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Autore: Oscar_    07/08/2012    0 recensioni
Un uomo risvegliatosi dal coma, con ricordi di persone probabilmente inventate dall'inconscio. Pochi individui su cui fare riferimento, una città al contempo estranea e familiare. E poi un incontro, che cambia tutto. Spesso la memoria gioca brutti scherzi; e le persone ancora di peggiori.
"Un ricordo fastidiosamente sfuggente, uno di quelli che, per quanto ti struggi a rammentare, si cela sempre dietro false spoglie, confondendosi nella miriade di immagini che popolano la mente al calar delle tenebre. Di quelli che non ti donano tregua finché non li riesumi dal dimenticatoio dell’anima, finché il rimorso non fa capolino da sotto il letto, finché dai muri non trasuda nuovamente quel senso opprimente di vergogna, o di abbandono, o magari di pentimento profondo; di quei sentimenti, in ogni caso, che nessuno gradirebbe mai sperimentare. E quando ti porterai le lenzuola al mento, quando strizzerai gli occhi, maledicendoti per aver ripensato a un simile squarcio di passato, così imperfetto, così rovinoso in mezzo ai tanti successi, nulla potrà salvarti dalle lacrime, che così crudeli attendevano il propiziarsi dell’occasione per scendere copiose a congiungersi col tessuto del pigiama."
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1
 

Ritorno

 
 
 
 
 


