Serie TV > Make It Or Break It
Segui la storia  |       
Autore: Lilith Lancaster    04/08/2012    6 recensioni
Questa storia non tiene in nessun modo conto degli avvenimenti della terza serie. Payson Keeler ha vinto l'oro alle Olimiadi, lei e Sasha si sono persi di vista. Dopo dieci anni, ormai donna, Payson ritorna per cercare ciò che in fondo ha sempre desiderato, quella persona che ha creduto in lei e che l'ha portata alla vittoria. Che ha migliorato la sua ginnastica, ma anche la sua vita.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La pioggia smise di inzupparle i capelli, in un istante fu catapultata nella semioscurità della palestra, sconosciuta eppure così familiare. era come la Rock, come il luogo che lei chiamava casa.
La luce era scarsa, quasi ovattata, solo un paio di lampade al centro illuminavano lo spazio. Il rumore della pioggia giungeva attutito e Payson poteva scorgere le goccioline che si affollavano contro i vetri appannati dalle finestre. Ci mise qualche istante per trovarlo.
Era agli anelli, roteava in aria con la stessa grazia e la stessa perfezione di vent’anni prima, quando ancora gareggiava. Raramente Payson l’aveva visto allenarsi, ma quei momenti erano impressi nella sua mente. E adesso, dopo dieci anni di lontananza, vedeva il suo corpo teso in aria, i muscoli gonfiarsi sotto il velo della pelle. Il suo viso era concentrato, sembrava non vedere niente. I movimenti precisi ed armonici. Sasha si diede un ultimo slancio, poi atterrò perfettamente al centro del materassino. Sollevò lo sguardo. e in quel momento i loro occhi si incontrarono dopo dieci anni. In quegli occhi Payson ritrovò tutto ciò che le era mancato, ritrovò Sasha, il loro rapporto e gli anni che erano trascorsi, ma che in realtà non avevano cambiato niente, che non erano riusciti ad intaccare i ricordi, l'affetto. Si ritrovarono in quello sguardo, o almeno così sembrò a Payson, annegando nei ricordi, negli attimi rubati, in ciò che sarebbe potuto già essere.
Payson rimase immobile, incapace di avanzare o di proferire parola. Riusciva solo a guardarlo. Non era cambiato per niente, appena qualche ruga in più sulla fronte. Ma era lo stesso viso, gli stessi occhi. Era tutto come allora.
Anche lui sembrava incapace di parlare, la fissava quasi non riuscisse a credere che lei fosse davvero lì. Era rimasto congelato nella posizione di atterraggio, i muscoli ancora tesi, il volto ancora concentrato nell’esecuzione dell’esercizio. Ma c’era stupore nei suo occhi. Forse non la riconosceva, si chiedeva chi fosse quella sconosciuta dall’aria vagamente familiare che interrompeva il suo allenamento solitario. In fondo erano passati dieci anni, e lei era cambiata. Sentì lo stomaco contorcersi dolorosamente al pensiero che lui non la ricordasse.
“Payson?” il nome riecheggiò nella palestra con un tono interrogativo, più che perplesso incredulo. Payson rabbrividì nel sentire di nuovo la sua voce. Le era mancata. Le era mancato sentire quella voce guidarla, sussurrarle i consigli giusti, sgridarla e sostenerla.
“ciao Sasha” sussurrò incapace di muovere un passo. Fu lui ad avvicinarsi. Lentamente, quasi con cautela. Lei rimase immobile, cercando di dare un senso alla totale assenza di pulsazioni del suo cuore. Sasha. Da quanto tempo non diceva ad alta voce il suo nome?
“non riesco a credere che tu sia qui” le sussurrò a qualche centimetro di distanza. Non si erano sfiorati. Nessun abbraccio, nessuna stretta di mano, nessun sorriso. Solo sconcerto, incredulità.
