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Autore: Chaosreborn_the_Sad    14/03/2007    6 recensioni
L’elfo correva, attraverso il sottobosco. Era l’ultima volta che si lasciava scappare una preda come quella. Il cervo galoppava in ciò che restava dell’Ithilien, fuggendo dal suo cacciatore. L’elfo, che dimostrava venticinque anni ma dai suoi occhi trasparivano almeno un paio di millenni, tese l’arco e tirò. La freccia penetrò la zampa posteriore dell’animale, costringendolo a rallentare la sua folle corsa. Nota: MOLTO AU
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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VII Age I

VII Age

Cap I Il Cacciatore e la Preda

L’elfo correva, attraverso il sottobosco. Era l’ultima volta che si lasciava scappare una preda come quella. Il cervo correva in ciò che restava dell’Ithilien, fuggendo dal suo cacciatore. L’elfo, che dimostrava venticinque anni ma dai suoi occhi trasparivano almeno un paio di millenni, tese l’arco e tirò. La freccia penetrò la zampa posteriore dell’animale, costringendolo a rallentare la sua folle corsa. Eglerion si avvicinò ed estrasse il coltello da caccia.

- Mi dispiace…- disse, rivolto all’animale. Con un repentino gesto taglio la gola al cervo, che si accasciò inerte al suolo. Non sapeva ancora a cosa andava incontro. Eglerion legò i lunghi capelli dorati con un nastro e si caricò in spalla la cena per se e per il suo equipaggio.

Questo è proprio il colmo…, si disse. Siamo nella settima Era del Sole e sono costretto a procurarmi il cibo alla maniera della seconda.

Il suo pensiero andò alle tragedie che i menestrelli solevano cantare nei momenti di cerimonia, che narravano della Più Grande Disgrazia Della Terra di Mezzo. Di come dopo la Guerra dell’Anello e dopo il regno di Elessar Telcontar venne il buio.

Gli elfi continuarono a diminuire, insieme a nani e altre razze primogenite, come gli Ent o le Grandi Aquile. Ma, chiusi nei loro reami boscosi e sotterranei, misero a punto le tecnologie necessarie alla sopravvivenza. Le lame e gli archi furono messi da parte, mentre la polvere nera aveva cominciato a diffondersi sempre di più. Le prime armi, come quelle usate da Curunir l’Istar nel grande assedio del Fosso di Helm, erano imprecise, e spesso danneggiavano anche chi le usava. Con il passare degli anni però, l’industria bellica si evolse, fino a raggiungere il punto di non ritorno. Mentre gli elfi e i nani, che oramai avevano messo da parte la maggior parte dei disguidi e delle divergenze, conducevano i loro esperimenti in segreto; gli uomini seguivano pian piano la stessa strada, raggiungendo risultati sempre più simili. Così giunsero infine, negli ultimi anni della quarta Era, all’energia nucleare. Di pari passo con la tecnologia bellica si erano evolute anche l’elettronica e la meccanica, dando vita a cose impossibili, fino a qualche secolo prima. Automobili, case illuminate da luce elettrica e grandi metropoli con grattacieli, non erano neanche presenti nei sogni degli esseri più potenti, come Mithrandir o Sauron. E mentre nella Terra di Mezzo tutto ciò accadeva, nell’Ovest i Valar osservavano preoccupati lo svilupparsi delle cose.

Nel terzo anno della quinta Era, il cui inizio corrispondeva alla scoperta dell’energia nucleare e delle armi basate su essa, un’ambasceria di uomini provenienti da Gondor si presentò a Imladris, che era diventato il maggior complesso di armerie di tutto l’Eriador. Elladan, uno dei due figli gemelli di Elrond Peredhel che governava quella zona (il fratello Elrohir al momento era impegnato nel controllo dei confini con l’Enedwaith), ricevette quegli uomini. Essi proposero lui un accordo sullo sviluppo degli armamenti, poiché altrimenti Gondor avrebbe mosso guerra contro di loro. L’elfo avrebbe dovuto presentarsi nella capitale entro pochi giorni, per siglare questo trattato insieme al Re. Elladan convocò i capi dei suoi alleati, e insieme decisero di opporsi all’accordo. Uno degli inviati sparò ad Elladan nella sala del consiglio, mentre una squadra speciale d’infiltratori Gondoriani penetrò l’avamposto presidiato da Elrohir e uccise anche lui. Non è necessario dire che né gli ambasciatori né i militari Gondoriani sopravvissero per raccontare l’esito delle loro missioni ma in ogni caso la notizia del rifiuto di disarmo arrivò anche nelle alte sale di Minas Tirith, che col passare dei secoli si era espansa e la residenza regia era passata dal settimo cerchio della città vecchia ad un sontuoso palazzo nel centro della città nuova extra-muraria.

