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Autore: heiligerShadowfax    01/08/2012    3 recensioni
“In quello che è ormai lo stato delle cose, un uomo che dalla nascita fosse abbandonato a se stesso in mezzo agli altri sarebbe il più deforme di tutti” – Rousseau.
I commenti sono molto graditi!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo I: dove meglio si conoscono i nostri protagonisti, si comprende che le apparenze ingannano e che una raccomandazione nella vita può non  essere tutto.
 
-Ci siamo. Ci siamo, fottuto bastardo. Ci siamo davvero… e non potrai fare nulla per fermarmi, non sta volta. -
Il riflesso nello specchio le rispose con un sorriso determinato. Le sopracciglia contratte, le labbra strette, gli indici pronti a compire il loro dovere: quel brufolo non sarebbe sopravvissuto un solo giorno di più.
Aveva deciso di spuntarle una settimana prima, sproprio sul mento, e che dovesse portare o meno la maschera, come era da regolamento per le aspiranti saint, Beatrix non tollerava quella puntina bianca nella maniera più assoluta.
-leva quelle mani, Bea-. La voce le arrivò da dietro le spalle ed allo specchio, accanto al suo viso, andò ad accostarsi quello del fratello. Stessi occhi, stessi capelli, stesso naso dritto, stesse labbra sottili, forse troppo sottili per una ragazza. Uguale era anche l’arco delle sopracciglia, forse, l’unica cosa che differiva erano le orecchie, Death Mask, a detta dei più, possedeva dei lobi dalla curva più tonda: le orecchie di mamma, diceva lui. Benché della madre ricordasse ben poco.
Death Mask le sorrideva, con quella solita aria beffarda e sarcastica che tanto adorava mostrare. In quegli anni di addestramento, soprattutto durante l’anno passato fuori dal santuario, era cambiato molto. Alto  più della sorella, le spalle larghe, un fisico asciutto, temprato dagli allenamenti, pronto per qualunque battaglia e dotato di un’invidiabile linea degli addominali, della quale andava molto orgoglioso. Qualche ruga in più sul volto da ragazzo cresciuto troppo in fretta ed uno squarcio sulla schiena, come se qualche belva avesse avuto la deliziosa idea di farsi le unghie sulla sua pelle e poi, non contenta, la gradita pensata di trascinarlo sulle roventi rocce delle pendici dell’Etna.
-più te li schiacci, più ti inguai. Non hai le tette, almeno cerca di non rovinarti la faccia-, a questo rilievo non molto delicato, la ragazzina arrossì visibilmente, incrociando gli occhi. Purtroppo per lei, i suoi quattordici anni le avevano offerto che un fisico immaturo, niente curve ed un accenno di seno quanto meno inutile. Eppure lei continuava ad affermare di essere la più figa del mondo…
-guarda, Bea, sei piena di chiazze rosse e croste, ringrazia che sei obbligata a portare una maschera, altrimenti nessun uomo con un po’ di cervello ti si filerebbe-.
Già, la maschera. Ne vogliamo parlare?
Inutile, puzzolente, sudicio ed insopportabile sudario da mettere in faccia. Così, tanto per farti respirare male. Il motivo? Una maschilista regola secondo la quale, essendo il mondo dei Saint riservato ai maschi, se una donna vuole entravi a far parte deve, per forza, celare la propria femminilità. Stronzate. E poi? Quella regola senza senso del “se un uomo ti vede in faccia o lo ami o lo uccidi?” Altre stronzate. Con suo fratello la regola non credeva valesse. Gli voleva abbastanza bene da amarlo e certe volte lo odiava talmente tanto da cercare di ucciderlo. Sentimenti abbastanza equilibrati. Non davano fastidio a nessuno. Ma per il resto? Inutile regola. Vecchio dogma scolpito su pietre consunte buone solo per vecchi devoti. E quella bella roba sulla parità dei sessi che andava tanto di moda nel mondo esterno?
No, a Beatrix la maschera proprio non piaceva.