Il bicchiere di plastica emana un profumo intenso. Vorrei assaporare il liquido amaro e caldo in esso contenuto, ma la nausea che è sopraggiunta mi impedisce alcunché. Laurie mi osserva in silenzio, paziente, forse attendendo spiegazioni; come me.
« Hai ricordato qualcosa? » Mi domanda con tono pacato, rigirando tra le dita il suo bicchiere, vuoto da un pezzo.
« Sì, ma non riesco a spiegarmi come Claire possa essere assente in tutto ciò che rammento. » Laurie sembra innervosirsi. Si porta una mano al mento, graffiando distrattamente una guancia per la tensione.
« Chi è Claire, Claude? » La voce tradisce una certa rabbia. Indugio prima di rispondere sottovoce.
« Mia… Moglie. »
« Tu non sei sposato! » Sbotta, battendo la mano, che prima era a torturare il viso, sul tavolo. Taccio, abbassando lo sguardo. Non riesco allora a spiegarmi la sua presenza in alcune scene quotidiane. Se chiudo gli occhi sento ancora la sua voce, forte e chiara, come se potesse essermi accanto. Mi duole di nuovo la testa. È insopportabile.
« Se non… » La voce mi viene meno. « Se non sono sposato, allora perché ricordo una persona? » Stavolta è lei a tacere. Si alza, facendo il giro del tavolo, venendomi affianco e posandomi una mano tremante sulla spalla.
« Finisci il caffè, ti aspetto fuori. Il dottore ha detto che puoi tornare a casa. »
Sono passati due giorni da quando mi sono svegliato dal coma. Mi hanno fatto più controlli in meno di una settimana che in tutta la vita. Ogni volta che non emergeva niente dagli esami, i dottori parevano più che sbalorditi, continuavano a ripetere che sono miracolato. Laurie esce dal bar dell’ospedale. Bevo il caffè in fretta, gettando poi il bicchiere e sbrigandomi a sistemare la sciarpa. Fa così freddo.
« Posso avere una risposta? » Chiedo, socchiudendo gli occhi per il forte vento. Sono felice di uscire da quella gabbia tutta bianca dove, in teoria, avrebbero dovuto curarmi. Laurie sospira, rilasciando innanzi al viso una voluta di vapore nebbioso, che presto svanisce com’è apparsa. È così strano sentire di conoscere una persona, no, sapere di conoscerla, eppure avvertirla così estranea. Il coma è un’esperienza orribile.
« A volte capita che, durante un lungo periodo di incoscienza fisica, il cervello, per mantenere in vita il corpo e la mente, crei un mondo alternativo in cui far stanziare l’individuo fino a che non si risveglia dal trauma. Un po’ come i sogni. È quasi normale. » La sua risposta è convincente, ma è enunciata in modo incerto, come se quelle cose le stesse ripetendo a sé stessa per convincersene. Eppure sono sicuro dell’esistenza di Claire! Ho sentito il suo corpo quando l’ho abbracciata, ho udito la sua voce quando mi ha chiamato. E i miei figli! Loro erano reali di sicuro.
« Laurie, forse è come dici ma… Io sono certo di aver vissuto quelle esperienze. » La vedo spazientirsi. Certo non può prendersela a quel modo, non è stata molto credibile.
« Ora andiamo a casa. Poi ne riparliamo. »
Questo di lei me lo ricordo bene: è un modo per sviare l’argomento. Si vede che ho toccato un nervo scoperto.
La nostra casa, sì, siamo coinquilini, si erge in Cannon Street, un posto tranquillo e non troppo trafficato, tranne il week-end per la presenza di un bar davanti. È un posto adorabile, vi abitiamo da quando abbiamo finito gli studi. Può sembrare assurdo, ma tra me e Laurie non c’è mai stato niente più che amicizia.
È strano rientrare nell’appartamento. Mi sembra di essere uscito da quell’ingresso proprio poco prima e, al tempo stesso, di non mettervi piede da un’eternità. Guardandomi attorno mi accorgo che non è cambiato niente. La libreria contiene ancora tutti i dizionari e i romanzi, i mobili sono al loro posto, il corridoio è quello di sempre, con tutte le foto del college. Anche il profumo di glicine è sempre palpabile. Mi pare persino di scorgere il medesimo mazzo di fiori sul tavolo; ah già. Quelli sono finti.
« Ben tornato! » Mi accoglie Laurie, di nuovo sorridente. La sua lunaticità me la ricordavo meno frequente. Le sorrido anch’io, togliendo sciarpa e giacca e gironzolando per le stanze. È tutto al proprio posto. Eppure sono passati due mesi. Mi sento di nuovo a casa, accolto dai vecchi oggetti e dalle sicurezze e le speranze aleggianti nelle camere. Come se, dopo tanto tempo, tutto, come le cose, potesse essere al suo equilibrio originale.
« Poi chiama Simon e Lorence, non vedono l’ora di sentirti. Quando ho detto loro che ti eri svegliato, avresti dovuto sentire che pianti. Nemmeno fosse risorto Gesù. »
Laurie mi si avvicina, posandomi una mano sul braccio. Adoro la sua fisicità, è proprio ciò di cui ho bisogno; mi sembra che tutto mi si possa sbriciolare tra le mani non appena chiuderò gli occhi. L’abbraccio con impeto, nascondendo il viso fra i suoi capelli profumati. La sento sussultare ed immobilizzarsi per qualche istante, poi le sue mani, leggere e delicate, mi si posano sulla schiena, ricambiando la stretta. Avverto un sorriso indugiare sulle sue labbra, non posso far a meno di imitarla.
« Sono felice di essere a casa, Laurie. »
« Ed io sono felice che tu ci sia, Claude. » Le trema la voce. Cascate in arrivo!
« Ehi, ehi… Niente lacrimoni. Ricordi al diploma? Su, fa’ come allora. » Uso il tono più dolce che ho, carezzandole con apprensione il viso. Mi appare così piccola in momenti simili. Annuisce, stringendomi la mano sulla sua guancia paffuta.
« Sì, perdonami. È che in certi momenti ho… Temuto il peggio. E sono dannatamente grata a qualsiasi cosa ti abbia riportato qui. »
« Allora sii grata alla medicina e alla mia voglia di vivere. » Sussurro baciandole la fronte, affacciandomi al terrazzo e respirando l’odore della città, che mi era apparso tanto lontano e intoccabile sino al giorno prima, bloccato com’ero fra analisi e test. E poi, scorgendo un palloncino solitario in balia del vento, mi sento, per la prima volta, più fragile che mai.
 