Il Re di Gondor all’epoca era un uomo di cui si sapeva poco. Il suo nome di nascita era sconosciuto, si faceva chiamare Adunakhor, "Signore dell’Ovest", come l’antico Re Numenoreano che mise in testa alla sua gente l’idea della conquista di Aman. Di certo si sapeva che aveva poco a che fare con la linea di Isildur, poiché essa si era estinta dopo Arathorn III, primogenito di Eldarion. Egli era morto dopo solo cinque anni di regno, probabilmente vittima di una congiura, lasciando la moglie incinta. Ma ciò che il popolo non sapeva era che il figlio in questione, chiamato poi Mardil, come il primo dei sovrintendenti reggenti, era figlio della regina Usahtiel e dell’allora sovrintendente Cirion II. Ella aveva avuto una relazione extraconiugale, ed era rimasta pregna un mese prima del matrimonio. Dopodiché aveva partecipato alla congiura per avvelenare il marito e far ricadere la colpa sul cuoco di corte, che fu giustiziato dal sovrintendente stesso. Da quel momento la virtù di Gondor era tornata in declino, com’era successo prima di Telcontar.

Adunakhor non accettò che una banda d’immortali rifiutasse le sue condizioni, quindi mobilitò l’esercito verso Nord. E così si tirò addosso l’ira divina. Nel medesimo istante in cui il Re stava per dare l’ordine di lanciare le prime bombe nucleari; un corpo celeste, probabilmente una cometa o un asteroide, (che gli elfi identificarono come "Punizione di Eru") cadde su Anfalas. Le conseguenze furono disastrose.

Gli unici che si salvarono in tutta la Terra di Mezzo, furono alcune tribù Haradrim che al momento si trovavano in pieno deserto (e quindi passarono anni immersi nelle tempeste di sabbia) e alcuni elfi e nani, che erano nascosti nelle profondità delle montagne o in zone di poca turbolenza. Pochi furono i Rohirrim o i Gondoriani che scamparono. Quasi tutto ciò che era conosciuto fu raso al suolo, per due interi secoli le placche si mossero, inabissando catene montuose e distruggendo città, inondando continenti e facendone emergere nuovi. Le Montagne Nebbiose, Bosco Atro e parte dell’Eriador, furono letteralmente divorati dall’onda. Persino alcuni porti dei Teleri, a Valinor, furono sottoposti a violente ondate per mesi. Come millenni prima, il Beleriand era franato, la storia si era ripetuta. Intere zone erano affondate, mentre nuove catene montuose si erano innalzate.