Suo fratello gliela porse, Beatrix osservò insofferente il volto d’argento, tinto da una macchia blu sull’intera parte sinistra, aggraziata da una rientranza a mezzaluna sulla guancia: -e questo che significa? Me la vuoi far portare anche in casa?-
-Lungi da me costringerti a questa tortura-la rassicurò Death Mask. -ti sto solo offrendo di andare a vedere una cosa interessante-
-una cosa interessante quanto?-, Beatrice avvicinò la maschera al volto.
-un altro raccomandato come te-.
Questa sembrava una proposta allettante.
-Death, ma non te la metti la cloth?- chiese la ragazzina, quando entrambi passarono accanto all’altare della casa del cancro, prima di uscire.
-metterla?- Death Mask ne sembrava oscenamente disgustato -sei matta, Bea? La mia ragazza va protetta, se la metto tra la gente i pezzenti me la rovinano…no, assolutamente!  Vedermela addosso è un onore che va concesso solo a chi ha desiderio di morire per mano mia, eh…un po’ di cervello, insomma -.
Fu quello il momento in cui accadde uno dei tanti avvenimenti della vita che mai una persona riterrebbe davvero importante. Il caso volle che un misero pezzente avesse deciso proprio in quel momento di transitare per la loro strada. Un uomo dal portamento forse troppo fiero per quel misero mantello con il quale era vestito. Probabilmente arrancava cercando di conservare una minima parte di fierezza, nonostante la sua avvilente condizione. Urtò Beatrix, o meglio, fu lei ad urtare lui, dato la spallata che la ragazzetta rifilò al povero malcapitato. E nonostante questo, l’uomo si girò, movimenti di una controllata eleganza, il cappuccio gli scivolò di dosso: -perdonami, spero tu non ti sia fatta male-, cortesia quasi fastidiosa. Il gutturale ringhio nella gola di Beatrix non prometteva nulla di buono, ma la sua ira per essere stata così brutalmente assalita non trovò sfogo. L’uomo senza nome sollevò lo sguardo verso Death Mask, privo di nome quanto lui: -ossequi, Death Mask di Cancer-.
Quello fece spallucce, azzardò un ghigno -altrettanto…-.
E con un cenno del capo lo sconosciuto andò via. Beatrix attendeva poco pazientemente di sapere chi dunque fosse il troppo gentile tizio di prima. -niente, solo un fesso- ripose il fratello.
-direi un pezzente…- commentò Beatrix grattandosi quasi disgustata il braccio che lo aveva toccato -…però… begli occhi verdi…-.
-smettila di pensare agli occhi e restami il più vicino possibile…tutti sti masculi, ti pari attia ca mi susino a picciridda-.
 
Il raccomandato in questione era il giovane Aiolia, fratello del tanto decantato Aiolos, Gold Saint di Sagitter. Quel giorno, il rampollo doveva disputare un importante incontro nell’arena, quello che avrebbe deciso se era lui il prescelto ad indossare le sacre vestigia del leone. Per Death Mask non poteva esistere incontro più finto, e la cosa sembrava divertirlo parecchio. Mentre per Beatrix non esisteva più vivida speranza che un giorno sarebbe toccato anche a lei. Certo, nelle sue più sfrenate e modeste fantasie sognava di indossare un’armatura di pari grado a quella del fratello, e poco importava se, con Aiolia, i dodici posti alle case dello zodiaco erano tutti presi. Beatrix  non badava mai a queste sottigliezze. Prima o poi un posto si sarebbe liberato, la vita di un Saint era irta di pericoli!
La folla radunatasi quel giorno era più di quanto l’arena del Santuario potesse contenerne. Death Mask si guardava in torno ammirando quel pubblico atto di ruffianeria: -…uh, il fratello minore di Aiolos di Sagitter contro una recluta quanto meno sconosciuta. Non ho neanche mai visto il suo maestro…bah, è talmente palese a chi andrà la vittoria che mi viene da ridere…e poi fanno storia a me sull’onore a la correttezza, eh, sorellina?-
Beatrix annuì dando un calcio ad un ragazzetto seduto davanti a lei che le impediva una corretta visuale: -stai giù tu!-, gli aveva urlato. E quando quello si era girato per protestare sembrò decidere che, in fondo, non valeva la pena prendersela con una ragazzina così giovane, dopotutto, si sa, i ragazzi sono irrequieti quando attraversano la pubertà, ed è meglio lasciarli fare…soprattutto quando hanno di fianco un fratello quale Death Mask di Cancer.
