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Autore: Vegeta_Sutcliffe    29/08/2012    4 recensioni
Salve a tutti. Propongo questa storia molto introspettiva e diversa dal solito, o almeno così penso.
Cit: Aveva ucciso, aveva sbagliato e per questo stava per essere punita. Avrebbe dovuto uccidere, avrebbe dovuto sbagliare e se non lo faceva rischiava di essere punita.
Esistevano criteri incorruttibili di verità? Gli uomini erano lunatici, volubili, cambiavano e con loro il mondo, ma la giustizia erano loro o la giustizia trascendeva loro?
“Perché l’hai fatto?”
“Ti avevo promesso che saresti uscita di prigione, se non sbaglio.”
“E non c’era un altro modo?”
“Anche più di uno.”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Un po' tutti, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Justice


Diritto e rovescio.
Carl William Brown

Percorreva a passo fermo il lungo corridoio centrale della sua scuola.
Scorrevano davanti ai suoi occhi celesti le immagini di centinaia di studenti impegnati nelle più disparate discussioni. C’era chi acclamava la vittoria della squadra sportiva locale, c’era chi parlava dell’imminente periodo di saldi, c’era chi confidava all’amica l’ultima lite coi propri genitori, c’era chi annunciava l’ennesima lite con il proprio ragazzo, c’era chi si dilettava a intrattenere con divertenti barzellette un numeroso gruppo di coetani.
Era consentito affrontare liberamente tutti gli argomenti di cui si avesse voglia, basta che questi non comprendessero compiti in classe, interrogazioni e professori: vi era una legge, né detta né scritta, ma apprezzata e rispettata, che impediva a tutti gli alunni di parlare di noiose questioni scolastiche durante la pausa pranzo.
Era avvezza oramai a quella vista: da circa sei mesi era stata eletta presidente del corpo studentesco
e come tale si premurava ogni giorno di sorvegliare la pausa di ogni studente, attenta che non intraprendessero passatempi dannosi alla loro salute e non infrangessero le regole dello statuto scolastico.
Benché avesse a stento quindici anni e frequentasse quell’istituto da un paio d’anni, allorchè gli studenti erano stati chiamati alle urne per votare il loro nuovo rappresentate, nessuno aveva avuto dubbio alcuno a concederle fiducia, conoscendo il suo carattere pepato, la sua lingua biforcuta e salace, ma mai inopportuna e troppo istintiva e il suo solido senso della giustizia. Ciò le permetteva  di considerarsi la migliore nel far valere le innovative idee dei ragazzi in un consiglio scolastico costituito da professori ancorati ai rigidi sistemi del passato, ma la rendeva scomoda anche a quelli stessi ragazzi che miravano a combinare guai con il solo fine di divertirsi, giustificandosi con la giovane età.
‘Il mondo è vario e, se il mondo è costituito anche da gente, possiamo desumere che anche questa sia varia. E se la gente è formata da opinioni, per lo stesso ragionamento di poc’anzi, pure le opinioni saranno varie. C’è chi non avrà simpatia nei miei confronti, ma c’è anche chi avrà fiducia in me.’
Avvalendosi delle sue capacità oratorie, rispondeva così alle sue amiche che, avendo a cuore la sua persona e conoscendo la reputazione che ella aveva tra gli studenti, cercavano sempre di metterla in guardia.
In ragion del vero le sue parole non erano da considerarsi una stolta sentenza di una ragazza troppo presa dal suo incarico da non accorgersi della realtà circostante, bensì la summa dell’opinioni di una giovane attenta a tutto ciò che le stava attorno.
Impossibile era negare, infatti, che lei non avesse amici fidati e sostenitori che condividevano le sue stesse idee.
Inoltre capitava, non di rado, che diversi ragazzi, ammaliati dai suoi occhi marini e capelli color del cielo e colpiti da un fisico snello e asciutto, si invaghissero di lei.
Ma, in un mondo di stereotipi e luoghi comuni, le novità erano confuse con le stranezze e queste venivano considerate spaventevoli.
Potevano sciocchi e chiusi bambini fisicamente cresciuti apprezzare una giovane donna che oltre ad essere piacente era anche intelligente?