Dove un tempo sorgevano orgogliose le Montagne Nebbiose, ora vi era un lungo tratto di mare, chiamato Anduin in onore del grande fiume. Sulla sponda est vi era una regione chiamata Rohan, che probabilmente faceva parte dell’antico Rhovanion, o forse altro non era che l’innalzamento degli Emyn Muil. Più a sud di questo sorgeva una catena montuosa, che faceva da confine con l’antico Ithilien, divenuto reame degli elfi silvani. Ad est e a sud di questa contrada c’erano il Vallo di Elessar e il Vallo di Isildur, grandi muraglie erette dagli uomini di Nuova Numenor. Essi erano i discendenti dei gondoriani sopravvissuti al cataclisma, che avevano fondato il loro nuovo paese nella zona dove un tempo era Mordor. Quest’area, un tempo arida e incolta, era diventata rigogliosa e coperta di foreste e praterie. Protetti dal Vallo e da ciò che rimaneva dell’Ephel Duath, gli uomini ricominciarono a costruire città alla maniera di un tempo, con alte torri e possenti mura. A nord di Nuova Numenor c’era una zona chiamata Pinnath Gelin, in ricordo del feudo appartenuto tempo prima a Gondor. Purtroppo per loro, quella regione fu reclamata da qualcuno che non si sarebbero mai aspettati. I pochi Noldor rimasti avevano trovato dimora nell’arcipelago denominato da loro Manwetol, "Isola di Manwe". Questo arcipelago era formato da cinque isole, che gli abitanti avevano nominato come cinque degli "Amici degli elfi": Beren, Turin, Earendil, Hador, e Gimli. Questi elfi si erano dedicati poi alla pirateria, sotto il comando di Tegalad, loro signore; conquistando così Pinnath Gelin e fondando il porto di Dol Calan, sulla punta estrema settentrionale. In questo modo dissuasero gli uomini dal marciare nuovamente contro gli elfi. Invece questi fondarono varie città portuali sulle loro coste (le maggiori furono Porto Malo e Porto Veliko), e si espansero a sud dell’Ithilien. Non ebbero il coraggio di attaccare quest’ultimo, temendo una rappresaglia da parte d’entrambe le nazioni elfiche. Li espansero il loro possedimento sotto la bandiera di Nuova Numenor e edificarono il Vallo di Isildur, a protezione contro eventuali incursioni da parte dei Sindar dell’Ithilien.

In quanto alle terre ad ovest dell’Anduin si sa ben poco. Eccetto una foresta sotto il dominio di Rohan (più che altro si trattava della loro riserva di legname), le altre lande erano inesplorate e portavano il classico nome di Terre Selvagge. Pochi sanno che la lunga catena montuosa che sorge adiacente alla costa altro non è che l’Ered Luin, mentre sono ancora meno coloro che sanno della sopravvivenza del Mithlond e dei Rifugi Oscuri. Questo porto elfico passò in mano ai figli di Elrond, dopo che Cirdan partì con l’ultima nave e rimase sotto il governo dei loro satrapi fino alla catastrofe. I pochi che sopravvissero elessero autonomamente il proprio Signore, ed elli ancora comanda quest’area. Beriadan è il suo nome, "il difensore degli uomini". Egli era il solo a sapere che nella zona tra l’Anduin e il Mithlond, vicino ad una foresta e degli antichi tumuli, in riva ad un fiume chiamato Calanduin, sorgeva una piccola casetta dove un omino vive, calzando i suoi gialli stivali, indossando la sua giacca blu cielo, portando una lunga piuma azzurra sul cappello e cantando inni alla sua amata Figlia del Fiume.

Infine nell’estremo nord esiste un’isola, dalla forma che ricorda vagamente una stella, sopra di cui sorge Erebor: la Montagna Solitaria era sopravvissuta senza troppi danni dalle scosse; mentre all’estremo sudest vi è una terra desertica, reduce dell’Harad, ancora abitata da uomini dalla carnagione scura.

Il giovane elfo stava per ricominciare la sua marcia verso la costa. Nonostante fosse meno di un miglio, il peso sulle sue spalle lo rallentava non poco. Aveva fatto pochi passi quando udì un grido.

- Daro!-. Fermati. Eglerion si voltò, cercando la provenienza dell’ordine.

- Iston le?- chiese. Ti conosco?

- Pedich edhellen?!- fu la risposta sorpresa della sua misteriosa interlocutrice. Parli l’elfico?!

- Tancave-. Certamente. Eglerion mise in mostra le orecchie appuntite.

- Man sâd telil?-. Da dove vieni?

- Telin o Manwetol-. Provengo da Manwetol.

- Sen tîr?-. E’ vero? Chiese di nuovo la ragazza.

- Gwanno ereb nin!- esclamò l’elfo, spazientito da tante domande. Lasciami solo.

- Sedho!- lo zittì lei.

- Inizio a stufarmi di questa situazione. Mostrati!- disse.

- No diriel- rispose la voce. Fai attenzione.

Eglerion lasciò cadere in terra il cervo e mise mano alla cintura, dove la sua lunga spada pendeva.