“volevo salutarti” mormorò Payson abbassando lo sguardo alle proprie scarpe da ginnastica fradice di pioggia. Attorno a lei si era velocemente formata una pozzanghera, e anche i suoi capelli sgocciolavano sul pavimento lindo della palestra. Payson sentì un brivido di freddo percorrerle la schiena, e un secondo dopo non sentì più nulla. Sasha le aveva stretto le mani intorno alle braccia e l’aveva attirata a se in un abbraccio, precipitoso, irruente, impulsivo.
Come aveva fatto a resistere dieci anni? era un tempo così lungo…
“mi sei mancata” le disse in un bisbiglio quasi inudibile, il respiro caldo tra i suoi capelli e sulla pelle fredda del suo viso bagnato di pioggia.
“anche tu” era un’ammissione che le veniva quasi strappata a forza dalle labbra livide a causa del freddo di dicembre. Londra decisamente non le piaceva, pensò in uno sprazzo di incoerenza mentre iniziava a battere i denti a causa del freddo pungente che le stava penetrando nelle ossa.
Sasha parve accorgersi del suo tremito e si allontanò, fissandola per qualche istante perplesso.
“oh mio dio Payson, starai congelando!” esclamò inorridito notando la condizione dei suoi abiti.
“Londra non fa per me. troppa pioggia” rispose abbozzando un sorriso.
Sasha scosse la testa, le voltò le spalle e salì in quello che doveva essere il suo ufficio. Payson rimase immobile a guardarlo mentre frugava sulla scrivania e quando tornò da lei stringeva un ombrello una giacca e due mazzi di chiavi. le posò con delicatezza la giacca sulle spalle, poi le strinsi il braccio poco sotto il gomito e la guidò in fretta verso l’uscita, spegnendo la luce alle loro spalle. Una volta fuori, poco prima di essere investiti dalla pioggia torrenziale, Sasha si voltò a chiudere le porte della palestra, poi aprì l’ombrello e cercando di ripararla il più possibile la guidò verso un’auto nera e lucida. Si trattava bene Sasha, pensò Payson osservando l’elegante macchina che aveva sostituito quella specie di fuoristrada con cui se ne andava in giro ai tempi della Rock.
“la moto ce l’ho ancora” affermò Sasha, quasi leggendole nel pensiero e rompendo il silenzio che era piombato. Le aprì lo sportello e la fece accomodare, tacitando le proteste di Payson che non voleva bagnare gli eleganti sedili di pelle della sua auto.
L’interno di pelle della costosa macchina era ordinato, asettico e preciso come tutto era sempre stato nella vita di Sasha. In quei particolari quotidiani ed insignificanti Payson aveva sempre visto la devozione, la disciplina e l’esercizio che Sasha aveva preteso da lei, ma che in primo luogo pretendeva da se stesso. C’era rigore, in quei sedili perfettamente curati, privi di qualsiasi macchia, c’era precisione nei tappetini privi di fango e briciole, c’era controllo nello specchietto perfettamente posizionato e nei poggiatesta inclinati in modo da seguire il contorno del collo di lui.
E adesso lei aveva portato la pioggia a infangare quell’auto controllata con precisione, aveva fatto irruzione in quel luogo di rigore, macchiato quella vita costruita sulla fatica.
Sgocciolava nella sua auto così come per anni, in silenzio, costantemente, era fluita nella sua vita, quasi senza che lui, o tanto meno lei se ne accorgessero.
“mi dispiace. Non solo sporcarti la macchina…mi dispiace essere piombata di nuovo nella tua vita.” Sussurrò mentre la macchina si muoveva in mezzo al grigio di Londra.
Lui non la guardava, manteneva la sua concentrazione sulla strada, mettendo nella guida la stessa attenzione che aveva sempre messo nell’allenare lei, nel guidarla mano nella mano verso la grandezza.