 
La notte scivola come una benedizione sulla Londra autunnale. Tutto si tinge di scuro, eccetto le insegne luminose dei locali, che risplendono come non mai. Il mio quartiere non mi è mai sembrato così vivo. Le voci dei passanti e degli ultimi clienti del bar mi giungono ovattate e distanti, sebbene una decina di metri appena lo separi dal nostro palazzo. La strada in cui sorge l’appartamento possiede una sola corsia per le auto, dove è adibito a passare anche un autobus locale. Non c’è mai né troppo caos né troppa quiete.
Laurie esce dal bagno con un asciugamano in testa e un altro addosso, sul punto di caderle. Sorrido, lieto che tutti i ricordi riguardanti il periodo trascorso con lei siano nitidi e presenti. Man mano che ho sostato nell’abitazione, sempre nuove esperienze mi sono tornate in mente, strappandomi un sorriso od una smorfia. A differenza della parte riguardante Claire, sempre più annebbiata e frammentata. Ricordo fino a un periodo in modo preciso, quando mi sono diplomato; dopo, c’è la confusione più totale. Vorrei aver registrato tutti gli eventi da quel momento in poi; ed il punto è che il cervello l’ha fatto. Solo che ho un blocco, proprio in quella che è la frazione di tempo migliore, tecnicamente. Mi sono sposato, diamine! Almeno credo. A pensarci sembro un povero infermo mentale. E la rabbia che provo in questo momento è inimmaginabile. È come se, ad ogni ricordo con Laurie e della mia adolescenza recuperato, corrisponda la perdita di uno con Claire.
« Sono contenta di non dover fare più il caffè. » Esordisce Laurie dopo un po’, avvicinandomisi e guardandomi coi grandi occhi nocciola. Le sorrido appena, troppo impegnato a tentare inutilmente di ottenere qualche particolare in più dal cervello, che sembra non voler collaborare affatto.
« Già, ora almeno avrai la certezza di finire avvelenata. » Si porta un dito alle labbra, assorta.
« Effettivamente… »
« Ehi! Questo era il momento in cui avresti dovuto distogliermi da un’idea simile, sbottando con una frase tipo “Claude, ma io adoro il tuo caffè!”. » Borbotto in tono offeso, gettandole un’occhiata divertita, che coglie al volo. Quindi annuisce, facendosi pensierosa.
« Hai ragione, sono così masochista! » Ed afferra un cuscino, premendomelo sul viso giocosamente. La battaglia coi cuscini. Uno dei nostri principali passatempi. Mi lascio cadere sul divano con un’esclamazione di sorpresa. Afferro dunque l’altro ammasso di cotone e cuciture, scagliandolo contro Laurie, che scoppia in una risata contagiosa a dir poco. Noto che l’asciugamano sul suo corpo, già in precedenza dall’equilibrio precario, le è scivolato lungo i fianchi; quindi tossicchio, alzando lo sguardo per non infastidirla. Appena si accorge di essere mezza nuda ride ancora più forte, allontanandosi e scuotendo il capo dopo avermi fatto cenno di aspettare. Nel frattempo mi rialzo, gettando un’occhiata all’orologio: Le dieci passate. Mi tornano in mente le notti insonni dei tempi della scuola. Mi sarebbe piaciuto tantissimo rimanere in quel tempo della mia vita per sempre. È brutto sentirsi incompleti. Avvertire una parte mancante, assente, forse una parte che non è nemmeno mai esistita. Come un computer al quale è saltato il circuito di memoria; cerca e ricerca i file, ma se non esistono più, potrà tentare in eterno.
Senza accorgermene ho iniziato a massaggiarmi la fronte. Accosto una mano al viso, scrutando la stanza con l’impedimento delle dita. Vedere a metà. È difficile; ma non impossibile.
« Ora posso torturarti quanto voglio. » E quell’avvertimento, o imposizione, o qualsiasi cosa sia, pronunciato con quel tono giocoso e soddisfatto, mi rende consapevole della mia enorme voglia di vivere, se dopo due mesi di oblio, ho fatto ritorno alla luce.

 
 
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I commenti sono richiesti e ben accetti. E domando scusa per la scarsa lunghezza dei capitoli, devo riprendere la mano. Aiutatemi voi! ~
   
 
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