-e se guardi da quella parte, sorellina…-, Death Mask avvolse le spalle di Beatrix con un braccio, accostò un sorriso mellifluo al suo orecchio, indicando gli spalti proprio di fronte a loro: -vedrai il resto dei miei esimi colleghi, tutti accorsi a fare il tifo per il futuro leoncino dorato-.
 
Se solo Death Mask non avesse mai indicato, probabilmente, il mondo intero ed un paio di persone di buon senso, si sarebbero risparmiate moltissime grande.
Purtroppo la sua sorellina guardò. Il fato volle che il suo sguardo cadesse su quello che le sembrò il più attraente pezzo di marcantonio che avesse mai visto. Volle anche che ai suoi occhi, la cloth di quel saint conferisse maestosità ed incredibile avvenenza al suo corpo. Ed infine volle che rimanesse ammaliata dai sottili occhi verdi, decisi e fermi, limpidi di una ferrea e pura determinazione che mai aveva visto negli occhi del fratello. Insomma, il fato volle troppe cose.
La bocca di quel saint si contrasse appena, un gioco di muscoli che rese ancor più decisa e virile la sua espressione. Sembrava contrariato da un suo compagno che continuava a punzecchiarlo con il gomito.
Era bello, quel ragazzo. Un’avvenente bellezza che le sarebbe rimasta impressa anche quella notte che, sicuramente, la giovane avrebbe passato totalmente insonne, abbracciata al primo cuscino che le sarebbe capitato a tiro. Era talmente bello agli occhi della ragazza che dimenticò totalmente che quella stessa mattina lo aveva chiamato pezzente…
Nella testa di Beatrix cominciò a suonare un fastidioso e ronzio accompagnato da un susseguirsi di scene smielate e romantiche, incorniciate da fiori in boccio. Scene che, ovviamente, avevano come protagonisti lei, il suo misterioso cavaliere e a tratti bianchi unicorni da cavalcare.
Non fece molto caso neanche all’incontro di Aiolia che si concluse come previsto con la vittoria di quest’ultimo.
Suo fratello, però, fece molto caso alla salivazione eccessiva che colava dai bordi della maschera e alla fastidiosa canzoncina che lei intonava.
Magari ti chiamerò trottolino amoroso, dudu-dadada…
 
Tornava saltellando verso la casa del cancro, la maschera in una mano, dimentica di ogni prudenza. Death Mask le veniva dietro poco convinto, le mani nelle tasche. Aspirava a pieni polmoni dalla sigaretta di contrabbando che si era concesso quel pomeriggio, mentre la sorellina si lanciava in piroette e volute da ballerina. Peccato che a lei la grazia mancasse di natura. Ci mancavano solo gli uccellini a cinguettarle intorno ed il grottesco spettacolo di sua sorella su di giri sarebbe stato davvero completo.
Death Mask riuscì a frenare il desiderio di prenderla a pugni fino al loro ritorno a casa:-ok…avanti, parla, cos’è successo? In questo santuario non sono ancora riuscito a trovare uno stupefacente abbastanza forte da rincitrullire in quel modo, secondo, tu non canti mai...e, per Athena…c’è un motivo se non l’hai mai fatto! Quindi…dimmi chi ti ha rincretinito in questo modo che gli cavo i denti uno ad uno…-. Tedio nella sua voce, eppure le sopracciglia aggrottate non lasciavano spazio ad immaginazione. Quando voleva Death Mask era capace anche di comportasi da bravo fratello protettivo. Forse anche troppo, dato che i suoi metodi di protezione potevano essere discutibili.
