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Autore: Terre_del_Nord    28/06/2012    6 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.015 - Il Sangue di Salazar (1)

IV.015


Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 15 gennaio 1972

Mancava un quarto a mezzogiorno quando Alshain andò via. Aveva anche smesso di nevicare, per questo cercai di farlo ragionare, non era il momento più adatto per gironzolare fuori, con tutti quei luridi Babbani diretti a casa per l'ora di pranzo: naturalmente, quel dannato testone scozzese mi aveva ignorato, con la consueta faccia da schiaffi mi aveva dato appuntamento per l'indomani al Ministero, poi, invece di usare la Metropolvere, si era stretto nel mantello e aveva lanciato un incantesimo per dissimulare la sua comparsa in strada. Nonostante tutto, la tensione, l'educazione Black, la stanchezza, alla fine di quella mattinata infernale avevo trovato la forza e lo spirito di mandarlo al diavolo alla maniera del Nord e lui, sulla porta di casa, mi aveva sorriso, rispondendomi irriverente secondo le migliori formule di rito. Un rito che si ripeteva identico, spesso e volentieri, ormai da trent'anni. Ghignammo entrambi, come sempre, come i ragazzini che in fondo al cuore eravamo ancora, ricordando i rimbrotti del vecchio Phineas contro la decadenza dei tempi moderni e la scarsa educazione dei giovani, quando aveva assistito, scandalizzato, a certi nostri scambi di vedute.
Dopo aver guardato il mio amico avanzare, inosservato, tra la marmaglia, raggiungere l'angolo della piazza e infine sparire dietro il palazzo di fronte, avevo chiuso la porta con un sospiro e mi ero ritirato in casa, facendo attenzione a non inciampare nell'osceno portaombrelli a zampa di Troll, poi avevo allontanato malamente Kreacher che, ossequioso, era corso a portarmi una giacca da camera, calda e pesante, perché “... Padrone presa troppa freddura restando su porta... ”. Al contrario di Walburga, che spesso sfogava i propri malumori sulla servitù, io mi disinteressavo degli Elfi, ma arrivavo a odiare quell'essere rivoltante quando mi trattava come un vecchio decrepito: in quei casi, lo minacciavo di trovargli posto lungo la scalinata o, peggio, di rimandarlo da Pollux; di solito, il pensiero del vecchio proprietario, nella cui casa era nato e cresciuto, gli metteva più paura dell'immagine della sua testa mozzata in una nicchia lungo le scale, prospettiva che lo allettava, malignavo io, perché sarebbe rimasto vicino alla sua “adorata Padrona”. Quella mattina, però, Kreacher sembrava più invadente del solito, o forse ero io meno tollerante del solito, così quando mi chiese a che ora desiderassi pranzare, lo liquidai dicendo che non avevo fame e che a breve sarei uscito, poi estrassi un sigaro dal panciotto, gli diedi le spalle e salii la scalinata fino al mio studiolo, dimenticandomi di lui e delle sue dannate beghe domestiche.
Finalmente solo, mi tolsi la giacca e la sistemai sull'appendiabito, allentai la cravatta e mi preparai un Firewhisky per smorzare l'adrenalina che ancora mi circolava in corpo, infine mi abbandonai sulla poltrona: ero sollevato di aver risolto la questione con Alshain, anche se avrei fatto ancora a lungo i conti con la mia coscienza per quella faccenda; d'altra parte sarei stato uno stolto se avessi creduto che fosse finita lì, perché, lo conoscevo, Sherton sarebbe presto tornato sull'argomento, non per accusarmi, certo, ma per stabilire con me come attuare la sua vendetta. Avevo delle carte da sistemare, aprii un paio di faldoni ma dopo mezz'ora passata a leggere inutilmente sempre la stessa riga, capii di non essere in grado di concentrarmi, avevo duemila pensieri che si affastellavano nella mia mente, frasi dette al processo, sospetti su quello che stesse combinando Moody in quel momento, nell'Aula 10, spezzoni di ricordi degli ultimi giorni, le parole di Alshain su suo figlio, la strana intromissione del Preside mezzosangue... E soprattutto lo sguardo omicida di Rodolphus Lestrange al nostro ultimo, inaspettato incontro, uno sguardo capace di terrorizzare chiunque, uno sguardo che mi aveva spinto a tutelare al più presto me stesso e la mia famiglia mettendo al sicuro i ricordi della notte di Herrengton: li avevo chiusi in una fialetta che poi avevo duplicato in numerose copie e nascosto, in seguito avevo affidato ad Alphard e altri due legatari, persone fidate e insospettabili, delle lettere “bianche” che dovevano essere consegnate contemporaneamente al Capo Dipartimento Aurors, al Ministro, a Dumbledore, agli organi di stampa, ai membri del Consiglio, se fosse capitato qualcosa di più grave di un semplice raffreddore a me o ai ragazzi; un ingegnoso incantesimo avrebbe indicato loro, e solo a loro, al momento opportuno, l'ubicazione delle fialette, svelando l'identità degli assassini. Come il resto della mia famiglia, Rodolphus Lestrange avrebbe saputo durante qualche cena tra parenti che in quei giorni avevo fatto testamento e, purché non fosse completamente idiota, avrebbe compreso che mi ero dotato di un'assicurazione sulla vita contro eventuali alzate d'ingegno da parte sua o di sua moglie: quella notte maledetta, salvandolo, gli avevo fatto capire quanto contasse per me il buon nome dei Black e, per questo motivo, non avessi alcuna intenzione di muovergli guerra; era però opportuno, casomai volesse farmela pagare per quella storia della Cruciatus, “incoraggiarlo” con una velata minaccia a metterci una pietra sopra. Quanto a mia nipote, non ero sicuro che il pensiero delle conseguenze riuscisse a fermarla, per questo avevo approntato anche nuovi complicati incantesimi a difesa della casa e avevo deciso di essere cauto negli spostamenti, limitando gli affari da trattare di persona a Nocturne Alley. Con un brivido lungo la schiena al pensiero di quella coppia di pazzi assassini, chiusi gli inutili faldoni e le lettere che aspettavano una risposta, decisi di salire a fare un bagno rilassante, cambiarmi per pranzare fuori o magari raggiungere la mia famiglia.
Cercavo sempre ogni scusa possibile per evitare Pollux, ma la tensione accumulata quella mattina si stava trasformando in angoscia e mi spingeva a raggiungere Walburga e Regulus: avevo bisogno di stare con mio figlio, anche solo di guardarlo, l'amarezza che avevo percepito in Alshain a proposito di Mirzam aveva, al solito, suonato come un campanello d'allarme nella mia testa, ricordandomi come fossi sulla buona strada per combinare danni ben peggiori dei suoi, ero da sempre un pessimo padre, inadeguato, assente, nascosto dietro a frasi fatte e concetti privi di valore. Eppure qualcosa stava cambiando in me, ma non sapevo se esserne felice o terrorizzato.
Superai il pianerottolo della mia camera senza quasi accorgermene, i piedi mi guidavano, animati di vita propria, fino all'ultimo piano, alle stanze dei ragazzi: entrai, quella di Sirius era chiusa da giorni, Walburga aveva imposto agli Elfi di “sterilizzarla” appena partito, come se il fatto di essere un Gryffindor fosse una specie di virus e noi rischiassimo di esserne contagiati. Nemmeno a me stava bene che Sirius fosse nella Casa di Godric, tra rinnegati e filobabbani, ma quel ragazzino era e sarebbe stato sempre mio figlio, il mio erede, non avevo alcuna intenzione di lasciarlo al suo destino, avrei fatto di tutto perché fosse un Black, migliore di tutti noi. Mi sedetti sul suo letto, osservai la foto che teneva sul comodino: di solito stava sulla scrivania, quella che divideva con suo fratello, finché Regulus non aveva ottenuto una stanza tutta per sé; Sirius aveva spostato la foto, adesso era la prima cosa che vedeva quando si svegliava e per un istante intuii che, probabilmente, si fosse accorto delle mie visite nella sua stanza, di notte.

    Chissà che confusione ti ho messo in testa, se ti stai rendendo conto di cosa provo per te...

La presi, deglutendo a stento per un improvviso nodo alla gola: ricordavo ogni singolo istante di quella giornata a Zennor, il vento che ci scompigliava i capelli, i ragazzi che si rincorrevano sul prato fino alla vecchia quercia, io che li ammiravo e mi lasciavo andare, mi sedevo con loro sull'erba e insegnavo qualche Magia per gioco, non per il solito, maledetto, dovere. Era stata una delle giornate più belle della mia vita, almeno finché non eravamo stati raggiunti dai soliti, nefasti parenti: Walburga si era arrabbiata vedendo i ragazzi scarmigliati e in disordine, mi aveva persino accusato di essere un irresponsabile, di non tenere alla salute di Regulus, così delicato, “Se si dovesse ammalare, Orion, sarà come sempre solo colpa tua!”
   
