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Autore: Dicembre    07/09/2012    2 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Posto questo capitolo in fretta perchè sto partendo. scusatemi, risponderò alle recensioni anche del capitolo precedente al mio ritorno (grazie davvero, a tutti ^.^)





Capitolo Quarantuno - Il sole
 


 
 
 
 
Il sole era luminoso e tingeva il cielo di un azzurro terso. Nero lo guardò, schermandosi gli occhi con le mani. Era sorto.
 
Non quel giorno, ma uno quanto mai vicino, Chiaro avrebbe minacciato la vita di Aaron. Lui stesso era una minaccia per la sua anima.
 
Andandosene l’avrebbe protetto, no?
 
Andandosene non avrebbe rifatto al fratello lo stesso torto di cui sopportava la colpa da quindici anni.
 
Il sole gli ferì gli occhi, ma Nero rimase a guardarlo incurante.
 
 
 
 
 
Aaron affrettò il passo per vedere dove fosse William.
 
Era stato un sogno? Oppure davvero aveva visto il volto di Maria e aveva parlato con lei?
 
Aaron sperava che, vedendo William, potesse fare più chiarezza fra i suoi pensieri.
 
Trovò il ragazzino indaffarato ad appuntire delle frecce. Questi appena vide lo zio, gli corse in contro:
 
"Buongiorno!"
 
"Buongiorno a te" rispose Aaron guardando il nipote negli occhi. Erano occhi riposati, di chi aveva passato la notte in un letto caldo "Come hai dormito?"
 
"Benissimo! Poi questa mattina ho incontrato Forgia e Cencio che si stavano allenando con l'arco, e ho scoperto che se le frecce vengono appuntite così…"
 
Ma Aaron, quella mattina, non era in grado di ascoltare niente e ripeté:
 
“Come hai dormito?"
 
William interruppe le sue parole e guardò lo zio sorpreso.
 
"Benissimo" ripetè
 
"Non ti sei alzato? Non ti sei svegliato?"
 
"No no" William enfatizzò le sue parole scuotendo la testa "Ma perché...?"
 
"Nulla, non ti preoccupare"
 
L'essere così freddo e sbrigativo col nipote spiacque ad Aaron, ma quella mattina non riusciva a mantenere la calma.
 
Era stato tutto un sogno?
 
La sensazione di candore che accompagnava la sua pelle sin dal risveglio sembrava rispondere di no, eppure come poteva credere che la Madonna gli fosse davvero comparsa in sogno?
 
"Zio, ti senti bene? Sei... pallido"
 
Aaron annuì, rimanendo comunque soprappensiero
 
"Benissimo…Ora scusami, ma devo andare" disse senza aspettare replica dal nipote.
 
Era troppo agitato.
 
Se da una parte non sapeva come interpretare il suo sogno – sempre che di sogno si trattasse – dall'altra c'era una sensazione di panico che gli stava montando sempre di più: Nero sarebbe partito.
 
Se neanche Maria aveva potuto dargli una risposta, se persino lei aveva detto che il corso degli eventi era incerto, quella sua sensazione sembrava invece dargli la certezza che il cavaliere avrebbe lasciato il castello di lì a poco. Del resto, non era mai stato un segreto che fosse lì solo temporaneamente. Perché quest’agitazione?
 
Dovette arrestare i suoi passi in corridoio per vincere la sensazione di panico.
 
Prima dell'incontro con Nathaniel, aveva imparato a convivere con la propria solitudine in un castello troppo grande per se stesso. Adesso si sentiva schiacciato.
 
Forse si sbagliava?
Forse sì... Perché subito pensare… Però…
 
Basta!
 
Aaron si mise una mano sulla fronte, per fermare il corso irrazionale dei suoi pensieri. Eppure, nonostante cercasse di rallentare il respiro, qualcosa in lui gli diceva che tutto era inutile: negare la realtà non avrebbe certo tenuto Nero lì con lui.
 
Una voce lo chiamò: Sir Christofer di ritorno dalle miniere. Doveva occuparsene, così come doveva occuparsi del padre, così come doveva occuparsi dell'ala Est.
 
Chiuse gli occhi e spinse le sue preoccupazioni lontano, nascondendole a se stesso: quella mattina doveva occuparsi d’altro.
 
