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Autore: Eko1    08/08/2012    0 recensioni
Una storia semplice, semplicissima. Lui, lei e qualcun altro. Due ragazzi normali che si incontrano, che litigano, che si prendono anche a pugni.
Ma le cose sono davvero così semplici? Ma l'amore, in sè, è veramente così semplice?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sbuffai togliendomi dal viso i capelli, madidi di sudore, mentre trascinavo la valigia verso l'uscita dell'aeroporto, cercando di districare anche borsa e macchina fotografica. Vidi mia madre, impettita e perfetta che mi aspettava, le mani in grembo. Accanto a lei, l'immancabile autista.

“Ciao, mamma.” mi meravigliavo sempre di quanto fosse cambiata mia madre dopo il successo di mio fratello. Come il giorno e la notte, si era trasformata da donna di casa tuttofare in una vecchia snob.

“Tesoro, sei tutta arruffata...” disse, dandomi un leggero bacio su una guancia “...e puzzi.” mi guardò con condiscendenza mentre trascinavo fuori dall'aeroporto le valigie, inciampando e imprecando.

“Oh per favore, non ho bisogno di un tassista privato, guido io!” dissi quando il povero autista mi aprì la portiera. Ignorai le proteste di mia madre e lanciai la valigia nel bagagliaio mettendomi al posto di guida della mercedes. L'uomo, visibilmente imbarazzato, si sedette accanto a me, non osando proferire parola. Mia madre strinse le labbra, sedendosi impettita sulla punta del sedile.

“Mamma non fare così, per favore. Sembri la McGranitt.” esclamai mentre mi buttavo nel traffico dell'autostrada.

* * *

Parcheggiai, rischiando per un pelo di fare la fiancata alla mercedes. L'autista, pallido in volto, scese immediatamente per far scendere mia madre dall'auto.

“Faccio una telefonata, arrivo subito...” le dissi quando mi chiese se avevo intenzione di scendere dall'auto. La mia prima risposta sarebbe stata un no secco, ma optai per la telefonata. Uno, due, tre squilli.

“Pronto..?” rispose una voce assonnata.

“Zazza, aiuto...sono dei pazzi, sono due pazzi...più invecchiano più diventano pazzi...” strinsi la cornetta tra le dita e cominciai a parlare con la mia migliore amica.

“Novità?” le chiesi, dopo un po'.

“Si, ha richiamato Santiago, ho risposto io, gli ho detto che saresti stata a Padova oggi e gli ho dato il tuo numero di cellulare...e ha chiamato anche Alex. Ha detto che vuole parlarti, se lo richiami per favore, anche se lui adesso è alle Barbados o giù di lì...” la sentii sbadigliare. Io risi.

“Cioè...lui è alle Barbados e dovrei telefonargli io, spendendo un sacco di soldi per sentirlo blaterare sul vero amore e di quanto fossimo importanti l'uno per l'altra? Mi fai un favore? Se richiama digli che sono scappata con uno sguattero portoricano di nome Miguel?”

“Ah..pensavo si chiamasse Santiago...” lasciò la frase in sospeso, come se stesse ridacchiano dall'altro capo della linea.

“Giuro, quando torno ti butto nella Senna. Smettila di fare insinuazioni inutili!” esclamai, mettendo i piedi sul volante.

“Io? Sei tu che vedi insinuazioni, mica io che le faccio!” mi rispose lei. Il piede destro mi scivolò e suonò il clacson “ooh ma che cazzo fai? Dove sei?” mi chiese, preoccupata.

“Niente, sono in macchina e avevo i piedi sul volante e ho suonato...beh ti chiamo più tardi, e svegliati, fatti una doccia e vai a fare la spesa!” le ordinai. Lei mi fece uno sberleffo, poi chiudemmo la telefonata. Non avevo nessuna voglia di entrare in casa. Avrei preferito stare lì a fare la muffa, ma non potevo. Convenevoli su convenevoli, vestiti eleganti, un sacco di complimenti...mi veniva la nausea solo al pensiero. Cercai di fare meno rumore possibile, sia sulle scale che mentre entravo in casa. Salutai silenziosamente la cameriera, appoggiai le chiavi sulla mensola e alzai gli occhi sull'enorme fotografia di mio fratello che suonava la chitarra, in smoking. La grande promessa della chitarra classica si era trasformata in realtà. Guardai il suo viso ancora da bambino, concentrato sullo strumento. Aveva la stessa espressione di quando suonava i Beatles a nove anni. Non era cambiato, da quel punto di vista, l'unica cosa diversa era che ora c'erano compositori che facevano la fila per comporre un pezzo per lui, e che le sue schitarrate, come le chiamavo io, valevano circa tremila euro l'ora.

“Mamma? Ma quando torna Marco?” urlai, andando ad appoggiare la valigia in veranda.