    Come sempre, è solo colpa mia... ed io che sono stato così idiota da amarti per anni...

Il ricordo dell'espressione dura e crudele di Walburga m’infuse la determinazione necessaria, avrei dato a Regulus un'altra giornata memorabile, forse non era ancora tardi per rimediare ai miei errori: di lì a pochi giorni sarebbe stato il suo compleanno e se non potevo mettere bocca nella festa che “Lady Black” stava organizzando ormai da mesi, ricca, magnificente, perché tutti ricordassero il valore del nostro Nome, del nostro Sangue e del nostro Denaro, io avrei cercato di donargli qualcosa di diverso, qualcosa che sanasse la solitudine che percepivo nel suo sguardo.
   
   
«Padrone... »
   
Sospirai esasperato e mi voltai verso la porta, lasciata incautamente socchiusa: non potevo credere che quel dannato Elfo fosse tornato a tormentarmi, strinsi i pugni e mi alzai dal letto, recuperando subito il pieno controllo di me, ma fissandolo con uno sguardo capace di incenerirlo.

   
«Credevo di essere stato chiaro! Non voglio essere disturbato!»
   
«Padrone... Kreacher si stira le dita, Padrone, ma Mago... chiedere di vedere mio Padrone... » 
    «Quale Mago? Io non aspetto nessuno... non ho tempo da perdere con nessuno!»
    «Padrone, Kreacher non chiedere nome, se spilla Wizengamot appara su vesta.»

Di colpo l'irritazione lasciò il posto a inquietudine mista a sospetto: che cosa volevano quelli del Ministero, ancora, da me, se mi avevano congedato da poco più di un'ora? Lasciai Kreacher indietro, sfoderai la bacchetta, perché il pensiero di un agguato di Rodolphus mi teneva sempre in allerta, scesi le scale rimuginando promesse di vendetta per quell'ennesima intromissione e mancanza di rispetto ed entrai come una furia nella Sala dell'Arazzo.

   
«Vi avverto, non mi lascerò intimidire in casa mia da voi o da chiunque vi mandi a... »

Le parole mi morirono sulle labbra, insieme alla rabbia, mentre le sembianze del Mago mutavano nel fuoco del camino fino ad assumere la fisionomia del giovane che mi aveva tenuto informato sulle condizioni di Alshain e dei ragazzi, nelle settimane del loro ricovero a Inverness.

    «Vi prego di perdonarmi per l'invadenza, milord, ma desideravo essere il primo a dirlo a voi e a Lord Sherton: Alastor Moody ha finalmente scagionato Mirzam dagli omicidi di Herrengton... »

Lasciai che Jarvis Warrington entrasse nella mia stanza, euforico, lo guardai incapace di parlare, i pugni stretti, le lacrime di gioia trattenute a stento, si avvicinò e mi tese la mano per stringermela, io immobile, scioccato, felice, tremavo visibilmente: Mirzam sarebbe ritornato a casa, quella fosca parentesi era finalmente finita, tutto si sarebbe sistemato per lui, persino con suo padre. Non riuscivo quasi a crederci.

    «Alshain? Al Ministero vi hanno visto allontanarvi insieme, ho immaginato che fosse qui.»
   
«Alshain è ritornato a casa poco fa, per la riunione della Confraternita, come da accordi... »
    «Come sarebbe? Non c'è alcuna riunione! Ho ricevuto il suo gufo all'alba, Sherton ci ha comunicato di averla rimandata di una settimana, a causa dell'assenza di mio zio... »
   
«Ero a casa sua, Alshain parlava della riunione con Deidra e non ha mandato gufi, finché sono stato là, ne attendeva invece uno da vostro zio, voleva parlargli prima che arrivassero gli altri.»
   
«Questo è assurdo... mio zio ieri ha pranzato da me, nel pomeriggio è andato a Diagon Alley  e da lì deve aver mandato un gufo a Sherton, per dirgli che non avrebbe potuto partecipare alla riunione di oggi... e, infatti, l'incontro non si è tenuto perché mio zio è fuori in missione... »
   
«»Non è quello che si diceva a casa Sherton, Warrington! Quel gufo non è mai arrivato ad Alshain e nessun gufo è partito da Essex Street, lo so per certo... a meno che... per tutti i Fondatori!»

Un brivido mi fece accapponare la pelle, di colpo tante cose andarono al loro posto, come tasselli di un puzzle che fino a quel momento sembrava privo di senso; guardai Jarvis, la mia stessa consapevolezza lo rendeva pallido come un morto: qualcuno doveva aver sfruttato il processo per...

    «E se mio zio fosse caduto in una trappola dei Mangiamorte? Che cosa ne sarà di lui?»

Lo fissai e distolsi subito lo sguardo, avevo visto con i miei occhi di cosa fossero capaci i seguaci del Signore Oscuro, di cosa fossero capaci mia nipote e il suo degno consorte... Gli offrii del Firewhisky e cercai di fargli coraggio, oltre a farne a me stesso.

    «Non c'è da preoccuparsi, sicuramente c'è una spiegazione logica a tutto questo... » 
    «No... è tutta una trappola dei complici dell'Oscuro Signore! Il gufo che non è arrivato, i falsi messaggi che non partivano dagli Sherton... probabilmente anche gli anelli del Nord sono stati trattenuti dal Ministero per un motivo preciso...  Devo andare a Essex Street! Sherton non è solo il capo della Confraternita e il padre di Mirzam, quell'uomo... mi ha aiutato... salvato... »
    «Verrò anch'io, sono sicuro che ci stiamo preoccupando per niente, ma voglio vedere con i miei occhi... inoltre, abbiamo una bella notizia da dare a quel testone scozzese, dico bene?»

Gli sorrisi, cercando di mascherare il terrore che provavo, con scarso successo. Ordinai a Kreacher di portarmi bastone e mantello: non sapevo cosa avrei trovato e nemmeno desideravo saperlo, tremavo all'idea di finire al cospetto di Lord Voldemort in persona, o davanti a scene simili a quelle vissute sulla torre di Herrengton, ma Sherton era il mio migliore amico, l'uomo che mi aveva persino salvato dal baratro e il pensiero che lui, Deidra, i bambini... Tremai, mentre muovevo la bacchetta per permettere a entrambi di Smaterializzarci da quella stanza e intanto pregavo, in cuor mio, che fossimo in tempo, che non fosse tutto compiuto.

***

Alshain Sherton
74, Essex Street, Londra - sab. 15 gennaio 1972

Uscii intabarrato nel mio mantello, pronunciando incantesimi che dissimulassero il mio passaggio dalla dimora dei Black alla piazza antistante, la bacchetta in mano, nascosta tra le vesti: non era saggio uscire da una casa magica, posta nel cuore della Londra babbana, in pieno giorno, soprattutto se aveva anche smesso di nevicare, ma dovevo fare due passi per schiarirmi le idee. Non c'era neanche un paio di km in linea d'aria tra Grimmauld Place ed Essex Street ma, percorrendo viali e piazze, il tragitto si faceva più lungo e la neve rendeva il mio passo meno celere, esattamente ciò di cui avevo bisogno: solitudine per riordinare i pensieri prima di affrontare Deidra e i Maghi della Confraternita, tempo per riflettere sul processo e sulle parole di Orion. Ero felice di aver chiarito con lui, ma ora avevo il cuore che traboccava d'odio e propositi di vendetta contro i Lestrange, prima di entrare in casa, perciò, dovevo calmarmi, per non spaventare mia moglie: se lei, come temevo, aveva già intuito la verità, non me ne aveva parlato per paura delle mie reazioni irrazionali, e aveva fatto bene, sapeva che avrei distrutto chi avesse osato toccare i nostri figli, stavolta però ero così infuriato che non avrei rischiato di fallire agendo d'impulso. Estrassi un sigaro dal panciotto, l'accesi e avanzai osservando i ragazzini che facevano a pallate di neve lungo la strada, le donne che rientravano a casa con la spesa del fine settimana, le rare auto che si muovevano lentamente: avrei finto di non sapere la verità e di non sospettarla, avrei lasciato passare il tempo, mi sarei comportato con i Lestrange come nulla fosse, avrei insistito sulla colpevolezza di Mirzam persino se fosse stato assolto, e intanto avrei tessuto la mia ragnatela, così da strappare il cuore a quei dannati solo quando ormai si fossero illusi di averla fatta franca. In questo modo avrei protetto anche Orion e i suoi figli, non solo la mia famiglia: non riuscivo ancora a credere che Black si fosse messo in pasticci tanto grandi per me, dubitavo che i Lestrange gliel'avrebbero fatta passare liscia, sebbene avesse fatto capire loro che non li avrebbe mai denunciati per salvaguardare la reputazione della famiglia, Rodolphus Lestrange, degno figlio di suo padre, avrebbe fatto di tutto per vendicare l'onta subita.

