mia rivincita, anche se quella sofferenza non sarebbe comunque paragonabile alla mia.

Perché io soffro da così tanto tempo, che ormai non so più cosa voglia dire essere sereno. Alzarsi la mattina, senza avere un peso sul petto, come se poggiato su di esso ci fosse un macigno.

Il telefono che inizia a squillare vorrebbe distrarmi dai miei pensieri, dai miei dolori, ma sono così bravo e diligente che non gli permetterò di farlo; abituato a vivere nel dolore, mi crogiolo in esso senza forse volerne uscire veramente. Perché sono quattro anni che vado avanti in questo modo, quel dolore fisso che fa sì che io capisca che sono ancora vivo.

Parte la segreteria telefonica, dove la mia stessa voce invita a lasciare un messaggio, dopo il segnale acustico posso udire un’altra voce, quella che amo, quella che odio. Mi chiede se ci sono, di rispondergli che è una cosa importante, resto immobile, non un fiato, anche i polmoni hanno smesso di adempiere al loro dovere. Perché non posso, non posso alzarmi da qui, non posso raggiungere il telefono e assolutamente, non posso parlargli.

Per oggi ho dato fin troppo, le scorte di pazienza e di forza vanno affievolendosi; mi sento svuotato da tutta la vitalità che una volta faceva parte di me. Mi ha tolto tutto, anche la voglia di vivere, di suonare; non trovo più piacere nei live, non trovo più stimoli per comporre.

Mi viene da ridere a pensare che in passato era proprio lui la mia musa, mi bastava pensare ai suoi occhi dolci e duri allo stesso tempo per scrivere miriadi di melodie, come Cassis. Ogni volta mi diceva che ero un genio, un fottuto genio, e io volevo tanto rispondergli che era grazie a lui se ci riuscivo.

La chiamata viene agganciata e posso riprendere a respirare, portandomi di nuovo la bottiglia alle labbra e scolandola del tutto, fino a che nemmeno una goccia resti al suo interno. La guardo, la fisso, ci rivedo dentro a quel vetro vedere, pezzi della nostra vita passata; quando era amicizia vera la nostra e non ciò che è divenuta con il tempo.

Sapevo di non dover cedere alla mia debolezza, perché sapevo nel profondo del mio cuore che non mi amava. Era afflitto quel giorno e voleva sfogarsi, Takanori non si sfoga mai come qualsiasi altra persona farebbe, no, lui deve distinguersi anche in questo. Sempre sopra le righe, anticonformista e controcorrente.

Tutti vanno a destra? Lui va a sinistra.

Tutti salgono? Lui scende.

Lo amavo per questo, anzi, lo amo per questo. Adoro il suo carattere forte e deciso, amo il suo essere dolce con chi vuole, ma rude e crudele con chi se lo merita.

Mi chiedo quale sgarbo, quale errore ho commesso io nei suoi confronti, per farmi tutto questo male.

Quella sera, quella maledetta sera, non dovevo permettergli di fare sesso con me. Perché se per lui di sesso si è trattato, per me era amore. Ho sperato, pregato con tutte le mie forze che dopo quella notte insieme, lui si accorgesse del mio cuore sanguinante.

Evito di dire, che così non è stato.

Non contento ancora di quanto la mia testa giri, mi alzo e lentamente, molto lentamente raggiungo la cucina senza evitare che qualche sbandamento mi colpisca, costringendomi ad appoggiarmi con una mano al muro, ma resisto. Qui apro l’anta del mobile ed estraggo una bottiglia di Jack Daniel’s, quella che tenevo per le occasioni importanti, questa è un’occasione importante.

La guardo come lei guarda me, a piedi scalzi raggiungo di nuovo il divano dove mi lascio cadere. La stappo, la alzo di fronte ai miei occhi brindando a lui e mando giù quanto più alcool posso, fino a che le pareti del mio tratto gastrico non iniziano a bruciare e allora mi fermo; devo riprendere fiato. Alcune lacrime scendono dai miei occhi, quindi mi costringo a dire che è solo una reazione normale, all’eccessiva quantità di whiskey che ho bevuto. È facile mentire a se stessi, al proprio cuore, quando in corpo si ha tutto questo alcool. Quindi quella realtà fittizia che ho creato diviene reale, sento i sensi quietarsi e i ricordi farsi vaghi e confusi, mentre continuo a mandare giù l’amico ambrato, quello che cura tutti i dolori, quello che riesce a farmi stare meglio.

 

Un colpo.

Un altro ancora.

Cerco di aprire gli occhi, di metabolizzare dove mi trovo, ma ciò che ricavo è solo una fitta tremenda alla testa.

Di nuovo un colpo, ma a questo si aggiunge una voce.

