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Autore: Alexiels    26/06/2012    1 recensioni
Sovrappensiero, sollevò la sottile tazza di porcellana bianca.
Al suo interno il Lung Ching continuava a rigirarsi lento, come se fosse smeraldo liquido, e la ragazza ne sentiva l’aroma fresco diffondersi per la sala assieme a leggere volute di vapore.
Improvvisamente, a dispetto delle voci che risuonavano tra le mura color avorio dell'Host Club, in lei si fece strada un’intuizione silenziosa che per un attimo ovattò ogni altro suono.
Anche se aveva sempre considerato molto simili le loro condizioni, le bastò un attimo per notare che invece lei aveva avuto la libertà di sottrarsi, con disinteresse e noncuranza, all’imprescindibile e prescritta scelta a cui Kyouya si era da sempre sentito vincolato.
Quella tra bianco o nero, successo o mediocrità, ereditare o meno la compagnia della propria famiglia.
Lui la poteva chiamare scommessa, viverla con l’aristocratica indifferenza con cui avrebbe partecipato a un gioco, eppure Kimie continuava a pensare che sarebbe dovuto essere asfissiante, trascorrere la propria vita nei precisi e invalicabili confini in cui lui l’aveva relegata.

Ammetto di aver pubblicato questa ff per obbligarmi a finirla: non volevo archiviare un'altra storia incompleta.
Nondimeno, mi piacerebbe sentire il vostro parere ;)
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kyoya Ohtori, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Giusto due parole prima che iniziate a leggere (sappiate che siete ancora in tempo per tirarvi indietro! xD)
Anche se mi rendo conto del fatto che sia inutile dirlo ora, dal momento che dovranno passare un paio di capitoli prima che facciano la loro apparsa tutti i membri dell’Host Club, volevo fare una premessa: questa storia è ambientata qualche mese dopo il diploma di Mori e Honey, ma ho spudoratamente ignorato gli avvenimenti che si sono susseguiti dopo la cerimonia (per dirne una Tamaki non è ancora stato invitato nella prima residenza dei Suou, e i capelli di entrambi i gemelli sono ancora di un acceso color carota v.v). Non è che l’abbia fatto volontariamente, ma ho iniziato a scrivere questa fanfiction un paio di settimane fa e, anche se mi sarebbe piaciuto attenermi il più possibile al finale del manga, ho finito di leggerlo solo oggi pomeriggio (mi sento ancora in subbuglio.. sono accadute tante di quelle cose negli ultimi numeri!) Ah, e poi mi volevo scusare per questo primo capitolo (che ho da subito considerato come una sorta di parte introduttiva e che dubito possa essere consiederato interessante o altro >.< )
Detto questo, buona lettura.. ^^”

L’orologio segnava le nove spaccate quando, dopo aver passato l’intera notte seduta sul bordo del letto ancora fatto, fissando solo apparentemente il suo pallido riflesso nello specchio mentre la sua mente stanca si perdeva in pensieri sempre più astratti e scollegati, Kimie si lasciò cadere all’indietro con un sospiro.
Rigiratasi su un fianco, afferrò la sottile coperta color indaco e serrò con forza i suoi occhi.
Non si illudeva di riuscire ad addormentarsi, ma non poter nemmeno uscire la rendeva nervosa.
Se fosse stata ancora a San Pietroburgo, sarebbe scesa da un pezzo e magari avrebbe passato la nottata al locale vicino al Trinity Brige dove Nikolaj aveva iniziato a lavorare per pagarsi la retta universitaria; invece, dopo essere sbarcata in Giappone con il volo delle ventitré, lei e Karina erano state accompagnate in un albergo a cinque stelle da dei subordinati di suo fratello, che poco dopo avevano acconsentito a lasciarla sola, chiedendole però di aspettare lì finché “Amamiya-sama non fosse venuto a trovarla”, ma in ogni caso, aveva notato con una certa irritazione, si erano assicurati di restare nelle sue vicinanze prenotando delle stanze anche per loro.
Così, assonnata e stizzita per l’essere stata trattata come se fosse ancora una bambina troppo vivace, non aveva avuto il tempo né la voglia di pensare a che cosa avrebbe fatto – perché era più che sicura che, se i suoi desideri non fossero combaciati con quelli di suo fratello, non avrebbe accondiscenduto tanto facilmente alle sue richieste– una volta venuta in Giappone.
Si era limitata a fissare la luna percorrere un lento arco nel cielo senza stelle, ma rischiarato dalle mille luci della città, non poi tanto diverso da quello che era abituata a vedere dalla sua stanza a San Pietroburgo, in quella che era stata la sua casa da quando da bambina si era trasferita a vivere dal suo padrino, Andrej Philarete Sinitsin, un uomo stravagante dai nobili natali, fin troppo ricco e sorprendentemente acuto.