    Quanto a Bellatrix...

Rapidi, mi passarono nella mente tutti i metodi che conoscevo per dare a qualcuno una morte orribile, perché l'idea che fosse stata lei a ridurre il mio Rigel in quelle condizioni...
Aspirai il sigaro, sentendo l'aria bruciarmi dentro, fino quasi a farmi lacrimare: no, la colpa era solo mia, non avevo saputo difendere i miei figli, avevo sottovalutato i rischi e, in particolare, quella notte mi ero comportato come un adolescente preda degli ormoni, avevo visto un pezzo di carne invitante e avevo abbassato tutte le difese, avevo bevuto da quel bicchiere, come un ingenuo.

    Pur sapendo quanto odi me e mio figlio, pur sapendo benissimo di chi sei la puttana...

Avevo rischiato di morire avvelenato non da un veleno ma da lei, dalle sue labbra, dai suoi occhi, avrei ricordato per sempre a me stesso questa verità, come un monito, qualsiasi conclusione fosse raggiunta dal Ministero: era stata solo la mia stupidità a causare tanto dolore ai miei cari. Quando incrociai un'edicola, nei pressi del Palazzo di Giustizia, mi attardai nella lettura delle locandine per smettere di pensare a quella Strega, le notizie, però, non mi tranquillizzarono per niente: con la scusa delle riviste di moda, da cui Kreya ricavava i modelli dei nostri abiti babbani, mi fermai e chiesi alcuni quotidiani, dovevo capire cosa stesse accadendo nel mondo, anche perché, con quei ficcanaso dei Flannery, i nostri vicini babbani, era necessario sapere tutto di politica.

   
«Per caso avete anche il “Derry Journal”?»

Mentre contavo il denaro babbano, mi morsi la lingua per l'errore appena commesso: agli inglesi non piaceva che Doire fosse chiamata con il suo nome irlandese, avrei dovuto chiedere un giornale di “Londonderry”, per apparire “fedele alla Corona” e persona “rispettabile”; alzai gli occhi dentro il cubicolo, forse non sarebbe stato un problema, in fondo l'edicolante sembrava una ragazzotta persa nei suoi pensieri, non uno di quegli arroganti attaccabrighe babbani, capaci di coinvolgerti in una rissa con la scusa del calcio, della provenienza geografica o del presunto credo politico: ero rimasto inorridito, al matrimonio di Mirzam, da un racconto di Rodney Stenton, vittima, all'uscita dal Paiolo Magico, di un paio di energumeni ubriachi che l'avevano minacciato con dei coltelli chiamandolo “lurido scozzese bastardo”, solo perché, la sera precedente, una squadra di Glasgow si era qualificata e una di Londra era stata eliminata dalle Coppe Europee del loro sport preferito... e la cosa assurda era che non avevano neppure giocato una contro l'altra! (1)

   
«Va bene qualsiasi altro giornale dell'Irlanda, se non avete quello... »

La ragazza mi squadrò con sospetto, sibilò un'offesa in “cockney” e mi gettò contro un giornale spiegazzato, io pagai, mandandola al diavolo in gaelico, presi le riviste e mi avviai spedito: sì, a volte era proprio difficile dare torto a certi parenti e conoscenti che sparlavano dei Babbani! Sospirai, avrei dovuto evitarlo, purtroppo però era necessario che mi tenessi aggiornato, visti gli interessi della Confraternita in quelle terre, soprattutto ora che la situazione sembrava complicarsi sempre più; con un brivido ricordai un detto di mia madre “Quando il Mondo Magico è in guerra, c'è una guerra anche nel mondo babbano”, e in effetti, mentre Grindelwald sprofondava il Mondo Magico nell'orrore, milioni di Babbani morivano nella Seconda Guerra Mondiale. Non osavo immaginare cosa sarebbe accaduto ora che quel folle di Riddle stava manovrando per impossessarsi del potere con la forza, visto che la situazione era già poco rosea: da quasi dieci anni una guerra impegnava gli Stati Uniti in Vietnam, e un potenziale scontro apocalittico era sempre sul punto di esplodere con l'altra super potenza, l'Unione Sovietica; attacchi terroristici di varia matrice bagnavano regolarmente di sangue varie città d'Europa e del Medio Oriente; in Irlanda, infine, la guerra fratricida tra Cattolici e Protestanti sembrava destinata a degenerare verso toni ancora più sanguinosi a causa di una legge dell'agosto precedente (2) che consentiva l'internamento preventivo: decine di persone finivano in galera senza processo e senza sapere quando sarebbe finita la detenzione e questo stava spingendo parte della popolazione, provata da soprusi e violenze, a lasciare la resistenza pacifica per abbracciare le armi al fianco delle frange estremiste. Da oltre un anno, cercavo di sollecitare la mia gente a tornare in Scozia, spaventato dalla tensione crescente che si percepiva a Doire: alcune famiglie della Confraternita si erano già trasferite nell'area a est di Maillag, dopo la visita di Mirzam, quasi tutti convinti proprio dalla passione con cui mio figlio aveva presentato le mie proposte ed era entrato nel cuore delle persone. Altri, al contrario, si ostinavano non solo a restare a Doire, ma a continuare a trattare affari e a interagire con i Babbani, col rischio di restare coinvolti e provocare altri problemi con il Ministero, come se già ne avessimo pochi: il padre di Sile mi aveva spiegato come sarebbe stato facile, per chiunque facesse il doppio gioco, tipo Emerson, falsificare prove che collegassero la Confraternita a un attentato contro i Babbani e farci ripiombare nei guai come ai tempi di Nobby Leach; con gente come Lodge al potere, c'era da stupirsi che non fosse già accaduto. Mentre cercavo di distrarmi da quell'ulteriore motivo di preoccupazione, pensai con orgoglio a mio figlio, a come avesse dato prova di essere nato per prendere il mio posto alla guida delle Terre, poi mille domande mi assalirono: avrei voluto sapere dove fosse, come stessero lui e Sile, se fosse vero che aspettavano un bambino, a che punto fosse Fear con le pergamene... e quanto avrei dovuto aspettare prima di poterli riabbracciare e dire a Mirzam quanto fossi fiero di lui.
Con un sospiro carico di nostalgia, entrai in Mildford Lane diretto alla traversa che immetteva in Essex Street, la mia casa si trovava a metà di quel “budello” di case signorili: stava ricominciando a nevicare quando imboccai la via, mi strinsi di più nel mantello e affondai naso e bocca nel bavero, soffrendo l'improvviso vento gelido che s’incuneava dal fiume attraverso l'arcata in fondo alla strada; arrivato di fronte alla porta, un intenso odore di carta e tessuto bruciati mi permeò le narici, sollevai lo sguardo e vidi che c'era del fumo che stava uscendo dalla finestra di una camera del secondo piano, la stanza di Mirzam: subito mi si rizzarono i peli sulla schiena. Mi guardai attorno, per strada non c'era nessuno, erano tutti in casa, al caldo, davanti alla tavola imbandita, nessuno si stava accorgendo di quel principio d’incendio, né di me, né di quello che stavo facendo: preoccupato, teso, pronto a qualsiasi evenienza, serrai la bacchetta nella sinistra e infilai con la destra la chiave nella toppa, infine, cercando di non fare rumore e di trattenermi dall'irrompere in casa come un ossesso, mossi la pesante porta di quercia ed entrai, furtivo, nella penombra dell'ingresso, lasciando appena socchiusa la porta. Accarezzai con le dita il legno, dietro di me, ne percepii la Magia, qualcuno l'aveva aperta ma non si era curato di reintrodurre gli incantesimi che avevo lasciato io, questo significava che gli ultimi ad aprire non erano stati né gli Elfi, né Deidra: com'era possibile? Tesi l'orecchio e mi resi conto che c'era troppo silenzio, mi chiesi dove fossero mia moglie e i bambini, sentii l'adrenalina e il terrore corrermi nel corpo e infiammarlo, m'imposi la calma, forse erano già fuggiti per il fuoco, ma alla fine i miei occhi videro ciò che mai avrei voluto vedere...