Non riesco a capire di chi si tratti, forse è uno di quei sogni confusi, quindi mi rilasso di nuovo cercando di far passare l’atroce mal di testa. Ma se sento dolore, forse non è un sogno come penso.

« Kouyou! »

Mi sento chiamare da qualcuno, dunque cerco di aprire nuovamente gli occhi, questa volta con successo, una luce accecante mi perfora le pupille, costringendomi a serrare le palpebre e a portare una mano d’innanzi agli occhi per farmi ombra.

Sento la serratura scattare, la porta aprirsi e qualcuno ringraziare qualcun altro, poi il tonfo della porta che si richiude e dei passi. Essi sono veloci, ma si arrestano proprio quando li sento vicini a me.

Ora sono più lucido di pochi secondi fa, quindi ricordo tutto.

« Puzzi » la voce gelida del mio secondo chitarrista.

So che ha ragione, ho bevuto talmente tanto che saprò di alcool misto a sudore, non mi sono cambiato ieri e non ho fatto nemmeno la doccia; sono pietoso e mi vergogno a farmi vedere in questo stato da lui.

Lui che è sempre perfetto, impeccabile, splendente.

Tutto quello che è stato donato a lui, lo hanno tolto a me.

Se avessi la sua grazia, la sua eleganza, forse Takanori mi guarderebbe con occhi diversi.

« Vattene..Yuu.. » soffio, senza togliere la mano da davanti agli occhi.

« Ma quanto Cristo hai bevuto? » mi chiede, ma forse non sta parlando nemmeno con me.

Non rispondo, può tranquillamente tirarle lui le somme; sento il rumore del vetro che cozza, sta raccogliendo le bottiglie.

« Da coma etilico.. » lo sento bofonchiare a mezza bocca.

In tutto questo riesco comunque a vegetare, non ho la forza nemmeno per alzare un dito, figuriamoci parlare o addirittura affrontare una ramanzina.

« Mi avete rotto il cazzo tutti e due ora » è arrabbiato con me, con Taka, perché questa situazione va avanti da troppo tempo per passare inosservata agli occhi di chi ci vive quotidianamente.

« Sono sveglio… » gli faccio notare, per arrestare quel borbottio che mi da ai nervi.

« Sveglio, che parolone.. » dice sarcastico, ma a me non viene da ridere.

Torna in salone e apre le finestre, lo deduco dal rumore e dal gelo che entra da essa; rabbrividisco ma evito di chiedergli di richiuderla, sta facendo prendere aria a questa stanza che puzza come un’osteria.

« Alzati Kou » non è una richiesta.

Non mi muovo restando immobile, lo sento sospirare esasperato.

« Mi sembri un cazzo di ragazzino, alzati ho detto e vatti a fare una doccia » la sua voce è più gelida dell’aria che entra dall’esterno.

Ma non posso fare a meno di starmene fermo, non riesco ad accontentare la sua richiesta. Mi sento alzare di peso, preso dal colletto della camicia, solo ora apro gli occhi vedendo la sua figura. Il volto ombrato, gli occhi rabbiosi, le labbra strette in una morsa disgustata dalla scena pietosa che si è trovato davanti. È qui che reagisco, puntando i piedi e afferrandogli i polsi; lo stacco da me spingendolo indietro, preso alla sprovvista cede di qualche passo. Punta il suo sguardo furibondo nel mio, dovrei abbassare gli occhi perché sono in torto marcio mentre lui nella ragione, ma non lo faccio.

Non sono abituato a cedere, a chiedere aiuto e non inizierò ora.

Non sono ubriaco, ma sento ancora l’alcool scorrermi nelle vene, sono potente solo grazie a quello.

Mi avvicino a lui, lo guardo dritto negli occhi, tutta quella rabbia che vorticava nelle sue iridi, profonde e nere come un pozzo senza fondo, ora è svanita.

« Perché sei qui..Yuu.. » il suo nome lo sussurro sensuale e se fossi nel pieno delle mie facoltà mentali, mi fermerei adesso, quando sono ancora in tempo.

Lui assottiglia gli occhi, forse capendo, forse solo per la rabbia che davvero prova nei miei confronti.

Non gli ho mai parlato del mio amore per il nostro piccolo vocalist, del dolore che provo ogni volta che lui mi parla delle sue conquiste, delle volte che ho saputo dei tradimenti subiti dal suo compagno.

« Perché sei mio amico, ecco perché Kou » vuole tenere un tono sicuro, ma questo accade con scarso successo, la sua voce trema e io mi sento vittorioso.

Allungo la mano in sua direzione, prendendogli la sua ma lui la ritrae come se si fosse scottato.

« Me ne vado, ho sbagliato a venire qui » tenta di fuggire, cercando di sorpassarmi per raggiungere la porta di uscita; unica via di salvezza.