-e a te che importa?- la ragazza si lasciò andare in un sospiro. Death Mask stava per dare di stomaco. Troppo disgustoso! -Death…quando l’amore viene, viene, io che ci posso fare? Ho visto chiaramente nel mio futuro la più rosea delle felicità! E tu non spaccherai mai abbastanza denti per impedirmi di avere un ragazzo!-, lo canzonò lasciandosi andare ad un’altra piroetta. -uh, guarda, un tizio anonimo con una lettera viene da questa parte! Ah…ma è impossibile che ma la scriva già lui, ancora non sa dove abito…però, visto? È il destino! Anche lui mi avrà notata…che ti dicevo?-
-Mh…- Death Mask alzò le spalle -certo, una lettera d’amore portata da un messo del sacerdote. Mi pare sensato- . Sarcasmo puro.
Un uomo arrivò trafelato, porgendo una missiva alla fanciulla chiedendo -Siete voi Beatrice, sorella di Death Mask di Cancer?-. Beatrix, che aveva nuovamente indossato la maschera, s’irrigidì di colpo, sibilò un: -Beatrix…- ed il messo fu sicuro di vedere uscire del vapore dai piccoli fori delle narici. L’uomo si fece coraggio, la fama di quella piccola donna, troppo incline ad isterici sbalzi di umore, era arrivata fino ai limiti del santuario. Porse la pergamena, ritirandosi subito dopo, come se il rotolo tra le sue mani fosse divenuto rovente. -…questa è da parte del Gran Sacerdote, è di massima urgenza, dovete leggerla subito e organizzarvi in conseguenza agli ordini di Shion che…- non finì di parlare, Beatrix lo fece sussultare, che non fosse una lettera d’amore era di per se un fatto poco simpatico, ma che quello si mettesse a darle indicazioni su quello che doveva fare era irritante! Strappò il sigillo di lacca con impaziente violenza, srotolò e lesse biascicando un: -se se…ora lo leggo-
-uhm…vostra sorella…sembra essere serena-, si azzardò a sussurrare l’uomo a Death Mask.
-troppo-, rispose quello.
In un solo istante Beatrix capì molte cose. Prima di tutto comprese che la raccomandazione non era una cosa così scontata come aveva sempre creduto. In secondo luogo, si rese conto che quella piccola facezia delle gold cloth ormai assegnate era un ostacolo al suo piccolo ed infantile sogno di diventare la prima Gold Saint donna della storia del Santuario. Infine, con suo sommo rammarico, si rese conto che quella lettera faceva in tanti minuscoli pezzetti tutti quei sogni e fantasie sbocciate nel suo cure di fanciulla innamorata.
Unico modo per esprimere il suo disappunto per quella lettera non molto gradita era urlare: -Partire? Partire per dove? Partire quando? Quello è uscito di melone! Che minchia significa! Perché io? Perché a me? Dove minchia sta la Turingia? Che minchia è la Turingia? Death! Death! Il Sacerdote vuole spedirmi in culonia a recuperare un’armatura sepolta sotto chissà quale montagna di cacca! Death! Death! Death fai qualcosa!-
Bisogna essere comprensivi con una fanciulla in amore che vede finire di colpo tutte le sue fantasie. Bisogna essere comprensivi anche e soprattutto quando la rozza faccia del messo si trovò casualmente a sbattere contro uno dei suoi pugni. Death Mask, dal canto suo, rise. Rise di gusto. Una risata di petto. Forse per il perverso piacere di veder sfumare le speranze della sorella, oppure per la buffa scena dell’ambasciator che non porta pena, che aveva deciso così generosamente di far sfogare la povera creatura.
Perverso piacere, decisamente.
-Bea, menali più forti quei pugni, fai come ti ho insegnato! Così lo stordisci solamente!-.
 
Quella notte Beatrix non dormì. Dopo un ininterrotto pianto, un poco melodico sfogo sull’ingiustizia della vita ed una sfuriata che aveva compreso calci e pugni ai cuscini del suo letto, si era acquietata solo per mancanza di forze. Pretese di dormire accanto a suo fratello, come sempre accadeva quando era nervosa o arrabbiata con il mondo, ma non chiuse occhio.
Pensò molto, invece. Forse troppo.
 
  
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