    Salazar santissimo...

A terra, sulla soglia che divideva il salotto dal corridoio, intravidi a distanza la figura esanime di un Elfo, sembrava Kreya, e questo mi diede la conferma che qualcosa di orribile era accaduto o forse stava ancora accadendo; il cuore sembrò esplodermi fuori dal petto, desideravo urlare il nome di Deidra e dei miei figli, correre di sopra per capire la natura di quel fuoco, correre da Kreya per vedere cosa le fosse successo, girare per tutta la casa alla ricerca della mia famiglia, finché il silenzio angoscioso non fu rotto dal pianto di un bambino: pur lontano e attutito, riconobbi l'inequivocabile vagito di Adhara, a quell'ora sicuramente affamata, provenire forse dal salotto.

    Dove sei, piccola mia? E dov'è tua madre?

Tesi l'orecchio, per essere sicuro della provenienza, mi parve di riconoscere anche la voce di una donna, ma li sentivo lontani, stranamente lontani, come protetti da una bolla ovattata: non si trattava di un Muffliato, no, altrimenti non avrei sentito nulla, doveva esserci un incantesimo diverso tra me e loro, un incantesimo che stentavo a riconoscere.

    Se solo fossi tornato a casa subito, se solo avessi preso la Metropolvere, maledetto me!

Rimasi immobile, paralizzato dalla paura e dal senso di colpa, ma la parte razionale di me, il figlio di mio padre, riprese il controllo, ricacciando il resto in un angolo profondo a disperarsi e a maledirsi: se avessi fallito, avrei avuto la mia intera, miserabile esistenza per maledire me stesso.

    Omnia refracta refringo! (3)

Sibilai piano, tracciando nell'aria con le dita immaginari rettangoli di Rune tutto attorno a me e soffiandoci sopra: dal nulla si librarono nell'aria impalpabili superfici rifrangenti, capaci di moltiplicare all'infinito la mia immagine, in un gioco di specchi, per confondere un eventuale nemico che mi stesse tendendo un agguato e darmi piena visibilità di ciò che avevo alle mie spalle. Tesi l'orecchio, mi concentrai, no non c'era silenzio assoluto in quella casa, c'erano passi che si muovevano rapidi e pesanti, su, ai piani di sopra, e non mi arrivavano attutiti, al contrario dei rumori del salotto, questo mi convinse che doveva esserci un incantesimo circoscritto attorno ai miei familiari; quando mi parve di riconoscere la voce di Roland Lestrange, forse su in mansarda, il desiderio folle di salire a ucciderlo a mani nude mi ruggì nel petto, ma m’imposi la calma, prima di ogni altra cosa dovevo scoprire cosa stava accadendo in salotto, ero sicuro che Deidra e i bambini fossero tutti lì, dovevo raggiungerli e liberarli, alla vendetta avrei pensato in seguito. Avrei anche fatto bene a stare in allerta, rischiavo di essere catturato e a quel punto non avrei potuto fare nulla per i miei: sapevano che non sarei tornato a casa a breve, che il processo, messo in atto con l'aiuto dei loro amici del Ministero, mi avrebbe tenuto lontano forse fino al pomeriggio, Moody però aveva scombinato i loro piani ed io ero uscito dal Ministero da oltre un'ora. Possibile che i loro complici non li avessero avvertiti del mio probabile arrivo imminente? No, non ci credevo, dovevano aver messo qualcuno o qualcosa di guardia ad attendermi. Silenzioso, simile a un'ombra, scivolai lungo il corridoio, la bacchetta in mano, superai la scalinata che portava di sopra, vidi un vaso schiantato a terra, un quadro cui mia madre teneva tanto ridotto a pezzi, udii una voce maschile, che ero certo di conoscere, bisbigliare nel salotto.

    «Te lo chiedo di nuovo... Quali sono gli ultimi ordini che ha dato a Fear... dove è andato?»
    «Loro parlano nello studio, io non assisto mai, quel vecchio malefico mi mette i brividi... »

Sì, pur attutita, quella era la voce di Deidra, sentivo che era impastata, forse l'avevano drogata o sottoposta a qualche incantesimo ma lei era viva, e si trovava nella stanza in cui era attiva una Passaporta: dovevo entrare, colpire l'aggressore e trascinare al sicuro lei e i bambini. Prima dovevo assicurarmi che con lei ci fosse anche Wezen, l'unico di cui non avevo ancora sentito la voce: Deidra avrebbe supplicato, si sarebbe agitata, se uno dei nostri figli fosse stato lontano da lei, soprattutto con una bestia immonda come Roland in giro per casa, invece stava rispondendo alle domande con relativa tranquillità, questo mi rendeva ottimista che fossero entrambi con lei, o addirittura che Doimòs fosse già riuscito a smaterializzare mio figlio, al sicuro... Forse Kreya era stata uccisa proprio per impedirle di portare in salvo anche Adhara e Deidra. Buttai una rapida occhiata su quel povero corpicino, era ancora lontano, ma capii subito che non era stata uccisa da un'Avada, sembrava ferita e ustionata, doveva essere morta soffrendo e questa consapevolezza spinse la rabbia a prendermi di nuovo allo stomaco: mia madre mi aveva insegnato a non essere violento con gli Elfi, ma negli anni ero andato ben oltre i suoi insegnamenti, al punto che Kreya mi era stata sempre molto cara e avevo avuto serie difficoltà a separarmene persino quando avevo deciso di donarla a Mirzam.

    E ora quei maledetti...

Deglutii a fatica, ricacciai odio e lacrime che mi opprimevano il petto, i pugni stretti. Stavolta fu più difficile restare pienamente in me, ma mi feci forza, sarebbe bastato un errore e avrei rischiato di perdere Deidra e i miei bambini, dovevo concentrarmi, assicurarmi che le mie supposizioni fossero giuste, che Wezen fosse con Deidra o al sicuro, poi dovevo chiarirmi come fossero disposte le persone rispetto alla Passaporta, e soprattutto quanti fossero i nemici da affrontare per arrivarci, e tutto questo cercando di evitare di essere colpito alle spalle: il trucchetto con gli specchi sarebbe venuto meno in fretta, una volta scoperto, e il primo che l'avesse notato avrebbe dato l'allarme a tutti gli altri.

    Specula!

Bisbigliai piano, puntando la bacchetta contro il mobile posto di tre quarti davanti al salotto, perché riflettesse verso di me la scena che si svolgeva dentro la stanza, io intanto mi appiattii dietro a una consolle, l'orecchio teso rispetto quanto accadeva di sopra: per il momento sembrava che nessuno avesse intenzione di scendere, Roland però aveva iniziato a rivolgere i suoi inequivocabili insulti ai suoi compari, due, forse tre, chiedendo l'origine del fumo che si addensava sulle scale (4).

    «Che cosa è stato?»
   
«Smettila di battere i denti per ogni sussurro, o ti pietrifico e ti lascio qui... » 
   
«Ho visto qualcosa! Te lo ripeto, c'è qualcuno nel corridoio!»
   
«Saranno gli altri, magari di sopra hanno già finito... e comunque... non dicevi che il tuo “trucchetto” ci avrebbe protetto persino dal demonio? Tieni d'occhio quell'Elfo, piuttosto!»

Non riconobbi la seconda voce maschile, ma ora sapevo che c'erano almeno due carcerieri e che anche Doimòs era nella stanza, al contrario non ero riuscito a capire quanti fossero “gli altri” di sopra: decisi di erigere una fattura protettiva alle mie spalle per impedire loro e soprattutto al fuoco di raggiungerci, e potermi concentrare sul “trucchetto” e sul piano per liberare Deidra, o almeno provocare il trambusto necessario a distrarli e permettere ai miei di usare la Passaporta. Studiai bene la scena: Deidra era seduta sul divano, guardava verso di me, aveva un livido sul volto che mi fece di nuovo montare la rabbia in corpo, per il resto non sembrava ferita o sofferente, ma i suoi occhi erano vitrei, come avesse la febbre e non fosse del tutto in sé, anche la posizione un po' abbandonata sul divano mi faceva supporre che fosse sotto l'effetto di una fattura; su di lei, seduto sul bracciolo, incombeva un uomo che vedevo di spalle, vestiva una toga scura e dal colore dei capelli e dalla rigidità e imponenza del corpo non mi fu difficile riconoscerlo.

    Abraxas Malfoy... ti farò rimpiangere di essere nato... lurido bastardo...