- Non lo farei se fossi in te. Sei a pochi metri di distanza da me e una freccia in pieno petto non fa mai bene-. Eglerion imprecò ad alta voce contro i mantelli degli elfi Sindar e cominciò a sondare la zona circostante, cercando colei che lo stava minacciando. L’elfa decise di farsi vedere, lasciando cadere il cappuccio del manto dietro la nuca. Eglerion rimase attonito. Gli occhi smeraldini della sconosciuta incrociarono i suoi, mentre ella tendeva l’arco verso di lui. I suoi capelli, di un colore biondo aureo ma mescolati a qualche ciocca castana, erano tagliati all’altezza delle spalle. Una ciocca intrecciata in una maniera sconosciuta ad Eglerion simboleggiava la casata della ragazza. Egli non poteva sapere di trovarsi al cospetto di un’elfa d’alto lignaggio. La fanciulla sorrise ad Eglerion, e gli parlò ancora.

- Cosa ci fa un Noldo da solo in una foresta con un cervo in spalla? Probabilmente cerca di rimediare un pasto ai suoi compagni, accampati poco lontano…- disse.

- Non ti rendi conto di con chi hai a che fare- rispose Eglerion, con una punta d’orgoglio.

- Dimmelo tu, allora, visto che sembra essere una cosa tanto importante-.

- Ti dice nulla il nome Tegalad?-.

- Sono una semplice guardavia. Di certo non posso conoscere i nomi dei vostri condottieri-.

- Lasto lalaith nîn-. Ascolta la mia risata, la canzonò lui.

- E va bene. Conosco quel nome. Ma cosa importa… egli non ha potere qui…-.

- Forse perché non si hanno più sue notizie da tre secoli ormai?-. Aveva colto nel segno. La sconosciuta era stata brava a nascondere le proprie conoscenze fino a quel momento, ma un lampo di sorpresa attraversò i suoi occhi. Quella era una notizia che giungeva nuova alle sue orecchie.

- Come prego?-.

- La corona dei Noldo è passata a suo figlio- disse l’elfo.

- Interessante. E tu magari provieni da un’illustre casata di sanguinari pirati che rientra nelle grazie di questo giovane sovrano-.

- Ci sei andata vicino- rispose. Lei proruppe in una risata, scuotendo la chioma. Lui colse l’attimo. Sguainò la spada e in un momento le fu vicinissimo. Ma aveva sottovalutato il nemico. Non appena Eglerion si era mosso, la Sindar aveva estratto un corto pugnale dalla cintura e glielo aveva piantato senza troppi complimenti nella coscia. L’alto elfo rovinò al suolo, e l’elfa gli fu sopra in un attimo. Teneva in mano una freccia, molto vicino alle iridi blu mare di lui.

- Se non la smetti di fare queste stronzate ti cavo i tuoi bellissimi occhi piano piano, hai capito?-.

- Nai Valaraukar tye-mátar - le disse sprezzante. Possano i Balrog cibarsi di te.

- Simpatico il ragazzo. Ora dimmi: chi sei?-.

- Nin estar Eglerion- disse in un sussurro. Lei si portò una mano alla bocca.

- Non può essere!-.

- E invece sì…- disse lui, stiracchiando un sorriso. La Sindar estrasse una borraccia dalla sacca verde che portava a tracolla, sotto il mantello.

- Bevi-. Il liquore scese nella gola di Eglerion, che si addormentò poco dopo. Lei fece un fischio, simile al richiamo di un uccello, e due guerrieri elfi vestiti di mantelli apparvero.

- Aiutatemi a portarlo al rifugio più vicino- disse. I due non dissero una parola, ma presero Eglerion e se lo caricarono in spalla. Durante la marcia verso il nascondiglio la fanciulla rifletteva. Sperava di tutto cuore che l’antidoto facesse effetto velocemente, perché altrimenti il veleno del pugnale avrebbe portato presto il ragazzo alla follia.

Sicuramente la sua regina non avrebbe gradito che lei girasse nei boschi rendendo folli i Re delle altre nazioni.

Ed ecco finalmente la mia prima fanfic su LotR... il secondo capitolo è in lavorazione, ditemi come vi sembra per favore...

  
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