Dei passi leggeri sul pavimento di marmo chiaro, a cui seguì un’improvvisa pressione sul materasso, la fecero sussultare, istintivamente si girò in fretta verso la porta che trovò ancora chiusa, mentre un fresco odore di aghi di pino e terra investiva le sue narici.
Sorrise e alzò il suo sguardo verso il soffitto, ritrovandosi a fissare gli occhi dorati di Luthien.
Si sedette nuovamente sul letto e iniziò ad accarezzarla piano sul collo, facendo affondare le mani nel suo manto che, mano a mano che la sua mano scendeva, si colorava con varie sfumature di marrone, dal beige al bistro; e l’osservò divertita mentre sbadigliava, mostrando una chiostra di denti affilati che lei, pensando che erano ancora da latte, trovava quasi buffa.


Non aveva mai tenuto un animale prima d’ora, e immaginava che il cucciolo di cane lupo dall’aspetto ancora così simile a quello di un morbido pupazzo che aveva preso con sé sarebbe potuto sembrare uno stravagante capriccio da ricca, ma, dopo averlo visto per la prima volta, immobile nella selva che circondava la tenuta di campagna di Vera Popov, una ragazza dallo sguardo color ambra e i corti capelli scuri eternamente scompigliati, la sua migliore amica, aveva avuto come la sensazione di non poter fare altrimenti.
Sapeva che in quelle zone non era raro che i lupi venissero cacciati e, osservando la sua estrema magrezza e la fame che sembrava divorare i suoi occhi, sospettosi e spaventati, aveva immaginato che la madre di quel cucciolo fosse stata uccisa.
Quindi, dopo essersi assicurata che non avrebbe perso una mano nel tentativo di prenderlo in braccio, l’aveva portato nella residenza.
Aveva chiesto ad Andrej il permesso di tenerla piuttosto che affidarla alle cure di qualcun altro riportando le parole sentenziate del veterinario a cui l’aveva mostrata per vaccinarla e assicurarsi del suo stato di salute, secondo il quale "l’animale poteva essere considerato ed allevato come un cane, perché non era un lupo vero e proprio, ma, dal momento che suo padre era probabilmente un pastore tedesco, un incrocio, e in più considerando il fatto che era stata preso quando era ancora così piccolo, a condizione di dedicargli tempo e attenzioni, sarebbe potuto essere addomesticato".
Lui aveva acconsentito con un leggero cenno del capo, le labbra piegate in sorriso sghembo che illuminò per un attimo i suoi occhi scuri, preso leggermente alla sprovvista da quella richiesta, anche se probabilmente gli ci erano voluti non più di una manciata di secondi per concludere che per prima cosa Kimie aveva da subito messo in chiaro la sua intenzione di liberarlo in una foresta appena fosse cresciuto abbastanza, e poi che non gli sarebbe certo mancato lo spazio dal momento che, pur vivendo in una residenza dalle modeste dimensioni poco lontana dal Palazzo d’Inverno, questa era circondata da un ampio parco, che ovattava i rumori della città, e la celava quasi completamente agli occhi dei passanti.
Ottenne dunque di tenerla assieme a sé, nonostante le occhiate chiaramente contrariate che Vera le scoccava tra uno starnuto e l’altro ogni qualvolta che Luthien, alla quale aveva deciso di dare il nome dell’elfa dai capelli corvini che era stata la protagonista di una delle storie che aveva amato di più, le si avvicinava.

Kimie smise di accarezzarla e congiunse le mani sul suo grembo, pensierosa.
Il suo trasferimento in Giappone era stato deciso ed era avvenuto talmente in fretta che non aveva avuto il modo per pensare che probabilmente portarsi dietro Luthien non era stata una buona idea, specie se si considerava il fatto che non sapeva nemmeno dove sarebbe andata a vivere, ma con una punta di amarezza si disse che, fatta eccezione per alcuni libri e la momentanea presenza di Karina, lei era l’unica parte della sua quotidianità rimasta invariata da quando era partita.