“sono felice che tu sia tornata” disse queste parole senza incrociare il suo sguardo, i muscoli del collo tesi, il profilo affilato, rigido. Il profilo che lei conosceva, il volto che l’aveva fatta crescere, la bocca che le aveva dato i consigli giusti, che le aveva detto che lei, nonostante tutto ce l’avrebbe fatta. La bocca che lei, solo per un istante, aveva baciato…
“non ne avevo il diritto. Sono stata egoista.” Fu quasi un bisbiglio ma era sicura che lui l’avrebbe sentita. Aveva sempre sentito anche i suoi silenzi, Sasha, perché semplicemente era sempre stato in grado di capirla. Capire davvero ciò di cui aveva bisogno, che fosse un allenatore severo o un amico che credesse in lei. Sasha era stato tutto per lei, era sempre stato ciò di cui aveva bisogno per diventare adulta, per raggiungere i suoi obiettivi e realizzare i suoi sogni.
“nessuno più di te ne aveva il diritto Payson!” fu la replica di Sasha, ancora concentrato sulla strada. Lei scosse la testa. No, lei non poteva vantare alcun diritto sulla vita di lui. Forse Summer sarebbe potuta tornare da lui, chiamarlo e riprendere i contatti. Lei si, che ne avrebbe avuto il diritto.
Payson non rispose, rimase a tormentarsi il bordo della maglietta con le dita, dure a causa dei calli. Nella mente le rimbombavano le parole di quella ragazzina, Catherine.
“chi lo conosce, chi si ferma realmente ad ascoltarlo, sa che prima o poi, ogni giorno, sentirà il tuo nome. Tu ci sei sempre per noi, Payson.”
Parlava di lei. Sapere che, in un modo o nell’altro, lei era riuscita a rimanergli accanto, come un ricordo, come un fantasma, magari anche come un incubo, era destabilizzante. Era tutto quello che aveva sempre desiderato. Perché anche lui era rimasto presenta nella sua vita, la sua assenza fisica era stata bilanciata dalla presenza dei suoi insegnamenti, di quegli attimi condivisi che Payson custodiva gelosamente.
La conversazione terminò in quel modo. Nessuno dei due era mai stato il tipo da monologhi da melodramma o scene magistrali. Loro comunicavano con i gesti, con la fatica che mettevano nel cercare ciò che amavano. Nel cercarsi l’un l’altra.  



NOTE:
Ho cominciato questa storia senza alcuna pretesa di portarla avanti, ma alla fine mi sono ritrovata a rileggerla e a pensare che Payson e Sasha avevano ancora qualcosa da dire. Non so bene neanche io quanto sarà lunga questa storia, se mi fermerò dopo il terzo capitolo o continuerò ancora per un pò. In ogni caso sarà abbastanza breve. Voglio ringraziare le persone che hanno letto e soprattutto quelle che hanno recensito. Grazie a tutte per il vostro parere e la vostra attenzione, spero questo secondo capitolo possa piacervi come il primo.
su Sasha e Payson ho poco da dire. Non so bene neanche io perchè ami questa coppia. Raramente le storie d'amore con una grande differenza di età mi appassionano, non me ne vogliano i fans di Federico Moccia, ma la tradizione riportata recentemente alla ribalta con il suo "Scusa ma ti chiamo amore" mi da abbastanza l'orticaria. Sasha e Payson li amo perchè sono diversi da qualsiasi coppia abbai mai visto. non è il rapporto alunna-insegnante che può sembrare a prima vista. è un rapporto completo, di crescita. Loro si completano, si aiutano, sono forti insieme. Quello che amo di più è il fatto che Sasha ci sia sempre stato per lei, che sia stato la sua ancora di salvezza dopo l'infortunio ai nazionali e che sempre, anche quando tutto sembrava dire il contrario, lui abbia creduto nella sua forza e sia riuscito a farla andare avanti. se Payson è arrivata dove è arrivata è solo merito di Sasha, quindi mi piace pensare che lei abbia vinto l'oro alle olimpiadi, e che quella medaglia sia un pò anche di Sasha. 
Il titolo del capitolo fa riferimento al momento in cui i loro sguardi si incrociano, che per me è proprio un ritrovare non solo l'altro, ma anche se stessi.
  
  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Make It Or Break It / Vai alla pagina dell'autore: Lilith Lancaster