C’era anche quello schifoso traditore di Emerson, in piedi accanto al caminetto, dava le spalle alla Passaporta-attizzatoio, avrei dovuto abbatterlo per liberarci la strada e l'avrei fatto con molto piacere, ma non subito, quella merda di uomo si stava facendo scudo proprio con Wezen.

    E Doimòs e Adhara? Dove sono nascosti? E c'è qualcun altro con loro?

A meno che non fosse nascosto dietro la porta, nel punto cieco, non doveva esserci nessun altro, avrei dovuto affrontare due nemici, ciascuno dei quali teneva un ostaggio; non avevo dubbi che la bambina fosse lì, era stata la sua voce ad attirarmi verso il salone, appena entrato, ma prima di agire dovevo essere sicuro anche della sua posizione, rispetto a quella di tutti gli altri. Riflettei, se quelli erano gli unici avversari, forse con un po' di accortezza sarei riuscito a liberare i miei senza combattere, questo avrebbe ridotto di molto i rischi per Deidra e i bambini: conoscevo quei due molto bene, erano entrambi astuti, ma per fortuna nessuno di loro era un maniaco ossessionato dal sangue e dalla violenza, avrei potuto far leva sulle loro paure o sulla loro avidità, avrei potuto tentare di metterli uno contro l'altro, ricorrendo alla forza solo se necessario. Era il momento di agire: estrassi il pugnale dalla cintola, mi ferii il palmo e raccolsi delle stille di sangue, bagnai i polpastrelli e disegnai a terra un cerchio, con all'interno due triangoli rovesciati, al centro dell'intersezione tracciai la Runa del fuoco, poi invocai le fiamme a protezione dei miei cari, aizzandole contro i maledetti che avevano profanato la nostra casa. Ero stato accorto, prima di portare la mia famiglia a vivere lì, avevo approntato numerosi incantesimi nell'antica dimora dei Meyer, non solo per dissimulare la presenza della Magia a così stretto contatto con i Babbani, ma per sfruttare la forza delle Rune lontano dalla Terre del Nord: quella casa avrebbe risposto come un essere vivente ai miei ordini, proteggendo i miei familiari e rivoltandosi contro i nemici e, soprattutto, opponendosi all'ingresso di persone indesiderate.

    Opponendosi persino a Milord.

Ero certo che avessero usato un inganno per entrare, nessuno avrebbe potuto farlo senza il permesso o l'aiuto di uno Sherton: doveva essere stato Emerson o un altro dei miei a tradirci, a sfruttare a proprio vantaggio la fiducia di Deidra, per poi pugnalarla alle spalle. Infiammato d'odio, osservai la barriera di piccole lingue infuocate crepitare dietro di me, sollevandosi lungo l'attaccatura delle pareti e levandosi rapide a formare una muraglia ininterrotta che mi proteggeva le spalle, contemporaneamente il fuoco nel camino ruggì, levò alte le lingue rosseggianti e quel verme di Emerson, spaventato, si allontanò con un balzo, scoprendo il piccolo Doimòs che reggeva mia figlia, accucciato di lato al camino, a pochi passi dall'attizzatoio.

   
«Non sono i nostri, Malfoy, hai visto cos'ha fatto il fuoco, adesso?»
   
«Ti ho detto mille volte di non pronunciare il mio nome in missione, pezzo di un idiota!»
   
Abraxas si alzò e prima di voltarsi si passò una mano sulla faccia: il primo pensiero di quel vile era, come al solito, salvarsi il culo, mascherando la propria identità, ma io avevo già visto e sentito abbastanza da riconoscerlo; pur mascherato, inoltre, notai che appariva sfinito, doveva essersi sfiancato con la Magia, cercando di forzare la mente di Deidra, la sua Legilimanzia però era inutile, Fear non aveva semplicemente nascosto i ricordi di mia moglie, li aveva del tutto cancellati.

   
«Lascia stare Emerson, cugino, ti sei messo nei guai da solo, presentandoti qui senza invito!»

Appena mi vide sull'arco della porta, la bacchetta sguainata e lo sguardo truce, Abraxas afferrò Deidra per un braccio e la sollevò, puntandole il legno alla gola e facendosi scudo con lei.

    «Se non farai scherzi, Sherton, non le farò niente e... niente capiterà a te... »
   
«Dimmi... se tu sei qui... chi era il buffone che hai pagato per crearti un alibi, con quelli del Ministero? Non sarà stato il tuo prezioso Signore Oscuro, spero! Non ti ha reso un buon servizio, sai? Non ha difeso i tuoi interessi e, a quanto pare, non vi ha nemmeno avvertito che stavo arrivando... e tu che credevi di aver affidato la tua vita alla persona giusta, povero, povero cugino!» 

Mi fissò stranito, forse non si aspettava di vedermi, o forse non capiva di cosa stessi parlando, di sicuro non si aspettava che cambiassi improvvisamente discorso in quel modo; io intanto mossi un passo, proprio approfittando della sua confusione e disattenzione.

    «NO, ALSHAIN, NON AVVICINARTI! È COSÌ CHE HANNO UCCISO KREYA!»

Deidra, trattenuta dalla presa forte di Malfoy, era in lacrime, mi supplicò di non muovermi, io guardai a terra il corpo inanimato di Kreya, ancora un passo e sarei stato accanto a lei, fissai i due individui, avevano così paura di me, nonostante le fatture approntate, che serravano entrambi con forza la bacchetta e si nascondevano dietro i propri ostaggi; ghignai della loro vigliaccheria, ma quando sentii mia figlia piangere disperata, forse per la fame, alla rabbia si aggiunse il disgusto.

    «Complimenti, Abraxas, hai catturato una donna, sorpresa con l'inganno, due Elfi e due neonati: che azione eroica! Lascia andare Deidra e ordina a questo traditore bastardo di liberare mio figlio! Sei qui per me, parla con me, chiedi a me ciò che vuoi sapere! Comportati da uomo, per una volta! Lascia andare la mia famiglia ed io non ti farò del male, o almeno... cercherò di non fartene troppo, in nome del Comune Sangue... Continua con questa follia, invece, e... brucerai all'inferno!»

Mentre il fuoco nel camino ingrossava sempre di più e l'aria, lo vedevo dal sudore che imperlava le loro fronti, si faceva irrespirabile, Malfoy mi guardò: sapevamo entrambi che Deidra non aveva le informazioni che gli servivano, quelle potevo dargliele solo io... mia moglie e i miei figli erano utili solo a costringermi a negoziare ed io mi ero appena offerto di trattare con lui... Che cos'altro voleva ancora? Tutto il resto sarebbe stato solo un’assurda situazione di stallo, che poteva finire male per l'intervento dei bastardi del piano di sopra, esito di nessuna utilità per nessuna delle parti. Speravo che Abraxas se ne rendesse conto al più presto.
   
    «Faresti morire anche loro, per far del male a me? No, tu non faresti mai del male ai tuoi!»
    «Hai ragione, infatti, il fuoco brucerà e soffocherà solo chi non è segnato col mio Sangue!»
    «La barriera di Emerson invece non guarda in faccia nessuno, Sherton, e, come ho già detto a tua moglie, io so che tua figlia, quella poppante priva di Rune, non può essere l'erede di Hifrig... per la causa di Milord non ha alcun valore... Richiama il tuo fuoco, Alshain, o il tuo Elfo passerà la barriera con la bambina in braccio... e ti assicuro che non è uno spettacolo bello da vedersi!»
    «ALSHAIN TI PREGO, FAI COME TI DICE, TI PREGO!»
    «Non temere, Deidra, Abraxas non farà niente, non è uno stupido! Se lui toccasse anche uno solo dei nostri figli, sa che io ucciderei il suo unico, prezioso Lucius, e la nobile, illustre famiglia Malfoy si estinguerebbe per sempre... E tutto questo per cosa? Non è minacciando Adhara che può salvare se stesso... Io posso spegnere questo fuoco, vero, ma se non se ne andrà, a ucciderlo sarà quello che i suoi stupidi amici hanno appiccato di sopra, in una casa vecchia, piena di legno, una casa non magica che tra poco inizierà a cadere a pezzi. Se vuoi salvare la tua patetica vita, cugino, togli questa fattura e vattene via da qui: la tua vita dipende solo da te! Se invece preferisci restare qui, ad aspettare non si sa che cosa, fai pure... Soffocherai o perderai i sensi, prima che il fuoco inizi a divorarti la carne o che le pietre ti sfondino il cranio? Non lo so... Visto quanto ti odio in questo momento, potrei obbligarti a restare cosciente, per farti sentire come puzza e sfrigola la tua carne, mentre arrostisce, simile a quella dei maiali!»