 
 
Il sole percorreva brevi tratti di cielo ogni volta che Aaron lo guardava, in ansia, nella speranza che si fermasse e che gli desse più tempo. Intorno a lui le persone parlavano, lui rispondeva e ragionava. Prendeva decisioni e rifletteva su ciò che fosse giusto per le sue terre, ma guardava il sole correre e scappare dalla sua vista.
 
Fermati, gli avrebbe voluto dire, aspettami. Ma le parole scorrevano, così come l’astro in cielo percorreva la sua strada. Troppe parole e troppo poco tempo.
 
E lui correva. E non si fermava.
 
Era appoggiato sulle cime degli alberi quando Aaron si ritrovò di nuovo solo, e la sua luce era arancione e calda.
 
Una luce d'addio.
 
 
 
Aaron si diresse nelle sue stanze: doveva solo riporre un'ampolla di biancospino al suo posto e poi avrebbe potuto cercare Nero. Parlare con lui era l'unica soluzione per dissolvere il panico immotivato di quella mattina.
 
Arrivato nella stanza delle erbe si voltò a guardare la porta che l'avrebbe condotto in camera sua: lì era comparsa Maria, vicino all'edicola. Possibile?
 
Gli tremò la mano e l'ampolla che stava riponendo al suo posto gli scivolò di mano e cadde, spargendo il biancospino sul pavimento.
 
Qualcuno bussò alla porta.
 
Aaron diede il permesso di entrare a chiunque fosse
 
"Sto ben…" ma s'interruppe bruscamente, girandosi verso il nuovo entrato
 
"NO!" alzò la voce molto di più di quanto era solito fare "No…" disse scuotendo la testa.
 
Nero lo guardò negli occhi, aprendo leggermente la bocca ma non dicendo nulla.
 
"Non dire niente, non parlare" la sua voce si spezzò e Aaron fu costretto a mettersi una mano di fronte alla bocca per frenare un sussulto.
 
Scosse la testa.
 
"Non dirlo… non puoi dirlo"
 
Poi ebbe il coraggio di guardare davvero Nero, di guardare il suoi occhi e di avere la certezza di quello che stava accadendo.
 
"Perché..?"
 
Se avesse potuto vedere bene le labbra di Nero, avrebbe visto quanto fossero secche. Il cavaliere ci mise un po' a rispondere.
 
"Non posso…" Nero tremò leggermente, prima di osare "Non posso restare"
 
Aaron aprì la bocca, ma le parole uscirono lentamente ed in ritardo, quasi loro stesse volessero rallentare il tempo che continuava a scorrere
 
"Non tornerai" non lo chiese, perché ormai già sapeva la risposta. La mano che ancora aveva sulle labbra tremò e non riuscì a trattenere una lacrima
 
Nero si avvicinò a lui
 
"Non piangere" supplicò, ma sembrava parlare a se stesso.
 
Un'altra e poi un'altra ancora, le lacrime divennero troppe. Aaron se le asciugò col retro della mano. Per un po' rimasero in silenzio.
 
"Dimmelo allora… Lo voglio sentire direttamente da te…"
 
Nero gli accarezzò il viso e gli asciugò meglio la guancia.
 
"Cielo, non posso vederti piangere" si morse le labbra e guardò Aaron, sperando di non dover pronunciare alcuna frase. Sperando di poter fermare il tempo.
 
"Dimmelo…" sussurrò di nuovo Aaron, cercando d’impedirsi di piangere e piangere ancora, implorandolo in silenzio di non pronunciare quella frase.
 
Invece l'aveva richiesta lui stesso. Doveva sentirla, perché altrimenti non poteva crederci.
 
Come si può credere che tutto scompaia?
 
Nero aprì la bocca, ma la richiuse subito, incapace di parlare. Poi si obbligò.
 
"Non tornerò"
 
Aaron sentì il sangue scorrergli nelle orecchie per poi scomparire, evaporato chissà dove. Sentì le sue mani gelide e i suoi occhi vuoti.
 
Sentì le lacrime bruciargli le guance, ma in quel momento non aveva certo importanza.
 
E vide il dolore dell'altro, nell'aver pronunciato quella frase che venne però, inevitabilmente, subito oscurato dal suo.
 
Lo abbracciò.
 
Quanto poteva essere irrazionale e sciocco abbracciare un uomo che ti stava abbandonando?
 
Nero affondò le mani nei capelli e questo aiutò Aaron a non sentirsi solo, ancora più scioccamente.
 