Mentre dispensava sorrisi a chi le sorrideva o la salutava e fronteggiava lo sguardo di chi la scrutava minacciosamente, affrettò il passo, non volendo che, nel breve tempo previsto per il pranzo, non riuscisse a fare quello che voleva fare.
Giunse finalmente alla sua meta: ‘III liceo Classico B’ recitava il cartello affisso alla porta dell’aula.
Varcò sicura l’ingresso della porta e lo vide seduto sulla sedia dell’insegnante, gambe divaricate, testa all’indietro e sigaretta alla bocca: mentre tutti gli altri erano fuori a godersi l’aria fresca e la compagnia dei compagni, lui stava da solo in classe.
Era diverso da tutti gli altri. Era un alito di vento che soffiava nella direzione apposta alla tempesta, un onda contro corrente, una nuvola nel cielo estivo, un fiore in mezzo alla terra bruciata.
“Vegeta, non puoi fumare qui dentro.” Disse meccanicamente, avviandosi a passo veloce verso il ragazzo e sedendosi sulla cattedra frontalmente a lui.
Ogni giorno diventavano attori, sceneggiando sempre la stessa recita da ormai diverse settimane.
Sapeva perfettamente che il moro era sordo a qualunque ordine impartito non dalla sua stessa persona e sapeva perfettamente che adorava infrangere le regole davanti a lei che ne era garante.
Lo vide aspirare lentamente il fumo dalla sigaretta, godendo del malsano piacere che ciò gli procurava e poi lo vide alzare la testa e rivolgerle un meraviglioso quanto falsamente dolce sorriso.
“Ciao pure a te.”
“Si si, spegni quella cosa.” Intimò, sbuffando annoiata.
Lui roteò gli occhi esasperato, portò nuovamente la cicca alla bocca e poi espirò in faccia alla ragazza quello che aveva conservato per brevi istanti nei suoi polmoni.
“Perché? Io sto bene così.”
“Perché è contro le regole, quindi tu ora la spegni e la butti, così non sarò costretta a farti rapporto.”
Per quanto la risata di scherno era già segno che il ragazzo non avrebbe prestato ascolto alle sue parole, vide che egli, per ribadire la sua libertà di azione, fece l’ennesimo tiro.
Non aveva ancora capito che quella sceneggiata giornaliera bruciava parecchi minuti che avrebbero potuto usare per stare assieme, parlare, baciarsi?
Rubò dalla leggera presa delle dita del ragazzo la sigaretta, oramai quasi consumata, e, mentre si avviava velocemente al banco del moro per spegnarla e buttarla nel sua tracolla, si apprestò essa stessa a finirla.
“Bulma, Bulma, Bulma- sporadicamente la chiamava per nome e, quando ciò avveniva, era per schernirla- posso sempre accendermene un’altra, sai?”
Le dichiarò, afferrandola per la mano e costringendola a sedersi sopra di sé.
“No, non lo farai se ti tengo la bocca occupata.” Esclamò sorridente e vittoriosa lei, prima di adagiare le sue carnose e morbide labbra su quelle sottili di lui che interruppe il bacio, vinto dall’irrefrenabile voglia di rivoltarle contro i suoi stessi principi.
“Lo statuto scolastico vieta l’effusioni negli spazi interni ed esterni dell’edificio. No?” Sciorinò saccentemente, beffandosi del tono e delle espressioni che solitamente aveva lei.
“Ma tu non pensare allo statuto studentesco, amore, pensa più in grande- percorreva le labbra del ragazzo col suo pollice, mentre l’altra mano carezzava la sua guancia- le regole scolastiche sono stilate apposta per gli studenti comuni che hanno bisogno di essere gestiti da un’imposizione più alta. Ma prima di essere studenti siamo persone e come tali dobbiamo prima ricorrere alla nostra carta dei diritti che in parole spicce dice che siamo liberi di fare ciò che vogliamo pur non intaccando la libertà degli altri. E noi non stiamo infastidendo nessuno, baciandoci."
Lui le regalò una sua oscura risata e fece scivolare le sue mani sopra le lisce cosce, nude per colpa della gonna della divisa, della ragazza.
“Senti, senti la mocciosa che mi vuole spiegare certe cose.”