Malfoy impallidì, comprendeva la situazione in cui si era cacciato, lo sentii imprecare, maledire i suoi compari e la loro idiozia, ed io mi rincuorai, perché ormai iniziavo a credere che tutto si sarebbe risolto per il meglio... purché Abraxas agisse prima che scendessero i Lestrange.
   
    «Togli l'incantesimo, Emerson! Andiamocene! Ma tu verrai con noi, Alshain! Abbiamo metà della tua famiglia, consegnati a me e li lascerò liberi di Smaterializzarsi dove vorranno!»
   
Abraxas strinse ancora di più Deidra, che m’implorò con lo sguardo di non cedere, io invece feci un segno di assenso e abbassai la bacchetta, tutti guardammo Kenneth Emerson aspettandoci che agisse a sua volta, ma lui non si mosse, sembrava di colpo assente, perso in un mondo tutto suo, non ascoltò Malfoy, non estinse la fattura, anzi andò a sedersi, trattenendo Wezen, sollevò la manica sinistra, scoprì l'avambraccio, su cui campeggiava l'osceno marchio dei Mangiamorte, e lo toccò.

    «Che diavolo stai facendo, sei impazzito? Non puoi chiamarlo qui se c'è ancora questa fattura, vuoi forse ucciderlo? Togli questo cazzo d’incantesimo Emerson! Te lo ordino!»

Malfoy iniziò a tossire come preda di una crisi d'asma, Kenneth sembrava una statua di cera che si stava sciogliendo per il calore, continuò a osservare davanti a sé, immobile, lo sguardo vuoto, io non capivo cosa aspettasse, eravamo d'accordo, mi ero arreso, fissai Deidra e Doimòs, il fumo su di loro e sui bambini non faceva effetto, ma avrebbero sentito sempre più caldo. Abraxas, con la vittoria ormai in pugno, doveva in qualche modo mettere fine a quella follia. Decisi di forzarlo, giocando l'ultima carta, bluffando.

    «Qualcuno l'ha affatturato, Abraxas, qualcuno che non vuole che sia tu a consegnarmi al tuo Signore e ottenere il meritato trionfo... qualcuno che vuole che tu muoia qui, in trappola, con tutti noi... Io posso aiutarti, puoi fuggire, anche se Emerson è in quelle condizioni: ci sono due Passaporte in quella stanza! Libera la mia famiglia, Malfoy, lascia che mia moglie prenda i bambini e usi la prima Passaporta, io t’indicherò e ti lascerò usare la seconda... »
    «Certo... lo credo proprio... mi reputi forse uno stupido?»
    «No, credo tu sia solo uno sciocco malfidato, Malfoy, uno sciocco che sta per morire solo perché non si fida della mia parola! Decidi in fretta in cosa vuoi credere, il solaio sta per cedere!»

Alzò lo sguardo, spaventato, la cenere iniziava a piovere in vari punti, il salone era sotto la stanza di Mirzam e il fumo iniziava a penetrare anche dal giardino interno; rapido, trascinando Deidra con sé, raggiunse Emerson, lo minacciò di nuovo: era più stupido di quanto sospettassi.

   
«Maledetto idiota, chi ti ha ordinato di intrappolarmi? Togli questo cazzo d’incantesimo!»
   
All'improvviso, mentre Malfoy minacciava, ricattava e arrivava a implorare Emerson, dovetti smettere di godermi quella farsa, perché dietro di me, si sentì un'improvvisa risata agghiacciante e delle urla provenire dal piano di sopra, ci fu un correre rapido di passi pesanti, poi una voce gridò “al fuoco”, altri passi si slanciarono lungo le scale, qualcuno si accorse del trucco degli specchi e li mandò in frantumi; sentii volare incantesimi, sempre più fitti, oltre la parete di fiamme estesa per quasi metà altezza, dovevano essere almeno in due ad attaccarmi, cercavano di colpirmi con degli Schiantesimi, ma io riuscii a nascondermi e a contrattaccare: sentii un tonfo, forse ero riuscito a colpire uno dei Mangiamorte, mentre l'altro continuava a bersagliarmi alla cieca. Tutto si svolse in pochi, rapidi, concitati minuti, finché un riverbero verdastro illuminò mezzo corridoio, dal piano di sopra, mettendo poi fine allo scontro e facendo calare il silenzio. Qualcuno aveva davvero lanciato un Avada dentro la mia casa? Che fossero impazziti e avessero iniziato a combattersi tra loro? O forse qualcosa aveva attirato gli Aurors e avevano iniziato a combattere i Mangiamorte? Sarebbe stata la prima volta che avrei accolto con gioia i Ministeriali in casa mia...

    «CHE COSA STA SUCCEDENDO? DOVE SEI, SHERTON? FAMMI USCIRE DA QUI!»

Mi ero nascosto presso il tavolo, al sicuro, Malfoy, non vedendomi più sembrava impazzito:  se fossi morto, la possibilità per lui di mettersi in salvo sarebbe morta con me, gli sarebbe rimasta una sola opzione, colpire Emerson, ma se l'avesse fatto, avrebbe colpito anche Wezen, un bambino troppo importante per Milord, il Signore Oscuro gliel'avrebbe fatta pagare cara, forse con la vita. D'altra parte, se non avesse agito, presto avrebbe perso i sensi, Deidra avrebbe preso i nostri figli e sarebbe scappata con la Passaporta, così la missione sarebbe fallita e il grande Abraxas Malfoy sarebbe morto invano: benché la bolla attutisse i suoni, ero abbastanza vicino da udirlo strillare come un maiale in trappola, consapevole dell'assurdità in cui si era cacciato, spaventato per la pioggia di cenere, per il fuoco nel camino che s'ingrossava, per le fiamme che riverberavano, per  Crouch e i suoi che potevano piombare lì, trovarlo e trascinarlo via in catene.

    «Sono gli Aurors, Malfoy, sono qui per te... ti prenderanno e ti faranno marcire ad Azkaban!»

Glielo urlai contro ridendo, gli occhi da folle, mentre i miei aggressori salivano di sopra per controllare la situazione, io mi ero alzato ed ero andato di nuovo sull'arco della porta, per tranquillizzare Deidra delle mie condizioni e per assicurarmi che lei e i bambini non soffrissero troppo il caldo e il fumo; Malfoy si ostinava a portare la maschera e a trattenere Deidra, ma cercava disperatamente di allentarsi la cravatta con una mano sola, le dita tremanti, arrivò a graffiarsi la carne a sangue, e quando finalmente riuscì a togliersi quella specie di cappio, si riempì i polmoni con ampie boccate d'aria, peccato che tutto, intorno a lui, ormai era pregno di fumo. Emerson appariva intontito, immobile, assente, sembrava non rendersi conto: doveva essere stato posto sotto Imperius (5) ma non capivo che senso avessero gli ordini che stava eseguendo, la sua ostinazione danneggiava Malfoy e la missione, favorendo me, non avevo idea di chi glieli avesse impartiti, pregavo solo che fosse l'unica pazzia che gli avevano imposto di fare. Feci un cenno a Doimòs, il suo sguardo d’intesa mi fece capire che era pronto, appena Abraxas e Emerson avessero perso i sensi o avessero deciso di mollare Deidra e Wezen, sarebbero andati tutti insieme verso la Passaporta, avrebbero raggiunto il capanno di Amesbury e da lì si sarebbero smaterializzati a Herrengton, al sicuro; a quel punto, mentre Abraxas era svenuto o implorava l'inesistente seconda Passaporta, io avrei mandato il mio Patronus a Moody, per farli arrestare tutti: con un po' di fortuna Crouch avrebbe catturato persino il Signore Oscuro, ottenendo la promozione che gli avrebbe spianato la strada per diventare Ministro e in cambio avrebbe finalmente lasciato in pace la mia famiglia. Sorrisi: era un bellissimo sogno, solo un sogno... che non si sarebbe realizzato mai. Prima dell'arrivo degli Aurors, Riddle avrebbe rimosso tutti gli incantesimi che mi stavano proteggendo, lo sentivo, era fuori dalla mia casa e stava abbattendo a una a una tutte le mie difese,  alla fine sarebbe entrato e mi avrebbe ucciso, ma contavo che per allora la mia famiglia sarebbe stata al sicuro nelle Terre, là dove lui, un Mezzosangue, non avrebbe potuto toccarli mai.

    Mai...