Scosse appena la testa, come a voler scacciare una mosca fastidiosa, e strizzò gli occhi, infastidita dalla luce che rischiarava sempre più la stanza, mentre Luthien, stanca di essere ignorata, si alzava dal letto e si voltava verso la porta, attraverso la quale doveva aver udito avvicinarsi dei passi.
In fatti, dopo nemmeno un minuto, sentì un bussare deciso sull’uscio e, ricevuto l’invito ad entrare, Karina fece il suo ingresso, con quell’aria affaccendata che, in tutti quegli anni, non l’aveva mai abbandonata.
In effetti considerò Kimie sorridendonon riesco nemmeno a immaginare in che cosa consista il vero e proprio lavoro di una cameriera personale di una sola ragazza nemmeno troppo pretenziosa, dal momento che in tutto questo tempo non ho mai avuto la soddisfazione di vederla con le mani in mano..
“Signorina” esordì lei con la massima educazione, seppure i suoi occhi scuri sembravano volerla rimproverare“per prima cosa, potrebbe dirmi come mai, tra le valigie che abbiamo portato con noi, e nelle quali sarebbe dovuto essere riposto tutto il suo guardaroba, non sono contenuti nient’altro che libri?”
Dopo aver sbuffato impercettibilmente, Kimie le rispose, sebbene avesse intuito che quella domanda fosse stata probabilmente retorica:“Questo perché dal momento che non trovo che sarà particolarmente difficile comprare un abito Prada o un profumo Chanel girando per poco più di un paio di minuti tra i negozi, mentre dubito fortemente che anche rivoltando l’intero Giappone riuscirei a trovare Samuel nella sua prima edizione o i trentasei volumi di Viaggio nelle regioni equinoziali del Nuovo Continente di Alexander Von Humboldt, ho ritenuto che fossero oggetti insostituibili come questi a dover far ritorno in Giappone assieme a me. Se la capienza del bagagliaio dello jet che ci ha traghettate non fosse stata tanto ridotta, avrei anche potuto pensar..” aggiunse lei più scherzosamente, ma convinta della razionale ovvietà nella sua scelta, venendo tuttavia zittita con un solo sguardo dalla sua cameriera che, posata la mano destra sulla tempia, come faceva ogni volta che sentiva il bisogno di riordinare i pensieri, e scostatasi una liscia ciocca di capelli corvini dalla fronte, continuò: “Pur ammettendo che abbia seriamente ritenuto necessario portarne cinquanta kili – non si fermò nemmeno quando Kimie inarcò con orrore le sopracciglia sentendola classificare per peso i suoi libri– avrebbe potuto preparare anche qualche vestito, e no, non valgono quel paio di pantaloni e la camicia che ha ficcato nella sua ventiquattrore, signorina”precisò con un chiaro tono d’accusa e, dato che sembrava intenzionata a far continuare la ramanzina ancora per un po’, Kimie si affrettò a borbottarle delle scuse non troppo sentite, le quali riuscirono comunque a calmarla.
“In ogni caso, mi è stato chiesto di recapitarvi questo” e mosse leggermente la mano destra, nella quale stringeva una lettera color avorio“Ma prima ho colto l’occasione per chiedere a uno di quei signori che suo fratello ci ha messo tanto gentilmente tra i piedi di andare a comprarle qualcosa che la rendesse presentabile..” concluse infine e la ragazza sorrise tra sé e sé, divertita dal modo in cui lei aveva trattato quelle che sarebbero dovute essere le sue guardie del corpo (perché poi a suo fratello fosse venuto in mente di affibbiarle delle guardie del corpo, proprio non l’avrebbe saputo dire).
Osservando l’energica figura della cameriera avvicinarsi a lei, Kimie si ritrovò a considerare una volta di più che era stata davvero una fortuna che Karina le avesse spontaneamente proposto di accompagnarla in Giappone e restare lì qualche settimana, il tempo di aiutarla a sistemare le sue cose e farla ambientare, sia perché doveva ammettere che il senso pratico, così come quello dell’orientamento, non era proprio il suo forte, e inoltre le faceva piacere continuare ad avere vicino a sé una presenza tanto familiare.
In effetti, Karina aveva iniziato a lavorare nella residenza Sinitsin appena maggiorenne, quindi da un paio d’anni prima dell’arrivo della ragazza, e i suoi modi, schietti ma discreti, la rendevano una compagnia singolarmente piacevole.