"Torna" si sentì dire, ma si pentì subito dopo delle sue parole e per impedire qualunque risposta a Nero, gli mise le dita sulla bocca.
 
"No, non mi ascoltare. Non mi ascoltare… So bene che quando una decisione è presa, non si può tornare indietro. Non..." ma si dovette interrompere per deglutire "non ti chiederò neanche perché"
 
Nero lo guardò, asciugandogli di nuovo le lacrime, incapace di alleviare qualunque dolore.
 
"Hai le labbra secche" sorrise Aaron " e nonostante questo, sono così belle...e me ne privi" gli si spezzò la voce "Fammi illudere che il motivo per cui non tornerai da me... Fammi illudere che..." e di nuovo fu costretto ad interrompersi "Fammi illudere che tutto questo sia semplicemente inevitabile... Mi farebbe sentire importante" cercò di sorridere, ma ormai non riusciva più a trattenere le lacrime e i singhiozzi che minacciavano di interromperlo sempre più frequentemente.
 
Nero rimase in silenzio, non potendo disobbedirgli e non potendo reagire a quel pianto versato per lui.
 
 
 
L'ultimo raggio di sole che filtrava dalla finestra scomparve, lasciando il posto alla luce fioca del camino.
 
"Ti amo" sussurrò Aaron "Mi lasci, eppure ti amo..."
 
Nero lo baciò: doveva farlo tacere.
 
Non poteva fare altro perché non poteva parlare. Nessuna parola poteva uscire dalle sue labbra, se non quelle più vere: che lontano da lui avrebbe perso di senso.
 
Che solo lì, solo con lui riusciva a chiudere gli occhi ed essere felice.
 
Ma non gli disse niente di tutto questo, perché doveva andare via. E le sue parole l'avrebbero fatto rimanere.
 
Non poteva chiedere di più a se stesso se non di tacere e di baciarlo per un addio inevitabile.
 
Non era quello che voleva...Cielo! Farlo sentire importante, quando era stato Aaron stesso a salvarlo. Quando era tutto...
 
Ma non disse nulla, soffocò le sue parole in quel bacio che sapeva di sale, fra le lacrime dell'altro che sembravano volerlo uccidere.


 
 
 
"Portati via tutto" alle parole di Aaron, Nero s'irrigidì, non capendo.
 
"Se te ne devi andare... se mi devi lasciare, portati via tutto quanto" sarebbero apparse accusatorie, le sue parole, se non fosse per la sua voce interrotta dai singhiozzi.
 
Nero esitò.
 
"Perché...?" ma di nuovo Aaron s'interruppe, incapace di andare avanti e nascondendo il viso nella spalla di Nero.
 
Sapeva.
 
Sapeva che l'altro se ne sarebbe andato ben prima che questi glielo dicesse. Aveva capito che tutto era cambiato quando era tornato a casa. Del resto, aveva sempre saputo che Nero non sarebbe rimasto lì per sempre.
 
Sapeva, ma non capiva.
 
Non capiva perché dovesse lasciarlo. Perché non riuscisse a trattenerlo con sé. Perché non fosse sufficiente quanto lui desiderasse che Nero rimanesse lì.
 
Mise in dubbio se stesso: evidentemente davvero, lui non era poi così importante.
 
E ripeté: "Portati via tutto quanto"
 
Nero lo strinse a sé per farsi perdonare e per dirgli tutto quello che non poteva mettere a voce.
 
"Ti amo" si sentì rubare le parole che avrebbe voluto dire.
 
Lo baciò di nuovo, sulle labbra, sulle guance e sul collo, fino a che non era più sufficiente.
 
Lo baciò sulla spalle, slacciandogli le stringhe che intrecciavano il tessuto della sua veste.
 
Poi ritornò sul suo viso.
 
"Non piangere..." era una supplica per se stesso, ogni lacrima versata da Aaron sembrava riversarsi dentro lui. Doveva lasciare tutto quello perché? 
A chiederglielo ora, non avrebbe saputo dare una risposta.
 
Sollevò Aaron per portarlo sul suo letto: avrebbe capito - il biondo - quanto di se stesso gli avrebbe lasciato? Non avrebbe portato via nulla, andandosene. Nero avrebbe lasciato tutto lì.
 

 
 
Era forte Aaron... Nonostante fosse così esile, le sue braccia lo tiravano a sé con molta più forza rispetto a quella cui era abituato.
 
Nero sorrise, augurandosi che non smettesse mai.
 