Controllai il soffitto, gli incantesimi che avevo posto l'estate precedente sembravano funzionare bene, ovunque sembravano aprirsi crepe e penetrare cenere e pezzetti di legno in fiamme, una perfetta recita per terrorizzare Abraxas, ormai sull'orlo di una crisi di nervi, in realtà, nemmeno un uragano o un terremoto avrebbe scalfito quella casa.
Nulla... a parte Lord Voldemort, una volta che avesse scardinato il potere dell'ultima Runa.

    «È ora di consegnarti nelle mani di tuo padre... »

All'inizio non capii, all'inizio nemmeno mi resi conto che quella era la voce di Kenneth, all'inizio non se ne rese conto nessuno di noi; poi, allucinato, vidi Emerson alzarsi, mettere a terra il bambino e sorridergli, per un momento il cuore mi si riempì di gioia, forse quel pazzo aveva avuto un rigurgito di coscienza e aveva infine deciso di rendermi mio figlio, mettendo fine all'incubo. Kenneth, però, era appunto solo un pazzo, un traditore, un assassino... Un mostro che iniziò a indicare la porta a mio figlio.

    «Vai da tuo padre, svelto! Lo vedi tuo padre? È lì, davanti a te! Corri da lui!»
    «NO! TI PREGO! NO!»

Deidra fu la prima di noi a capire, iniziò a urlare, tentò di divincolarsi, guardai lei, Abraxas, Kenneth, mio figlio, allucinato e incredulo, poi con orrore mi resi conto che Wezen, sulle sue gambette ancora incerte, stava caracollando verso di me, ripetendo “papa Scei, papa Scei”, ridendo orgoglioso del tragitto che aveva imparato a percorrere senza aiuto, le manine tese verso di me.

   
«SALAZAR, NO! FERMALO! FERMATELO! PRENDI IL BAMBINO! DOIMÒS, PRENDI IL BAMBINO!»

Doimòs cercò di obbedirle, lasciò Adhara sul divano, al sicuro, poi corse verso nostro figlio, ma era lento, troppo lento, a parte l'età avanzata, dovevano averlo colpito e le sue reazioni apparivano ora rallentate e goffe, soprattutto in confronto alla corsa di Wezen, rapido come una lucciola mentre cercava di raggiungermi per farsi prendere tra le mie braccia. Kenneth era immobile e sogghignava, lo sguardo vacuo, da pazzo; Wezen stava per raggiungermi ed io lo imploravo di fermarsi, quando Abraxas lasciò la presa su Deidra, con il respiro affannato balzò dietro mio figlio; Deidra, disperata, era alle sue costole, distanziata di poco. Con un sospiro di sollievo collettivo, Malfoy lo sollevò da terra, levandolo in alto, proprio quando mancava un centimetro da me e dalla morte e, senza quasi più respiro, si voltò: sembrava intenzionato a consegnarlo nelle mani di Deidra, ma Wezen, inconsapevole dell'orrore cui era appena sfuggito, si mise a ridere con la sua risata cristallina, iniziò a tirargli la barba e gli si aggrappò addosso, andando a giocare con le lunghe chiome dello “zio”.

   
«Grazie... »

Lo mormorammo all'unisono, Deidra ed io, divisi da quella barriera impalpabile e mortale, le lacrime agli occhi, fissando quell'uomo detestabile che, per una volta, ci aveva appena reso la vita, quasi fosse un dio; Malfoy sorrise al bambino tra le sue braccia, poi si voltò a fissarmi, il suo sguardo chiaro come la luna era indecifrabile, eppure sapevo che era carico di tutti quei saccenti ammonimenti che da anni mi riversava addosso.

    «Sei proprio un piccolo, vero Mago, Wezen, se sei riuscito a far dire “Grazie” a tuo padre!»

Lo bisbigliò piano, ma abbastanza da capire, Deidra sorrise, commossa, io no: di colpo, anzi, sentii il terrore invadermi, perché quelle parole, così ironiche e innocenti, avevano qualcosa di sinistro, erano esattamente le parole “intraducibili” che mia madre  ripeteva in sogno da settimane. Emerson fece la sua mossa allora, levò la bacchetta e la puntò, centrando in pieno Deidra con uno Schiantesimo e facendola cadere all'indietro: fu tutto così rapido che nemmeno capii, vidi solo una specie di lampo, sentii delle urla, Doimòs che guaiva, Wezen che scoppiava in lacrime tra le braccia di Abraxas, la cui espressione, mentre reggeva la bacchetta, era sempre più enigmatica.

    «AVADA KEDAVRA»

Per un secondo Deidra parve librarsi in aria, come una farfalla presa nella rete di un ragno, ma ricadde subito giù, mentre il bagliore della “morte verde” s’irradiava nella stanza, illuminava dall'interno la trappola che aveva cercato di strapparle la vita e la luce della coscienza lasciava lo sguardo di Emerson, crollato a terra, come una marionetta cui avessero reciso i fili. Morto Emerson, i suoi incantesimi vennero meno, fattura inclusa, avanzai di alcuni passi, urlando il nome di Deidra, proteso a raccoglierla mentre scivolava a terra, poco distante da Kreya. La strinsi subito tra le mie braccia.

    «Dei... Ti prego, svegliati! Svegliati, Dei! Svegliati... Non lasciarmi... non lasciarmi, Dei... »

La fissai, le scansai i capelli dal viso, era madida di sudore, ma era calda, sentivo il suo sangue pulsare sul suo collo, mi abbassai a baciarla, a baciarle gli occhi, le labbra, il mento, cercando di assicurarmi che quel calore fosse vero, che lei fosse davvero viva. Che restasse con me.

    «Ora dovresti dirmi grazie di nuovo... la fattura non ha fatto in tempo a... »
    «Perché non l'hai ammazzato subito? Perché non l'hai fatto appena ha messo a terra mio figlio?»

Abraxas ghignò, la bacchetta ancora in pugno, sovrastandomi, io ero a terra, con Deidra tra le braccia, lei stava lentamente aprendo gli occhi ed io mi ritrovai a non pensare più a nulla, non al Signore Oscuro che stava forzando le difese, non ai Mangiamorte che si stavano accalcando lungo le scale, nemmeno alla promessa di arrendermi: pensavo solo a ringraziare gli dei che lei fosse viva, che i suoi occhi mi stessero fissando, che le sue labbra si stessero dischiudendo in un sorriso. Che il suo respiro si traducesse in un “ti amo”. Immobile, respirando a fatica l'aria fetida di fumo che penetrava dalle scale, Malfoy continuava a tenere stretto a sé mio figlio, poi iniziò a muoversi lentamente, verso il giardino: all’inizio non lo notai, solo alla fine, con la coda dell'occhio, mi resi conto che superava Doimòs, ancora attonito, colpiva l'Elfo con un manrovescio e si chinava a prendere anche la bambina.

    «Che cosa diavolo stai facendo, Malfoy?»
    «NOOOOOOOOOOOOOOOOOO!»

Con le poche forze che aveva in corpo, Dei cercò di slanciarsi, ma incespicò e cadde sulle ginocchia, io la sorressi e insieme corremmo verso di lui, ma Abraxas non rispose, nemmeno ci guardò, si Smaterializzò all'istante, portando via con sé entrambi i nostri figli più piccoli. Raggiunsi il punto da cui era sparito quando ormai la luce dell'incantesimo si era dissolta,  urlai, imprecai, lo maledissi, mentre Deidra scoppiava in lacrime e gli Schiantesimi dalla penombra rosseggiante del corridoio ci piovevano addosso, attraverso la stanza. Sguainai la bacchetta, facendo scudo a Deidra, in lacrime, incapace di muoversi, di parlare, persino di respirare, i suoi lamenti mi rendevano vuota la mente, un dolore profondo riverberava il suo e mi spezzava il cuore.

    «Vattene via, Deidra... mettiti in salvo! Doimòs, portala via!»
    «Io non ti lascio qui, che cosa resti a fare qui? Dobbiamo andare a riprendere i bambini! Devi aiutarmi a riprendermi i miei bambini! Non puoi farmi togliere anche questi bambini!»
   
Mi colpì con i pugni, affranta dal dolore e dalle lacrime, dal vuoto che le divorava il cuore da quando aveva dovuto dire addio al suo Mirzam, mentre i miei incantesimi di protezione avevano sempre meno efficacia; io sarei rimasto lì, perché quello era il mio posto, perché solo io potevo mettere fine a tutta quella assurda guerra, una volta per tutte.
Respirai a fondo, consapevole che era giunto il momento, mentre dal muro di fuoco che non riuscivo quasi più ad alimentare, apparvero le figure mascherate di alcuni Mangiamorte, alla cui testa c'era Rodolphus Lestrange, a viso scoperto, i lineamenti anneriti dalla fuliggine, in mano la mia bacchetta: rideva, come un folle, diceva qualcosa, ma nulla di quanto usciva dalle sue labbra aveva ormai senso per me.