“Stavate parlando di me?” mio fratello uscì dalla porta vicina, in pantaloncini e maglietta “lo so, lo so, ormai nessuno può fare a meno di sapere dove sono, cosa faccio, quando torno...” sorrise.

Lo abbracciai e gli sorrisi. Non era cambiato per niente, nonostante non lo vedessi dall'anno prima.

“Ciao, sorellona. Come va? Sempre a far da mangiare per i ricconi?” mi chiese mentre mi aiutava a disfare la valigia. Io tirai fuori un pacchetto e glielo porsi.

“Certo che si, e non potrei essere più felice...e tu? Sempre a schitarrare?” gli chiesi mentre prendeva il pacchetto “e non lo scartare prima di domani, ti uccido se lo fai!” esclamai, togliendoglielo dalle mani. Lui sbuffò ma non protestò.

“Si, e non potrei essere più felice...ma Alex?”mi domandò, buttandosi sul divano letto. Io presi l'accappatoio e il beauty case, avviandomi verso il bagno.

“Eh, doveva lavorare...”tagliai corto mentre andavo a farmi una doccia. Il telefono vibrò quando ero già sotto l'acqua, ma mi asciugai una mano con l'accappatoio e lo presi, sbloccando la tastiera.

-Ehi so che sei tornata, non puoi sfuggirmi...ci vediamo domani al compleanno?- un numero che non conoscevo, ma potevo immaginare chi fosse. Salvai il numero sotto Santiago e gli risposi di si, nessun problema. Evitai di chiedergli se avesse bisogno di un passaggio, per evitare i ricordi. Ricordavo perfettamente il suo volto. Tornai sotto il getto dell'acqua, dopo aver lanciato il telefono sul tappeto. Vibrò ancora ma lo lasciai perdere. Uscii dalla doccia e mi vestii in fretta, infilandomi il cellulare in tasca e scordandomi completamente del messaggio che mi era arrivato.

“Mamma, come devo vestirmi domani?” le chiesi, entrando in cucina. Lei mi squadrò. Avevo addosso un paio di bermuda neri e una maglietta azzurra con delle palme.

“Sicuramente non così, Emma.” mi rimproverò. Lei era elegantissima anche in casa, con un taullier leggero azzurro chiaro.

“Ma tu non hai caldo con tutta quella roba addosso?” le chiesi, sedendomi sulla sedia impagliata. Cercai di mettere i piedi sul tavolo ma non ci riuscii, perchè mi fulminò con un'occhiataccia.

“Certo che no, questa stoffa è fresca e leggera...comunque che fine ha fatto il vestito dell'anno scorso?” mi chiese. Io balbettai qualcosa sul fatto che lo avevo lasciato a Parigi. In realtà ci avevo vomitato sopra la notte di capodanno e avevo rinunciato a grattar via il vomito incrostato dalle palliettes.

“Ma poi mamma lo sai come sono fatta...io vivo in grembiule e crocs, non puoi pretendere che mi vesta da signorina...e quando sono in casa sto sempre così!” mi giustificai sotto il suo sguardo glaciale.

“Emma, fai come dice tua madre, qualsiasi cosa dica..:” mio padre era entrato in cucina ed era già con la testa dentro al frigo.

“Ma papà io non ho roba elegante! Non ho niente!” esclamai, alzandomi.

“Bene. Vorrà dire che domani andrai a prendere un vestito. E in mancanza di Alex dovrai trovarti un accompagnatore.” mia madre si voltò verso mio padre, che annuì.

“Un...cosa? Mi spiegate perchè dovete fare tutte ste feste fastose e piene di invitati?” cominciavo ad essere nervosa a livelli indescrivibili, tanto che, alzandomi, rovesciai la bottiglia di succo d'arancia che la cameriera aveva appoggiato sul tavolo.

“Emma! Non ti permetto di usare questo tono con me!” esclamò lei di rimando. In risposta le feci una pernacchia. Più lei si irritava, più io diventavo pedante e immatura. Non ci potevo fare niente, faceva parte del mio pessimo carattere. In questi casi nessuno avrebbe detto che a venticinque anni tenevo tra le mani la direzione di uno dei migliori ristoranti di Parigi. In questi casi nessuno mi avrebbe dato venticinque anni. Lasciai la cucina, mia madre impietrita e mio padre che la guardava come se fosse uscita da un film horror. Evitai mio fratello che stava giocando alla playstation in salotto e mi rifugiai in veranda. Frugai nella borsa e tirai fuori le sigarette e senza farmi vedere sgattaiolai al piano di sopra. Aprii la finestra del bagno giallo, quello degli ospiti ed uscii sul tetto. Sentivo mia madre gridare e sbattere le porte. Mi accesi la prima sigaretta della giornata e mi ricordai del messaggio che mi era arrivato quando ero ancora in doccia. Sbloccai il telefono e sorrisi.

-Mi accompagni alla festa quest'anno?- Santiago. Digitai velocemente la risposta.

-Solo se mi accompagni a prendere il vestito.-

  
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