 
 
Forse il sole, quella notte, avrebbe davvero aspettato un po' di più a risvegliarsi, stupito anche lui di quanto quelle braccia fossero forti.
 

 
 
Non capiva, sentì Aaron sfilargli la casacca e le sue mani sulla sua pelle nuda. Non capiva più nulla.
 
I suoi pensieri si erano dissolti in quell'odore ormai così familiare.
 
Cercò con la mano i calzari del biondo, ma d'improvviso, questi s'irrigidì ed esitò.
 
Nero lo guardò, a corto di fiato, fra i capelli scompigliati e il suo desiderio.
 
"E'...brutta..." gli disse Aaron mordendosi le labbra e tremando.
 
La sua gamba. Aaron si riferiva alla sua gamba definendola brutta, ma quanto poteva essere sciocco?
 
Se solo si fosse potuto vedere coi suoi occhi...
 
Nero lo baciò di nuovo, tanto da togliergli il fiato e fargli dimenticare della sua gamba. Gli sfilò il calzare.
 
Gli baciò poi il piede. Era sottile, così come la gamba, ma non era brutto. Non era brutto affatto.
 
Gli baciò le dita, una ad una, e poi il collo del piede, e poi la caviglia.
 
Aaron cercò di protestare, ma quelle labbra sulla sua gamba storpia interruppero qualunque protesta.
 
 
 
Forse quella notte poteva davvero durare un po' più a lungo.
 
La lingua sulla sua gamba e i denti sulle sue ginocchia dovevano tornare ancora.
 
E ancora.
 
Non poteva mai finire.

 
 
 
Nero senza vestiti era ancora più bello, sopra di lui poi lo faceva impazzire.
 
Quella notte non poteva finire, perché lui non se ne poteva andare. Che senso aveva? Che senso avrebbe avuto poi, quel pezzetto di pelle orfano delle sue mani? O le sue dita orfane della sua bocca? O le sue gambe orfane dei suoi fianchi?
 
O i suoi occhi orfani di quelli dell'altro.
 
Non ne avrebbero avuto. Per forza di cose, quindi, avrebbe aspettato. Il sole non avrebbe mai illuminato qualcosa di incompiuto.
 
Avrebbe aspettato.
 
Quella notte sarebbe stata testimone delle parole di Aaron, ripetute mille volte all'orecchio di Nero, ma non ancora sufficienti. E sarebbe stata testimone di quello che Nero poteva dire senza voce.
 

 
 
Il sole sorse quella mattina, come ogni altra mattina. Algido ed incurante, illuminò la notte.
 

 
 
I preparativi per la partenza furono rapidi e vissuti come lontani. Come se in realtà niente stesse davvero accadendo.
 
Non c'erano voci cui rispondere, gesti inconsueti da fare...
 
Aaron si comportò perfettamente, con assoluta grazia.
 
Nero stette coi suoi uomini.
 
E poi partì, allontanandosi al passo, a differenza di come era venuto, avvolto nel mantello blu arabescato d'argento che gli era stato regalato. Un tempo così caldo, ora così gelido.
 
E Aaron lo salutò, guardando i cavalieri andare via ed allontanarsi, immobile.
 
Il sole era alto in cielo e guardava assorto la scena.
 
Aaron rimase lì, fermo, a guardare il punto all'orizzonte dove i cavalieri erano da tempo scomparsi. Catatonico. Senza riuscire a fare nulla.
 
Finché il sole, stanco, se ne andò via lui per primo e si addormentò, mentre Aaron non si mosse.

 
***

 
Due parole: sulla conclusione di questo capitolo. All'inizio c'era quasi un capitolo dedicato al distacco e alla partenza. Era un capitolo davvero lento e particolarmente triste. Tuttavia m'era parso - sin dalla sua creazione - poco efficace. Col passare del tempo, il capitolo s'è accorciato sempre di più accorciando, fino a diventare le poche righe che avete appena letto. E secondo me, il pezzo è diventato estremamente efficace. E' vuoto, gelido e perentorio. Non dà grossa possibilità di replica. E' come se fosse svuotato di tutto (come si sentono i protagonisti...)Non so però se è un'impressione mia (a furia di scriverlo e rileggerlo, magari ho perso la percezione reale del pezzo), oppure è un'impressione giusta... Aspetto i vostri commenti per capire se ho avuto ragione nel tagliare l'addio così tanto. Baci baci, Dicembre
  
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