Ma prima che possa davvero arrivarci lo fermo afferrandolo per il polso, sono più forte di lui quindi non mi riesce difficile far cozzare la sua schiena contro il muro del corridoio. Premo con il mio corpo contro il suo, spingo il polso contro il muro all’altezza del suo volto, mentre con l’altra mano arresto un suo tentativo di schiaffeggiarmi. Con questa manovra urtiamo il vaso di vetro con dentro i fiori, esso cade a terra infrangendosi e permettendo all’acqua contenuta al suo interno, di spargersi sul pavimento.

Alzo lo sguardo da esso a lui, il suo collo dalla pelle diafana, il suo profumo che mi inebria i sensi, lo bacio sentendo il suo ribrezzo, percependo benissimo che non vuole e il suo tentativo di sfuggirmi me ne da la conferma.

« Smettila Kou… » la supplica uscita dalle sue labbra, con la voce spezzata dal terrore.

Mi blocco, rinsavendo tutto d’un tratto, come se qualcuno mi avesse schiaffeggiato ma con più dolore.

Mi stacco da lui tremante per il gesto che ho commesso, per i pensieri terrificanti che ho fatto su di lui, proprio lui che ha subito quella violenza un anno fa.

Lo guardo negli occhi, anch’essi terrorizzati come la sua splendida voce. Lo lascio andare, staccandomi da lui. Uno schiaffo si abbatte potente sulla mia guancia ed io accuso il colpo, convinto che sia nel pieno diritto di darmelo.

« Scu…sa… » sussurro, lo sguardo ancorato a terra, con il volto ancora voltato verso il lato opposto a cui ho ricevuto il colpo.

« Proprio tu mi fai questo Kou?! » grida per la rabbia e per il terrore appena scemato.

Come prima resto immobile, in silenzio, con quel peso sul cuore che ora è aumentato almeno del doppio; alla sofferenza per Takanori, ora si è aggiunta anche quella per Yuu.

« Mi chiedi perché sono venuto?! Per te idiota! Per il ragazzo che mi ha aiutato a sconfiggere la paura, per colui che mi è stato accanto nel periodo più buio della mia vita! Per colui che mi accarezzava i capelli dicendomi di tranquillizzarmi, dopo essermi svegliato da un terribile incubo riguardante il mio aggressore! Ecco perché IDIOTA! » urla ed ha tutto il diritto di farlo.

Non esita a buttarmi in faccia la verità, quella notte in cui ha subito quella violenza Yuu è cambiato nel profondo, vedere il terrore prendere forma nei suoi occhi era straziante. Gli sono stato accanto come non mai, riuscendo piano piano, a farlo tornare quello di sempre, o quasi.

Sono un bastardo egoista, non merito la sua amicizia.

« Vai Yuu.. vai via..lasciami solo.. » sussurro.

« No » aggrotto le sopracciglia non capendo, se fossi stato in lui me ne sarei andato.

Alzo, in un attimo di estremo coraggio, i miei occhi su di lui e mi chiedo che sia tutta quella dolcezza che vedo nei suoi.

Gli occhi iniziano a bruciare, ma con tutte le mie forze caccio indietro le lacrime che vorrebbero far bella mostra di se, rivelando in questo modo tutta la mia debolezza.

« Perché..? Voi che ti aggredisca di nuovo? » voglio che se ne vada.

« Non lo farai Kou.. » i toni duri di poco fa sono solo un vago ricordo.

Cerco di dare tutta la mia attenzione al quadro appeso al muro alla mia destra, ritrae un paesaggio verde, con una bicicletta poggiata ad un albero; se non ricordo male è stato un regalo di mia sorella.

Con la coda dell’occhio percepisco i suoi movimenti, a qualche passo per polverizzare la distanza tra di noi.

« N-o.. » faccio un passo indietro, sbalordito dal mo stesso tono di voce, sto cedendo, la maschera si sta sgretolando di fronte ai suoi occhi e non voglio che accada.

« Kou..per favore.. » alza un braccio, per toccare con un dito il mio volto e di nuovo indietreggio.

« Va-ttene..Yu-u.. » non posso chiudere gli occhi, altrimenti le lacrime avrebbero la meglio scivolando giù, sulle mie gote.

« Ricordi Kou, per quante volte ti chiedessi di andartene, tu sei rimasto sempre al mio fianco, imponendomi la tua presenza » è vero, mille e più volte mi ha urlato di andarmene, di lasciarlo solo ma mai una volta l’ho assecondato.

Ora so cosa deve aver provato lui a farsi vedere in quello stato, spezzato dalla sofferenza.

Ma io non sono lui, è proprio qui la nostra più grande differenza, tra me e lui c’è un abisso.

 

Bene per il momento è tutto, diciamo che in questo capitolo si iniziano a capire delle cose, al prossimo,

ciu! <3

 

   
 
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