“Essere tre anni più piccola di te non mi fa una mocciosa” gli ricordò infastidita dalla sua insinuazione, pizzicandogli la guancia per punirlo.
“Allora sei una marmocchia!” ghignò malefico e celere avvicinò nuovamente la sua bocca a quella della ragazza, impedendole di rispondere a tono come lei avrebbe voluto.
“Ti odio, ti odio.” Diceva lei, allorchè si staccavano per riprendere fiato.
Il suono della campanella destò preoccupazione nella ragazza che, veloce, si staccò dal ragazzo e scese dalle sue gambe.
“Devo scappare, ho compito in classe di matematica.”
“Calmati, pivella. Per fare le addizioni in colonna non ti servono mica due ore piene.”
“Vai a quel paese idiota, non sono una bambina.”




*************



Sedeva di fronte a quell’uomo dai lineamenti duri e l’austera bellezza e, ora che aveva le mani ammanettate e indossava una antiestetica tuta arancione evidenziatore, pensava che essere al suo cospetto metteva addosso terribile ansia e soggezione, molto più di quel che potesse ricordare.
Il tempo era trascorso inesorabile da quando era una adolescente col pallino della giusta giustizia e, sebbene era cambiata molto interiormente, l’aspetto non aveva subito particolari mutamenti.
Il viso le si era fatto più sfilato e gli occhi non avevano perso né la limpidezza né la vivacità della giovinezza.
Aveva acquisito centimetri in altezza e aveva perso qualche chilo: dunque risultava avere ora un fisico più asciutto e tonico che metteva in risalto le sue forme perfette.
I capelli, che era solita portare lunghi e fluenti lungo le spalle, erano ora acconciati in un corto, ma non per questo poco femminile, caschetto sbarazzino e disordinato.
Non una ruga solcava il suo pallido volto, ma in quel chiarore spiccavano profonde e scure occhiaie.
Il neon sopra la sua testa illuminava completamente il suo intero corpo, rendendo il colore acceso dei suoi abiti ancora più sgargiante e fastidioso.
A separarla dall’uomo in giacca e cravatta vi era un’asettica scrivania, su cui egli aveva appoggiato fogli e cartelle e un pacchetto di sigarette.
Le conosceva bene lei, quelle sigarette: erano state sue fedeli compagne di vita da quando era ragazzina fino a qualche mese prima.
Le mancava terribilmente stringerne una tra le dite, le mancava tenerla tra le labbra, le mancava aspirare quel dannoso piacere, le mancava pensare guardando quella coltre di fumo grigiastro.
Si guardò attorno nervosamente: tutti erano fuori, le avevano concesso di rimanere sola con l’uomo: nessuno poteva impedirle di fumare fintanto era lì.
Allungò le mani per aprire, faticando un po’ per via della costrizione delle manette, il pacchetto ed estrarre da questo una cicca. Notò con infantile felicità che vicino vi era uno zippo: le sarebbe stato più facile accendere e rilassarsi.
Non fu certo azione senza complicanze, ma alla fine, allorchè fu circondata da quel dolce fumo, si ritenne vincitrice.
Sorrise della sua vittoria all’uomo che la ricambiò con un sinistro sorriso.
E come il fratellone maggiore crudele fa vedere e toccare il suo nuovo gioco al più piccolo, promettendo di farlo giocare e poi, sotto i suoi occhi contenti, glielo leva, l’altro lasciò che la ragazza credesse di stringere tra le dita una fragile felicità caduca e poi, nel momento di maggior godimento, le prese la sigaretta tra le dita, adagiandosela poi lui stesso tra le labbra e deliziandosi
e del gusto del tabacco in bocca e della faccia stravolta e irata della ragazza.
“Bulma, non puoi fumare qui dentro.” Le impose dittatoriale, mostrandole una faccia seria e irremovibile.
“Ma perché?” urlò lei, prossima a un pianto isterico.
“Perché io ho deciso così.” La informò crudelmente e sorridendole sadicamente.
Si sentiva come una donna a dieta forzata che era costretta a guardare il suo uomo abbuffarsi dei suoi piatti preferiti.