    «Ti prego... vattene... se prendesse anche te, nessuno saprebbe mai dove cercare i bambini... »
    «Io non ti lascio qui... Che senso ha restare qui? Non conta la promessa che... »
    «No, Dei. Questo è il mio posto... Sono l'erede di Hifrig e il mio compito è obbedire al sangue di Salazar... tutto quello che di male è accaduto alla nostra famiglia è dovuto a questo, alla mia arroganza e alla mia mancanza di rispetto... ma ora il Signore Oscuro avrà da me il riconoscimento che gli spetta dalla Storia... non ho Habarcat da offrirgli come fosse uno scettro, ma una corona sì, una corona fatta di fuoco e di sangue!»
    «Ecco a voi il Mago che non si sarebbe sottomesso mai! Senza nemmeno le palle di reagire e combattere... guardate, il signore di Herrengton, abbattuto dal dio cui ha dedicato la sua patetica, inutile vita di Rinnegato... l'Amore! Ora capisco da chi ha preso quella nullità di suo figlio!»

Rise, Rodolphus Lestrange rise, come risero tutti i presenti, a quelle parole urlate con voce gracchiante, da qualcuno dietro di lui: tutti si voltarono e lasciarono passare sua moglie, ne riconobbi subito lo suo sguardo fiammeggiante d'odio e follia. Staccai Deidra via da me, doveva andarsene prima che gli ultimi incantesimi difensivi venissero meno, fissai i suoi verdi occhi d'Irlanda, consapevole che sarebbe stata l'ultima volta che li guardavo, nella mente, dolce, il ricordo della prima volta che li avevo ammirati così da vicino, che avevo baciato quelle lentiggine e quelle labbra morbide; ripensai a com’erano dolci le sue lacrime, la prima volta, ribaciai nella memoria quegli occhi, ogni singola volta, ogni singolo bacio, ogni singola lacrima di gioia e di dolore, vissuti insieme, consapevole che sarebbe stata l'ultima. Lo sapeva anche lei. Prima che Deidra potesse reagire, prima che potesse parlare, prima che potessi perdere il coraggio, Doimòs le prese la mano e la Smaterializzò via, lontano, nemmeno io dovevo sapere dove, poi mi voltai, in tempo per vedere al centro della stanza una fosca nuvola nera aleggiare di fronte a me, davanti a tutti i Mangiamorte, davanti a ciò che restava del ritratto di mia madre, in quella casa che era stata il luogo per me più felice. Ora sapevo cosa avevano fatto Abraxas e Kenneth con il loro teatrino, il Mangiamorte buono e quello pazzo assassino, attirando la mia attenzione su Wezen prima e su Deidra in seguito, mi avevano confuso, distratto, avevano annebbiato la mia mente, così che perdessi il conto delle Rune da ripetere per sostituire quelle che il Signore Oscuro stava eliminando, una dopo l'altra, per raggiungere me, la mia mente e il mio cuore. Serrai con forza la bacchetta, mentre Riddle si materializzava al centro della stanza. Quel sottile fumo si addensava ormai in una forma definita, prima il contorno ampio del mantello, poi la figura intera, fino al suo ghigno malvagio, fino al lampo di nera morte nei suoi occhi.
Sorrisi. E la furia del Signore Oscuro squassò la mia casa dalle fondamenta e si abbattè su di me.
   
***

Orion Black
74, Essex Street, Londra - sab. 15 gennaio 1972

    «Si trova molto lontano questo ponte, dalla casa?»

Jarvis Warrington si guardava intorno confuso, non era mai andato dagli Sherton passando da quella parte, mi aveva detto, lui preferiva muoversi con la Metropolvere, e quando doveva passare per un Babbano -e questo lo disse guardandomi con una nota così beffarda e derisoria che portai subito la mano alla bacchetta, pronto a Schiantarlo, per quanto mi stavano prudendo le mani-, preferiva attraversare le strade alla moda e frequentare solo Babbani che sapevano ben vivere. Avevo chiuso il discorso con un secco e irritato “Già” e l'avevo distanziato, riflettendo tra me che i Maghi del Nord fossero tutti una manica di palloni gonfiati, saccenti e irritanti, per lo più senza il sano senso dell'umorismo che almeno temperava le spigolosità di Alshain, soprattutto se ci dava dentro con l'alcool: bastava vedere quel mezzo sociopatico di Fear, quel viscido di Emerson e ora quel damerino di Warrington... e sì che l'avevo pure considerato in gamba!

    «Allora? È distante?»

Negai con la testa, senza nemmeno voltarmi a guardarlo, la verità era che a ogni passo l'inquietudine mi serrava il cuore un po' di più e mi faceva tremare le gambe. Avevo un'orribile sensazione.

    «Dobbiamo attraversare il parco e salire quelle scale, vedi quell’arco lassù? È quello che si apre in fondo a Essex Street, la casa degli Sherton si trova poco più avanti... Purtroppo questo è l'unico luogo sicuro in cui è possibile Materializzarci... »
    «Dobbiamo fare in fretta, però... più in fretta, Black!»

Mi superò, nervoso, io lo seguii, facendo attenzione a non scivolare nella neve, aveva ripreso a nevicare forte, mi stavo intirizzendo dal freddo e forse aveva ragione lui, potevano Materializzarci più vicino, con quella specie di bufera, nessun Babbano si sarebbe accorto di noi e della nostra strana apparizione; entre rimuginavo tra me, rischiai di scivolare su un improvviso cumulo di neve ghiacciata, riprendendomi al volo.

    «Forse sarà meglio darci un piccolo aiuto magico... prima di spezzarci una gamba!»
    «Certo, così la Squadra Obliviatori verrà a romperci le scatole per un semplice Evanesca!»

Guardai Warrington in cagnesco, sicuro che mi stesse per rivolgere l'ennesima occhiataccia beffarda,  mi stavo anzi chiedendo se per caso fosse imparentato anche lui con Fear, perché i suoi modi irriverenti, a ben vedere, ricordavano pericolosamente quelli del vecchio sbalestrato.

    «Temo che i Ministeriali siano già qui… Black… »
    «E perché mai? Non abbiamo fatto nulla... e se solo Crouch osasse insinuare... »
    «Noi no... ma qualcun altro... per Salazar e tutti i Fondatori... »

Jarvis Warrington sembrava in tranche, spaventato a morte, la voce gli morì in gola, lo guardai, teneva il dito alzato e i suoi occhi erano febbricitanti di paura; seguii con gli occhi la direzione del suo dito, puntato su un quadrato di cielo davanti a noi e il respiro mi venne meno. Nel cielo color tortora che incombeva sulla città, carico di neve, aleggiava qualcosa di vivo, dagli strani riflessi colorati: non sapevo come apparisse ai Babbani, lì, nel cielo sopra il cuore di Londra, forse per loro era invisibile, forse appariva come una semplice illusione ottica. Non c’erano, però, dubbi per noi Maghi, né per le altre Creature Magiche, tutti potevamo ammirare, atterriti o estasiati, la vera forma di quell’oscena, terrificante, affascinante apparizione. Un teschio fiammeggiante di fiamme verdi si librava nel cielo sopra Essex Street, mentre un serpente usciva dalle sue labbra ghignanti, vivo e vittorioso portatore di morte.

    «Salazar... Salazar Santissimo… fa che non sia per…»      


*continua*



NdA:
Ciao a tutti, stavolta le note saranno telegrafiche perché devo correre a studiare ma ci tenevo a postare il capitolo nuovo visto che è tanto che non aggiorno. 
(1) Incontri di Coppa Campioni 1971/72: ai quarti, l'Arsenal fu eliminato dall'Ajax, il Celtic si qualificò contro l'Ujpest, in seguito il Celtic fu battuto dall''Ajax che quell'anno vinse la Coppa contro l'Inter per 2-0
(2) The Troubles, Irlanda del Nord
(3) Inventato di sana pianta, con le rimembranze di latino: a meno di orrori, dovrebbe significare "rifrango ogni immagine rifratta"
(4) L'azione di Alshain si sviluppa dopo quella di Deidra e in contemporanea all'episodio di Rodolphus
(5) Nello scorso capitolo Rodolphus dice di aver posto sotto Imperius Emerson, così che non togliesse la fattura, se non all'arrivo di Milord... lascio a voi le considerazioni e le ipotesi.
E ora vi saluto, ringrazio chi ha letto, aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, recensito... A presto

Valeria



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