Con un sospiro, protese il suo braccio e afferrò la lettera che le aveva porto.
Non ebbe nemmeno bisogno di leggere l’intestazione per capire chi fosse il mittente, aveva subito riconosciuto la grafia sottile e lineare del signor Enjyo. L’aprì con delicatezza e notò con sorpresa che era scritta in inglese, mentre chissà perché lei si era aspettata che fosse stata redatta usando i kanji.
Senza perdere altro tempo, iniziò a leggerla, chiedendosi per quale motivo avesse pensato di scriverle.
L’ ipotesi, azzardata dopo aver notato piccoli particolari, come la rigidità del foglio e l’elegante inchiostro color blu scuro usati, o il registro particolarmente formale che quel biglietto, che esordiva con un laconico “signorina Amamiya Sinitsin”, fosse un invito a teatro, si rivelò esatta.
Increspò le labbra, pensosa.
Le ci volle qualche istante, prima di riuscire a collegare il cognome del giovane e promettente imprenditore che aveva avuto modo di conoscere a San Pietroburgo, un amico di vecchia data di Andrej, a quello della famiglia Ootori, che, così almeno era scritto, l’invitava a prender posto nel loro palco privato.
Nello stesso momento in cui si chiese, leggermente irritata, se anche a suo fratello fosse stata indirizzata una lettera come la sua, ricordò che la sorella maggiore di Enjyo, non riusciva davvero a ricordarne il nome, si era sposata anni fa col signor Ootori.
Giusto.. pensò giocando distrattamente con una ciocca rossa dei suoi capelli, sfuggita dalla crocchia in cui li aveva raccolti, complimentandosi con la propria memoria per non aver subito cestinato un’informazione che, nel momento in cui l’aveva ricevuta, le era sembrata perfettamente inutile.
Sbuffò impercettibilmente mentre Karina, dopo aver lanciato un’occhiata discreta al biglietto, le sorrise divertita, ben conoscendo la sua avversione verso gli eventi mondani.
Poco importa, affermò tra sé e sé: in fondo ricordava Enjyo come una persona particolarmente affabile, dagli occhi chiari e la voce profonda, ed era stato gentile, a farle recapitare un invito quando veramente in pochi sapevano del suo arrivo in Giappone..
Che poi, quale opera verrà rappresentata?
Si chiese sinceramente curiosa, perché il teatro era una delle sue passioni. Ci andava assieme ad Andrej o i suoi amici ogni volta che ne aveva il tempo, fermandosi a lungo a parlare nell’elegante foyer del Mariinskij e lasciandosi catturare ogni volta dal pathos degli attori.
Rilesse velocemente il biglietto, ma non vi trovò scritto il nome dello spettacolo. Sollevando leggermente le spalle, si ripromise di domandarglielo nella sua risposta, mentre, per la seconda volta in quella mattinata, sentì del colpi alla porta, stavolta più leggeri.
Era un’inserviente, che non si fermò a lungo, congedandosi appena le ebbe consegnato un pacco voluminoso da parte di suo fratello, il quale, forse per il pallido colore rosa, forse per il voluminoso fiocco in cui era avvolto, non le ispirava affatto fiducia, anzi, proprio per niente.
Fu la cameriera ad aprirlo, mentre lei si sedeva vicino alla sua toilette, mantenendo una ragionevole distanza da quella cosa color confetto, dalla quale Karina tirò fuori un vestito dalle spalline sottili e lo scollo a barca, di un verde scuro che, più o meno, richiamava il colore dei suoi occhi, il quale, pur essendo molto stretto in vita, scendeva più morbido fino a poco dopo le ginocchia.
Appurato che fosse un abito molto più sobrio di quel che aveva temuto, accettò di indossarlo, prendendosi prima qualche minuto per sciacquarsi, e, come quando era ancora una bambina, chiese aiuto a Karina per prepararsi, lasciando che fosse lei ad assicurarsi che le pieghe del vestito cadessero bene e a acconciarle i lunghi capelli di un rosso ramato, raccogliendoli verso l’alto, ma lasciando che alcune ciocche inanellate scendessero ad incorniciarle il volto.
Pochi minuti prima che scoccassero le undici, informò Karina che poteva tranquillamente prendersi una mattinata libera, dal momento che voleva uscire a visitare la città e che dubitava che suo fratello sarebbe venuto a trovarla prima del tardo pomeriggio; poi, chiamata con uno sguardo Luthien affianco a sé, prese la sua piccola borsa nera, vi infilò dentro cellulare e portafogli, e si diresse verso l’uscita.

  
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