Scosse velocemente la testa, bisbigliando a voce bassa ‘Ti odio, ti odio.’ e facendosi scappare di tanto in tanto qualche risolino nervoso per poi esplodere in una vera e propria risata.
“Fai così in tribunale e il giudice chiederà un referto psichiatrico. Forse, forse è possibile assolverti per insanità mentale.”
Queste parole parvero riscuotere la donna dalle sue elucubrazioni.
“Non c’è bisogno né che mi difenda né che mi dichiari pazza.”
“A me questa sembra proprio la frase di una pazza. Come conti di difenderti da sola? Rischi tutto e non vuoi nemmeno una persona competente che cerca di salvarti il culo?”
Sbottò sbalordito dall’assurdità di quella donna.
“Certo che desidero che una persona competente mi difenda, quindi capisci bene che non ti affiderò mai il caso. Farò l’arringa da sola. Come Socrate.”
"E' finito morto."
"No, si è suicidato per difendere la sua integrità di uomo giusto, anche quando gli proposero di fuggire."
Scoppiò in una sincera risata, o almeno così sembrava. Aveva un singolare senso dell'umorismo.
"Accusato di colpe mai commesse, condannato a morte poichè personaggio troppo irriverente e scomodo. Tu sei andata contro la legge, diverse volte, recidiva."
"Ma tu non pensare alla legge, pensa più in grande. Questa è fatta per gli uomini comuni troppo stolti per pensare e frenare istinti animali e scorretti con la propria testa. Io sono diversa. Sono andata contro la giustizia degli uomini, ma per conseguire un giusto fine."
Gli sorrise dolcemente, come farebbe una madre al figlio dopo avergli spiegato una cosa banale e ovvia.
La cicca di sigaretta era ormai consumata sopra la scrivania di metallo e entrambi riservarono la propria attenzione a quella.
Lei la prese e la buttò nella sua borsa da lavoro.
"Sono passati dieci anni ed è come se non fosse cambiato niente. Non è strano?"
Si alzò dalla sedia e con meticolosa cura sistemò le carte e le cartelle, infilò il pacchetto di sigarette in tasca e si riaggiustò la cravatta.
Le rivolse un raggiante sorriso e le ultime parole.
"Vorresti che non fosse cambiato nulla! Mocciosa è il momento di crescere, assumiti le conseguenze delle tue azioni. Ti direi di smetterla di vivere il passato, ma è l'ultima cosa che ti rimane. Ci vediamo all'inferno."
Le diede le spalle e si avviò alla porta, senza voltarsi indietro, senza mostrare minimamente interesse a lei.
Indugiò nell'aprire l'uscio, sentendola singhiozzare.
Che famigliari quelle lacrime, le sue ricapitolazioni e le richieste d'aiuto mai ammesse.
"Non mi lasciare, ti prego...Non voglio morire!"
Urlò disperata nella sua direzione.
"'Ma Socrate..."
"Non sono Socrate e non voglio bere del veleno."
Tentò di nascondere il volto nel suo stesso seno.
"Vegeta ti prego aiutami..."






Note autrice (Bella battuta):
Salve gente. =)
So che avevo giurato di rivisionare "Circa la confusione dei sentimenti", ma non è facile e comunque sto pensando a svolgimenti e situazioni più appropriati, quindi è in fase di rielaborazione ancora.
E poi all'ispirazione non si comanda. u_u
Domenica mattina io e la dolcissima LuNa_35 abbiamo avuto un ridicolo tenero ritorno all'infanzia e abbiamo fatto le giostrine. (La verità è che volevamo fare shopping, ma tutti i negozi sono chiusi e per ferie e quindi... T.T)
Mentre la carissima faceva girare il girotondo forte, molto forte, troppo forte, io chiudevo gli occhi per non vomitare e intanto pensavo "Sto morendo, sto morendo."
Alla fine non son morta e questa ideaa mi ha colpito come un fulmine. u_u
Bè, spero che vi piaccia e vi abbia intrigato questo primo capittolo.
Critiche e comemnti sono sempre ben accetti. =)
Alla prossima. :D
Sondaggio: Cosa avrà fatto Bulma per finire in prigione? o.O
Rispondete in numerosi, si vince...Bel dizionario di Greco! (Non so più che farmene oramai xD)
  
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